Magistratura democratica

La giustizia amministrativa italiana: una risorsa di qualità tra criticità e nuove prospettive

di Marco Lipari

Muovendo dalla condivisibile idea secondo cui la giustizia amministrativa italiana costituisce una preziosa risorsa da conservare e utilizzare, la dimensione storica del sistema consente di delinearne le prospettive possibili, tenendo conto delle critiche evidenziate da alcuni commentatori. È, pertanto, necessario verificare attentamente la capacità del giudice amministrativo di assicurare la tutela effettiva del cittadino, senza incidere sulla tutela degli interessi pubblici. Lo sviluppo del dibattito tra i protagonisti del processo amministrativo e il dialogo tra le giurisdizioni costituisce un elemento indispensabile per valorizzare la risorsa giustizia amministrativa.

1. Risorse, tensione etica e valorizzazione produttiva / 2. La prospettiva storica. Cinquant’anni dalla legge istitutiva dei tar / 3. Il giudice amministrativo e l’effettività della tutela: si può migliorare? / 4. La tutela giurisdizionale nel settore dei contratti pubblici / 5. L’ampiezza eccessiva della giurisdizione amministrativa è un problema ancora attuale? / 6. Il sistema dualistico di giurisdizione e la tenuta del criterio tradizionale di riparto, incentrato sulla contrapposizione diritti soggettivi/interessi legittimi / 7. Il diritto paritario delle pubbliche amministrazioni / 8. Le possibili criticità della giurisdizione esclusiva / 9. Il dialogo interno tra le giurisdizioni italiane, per accelerare la ripresa del Paese / 10. Il sindacato della Cassazione sulle pronunce del giudice amministrativo. I rimedi alle decisioni ingiuste del Consiglio di Stato / 11. La dimensione europea della giurisdizione amministrativa / 12. Lo statuto soggettivo del magistrato amministrativo / 13. L’assetto organizzativo della giustizia amministrativa e la questione etica

 

1. Risorse, tensione etica e valorizzazione produttiva

Il saggio introduttivo di Enrico Scoditti e Giancarlo Montedoro (in questo fascicolo) sulla giustizia amministrativa intesa come risorsa apre, nella corretta prospettiva, una discussione utile e necessaria.

Molteplici argomenti inducono a ritenere senz’altro che la giustizia amministrativa, oggi, sia un bene prezioso: una risorsa capace di alimentare la società italiana e di rispondere al suo crescente fabbisogno energetico di legalità, certezza giuridica, tutela degli interessi pubblici e privati.

Gli appassionati di etimologia possono apprezzare il collegamento della parola risorsa con il vocabolo latino resurgĕre, che evoca la tensione vitale verso un risultato positivo. Il dato dell’impegno etico che deve sempre caratterizzare l’attività dei protagonisti del sistema della giustizia è essenziale.

Gli economisti, invece, sottolineano come, in termini generali, la risorsa vada studiata attentamente nel modo in cui essa viene costruita, organizzata, e poi utilizzata nella dinamica della produzione. In questo senso si potrebbe dire, allora, applicando i dettami delle scienze economiche, che la giustizia amministrativa appartiene al novero delle “risorse artificiali”: non esiste in natura, evidentemente, ed è il risultato di una complessa combinazione tra professionalità dei magistrati, regole processuali adeguate, mezzi finanziari, capacità organizzativa, rapporto con le istituzioni e con i cittadini, contraddittorio con il foro e con i soggetti pubblici, attenzione ai suggerimenti e alle valutazioni provenienti dall’accademia.

Proprio partendo da queste premesse, occorre sviluppare un costante monitoraggio sul modo in cui, nell’epoca presente, la giustizia amministrativa stia effettivamente funzionando. Ed è opportuno ascoltare con la massima attenzione e disponibilità al dialogo anche – e soprattutto – le voci critiche, comprese quelle più aspre e categoriche, orientate a negare, in radice, la stessa utilità dell’apparato tar - Consiglio di Stato.

 

2. La prospettiva storica. Cinquant’anni dalla legge istitutiva dei tar

Siamo abituati a studiare il diritto amministrativo e il sistema della giustizia amministrativa in una chiave storica. Analizziamo spesso le origini dell’ordinamento e le tappe della sua evoluzione. Ma ci interroghiamo anche sulle prospettive future e sulla direzione assunta dalla Storia.

Questo atteggiamento culturale ha una sua giustificazione innegabile, che qualche volta si sottovaluta. L’ordinamento della giustizia amministrativa si connette a eventi concreti. Alcuni di questi hanno accompagnato i passaggi essenziali della costruzione dello Stato italiano, nella sua fase liberale e in quella costituzionale del Secondo dopoguerra.

Altri momenti di evoluzione del sistema potrebbero apparire più episodici e circoscritti, ma non per questo privi di una rilevante dimensione storica, intesa come collegamento stretto con vicende di vivida attualità. Basterebbe pensare agli interventi processuali dell’attuale periodo di contrasto alla pandemia.

