Nomofilachia ed evoluzione giuridica. Corti supreme, legalità e riassestamenti post-globalizzazione
La nuova ricerca di nomofilachia che vede oggi impegnate le giurisdizioni di vertice italiane va inserita nel bisogno di stabilità degli assetti istituzionali e giuridici, e di rinnovate attese di normatività e prevedibilità giuridica, il cui retroterra è rappresentato dai cambiamenti che hanno attraversato negli ultimi decenni l’intera architettura giuridica, in primo luogo, il processo di internazionalizzazione della sfera giuridica e di moltiplicazione delle fonti, in secondo luogo il successo della dottrina del costituzionalismo. In tale trend generale di forte trasformazione delle istituzioni giudiziarie va inquadrato il crescente incremento delle competenze e dei poteri del giudice amministrativo, non solo per l’espansione degli ambiti della giurisdizione speciale esclusiva, ma anche per effetto dell’art. 99 cpa.
1. Premessa / 2. Internazionalizzazione della sfera giuridica e tendenziale de-gerarchizzazione / 3. Il costituzionalismo e la sua logica comunicativa / 4. Legalità tra scrittura e oralità / 5. Corti supreme, legalità e riassestamenti post-globalizzazione
1. Premessa
Siamo abituati a pensare che la nostra sia l’epoca della globalizzazione, eppure, mentre molti tratti di quell’epoca trovano conferma e persino una esasperazione nel quadro odierno, ad esempio nell’impianto finanziario del capitalismo attuale o nella sempre più estesa diffusione delle tecnologie digitali, altri aspetti tipici, specie dopo la crisi del 2008, sono invece entrati in crisi o in recessione. Siamo oggi, dunque, in un movimento che in parte conferma, in parte contesta o corregge aspetti del quadro forgiato dalla globalizzazione.
Anche il contesto giuridico risente di questo orizzonte mosso, di permanenza, e persino di esasperazione, di tratti derivati dalla globalizzazione, e al contempo di contestazione o di ricomposizione critica di vari altri aspetti. I segni di una sorta di risacca, sotto il profilo giuridico, si possono intravedere, tra l’altro, nel tentativo a livello nazionale, di valorizzare un bisogno di stabilità degli assetti istituzionali e giuridici, e rinnovate attese di normatività e di prevedibilità giuridica. La nuova ricerca di nomofilachia che vede oggi impegnate le giurisdizioni di vertice italiane può essere inserita in questo trend e, come si vedrà, coinvolge vari aspetti. Oggi, peraltro, mentre gli operatori del diritto si trovano a fare i conti con una dinamica di dispersione giuridica seguita alla crisi degli assetti statali, paradossalmente, una nuova sfida in termini di prevedibilità e persino di visioni deterministe proviene dall’esterno del diritto, ossia dalle tecnologie digitali e dalla cd. giustizia predittiva[1].
I sistemi giuridici statali erano basati, soprattutto in Europa continentale, principalmente su due bastioni: un’accezione prevalentemente normativa del diritto e un’organizzazione giudiziaria di tipo burocratico. Il diritto coincideva soprattutto con la legislazione, a cui era riservata una posizione eminente nel sistema delle fonti. Inoltre vigevano criteri di natura gerarchica tra varie “fonti”, così come tra corti di vario livello. L’accezione normativa del diritto e i processi di evoluzione della semantica giuridica non erano consegnati solo alla posizione eminente assegnata alla legislazione nel sistema delle fonti, ma anche al controllo della circolazione delle interpretazioni giuridiche che affioravano in sede giudiziaria. Imponendo precisi percorsi alla circolazione delle interpretazioni giudiziarie, si poteva mantenere un certo controllo della semantica giuridica entro il perimetro statale. In particolare, la presenza in ogni sistema nazionale di corti “superiori” di vario tipo permetteva di chiudere il cerchio garantendo che, ciascuna nel proprio ambito di competenze, potesse contenere la semantica giuridica in un alveo più o meno unitario.