Gli “anniversari” che spesso si celebrano nel mondo della giustizia amministrativa per indicare il trascorrere del tempo da riforme significative, allora, non sono meri “documentari” del passato, ma hanno lo scopo di comprendere l’effettiva direzione assunta dal sistema e la sua concreta attualità.

In questo 2021 si registra mezzo secolo di vita di una riforma che ha segnato in profondità il modo di essere del nostro ordinamento. Cinquant’anni fa, la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 istituiva i tribunali amministrativi regionali, che avrebbero iniziato il loro effettivo funzionamento nel 1974.

In cinque decenni il mondo è certamente cambiato e la giustizia amministrativa, attraverso un lungo percorso, ha conquistato stabilmente un ruolo di assoluto primo piano nell’ordinamento.

La società italiana, non solo quella del diritto, pure contrassegnato da mutamenti epocali sviluppati attraverso stadi successivi, non è più quella degli anni settanta.

Non è necessario ripercorrere analiticamente l’evoluzione storica del sistema. Ma è lecito domandarsi quale sia l’attuale “stato di salute” della giustizia amministrativa e verso dove essa stia andando.

Alcuni dati oggettivi forniscono indicazioni molto positive. Il sistema italiano registra un costante incremento di produttività e una sensibile riduzione dei tempi di durata dei processi, ormai saldamente attestati su standard europei.

Anche la “qualità” tecnica delle decisioni amministrative è universalmente apprezzata, in ambito nazionale ed europeo. La fiducia nei confronti della giustizia amministrativa è tuttora alta, in un contesto segnato dalla difficoltà dei rapporti tra cittadini e pubblici poteri.

Tuttavia, permangono diverse posizioni critiche, non solo dottrinarie, che prospettano importanti difetti e limiti dell’attuale assetto. Non mancano opinioni, anche autorevoli, che, pur con differenti sfumature nei toni e nelle argomentazioni, auspicano il radicale superamento della stessa idea della giurisdizione amministrativa autonoma.

 

3. Il giudice amministrativo e l’effettività della tutela: si può migliorare?

Volendo schematizzare, al giudice amministrativo viene mosso un duplice rimprovero, che muove da due versanti contrapposti, se non contraddittori.

Da un primo punto di vista si è dubitato, talvolta, che il giudice amministrativo sia in grado di assicurare sempre una tutela effettiva al cittadino. Ciò deriverebbe da molteplici fattori, non ultimo quello “culturale”, correlato a un’asserita eccessiva deferenza all’amministrazione, nonché alla difficoltà di manovrare strumenti processuali come quello risarcitorio, che appartengono al campo fisiologico in cui opera il giudice ordinario.

In alcune occasioni, fino all’intervento della Corte costituzionale n. 6/2018, anche le sezioni unite della Cassazione avevano ampliato i casi di “rifiuto di giurisdizione”, denunciabili con il ricorso ex. art. 111, comma 8, Costituzione, stigmatizzando le decisioni del giudice amministrativo asseritamente incapaci di fornire una risposta adeguata al bisogno di tutela del privato leso da un provvedimento amministrativo sfavorevole.

Da un angolo visuale in certo senso simmetrico, invece, si è ritenuto che il giudice interferisca spesso troppo pesantemente nelle scelte discrezionali amministrative, persino nei casi in cui esse hanno una valenza direttamente o indirettamente politica.

La specularità delle due posizioni critiche così riassunte evidenzia, a ben vedere, il nocciolo sostanziale della giurisdizione amministrativa, che si risolve, in fondo, nella ricomposizione del rapporto tra cittadino e soggetto pubblico, portatori di interessi potenzialmente antitetici.

Non vi è dubbio che entrambe le posizioni critiche debbano essere vagliate con la massima attenzione, anche alla luce di un’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ha sempre più affinato la problematica in questione, definendo criteri applicativi sufficientemente consolidati, in un quadro legislativo divenuto molto più chiaro con la legge n. 205/2000 e con il codice del processo amministrativo.

Un approfondimento del dibattito dovrebbe sviluppare ulteriormente pochi punti, delineati con nettezza:

a) l’individuazione delle aree di contenzioso in cui risulta più problematico l’equilibrio tra la pienezza della tutela del cittadino e la salvaguardia degli interessi pubblici;

b) la verifica delle discipline sostanziali di riferimento, in vista di un affinamento delle regole che disciplinano l’esercizio dei poteri amministrativi;

c) la ricerca della più accurata stabilità e certezza delle prassi interpretative seguite dal giudice amministrativo, capaci di orientare l’attività amministrativa e le modalità di tutela delle parti private coinvolte.

 

4. La tutela giurisdizionale nel settore dei contratti pubblici

L’idea secondo cui la tutela giurisdizionale costituisca un freno alle attività pubbliche è ancora molto radicata, specie negli ambiti delle opere pubbliche e dei contratti.

Il problema non può essere sottovalutato, né ridotto a una mera erronea percezione della realtà concreta.

I più recenti interventi normativi hanno certamente migliorato molto il contesto normativo di riferimento, pur con evidenti limiti.