Questa impostazione, che era già entrata parzialmente in crisi, mostrava delle smagliature sempre più gravi negli anni della globalizzazione, quando si parlava spesso di “americanizzazione” del diritto e dello stile giuridico: una espressione che alludeva a due facce. Da una parte implicava che il diritto assumesse sempre più le sembianze di judge-made-law, ossia che coincidesse con “ciò che dicono le Corti”, secondo una nota formulazione giusrealista. Dall’altra parte, essa implicava che i criteri del judicial review, ossia dell’esame di conformità del diritto legislativo ai canoni costituzionali da parte delle corti costituzionali, tendessero a estendersi sempre più, diventando un tratto comune a vari Paesi. Entrambi questi profili dell’“americanizzazione” giuridica hanno mostrato una crescente capacità di radicamento nei sistemi di civil law.
Al contempo, l’intersezione tra alcuni tratti tipici del common law e quelli tipici del civil law generava un ibrido che mancava di sufficienti strumenti di coordinamento e di governo, cosicché produceva anche frizioni, imprevedibilità e disordine, che collidevano con la logica nomofilattica che oggi si cerca di risanare. Quella intersezione non faceva adeguatamente i conti con l’impianto gerarchico e normativo dei sistemi europei e con i riflessi sul piano delle corti “supreme” e della legalità che esse erano chiamate a garantire.
La vecchia fisionomia gerarchica dei sistemi giuridici (specialmente di civil law), che riguardava sia le fonti, sia la giurisdizione, apparentemente rimaneva immutata. Ma essa veniva lavorata ai fianchi da nuovi processi in corso, che contribuivano significativamente a mutare i connotati di quel quadro. Per rintracciare le ragioni di confluenza, ma anche di attrito, tra giurisdizioni “supreme” nella ricerca di una nuova nomofilachia, che oggi percorre nuove strade, adeguate al tempo presente, in un contesto di grande complessità[2], è utile fare i conti con il retroterra di cambiamenti che hanno attraversato negli ultimi decenni l’intera architettura giuridica: in primo luogo, il processo di internazionalizzazione e di moltiplicazione delle fonti; inoltre il successo della dottrina del costituzionalismo. Questi due processi, intrecciandosi variamente, producevano effetti convergenti, contribuendo a dare una nuova configurazione alle istituzioni giudiziarie, sia sul piano della loro impostazione gerarchica, sia sul piano del loro ruolo nel processo di elaborazione e di evoluzione giuridica. Con ovvii riflessi in tema di legalità e di pluralismo giurisdizionale.
Alla luce del tema e dell’obiettivo di fondo esplicitato dal Memorandum sottoscritto il 15 maggio del 2017 dai vertici delle Corti superiori italiane, ossia la ricerca di una nuova nomofilachia come servizio reso ai cittadini e alla comunità tutta, conviene dunque ripercorrere questi due passaggi, per comprendere come essi abbiano smosso lo scenario della giurisdizione e del suo pluralismo fino ai temi odierni. Entrambi quei processi, e specialmente il secondo, hanno spinto verso una certa confluenza delle varie articolazioni giurisdizionali, con accensione di frizioni e logiche concorrenziali che, nel passato, erano inesistenti o più tenui. La differenziazione del pluralismo giudiziario rispondeva a una logica istituzionale di più nette partizioni. Il nuovo pluralismo, proprio dei sistemi post-moderni, risponde meno a criteri di nette partizioni. Dunque, per quanto attiene al giudice amministrativo, il crescente incremento delle sue competenze e dei suoi poteri, non solo per l’espansione degli ambiti della giurisdizione speciale esclusiva, ma anche per effetto dell’art. 99 cpa, è da inquadrare in un trend generale di forte trasformazione delle istituzioni giudiziarie e delle loro articolazioni pluralistiche[3].
2. Internazionalizzazione della sfera giuridica e tendenziale de-gerarchizzazione
Sono stati decisivi, innanzitutto, i processi di crescente internazionalizzazione della sfera giuridica[4] e di moltiplicazione delle fonti giuridiche e delle corti[5] negli anni ottanta e novanta del Novecento. Si tratta di un fenomeno largamente indagato in letteratura, che qui può essere trattato solo in linea molto generale. Quando si parla di internazionalizzazione della sfera giuridica, si intende qualcosa di molto diverso dai fenomeni di circolazione, di trapianto e di imitazione giuridica, che sono sempre esistiti[6]. L’impatto dell’internazionalizzazione, che si svolge sotto regie esterne, non controllabili a livello nazionale, è molto più forte, e ha condotto innanzitutto a un indebolimento della fonte legislativa, anche spostando vari centri decisionali al di fuori delle aule parlamentari. Inoltre, i vari sistemi normativi statali hanno subito la concorrenza non solo da parte di regole giuridiche create da organismi internazionali di vario tipo – regionali, internazionali e sovranazionali –, ma anche da legislatori privati di varia natura[7]. Mentre le fonti giuridiche si moltiplicavano e la fonte legislativa si indeboliva, erano soprattutto le corti a essere pienamente coinvolte nel processo di internazionalizzazione, trovando un’ampia e variegata proiezione internazionale[8]. Le legislazioni nazionali, impostate sulla cifra della originalità della sovranità politica, avevano invece maggiori difficoltà a muoversi sul terreno della comunicazione internazionale, anche se non sono mancate iniziative rivolte in tale direzione[9].
Via via che si moltiplicavano i riferimenti giuridici nazionali, subnazionali, internazionali e sovranazionali, nonché il numero e la tipologia delle corti abilitate a “dire il diritto”, si creava un ambiente giuridico affollato e convulso[10], paradossalmente sospeso tra ridondanza e carenza di riferimenti normativi, in cui il loro ruolo assumeva una posizione sempre più importante. Così, mentre crescevano i rischi di dissonanze e di giurisprudenze confliggenti[11], anche le funzioni svolte dalle corti si moltiplicavano: non solo quella di dirimere i numerosi conflitti presenti nelle varie sfere giuridiche (nazionale, internazionale, sovranazionale, globale) ma, in presenza di fili normativi spesso esili o poco chiari, anche l’esigenza di supplire alla scarsità di riferimenti normativi, svolgendo un ruolo ineludibile di gap-filling.
Tutti questi aspetti sono noti. Qui si vuole sottolineare come, nel nuovo magma istituzionale, la progressiva disposizione della giurisdizione in una struttura “a rete”[12] alimentasse sempre più linee di scorrimento orizzontali delle dinamiche giuridiche, che mettevano in crisi sia il rigore delle linee gerarchiche, sia i tradizionali meccanismi di “chiusura” della semantica giuridica eretti dagli Stati[13]. Mentre crescevano forme di scambio e di comunicazione inter-giudiziarie e dialogiche, che avevano potenzialità anche transnazionali[14], era come se «la gerarchia si mostra(sse) incapace di rendere conto dell’articolazione pluralistica delle fonti»[15] e, si potrebbe aggiungere, dell’articolazione pluralistica della stessa giurisdizione.
Apparentemente, l’organizzazione giudiziaria interna agli Stati rimaneva immutata, con la giurisdizione addetta a dirimere i conflitti e le corti “supreme” di vario tipo al loro posto, con i tradizionali compiti e poteri; in realtà, nel nuovo contesto, la sua tradizionale impostazione gerarchica era insidiata da una implicita tendenza verso un’impostazione eterarchica. Così finivano per mutare sia la fisionomia delle corti supreme, sia la nozione di legalità. Questa nozione, tradizionalmente legata alla concezione normativistica del diritto, era destinata a subire una notevole mutazione nel nuovo ambiente giuridico internazionalizzato e costituzionalizzato, via via che le Corti si collocavano in posizione strategica nel processo di evoluzione giuridica, sia all’interno degli Stati che “oltre gli Stati”.
3. Il costituzionalismo e la sua logica comunicativa
Tendenze simili hanno accompagnato negli ultimi decenni del secolo scorso la crescente affermazione del costituzionalismo, ossia dell’idea che i sistemi giuridici debbano ruotare intorno alla priorità dei diritti e della loro protezione. Il costituzionalismo è solo una dottrina: una dottrina che, tuttavia, ha inciso profondamente sugli assetti giuridici europei continentali. Si può parlare di un forte impatto riformatore sul piano istituzionale, per vie formali e informali.