Sono in corso molte ricerche volte a studiare i diversi fattori scatenanti il contenzioso e i possibili strumenti di reazione.

Non è questa la sede per entrare nel vivo delle problematiche specifiche del contenzioso appalti, caratterizzato da un vorticoso succedersi di norme e di arresti giurisprudenziali.

Ma è assai probabile che potrebbe risultare molto utile individuare una strumentazione più affinata e stabile, che potrebbe consistere, esemplificativamente, in alcuni mezzi quali:

a) la creazione di un Osservatorio permanente sul contenzioso, organizzato dal Consiglio di Stato e dall’Anac, che coinvolga il foro e gli altri protagonisti del settore;

b) un aggiornamento annuale del codice dei contratti pubblici, capace di superare le modifiche rapsodiche e talvolta affrettate, disposte occasionalmente dal legislatore, svolto anche con l’apporto consultivo del Consiglio di Stato, capace anche di recuperare, all’interno dello stesso codice, le molteplici disposizioni ancora sparse nella legislazione speciale;

c) l’avvio di una rivisitazione accurata delle direttive ricorsi, volta a codificare gli indirizzi della Cgue, ma anche capace di sciogliere i nodi relativi a temi essenziali, come quelli della legittimazione al ricorso e della decorrenza, e a colmare i non trascurabili difetti di coordinamento con le direttive sostanziali. 

 

5. L’ampiezza eccessiva della giurisdizione amministrativa è un problema ancora attuale?

Un altro punto critico di grande attualità riguarda la forte critica all’ampiezza oggi assunta dalla giurisdizione esclusiva amministrativa. In tal modo, si dice, i limiti del sindacato della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato inciderebbero negativamente sull’effettività della tutela dei diritti soggettivi.

Il punto va affrontato con la massima attenzione e senza pregiudizi, tenendo conto dei vincoli costituzionali e della equilibrata lettura della normativa fondamentale espressa dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 204/2002.

I due elementi chiave da cui partire consistono nel chiarire che:

- la giurisdizione esclusiva è giustificata solo in relazione all’esercizio di poteri amministrativi e ha lo scopo di concentrare la tutela per ragioni di semplificazione del contenzioso e di maggiore efficacia;

- il risarcimento del danno non è una “materia” di giurisdizione esclusiva, ma una tecnica di tutela dell’interesse legittimo e del diritto soggettivo affidati alla cognizione del giudice amministrativo.

Fissate queste coordinate di fondo, lo spazio entro cui può muoversi il legislatore rispettando i parametri dell’art. 103 Costituzione dovrebbe risultare, in definitiva, molto esiguo.

Ora, è certamente vero che, sotto l’aspetto numerico, l’elenco delle materie di giurisdizione esclusiva considerato dall’art. 133 cpa è molto ampio; in concreto, però, non poche delle ipotesi contemplate sembrerebbero rientrare nell’ambito della giurisdizione amministrativa, in forza dei criteri generali di riparto elaborati dalla giurisprudenza delle sezioni unite.

Non si può trascurare, comunque, la crescente difficoltà di distinguere con chiarezza i diritti soggettivi dagli interessi legittimi, considerando l’innegabile rafforzamento “sostanziale” di tutte le posizioni giuridiche nei rapporti cittadino-pubblica amministrazione, insieme all’emersione di nuovi interessi protetti, anche in conseguenza del diritto europeo, di incerta collocazione sistematica.

Altrettanto problematica risulta, poi, la qualificazione – pubblica o privata – di determinati soggetti che partecipano all’attività amministrativa.

In questo senso, risulta piuttosto significativo il progressivo abbandono (nelle decisioni delle sezioni unite sul riparto di giurisdizione) dei percorsi argomentativi più risalenti, incentrati sulle note teorie della contrapposizione carenza di potere/cattivo uso di potere; attività discrezionale/attività vincolata. Sempre più raro, poi, nelle motivazioni della Cassazione si riscontra il richiamo alla dinamica dell’affievolimento dei diritti.

 

6. Il sistema dualistico di giurisdizione e la tenuta del criterio tradizionale di riparto, incentrato sulla contrapposizione diritti soggettivi/interessi legittimi

Forse, nel dibattito sui confini della giurisdizione amministrativa, negli ultimi anni si è sottovalutata proprio la necessità di verificare il concreto funzionamento dei criteri generali di riparto. Sono ancora idonei a definire con certezza e coerenza i confini della giurisdizione amministrativa? La loro applicazione sta conducendo, negli esiti concreti, a una limitazione o a un ampliamento della giurisdizione amministrativa?