Se il rispetto dei diritti diventava l’architrave dei sistemi, esso non poteva non avere effetti anche sulla fisionomia complessiva dei sistemi giudiziari. Il successo del costituzionalismo tendeva ad attivare, infatti, non solo nuovi rapporti tra legislazione e giurisdizione, ma anche nuove dinamiche diffusive, che coinvolgevano via via tutti i settori della giurisdizione, nazionali e internazionali, nella dimensione costituzionale. Esso equivaleva alla diffusione di una sorta di nuova grammatica a valenza universalistica per il diritto e i suoi interpreti. Attraverso il costituzionalismo, si realizzava insomma una nuova caratura “comunicativa” dei sistemi giuridici. Nell’intero mondo, e specialmente in Europa, sotto la regia della Corte europea di giustizia, e con il coinvolgimento della Corte Edu, questa trasformazione assumeva tratti fortemente innovativi, attraverso una dinamica comunicativa tra corti diverse (non solo per grado o per appartenenza statale, ma anche per diversa specializzazione), rivolta all’applicazione di standard costituzionali, pur all’interno di sistemi di giustizia costituzionale che restavano diversi in termini di accentramento o di diffusione del giudizio.
La costituzionalizzazione della sfera giuridica portava frutti particolarmente rilevanti, oltre che in campo costituzionale, anche nel settore amministrativo, con una forte spinta della giustizia in questi due settori ad assumere parametri sempre più internazionalizzati, spesso provenienti da dinamiche di scambi e di confronti reciproci tra giurisdizioni di vari Paesi. Così si verificherà anche una tendenziale sovrapposizione di compiti e di settori giuridici, con conseguente implicita tendenza a una certa de-specializzazione. Non solo il cd. GAL (Global Administrative Law) produrrà standard per l’azione amministrativa di spiccata valenza costituzionale[16], ma anche il diritto amministrativo statale si muoverà in una logica di condivisione con il diritto costituzionale. Su quest’ultimo piano, come osserva Cassese, mentre le Corti costituzionali, «attivate dalle ordinanze di rimessione dei giudici amministrativi, fanno scendere la Costituzione nel corpo del diritto amministrativo», per contro, «emergono leggi amministrative di rilievo costituzionale (si pensi a quella sul procedimento) e il diritto costituzionale assorbe principi propri del diritto amministrativo (ad esempio, quello di proporzionalità)»[17]. Sotto un profilo più specifico, non è superfluo ricordare che il codice del processo amministrativo è l’unico codice di procedura che esordisce nei suoi articoli d’apertura con due principi costituzionali: il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale (art. 1 cpa, che affonda le sue radici nell’art. 24 Cost.) e il principio del giusto processo (art. 2 cpa, che si rifà all’art. 111 Cost.)[18].
Il processo di costituzionalizzazione è stato particolarmente evidente e penetrante in Europa, dove alla dimensione internazionale, presente soprattutto con la Convenzione europea dei diritti umani, si è sommata la specificità del progetto sovranazionale di Unione europea, innescando inedite dinamiche giuridiche[19], ma anche nuove tensioni: tensioni provenienti dall’incontro tra un contesto internazionale tendenzialmente acefalo e orizzontale, e ordinamenti statali di tipo gerarchico e verticale. Specie i percorsi giuridici che gli Stati avevano costruito sulla logica di un’autorità finale, o di corti “supreme” detentrici del diritto all’ “l’ultima parola”[20], determinavano significative frizioni con l’Unione e con la Corte di giustizia, ma anche nuove confluenze e frizioni tra varie corti “supreme”.
4. Legalità tra scrittura e oralità
Le dimensioni orizzontale e comunicativa generate in ambito giudiziario dai processi di internazionalizzazione e di costituzionalizzazione realizzano un contesto giuridico di crescente oralità[21]. L’espressione “dialogo costituzionale” rende conto di questo cambiamento. Nel passato, specialmente nei sistemi giuridici europei continentali, le corti rispondevano a una logica prevalentemente di “scrittura”, si potrebbe dire perfino “scritturale”, che era propria della fonte legislativa. Esse facevano riferimento a testi normativi considerati ineludibili, come le leggi o le costituzioni nazionali, o a interpreti ufficiali di ultima istanza, quali erano soprattutto le corti costituzionali nazionali, o le corti di cassazione. Le linee dialogiche odierne che impegnano attivamente tutte le istituzioni giudiziarie (nazionali, sovranazionali e internazionali) hanno avuto per conseguenza che le corti “supreme” nazionali perdessero in parte il loro ruolo di detentrici del diritto all’ “ultima parola”[22].