Con riguardo alla giurisdizione esclusiva amministrativa, potrebbe essere utile individuare alcuni punti fermi.

a) In nessun caso la tutela del diritto soggettivo affidata alla cognizione del giudice amministrativo deve trasformarsi in una limitazione della protezione della posizione giuridica dell’interessato. L’attuale sistema processuale amministrativo, caratterizzato dalla pienezza degli strumenti processuali e istruttori e dei poteri cognitori del giudice, dovrebbe essere rassicurante. Ma la verifica deve essere compiuta con la massima attenzione, tenendo conto dei settori considerati. Basterebbe indicare, in tal senso, il contenzioso in materia sanzionatoria ricadente nella giurisdizione amministrativa, tuttora caratterizzato da regole processuali non sovrapponibili a quelle del giudizio ordinario.

b) Il sistema della giurisdizione esclusiva dovrebbe caratterizzarsi nel senso della massima omogeneità e coerenza delle fattispecie affidate alla cognizione del giudice amministrativo. La fisionomia dell’art. 133 cpa, derivante dalla stratificazione di interventi normativi effettuati in epoche diverse e con differenti finalità, riflette un atteggiamento del legislatore non sempre capace di cogliere le ricadute ordinamentali delle scelte compiute. Uno degli esempi più nitidi della possibile incoerenza normativa riguarda la giurisdizione sui provvedimenti sanzionatori delle autorità indipendenti, suddivisa tra giudice ordinario e giudice amministrativo, senza una convincente spiegazione diversa dalla mera opzione contingente del legislatore.

c) Andrebbe abbandonata o, per lo meno, nettamente circoscritta l’idea della giurisdizione esclusiva amministrativa definita con la tecnica dei “blocchi di materia”, che è stata alla base dei contestati interventi normativi del decreto n. 80/1998 e della legge n. 205/2000. Il problema non è costituito tanto dalla “dimensione“ assunta, in tal modo, dalla giurisdizione esclusiva così determinata, ma dalla inevitabile incertezza che comportano nozioni generiche e poco definite normativamente, come i “servizi pubblici”, o “l’uso del territorio”.

d) Sotto il profilo della certezza del riparto, la tecnica normativa preferibile è forse quella che collega la giurisdizione esclusiva a precise discipline normative, come avviene nei settori dell’edilizia e dell’espropriazione, o al soggetto autore dell’atto contestato in giudizio.

e) È anche auspicabile che le nuove norme in materia di giurisdizione, ove possibile, siano frutto di un’attenta valutazione “tecnica” preventiva da parte delle giurisdizioni interessate.

f) Se la “logica” degli indefiniti “blocchi di materia” deve essere abbandonata, occorre chiedersi se sia giustificata l’opposta tendenza del legislatore degli ultimi anni di individuare ipotesi “troppo” circoscritte di giurisdizione esclusiva. Talvolta ciò avviene perché, per un particolare ambito, si reputa opportuno un trattamento processuale speciale: alla giurisdizione esclusiva si accompagna la competenza territoriale del Tar Lazio e l’assoggettamento al rito speciale accelerato. La limitata portata di tali interventi, riferiti a ipotesi “nuove” di giurisdizione, potrebbe determinare scarso interesse per il problema. E, tuttavia, anche in tali contesti sembra preferibile delineare un sistema omogeneo.

g) Il riferimento alle controversie relative ai “comportamenti” della pubblica amministrazione come possibile oggetto della giurisdizione amministrativa esclusiva in determinate materie ha creato non pochi problemi interpretativi e, quindi, potrebbe essere evitato, a meno che non si intenda proprio considerare qualche ipotesi specifica, caratterizzata da un qualificato collegamento con un potere amministrativo.

h) Potrebbe risultare molto complicato rivedere sistematicamente tutte le ipotesi di giurisdizione esclusiva, in relazione ai criteri di riparto generale, specie nei casi in cui la giurisprudenza ha fissato criteri sufficientemente stabili. Tuttavia, non mancano ipotesi in cui sarebbe forse auspicabile maggiore coerenza legislativa, prevedendo la concentrazione delle tutele davanti a un unico giudice (ordinario o amministrativo). Un esempio in tal senso potrebbe riguardare il delicato settore dell’immigrazione. L’applicazione dei criteri generali di riparto ha comportato un frazionamento del contenzioso tra giudice ordinario e giudice amministrativo che, forse, incide sulla sistematicità della giurisprudenza e sulla unitarietà della materia.

i) Delimitate razionalmente le ipotesi di giurisdizione esclusiva, resta fermo che non sempre le norme speciali sul riparto risultano di facile e liquida applicazione. In tali eventualità, però, potrebbe essere preferibile seguire in via interpretativa un orientamento volto ad assecondare la scelta legislativa di massima concentrazione delle tutele, coerente con il principio costituzionale dell’indispensabile collegamento tra giurisdizione amministrativa ed esercizio del potere.

In questa prospettiva andrebbero rimeditati gli indirizzi espressi dalle sezioni unite, riguardanti l’affermazione della giurisdizione ordinaria in ordine alle controversie sulla responsabilità dell’amministrazione derivante dalla lesione dell’affidamento del privato in seguito all’annullamento di un provvedimento favorevole. Senza approfondire l’analisi degli argomenti posti a sostegno delle diverse tesi manifestate sull’argomento (con specifico riguardo all’esistenza dell’esercizio del potere amministrativo come elemento qualificante la vicenda e all’incidenza su posizioni giuridiche dell’interessato strettamente inerenti a tale potere), è proprio la logica della giurisdizione esclusiva che dovrebbe condurre all’esito della semplificazione e della concentrazione delle tutele.