Anche la lingua parlata in un contesto di “oralità” è diversa da quella strettamente normativa del passato, di derivazione legislativa: naturalmente resta in campo anche il linguaggio del potere e della superiorità gerarchica, ma, specie in fatto di legalità costituzionale, si parla soprattutto la lingua della persuasione e dell’argomentazione, improntata a principi di ragionevolezza, di proporzionalità, di equilibrio, cosicché, lungo questa strada, le esigenze di legalità possono non coincidere e, talora, essere sacrificate a esigenze di giustizia[23].
In un’epoca di profondi mutamenti, insomma, la complessiva evoluzione giuridica, invece di affidarsi a congegni di chiusura della semantica giuridica per via gerarchica, con dispositivi abilitati a chiudere in forma autoritativa il cerchio della comunicazione, si è affidata a modalità dialogiche tra parlanti diversi, che spesso si pongono al di là di stretti criteri gerarchici. Così le corti si sono trovate impegnate nel rielaborare di continuo la tela della giuridicità, stabilendo via via nuove soglie di legalità, che tuttavia non sono mai definitive e si prestano sempre a ulteriori aggiustamenti e definizioni.
È significativo che, specialmente sul piano costituzionale, oggi si avvertano i segni di una reazione, ad esempio nella strategia di ri-accentramento della Corte costituzionale italiana[24], e non solo[25], per riappropriarsi di un ruolo più incisivo nella “conversazione” costituzionale attraverso il diritto a dire “la prima parola”, ossia «a fissare il quadro dei riferimenti e dei problemi, nei quali la dialettica è destinata a svilupparsi e dai quali dunque, in certa misura, essa resterà comunque condizionata – visto che avere l’ultima parola, nei confronti della Corte di giustizia, non garantisce a sufficienza la garanzia del controllo di costituzionalità»[26]. Così si accende anche una nuova e interessante dinamica tra piano nazionale e piano comunitario: quella che è una “prima parola”’ sul piano europeo, e su cui l’orientamento della Corte di giustizia dovrà poi innestarsi, restaura invece il meccanismo dell’“ultima parola” sul piano nazionale.
Il fatto che la legalità trovi la sede privilegiata di elaborazione nelle sedi giurisdizionali, secondo gli schemi tipici del case law, implica che essa evolva anche in virtù di contesti fattuali sempre diversi, senza una soluzione finale, e possa sempre rimandare a un’ulteriore sessione dialogica, con nuovi esiti e soluzioni ai problemi. Così si ridimensiona il tratto delle corti come istituzioni “passive”: rimane vero che intervengono solo se sollecitate da una domanda loro rivolta, e dunque a ridosso di singoli casi, in adesione a dati fattuali ed esperenziali del diritto. Al contempo, cresce un loro ruolo proattivo nel percorso di evoluzione giuridica, con la possibilità di incidere sui principi generali e di spingere verso una possibile generalizzazione dei singoli interventi.
Tutto ciò conferma che la crescente giudizializzazione del diritto implica modalità di elaborazione giuridica che si spostano dalla prevalenza di una logica di “scrittura” verso una prevalenza della logica dell’“oralità”. Questo spostamento verso vie improntate all’oralità coincide insomma sia con il nuovo ruolo protagonista delle istituzioni giudiziarie, sia con l’accensione di varie e nuove dinamiche tra corti diverse per rango e per giurisdizione. Queste “parlano” alla luce dello specifico contesto, utilizzando una molteplicità di fonti normative e facendole interagire reciprocamente, e con possibilità di vari riassestamenti. Ciò permette di reggere meglio il rischio di conflitti tra diverse linee giurisprudenziali, che sarebbe altrimenti insostenibile nella logica del diritto scritto, ma impone continui adattamenti e un’enorme dispersione delle linee giurisprudenziali.
In parallelo rispetto a quanto avvenuto con l’internazionalizzazione delle fonti, anche nel caso della costituzionalizzazione del linguaggio giudiziario, è emerso un terreno di forte condivisione tra le diverse istituzioni giudiziarie. Ciò, oltre a un effetto de-gerarchizzante per le varie giurisdizioni coinvolte, ha creato anche un contesto in cui la comunicazione è improntata a criteri di condivisione di terreni comuni sul piano costituzionale: così lo specialismo a cui rinvia il pluralismo giudiziario è messo talora in crisi, come mostra, tra l’altro, la progressiva caduta di barriere nella tradizionale partizione tra le nozioni di interessi legittimi e diritti soggettivi, con riflessi sulle competenze delle giurisdizioni superiori, in quanto permette di attingere allo stesso serbatoio di rimedi giurisdizionali.