 

7. Il diritto paritario delle pubbliche amministrazioni

Un ultimo tema riguarda la costante espansione del diritto privato nella disciplina delle attività delle pubbliche amministrazioni. Gli aspetti maggiormente analizzati sono quelli del lavoro, dell’organizzazione, dei “poteri imprenditoriali” delle aziende sanitarie, dell’esecuzione dei contratti pubblici. È forse possibile sostenere che, in tali ambiti, il diritto comune applicato alle amministrazioni continui a essere caratterizzato da elementi di forte specialità di disciplina, così come andrebbe verificata la possibile incidenza dell’interesse pubblico come dato condizionante la ratio e l’applicazione concreta delle regole particolari considerate.

In tali ipotesi, tuttavia, l’esigenza di semplificazione dei criteri di riparto dovrebbe spingere verso la massima espansione della giurisdizione ordinaria, assecondando la scelta legislativa della privatizzazione di determinati settori, ove occorra “correggendo” le imprecise dizioni utilizzate dalla norma. Si pensi ai condivisibili indirizzi della giurisprudenza che inquadra determinati poteri unilaterali dell’amministrazione, incidenti su rapporti privatistici, nei generali principi contrattuali del diritto comune.

 

8. Le possibili criticità della giurisdizione esclusiva

La discussione sul riparto della giurisdizione e sui limiti della giurisdizione amministrativa pone in evidenza la complessità del nuovo diritto dei soggetti pubblici. Si è detto che il diritto amministrativo si trasforma progressivamente in senso paritario, facendo emergere posizioni di diritto soggettivo e, comunque, rendendo meno chiara la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi.

Le stesse difficoltà di definire i confini della giurisdizione esclusiva potrebbero indurre ad auspicare una trasformazione costituzionale nel senso della giurisdizione unica. Solo in tale quadro il sistema potrebbe ritrovare ordine e coerenza sostanziale, oltre a determinare vantaggi pratici.

Si aggiunge anche un’altra osservazione: proprio perché il giudice amministrativo risulta ora dotato di poteri di cognizione e decisione equivalenti a quelli del giudice ordinario, diventerebbe poco utile la conservazione di due plessi giurisdizionali distinti.

Si tratta di rilievi molto interessanti, quanto meno nella parte in cui sollecitano ulteriori approfondimenti sulla ragion d’essere della giustizia amministrativa e sulle sue trasformazioni.

Ma è certo problematico ipotizzare, oggi, un radicale mutamento dell’assetto costituzionale, in un territorio “sensibile” come è quello dell’organizzazione complessiva del sistema giudiziario.

Potrebbe essere utile, ai fini del dibattito, verificare le esperienze degli ordinamenti stranieri, che hanno sperimentato strutture assai diverse con risultati pratici alterni, anche in considerazione della presenza o meno di vincoli costituzionali all’assetto delle giurisdizioni.

A titolo di esempio si potrebbe citare, da un lato, l’assetto monistico spagnolo, che tuttavia accentua in modo crescente l’autonomia e la specializzazioni di uffici, anche di vertice, deputati al contenzioso amministrativo; dall’altro, l’esperienza pluralistica francese, che considera favorevolmente le giurisdizioni speciali (si veda, da ultimo, la disciplina del contenzioso in materia di rifugiati e di stranieri), prevedendo articolate forme di controllo in sede di ricorso alla Cassazione o al Consiglio di Stato.

 

9. Il dialogo interno tra le giurisdizioni italiane, per accelerare la ripresa del Paese

A diritto vigente, allora, nell’esperienza italiana, un’opportuna “messa a punto” della giurisdizione esclusiva, ricondotta entro confini fisiologici ed efficaci, dovrebbe essere accompagnata dalla massima chiarezza del suo concreto modo di funzionamento, riducendo le possibili criticità.

Un nodo rilevante riguarda il paventato rischio di divergenze interpretative tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, chiamati ad applicare regole sostanziali (e talvolta processuali) identiche. Si prospetta il dubbio che, in tali contesti, dovrebbe essere auspicabile una nomofilachia unica, che apparterrebbe istituzionalmente alla Cassazione.

Un esempio di questa discrasia riguarda il contenzioso in materia di lavoro pubblico, suddiviso tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo. La logica del riparto resta ferma, perché la natura interamente privatizzata o pubblicistica del rapporto incide sulla natura delle posizioni giuridiche. Tuttavia, per rilevanti aspetti, anche nel lavoro in regime di diritto pubblico si applicano integralmente istituti, regole e principi del lavoro privatistico.

In questo senso, allora, si ipotizza di estendere il sindacato della Cassazione alle decisioni del giudice amministrativo concernenti diritti soggettivi: solo in tal modo, si dice, il sistema potrebbe prevenire e risolvere le possibili contraddizioni tra le decisioni.

Il punto merita senz’altro approfondimento, perché un insanabile contrasto tra le giurisdizioni metterebbe in evidenza una “crisi” del sistema.

In concreto, però, il dialogo tra le giurisdizioni continua a svolgersi e l’obiettivo condiviso di seguire criteri interpretativi unitari è generalmente raggiunto, senza significative fratture.

Questa strada merita di essere seguita e forse “istituzionalizzata”, attraverso la possibile definizione di linee-guida orientative e condivise.

Un efficace strumento in tal senso è rappresentato dalla prassi di scambi di pareri tra gli uffici, in ordine a questioni di interesse comune (sostanziali o processuali).

Non meno trascurabile potrebbe risultare il rafforzamento di tavoli comuni e permanenti di dialogo, volti a osservare i temi di maggiore rilievo, anche attraverso la redazione di studi e analisi specifiche, che si potrebbero aggiungere alle già numerose occasioni di formazione comune tra magistrati ordinari e amministrativi.

In questa auspicabile prospettiva di avvicinamento tra magistratura ordinaria e amministrativa, si è anche prospettata la possibilità di individuare forme di passaggio organico dalla Cassazione al Consiglio di Stato e viceversa.

L’attuazione di tale disegno richiede il superamento di alcune obiezioni tecniche, legate ai limiti anche costituzionali della disciplina relativa all’accesso alle magistrature ordinarie e amministrative.

Ma il tema merita senz’altro di essere approfondito: il suo obiettivo di fondo, costituito dalla realizzazione di un’accentuata omogeneità tra Corte di cassazione e Consiglio di Stato è sicuramente condivisibile.

 

10. Il sindacato della Cassazione sulle pronunce del giudice amministrativo. I rimedi alle decisioni ingiuste del Consiglio di Stato

Il tema del controllo della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato continua a essere delicato e controverso, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni.

Occorre però distinguere nettamente tra la prospettiva di rivedere interamente l’assetto costituzionale vigente e la necessità di conservare una linea interpretativa uniforme.

La decisione della Corte costituzionale n. 6/2018 ha il pregio di definire con nettezza la portata dell’articolo 111, comma 8, consolidando la linea interpretativa tradizionale seguita per decenni dalle sezioni unite.

La prospettiva della “giurisdizione dinamica”, nelle sue diverse sfumature, non sembra in effetti collegarsi a una base normativa solida. Anche l’idea di un sindacato delle sezioni unite relativo alla sola nomofilachia comunitaria appare difficilmente conciliabile con il dato costituzionale e legislativo, né trova un aggancio con i principi eurounitari.

In questo senso non convince la prospettiva indicata dalla recente ordinanza n. 19598/2020, che intenderebbe, invece, percorrere la strada di un sindacato esteso della Cassazione sulle decisioni del giudice amministrativo.

Vi è, però, da considerare con la dovuta attenzione il tema posto sullo sfondo dalla Cassazione. Vi è davvero un rischio concreto di disallineamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato dai parametri eurounitari, tale da richiedere un intervento riparatore della Cassazione?

E questo rischio di “gravi violazioni” del diritto, consistenti nel “rifiuto di giurisdizione” si verifica anche in altri ambiti, facendo sorgere un reale problema di insufficienza della tutela somministrata dal giudice amministrativo?

La domanda non può essere elusa e va suddivisa in diversi quesiti.

Da un lato, può essere utile svolgere una valutazione complessiva dell’atteggiamento del giudice amministrativo in relazione a determinati settori o all’applicazione di particolari istituti processuali. Gli ambiti da considerare sono molteplici: taluni assumono un taglio trasversale, come quello del rapporto tra norma scritta ed elaborazione di regole di conio giurisprudenziale; altri riguardano settori particolari, come quello del sindacato del giudice sulle valutazioni tecniche.

È senz’altro fisiologico che su argomenti di tale portata si sviluppi un dialogo tra giurisprudenza, dottrina, protagonisti pubblici e privati del contenzioso, decisioni politiche del legislatore.

Da un altro lato, occorre delineare i rimedi agli errori occasionali in cui può incorrere il giudice amministrativo, anche in secondo grado, mediante la violazione del diritto europeo o anche della normativa nazionale.

La dilatazione del ricorso per cassazione, al di là dei limiti segnati dall’art. 111 della Costituzione, non sembra una risposta efficace e potrebbe aumentare i problemi, anziché risolverli, allungando i tempi di definizione dei processi e incentivando ricorsi in Cassazione a scopo dilatorio.

Poco incisivo è anche il rimedio della responsabilità risarcitoria dello Stato ex l. n. 117/1988, che comporta anche l’evidente distorsione di un processo di riesame della decisione amministrativa affidato alla cognizione del giudice ordinario, sviluppato attraverso tre gradi di giudizio.

Forse, una strada da esplorare, già delineata incidentalmente dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6/2018, potrebbe essere quella di ampliare i casi di revocazione della sentenza, prevedendo uno strumento di impugnazione agile e rapido, volto a denunciare vizi evidenti della decisione per contrasto chiaro con pronunce della Corte di giustizia o con principi di diritto dell’adunanza plenaria.