Come si vede, se l’internazionalismo ha inciso significativamente sul piano dell’impianto normativo e gerarchico dell’organizzazione giudiziaria, il costituzionalismo ha svolto un ruolo centrale nel comporre (e scomporre) l’orizzonte della legalità. Quali le ricadute di questi processi sugli ordinamenti nazionali e sulle corti supreme?
5. Corti supreme, legalità e riassestamenti post-globalizzazione
Negli ordinamenti giuridici statali, le corti “supreme” di vario tipo erano disegnate come organismi a custodia della legalità, e questa era intesa genericamente come corretta applicazione del diritto da parte dei giudici di merito. La funzione nomofilattica è strettamente legata alla nozione di legalità: una nozione complessa, in perenne evoluzione, che assomiglia al personaggio pirandelliano di Uno, nessuno e centomila[27]. Essa ha riempito molti testi e scaffali giuridici e può essere oggetto di fede assoluta, ma anche di non pochi dubbi[28] e adattamenti[29]. Oggi è in profonda trasformazione e un punto nodale della sua evoluzione emerge icasticamente nella formulazione di Michele Taruffo, quando, nel riassumere i compiti principali delle corti supreme, parla di «tutela e promozione della legalità»[30], aggiungendo che non si tratta di due nozioni sovrapponibili. “Tutela” e “promozione” rinviano a due diverse connotazioni della legalità e della funzione nomofilattica assegnata alle corti supreme: una legata al controllo di legittimità inteso in senso tradizionale, che implica una funzione puramente “reattiva” della Corte, e una che svolge una funzione di evoluzione complessiva dell’ordinamento giuridico, e che assegna una funzione “proattiva” alle corti supreme. Questa seconda funzione, che tende a orientare, attraverso principi di diritto, le future decisioni dei giudici e a conferire maggiore continuità e stabilità agli orientamenti interpretativi della giurisprudenza, è stata consolidata da varie riforme, a partire dal 2006, che hanno teso a consolidare una sorta di “diritto che non c’è”[31], ossia quello status di fonte al diritto giurisprudenziale che la dottrina ufficiale si rifiuta di riconoscere.
La dicotomia di Taruffo in qualche modo richiama l’alternativa tra ius litigatoris e ius constitutionis, in quanto disegna due diverse sfere di intervento delle corti supreme, e soprattutto della Corte di cassazione: una di carattere privato, che consiste nel dare risposte individualizzate alle parti dei vari processi, e l’altra che ha invece un carattere pubblico, in quanto indirizzata a un’idea di legalità intesa «come protezione e promozione dei valori essenziali del sistema democratico, soggettivamente coniugati nei termini dei diritti fondamentali»[32]. In tal senso, questa funzione si candida, al di là di una concezione «formalistica, estrema ed onnipervasiva della nomofilachia», piuttosto che a svolgere un compito conservativo, di salvaguardia dei criteri del passato, a guidare gli indirizzi giurisprudenziali del futuro. E per tale funzione diventa particolarmente rilevante la possibilità per la Corte di vertice di selezionare i casi rilevanti per le questioni di diritto che essi pongono[33].
Com’è noto, quella bipartizione, che nel passato non era ufficializzata, è stata poi convalidata da vari interventi. Alcune riforme, introducendo tra l’altro «nelle tre giurisdizioni alcune ipotesi di parziale vincolatività dei principi di diritto enunciati dagli organi giurisdizionali di vertice», hanno ampliato il contenuto semantico del termine “nomofilachia”, «sino a ricomprendere quello che in origine era considerato il suo opposto: la nomotesia, ovvero la produzione di nuove norme o comunque la loro innovazione»[34].
Dunque oggi si assiste, da parte degli organismi giudiziari nazionali di vertice, detentori del diritto all’”ultima parola”, al tentativo di introdurre dei criteri di governo in una evoluzione giuridica ampiamente informata a criteri della discorsività. Non a caso, un documento approvato dall’assemblea generale della Corte di cassazione il 25 giugno 2015 auspicava una riformulazione dell’art. 111 Cost., nel senso di dar accesso in Cassazione solo ai «casi nei quali è ravvisabile la necessità di formulare principi giuridici di valenza generale». Inoltre, anche alcune leggi vanno in questa direzione, come la legge 25 ottobre 2016, n. 197, la quale prevede che tutti i ricorsi debbano essere decisi in camera di consiglio, tranne quelli di «particolare rilevanza della questione di diritto», che continuano a trattarsi in udienza pubblica, come nel passato. Com’è stato osservato[35], si tratta di «una questione di politica costituzionale» che potrebbe portare a un nuovo «“concordato giurisprudenziale”», come quello che nel 1929 sottoscrissero il presidente della Corte di cassazione e quello del Consiglio di Stato: una modalità nuova, da aggiungere alle tante altre del dialogo costituzionale.
1. Rimando, in proposito, alla disamina di A. Garapon e J. Lassègue, La giustizia digitale. Determinismo tecnologico e libertà, Il Mulino, Bologna, 2021.
2. Rimando, in proposito, a M.R. Ferrarese, Nomofilachia e complessità del contesto giuridico odierno, in Italiadecide (a cura di), La nomofilachia nelle tre giurisdizioni. Corte Suprema di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Il Mulino, Bologna, 2018.
3. M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 1/2013, pp. 100 ss.
4. Sul tema si vedano, tra l’altro, M. Delmas-Marty, Études juridiques comparatives et internationalisation du droit, Fayard, Parigi, e Y. Dezalay, The Big Bang and the Law: The Internationalization and Restructuration of the Legal Field, in Theory, Culture and Society, vol. 7, n. 2-3/1990.
5. K.J. Alter, The Multiplication of International Courts and Tribunals After the End of the Cold War, in C.P.R. Romano - K.J. Alter - Y. Shany (a cura di), The Oxford Handbook of International Adjudication, Oxford University Press, Oxford, 2013.
6. R. Sacco, voce Circolazione e mutazione dei modelli giuridici, Digesto civ., vol. 2, Utet, Torino, 1988; E. Grande, Imitazione e diritto: ipotesi sulla circolazione dei modelli, Giappichelli, Torino, 2000.
7. Y. Dezalay, The Big Bang and the Law, op. cit. Sul tema si può vedere, tra l’altro, M.R. Ferrarese, Private lawmaking a livello globale tra potenzialità e problemi, in Rivista di diritto privato, n. 1/2020.
8. «Più di cento sono le vere e proprie corti; a queste bisogna aggiungere organismi quasi-giudiziari e semi-contenziosi, variamente denominati, ormai presenti in molti dei circa duemila regimi regolatori globali». Così S. Cassese, I tribunali di Babele, I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Donzelli, Roma 2009, p. 4.
9. Vds. N. Lupo e C. Fasone (a cura di), Interparliamentary Cooperation in the Composite European Constitution, Hart, Oxford/Portland, 2016.
10. B. Pastore, Sul disordine delle fonti nel diritto (inter)nazionale, in Diritto e questioni pubbliche, vol. 17, n. 1/2017, pp. 13 ss.
11. K. Oellers-Frahm, Multiplication of International Courts and Tribunals and Conflicting Jurisdiction – Problems and Possible Solutions, in J.A. Frowein e R. Walfrum (a cura di), Max Plank Yearbook of United Nations Law, vol. 5, 2001, pp. 67-104. Inoltre, Y. Shany, Regulating Jurisdictional Relations Between National and International Courts, Oxford University Press, Oxford, 2007.
12. F. Ost e M. Van de Kerchove, De la pyramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit, Publications des Facultés universitaires Saint-Louis, Bruxelles, 2002.
13. M.R. Ferrarese, Dal “verbo” legislativo a chi dice “l’ultima parola”, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2011.
14. M.R. Ferrarese, When National Actors Become Transnational: Transjudicial Dialogue between Democracy and Constitutionalism, in Global Jurist, vol. 9, n. 1/2009.
15. B. Pastore, Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, Cedam, Padova, 2014, p. 23.
16. Tra molti possibili riferimenti, oltre al classico B. Kingsbury - N. Krisch - R.B. Stewart, The Global Administrative Law, in Law & contemporary Problems, vol. 68, n. 3-4/2005, vds. G. Amato, Diritto amministrativo e diritto costituzionale, in L. Torchia (a cura di), Attraverso i confini del diritto. Giornata di studio dedicata a Sabino Cassese, Il Mulino, Bologna, 2016, pp. 261 ss.