La problematica richiede attenzione, perché l’incremento della tutela potrebbe accompagnarsi a un indesiderato effetto di esasperazione del contenzioso davanti al giudice amministrativo, rallentando la formazione del giudicato.

Resta ferma, però la necessità di preservare e valorizzare la “risorsa” giustizia amministrativa anche mediante il perfezionamento degli strumenti che assicurino la correttezza e stabilità di una decisione giusta.

 

11. La dimensione europea della giurisdizione amministrativa

È evidente che, sullo sfondo, si pone la problematica ulteriore del rapporto tra la giustizia amministrativa italiana e le Corti europee.

Le occasioni di dialogo si sono moltiplicate e, nel suo complesso, il sistema “multilivello” delle tutele ha dato risultati molto positivi.

La definizione del ruolo del giudice nazionale rispetto alle Corti si è sempre più caratterizzato nel senso della concorrenza e non già della gerarchia.

La “risorsa” della giustizia amministrativa italiana è spesso apprezzata in una dimensione europea quale apporto essenziale alla costruzione del diritto eurounitario e al sistema dei diritti fondamentali in ambito Cedu.

In questa direzione è interessante notare come i rinvii pregiudiziali pronunciati dal Consiglio di Stato si sforzino di contribuire attivamente all’armonica interpretazione del diritto Ue e alla sua armonizzazione con l’ordinamento nazionale.

Ciò detto, però, si ha la sensazione che la giustizia amministrativa italiana non sia sufficientemente coinvolta nel percorso ascendente e discendente di formazione del diritto Ue.

Il punto non è sempre considerato con la dovuta attenzione: il Consiglio di Stato, nella sua funzione consultiva, potrebbe essere chiamato in causa in modo sistematico nella definizione della posizione italiana in ordine all’adozione di determinati atti normativi europei (si pensi alle direttive in materia di contratti pubblici), così come potrebbe partecipare alla fase di recepimento delle direttive in via per così dire “ordinaria”.

Un discorso a parte, poi, richiederebbe il procedimento di formazione pretoria del diritto processuale comunitario in materia di appalti. Occorre prendere atto della situazione di fatto che si è consolidata negli anni: a fronte dell’esile tessuto normativo delle direttive ricorsi, la Cgue ha costruito un insieme di regole sempre più puntali.

Evidentemente, il canale istituzionale del rinvio pregiudiziale non consente l’attivazione di un confronto pieno tra le giurisdizioni nazionali e la Corte del Lussemburgo. Ciò emerge in modo clamoroso quando il rinvio pregiudiziale è disposto dal giudice di primo grado, non di rado con motivazioni molto sintetiche, e mira a contrastare gli orientamenti del giudice nazionale della nomofilachia.

Il rischio che, in tal modo, si creino incomprensioni e difficoltà operative è fortissimo, come dimostra la vicenda della legittimazione al ricorso nella sofferta evoluzione della giurisprudenza comunitaria.

Sarebbe forse opportuno individuare dei meccanismi, anche informali, o basati su prassi della Cgue, diretti a garantire una maggiore armonizzazione tra le pronunce delle corti nazionali e quelle europee.

L’utilità del dialogo con il giudice europeo risulta fortissima anche nel rapporto con la Corte Edu.

Inutile sottolineare che il tema presenta numerose criticità, non solo di ordine tecnico-giuridico.

La corretta definizione dei rapporti tra gli ordinamenti, infatti, è influenzata da valutazioni di ordine politico riguardanti la collocazione dello Stato italiano nello scenario internazionale e all’interno delle organizzazioni di cui fa parte.

Pur con questa consapevolezza, riesce difficile comprendere le ragioni delle opposizioni espresse nei confronti del meccanismo del rinvio pregiudiziale facoltativo (e non vincolante) alla Corte Edu, previsto dal Protocollo 16.

Il procedimento in questione, infatti, appare costruito proprio in funzione di un ruolo più consistente del giudice nazionale ed è articolato in modo da favorire la convergenza tra le posizioni delle diverse corti, superando l’idea di una assoluta e incontrastata superiorità gerarchica della Corte di Strasburgo.

Al momento, però, il Parlamento nazionale sembra fermo nella posizione diretta a non ratificare il Protocollo: decisione pienamente legittima e assunta all’esito di una lunga istruttoria in Commissione giustizia, ma che, forse, non valorizza appieno una componente significativa della risorsa giustizia.

 

12. Lo statuto soggettivo del magistrato amministrativo

L’assetto ordinamentale della magistratura amministrativa continua a destare interesse.

I punti in discussione sono molteplici, riannodandosi a problematiche antiche e a temi più recenti.

È senz’altro utile sviluppare il dibattito, in modo franco e aperto.

Un primo aspetto riguarda la questione della effettiva indipendenza della magistratura amministrativa e, segnatamente, del Consiglio di Stato.