17. Così S. Cassese, Mezzo secolo di trasformazioni del diritto amministrativo, in Diritto amministrativo e società civile – Studi introduttivi (vol. I), Bononia University Press, Bologna, 2018, p. 5.
18. M. Ramajoli, Diritto amministrativo e postmodernità, in R. Kostoris (a cura di), Percorsi giuridici della postmodernità, Il Mulino, Bologna, 2016, pp. 199 ss., 207.
19. Vds., ad esempio, A. Ruggeri, Interpretazione conforme e tutela dei diritti fondamentali, tra internazionalizzazione (ed “europeizzazione”) della Costituzione e costituzionalizzazione del diritto internazionale e del diritto eurounitario, in Rivista AIC, n. 4/2010, www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/RUGGERI01.pdf.
20. M.R. Ferrarese, Dal “verbo”, op. cit.
21. Sulla propensione dei sistemi giuridici all’oralità come effetto della globalizzazione, vds. M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 159 ss. Inoltre, sull’oralità collegata alla privatizzazione, S. Meder (a cura di G. Carlizzi), Ius non scriptum. Tradizioni della produzione privata del diritto, Editoriale scientifica, Napoli, 2011.
22. Rimando, in proposito, a M.R. Ferrarese, Dal “verbo”, op. cit., pp. 68 ss.
23. Ad esempio, Luciani afferma che la certezza giuridica implica che il “buon” giudice sia chiamato ad amministrare ius, non iustitia. Vds. M. Luciani, La decisione giudiziaria robotica, in Rivista AIC, n. 3/2018, part. pp. 857-858, www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/3_2018_Luciani.pdf, disponibile anche in A. Carleo (a cura di), La decisione robotica, Il Mulino, Bologna, 2019 (parte prima).
24. D. Tega, La Corte nel contesto. Percorsi di ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, Bononia University Press, Bologna 2020. Riferimenti sul tema anche in M. Cartabia ed E. Lamarque, La giustizia costituzionale europea cento anni dopo (1920-2020), in Quad. cost., n. 4/2020, p. 801, dove si fa riferimento ai contributi in tema di D. Lustig e J.H.H. Weiler, nonché di V. Groppi.
25. In particolare, sulla Corte di Karlsruhe esiste un’ampia letteratura che dà conto di un atteggiamento fin troppo indomito rispetto alle indicazioni della Corte di giustizia europea.
26. D. Tega, La Corte nel contesto, op. cit. Il riferimento è specie alla decisione n. 269 del 2017 sulla cd. doppia pregiudizialità, che ha sancito il superamento del tradizionale modello di assetto dei rapporti tra diritto Ue e nazionale in tema di protezione dei diritti.
27. A evocare questo paragone è M. Vogliotti, voce Legalità, in Enc. dir. – Annali, vol. VI, Giuffrè, Milano, 2013. La voce è una ricchissima disamina, anche storica, di tutti i problemi e le complessità che costellano questa nozione.
28. P. Grossi, Oltre la legalità, Laterza, Bari-Roma, 2020.
29. G. Palombella, È possibile una legalità internazionale?, Il Mulino, Bologna, 2008.
30. Così M. Taruffo, Le funzioni delle Corti supreme. Cenni generali, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2011,
31. Così L. Passanante, Il precedente impossibile. Contributo allo studio del diritto giurisprudenziale nel processo civile, Giappichelli, Torino, 2018, p. 7.
32. M. Taruffo, Le funzioni, op. cit., p. 24.
33. Si vedano le indicazioni, in tal senso, sia di S. Cassese, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Il Mulino, Bologna, 2008, con riferimento alla Corte costituzionale, sia di M. Taruffo, Le funzioni, op. cit., con riferimento specie alla Corte di cassazione.
34. E. Andreis, La nomofilachia del giudice amministrativo tra Italia e Spagna: il paradigma dell’“interesse alla formazione della giurisprudenza”, in Federalismi, n. 19/2019, p. 3, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=40441.
35. G. Montedoro ed E. Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa, in questo fascicolo.