Tradizionalmente, i punti critici principali sono ben noti, perché riguardavano:

- l’accesso al Consiglio di Stato per nomina governativa;

- lo svolgimento della funzione consultiva per il Governo;

- la frequentissima utilizzazione dei magistrati amministrativi nello svolgimento di incarichi fiduciari direttamente conferiti da vertici politici del Governo statale o regionale e locale.

Le risposte a queste critiche sono altrettanto note e non è necessario ricordarle.

Ci si può limitare ad aggiungere qualche riflessione.

Il passaggio al Consiglio di Stato di esperti funzionari provenienti dalle maggiori istituzioni pubbliche può contribuire a elevare la professionalità della magistratura amministrativa e il bagaglio di conoscenze del modo in cui operano i diversi apparati istituzionali. Si tratta, quindi, di un canale di accesso fondamentale, che va conservato e incoraggiato, correggendo alcune incongrue disposizioni recenti che hanno introdotto ingiustificati disincentivi.

In una prospettiva di possibile evoluzione del sistema, si potrebbe anche valutare l’introduzione di meccanismi di accesso analoghi a quelli ora previsti per la Corte di Cassazione, favorendo l’ingresso di personale proveniente dal mondo dell’università e dell’avvocatura del libero foro.

La funzione consultiva del Consiglio di Stato è in costante ridimensionamento. Bisogna interrogarsi su questa tendenze recente dell’ordinamento. Alcune cause sono già esplorate: il declino del ricorso straordinario al capo dello Stato, la netta flessione dei regolamenti governativi, l’emersione di compiti di consulenza affidati ad autorità indipendenti e regolatorie comportano una riduzione costante dei pareri resi dal Consiglio di Stato.

Difficile stabilire se ciò sia un bene o un male. La fisionomia del Consiglio di Stato si caratterizza sempre di più per la sua connotazione giurisdizionale e ciò potrebbe preludere, forse, come qualcuno auspica, a una definitiva separazione delle funzioni.

D’altro canto, però, l’autorevolezza dei pareri del Consiglio di Stato si collega proprio alla circostanza che lo stesso organo, in diversa composizione, è chiamato ad applicare e interpretare la legge in sede giurisdizionale.

Certo è che andrebbe condotta un’ampia riflessione sullo stato attuale della funzione consultiva, accompagnata dall’individuazione delle sue possibili prospettive.

Il tema del rapporto tra magistratura amministrativa e incarichi di governo è sempre stato molto controverso, dando luogo anche a un’articolata successione di discipline normative e di interventi degli organi di autogoverno, volti a offrire un idoneo quadro di garanzie.

Si tratta di una materia in cui è difficile individuare un soddisfacente punto di equilibrio tra l’esigenza di assicurare l’efficiente svolgimento delle funzioni giurisdizionali e la necessità di consentire l’esercizio delle funzioni di governo attraverso le strutture di diretta collaborazione.

Probabilmente, alla base delle criticità riscontrate si pongono alcuni limiti di fondo del sistema, che attengono all’organizzazione complessiva degli apparati delle istituzioni pubbliche.

Per ragioni difficili da comprendere, la disciplina generale è tuttora frammentaria e poco chiara ed è ispirata dal principio secondo cui l’intera struttura di diretta collaborazione del Ministro è ricostruita di volta in volta, senza stabilità interna, nemmeno con riguardo a compiti che potrebbero avere anche una connotazione tecnica, come sono, almeno in parte, quelli degli uffici legislativi.

Si potrebbe discutere se questo modello sia migliorabile o meno, favorendo la creazione di uffici ministeriali alimentati da risorse interne altamente specializzate, in grado di interagire lealmente con i vertici politici.

In questo senso, allora, potrebbe riprendersi l’idea di assegnare un peso crescente a istituti di alta formazione capaci di formare insieme la magistratura amministrativa e la dirigenza delle pubbliche amministrazioni, sulla falsariga dell’esperienza dell’ENA francese.

È una prospettiva complessa, già tentata in più occasioni, con esiti altalenanti, che avrebbe il duplice obiettivo di avvicinare, sul piano “culturale”, la magistratura alla dirigenza e di ridurre in radice la necessità di far coprire determinate posizioni di vertice dei ministeri a magistrati amministrativi.

 

13. L’assetto organizzativo della giustizia amministrativa e la questione etica

Un ultimo tema meritevole di estrema attenzione riguarda la deontologia del magistrato.

Alcuni episodi hanno suscitato l’interesse della cronaca giornalistica, destando vivo allarme.

Non vi è dubbio che le vicende, di palese gravità, esigono di verificare non solo se il sistema sia in grado di sanzionare correttamente le violazioni deontologiche, ma anche se esistano strumenti adeguati di prevenzione e di controllo.

In questo senso vanno incoraggiate le iniziative delle associazioni dei magistrati dirette ad attivare l’adesione ai codici etici, opportunamente adeguati ai nuovi contesti storici.

Ma è necessaria anche una risistemazione della normativa disciplinare riguardante i giudici amministrativi, più volte sollecitata dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.

Sono questi i presupposti necessari per proteggere efficacemente e rafforzare la risorsa giustizia amministrativa.