Una prima valutazione sugli esiti delle recenti elezioni del Consiglio superiore dovrebbe forse essere accostata a una valutazione sugli esiti delle elezioni politiche, che in questa tornata si sono svolte pressoché contestualmente a quelle consiliari, e più in generale su quello che è stato efficacemente colto dalla Senatrice Segre, nello splendido discorso tenuto al Senato il tredici ottobre scorso, come un profondo stato di abbandono in cui versano l'Europa e le sue istituzioni.
In questo contesto è certamente positivo che le magistrate e i magistrati in servizio abbiano deciso di esprimere un nuovo atto di fiducia ‒ certamente non scontato nel generale clima di discredito seguito ai fatti del 2019 ‒ nei confronti della magistratura associata e della sua capacità di rappresentare, con le diverse sensibilità e con i diversi modelli di cultura della giurisdizione di cui si nutre, non solo e non tanto gli interessi della categoria professionale, ma di rappresentare soprattutto un baluardo della nostra indipendenza dal potere politico; il che è a sua volta condizione essenziale per esercitare il nostro dovere, e potere, di dare attuazione ai diritti umani: nella loro dimensione sociale ed economica, nella dimensione migratoria cosi come in quella morale, corporea, sessuale e riproduttiva dell’individualità umana.
Il Consiglio superiore è disegnato dalla Costituzione come una istituzione indipendente e di garanzia, rappresentativa di tutte le diverse sensibilità e declinazioni della cultura giuridica. E soprattutto come un organo di protezione del magistrato da ogni forma di pressione, di condizionamento e di ingerenza, interna ed esterna alla giurisdizione, nell’esercizio delle funzioni.
Su questo scudo protettivo, di cui la magistratura è dotata solo grazie all’autogoverno costituzionalmente garantito, poggia la possibilità, per l’ordine di giudiziario, di agire all’occorrenza anche come contropotere.
La tradizionale tripartizione illuminista è posta in scacco nell’Occidente contemporaneo, a causa di un potere politico che ‒ in virtù di una spinta maggioritaria sempre più forte, a sua volta determinata dall’esigenza di sottrarre la governance agli ostacoli propri della fisionomia democratica dello Stato di diritto, a cominciare dal dibattito parlamentare ‒ va configurandosi come un potere maggioritario unico, tendente all’erosione del confine tra Esecutivo e Legislativo e rispetto al quale il sistema del contrappesi, se ha ancora un senso, non può che far perno sulla giurisdizione e sulla sua possibilità di poter essere appunto, in caso di attacco allo Stato di diritto, un potere contro-maggioritario, plurale e diffuso, capace di limitare l’invasione, nell’area della Rule of Law and Human rights, di un potere maggioritario unico e centrico.
Non è escludibile che attacchi all’indipendenza della magistratura simili a quelli perseguiti, e in parte già realizzati, in contesto europeo (la c.d. linea ungherese) e in altre zone limitrofe, per vicinanza territoriale e aspirazioni geopolitiche, possano affacciarsi come prospettive realistiche anche nel nostro Paese, nel medio termine.
E di fronte a questa eventualità il Consiglio Superiore deve essere forte, autorevole e pronto a spiegare tutte le guarentigie di cui dispone, dalla protezione del singolo magistrato alla funzione pareristica, anche (se non soprattutto) quando non richiesta, per consentire alla magistratura che opera diffusamente sul territorio europeo, e in particolare italiano, di tracciare la linea invalicabile della nostra democrazia.
È per questo fondamentale che tra le diverse anime che compongono e danno linfa vitale all’Associazione nazionale magistrati, vi siano sempre anche le voci che fanno riferimento, con diversi contenuti e diverse modalità, a quella macro-area che possiamo definire “progressismo giudiziario”.
Un contesto ampio, nel più ampio dell’Associazione, nel quale Magistratura democratica vuole offrire, come proprio contributo di elaborazione e di proposta costante, il criterio della “riappropriazione della cittadinanza”.
La cittadinanza non è più correlata al concetto di nazione né di sovranità nazionale, essendo ormai questa prospettiva, quella dello Stato di ispirazione schmittiana, appannaggio di una visuale rigida e ideologica, su quello che ogni individua e ogni individuo, ogni corpo, debbano essere in quanto sottoposti a una autorità statale.
Cittadine, cittadini, cittadinə, corpi, non si deve essere, si è.
Utilizzare le categorie nazionali e statutali per vincolare, o bandire, modi di essenza dell’individualità umana rappresenta proprio quel superamento del limite al quale non si deve giungere e che l’ordine giudiziario europeo deve rendere invalicabile alle sensibili spinte di aggressione e regressione delle politiche sovraniste.
Questa prospettiva richiede uno sforzo costante, di essere dentro ma anche fuori dalla giurisdizione tecnica, il che non significa uscire dall’area del diritto ma al contrario percorrerla tutta, in profondità e in latitudine.
Essere presenti nella società civile accanto alle associazioni e alle organizzazioni non governative che agiscono quotidianamente una “praxis rovesciante”, che difende i corpi dall’invasione e dalla distruzione imposte da una qualche forma di sovranità territoriale, politica, bellica, teocratica o etica.
Tanti sono gli esempi dei tavoli di lavoro aperti da Magistratura democratica nella e con la società civile.
Quello con l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, con la quale Magistratura democratica edita la rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza che è stata, ed è, fondamentale nel diffondere una cultura della protezione internazionale, sempre più in via di recepimento nella giurisprudenza, che parta dal dato inconfutabile della vulnerabilità estrema della condizione di migrante, una condizione che esaspera e cumula i fattori di vulnerabilizzazione già presenti per ragioni di etnia, religione, censo e genere.
M.E.D.E.L, l’Associazione dei magistrati europei per la democrazia e le libertà, che Magistratura democratica ha contribuito a fondare e che, con un prestigio sempre riconosciuto a livello internazionale, monitora gli Stati europei in cui si verificano violazioni della Rule of Law e compulsa le istituzioni europee a prenderne atto e a valutare le dovute misure di infrazione.
Il lavoro che è stato fatto con il Consiglio d’Europa nell’ambito dell’area S.O.G.I. (sexual orientation and gender identity) insieme alle associazioni che si occupano di diritti l.g.b.t.q.a.i.+, come Rete Lenford, Arci gay e Arci lesbica, il Movimento identità trans e il movimento per i diritti civili delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso, per cogliere, nei vari settori dell’ordinamento, dai procedimenti per la rettificazione dei dati alla protezione dai crimini d’odio, i vuoti di tutela nei vari Paesi europei, vuoti nei quali le persone sono più a rischio di violenza, discriminazione, marginalizzazione e sfruttamento.
E altre ancora sono le urgenze alle quali non possiamo sottrarci. Continuare, accanto a Psichiatria democratica, il lavoro sulla gestione del disagio psichico nel processo penale, per rovesciare il tavolo di uno stato di fatto ormai non più tollerabile, colto recentemente anche dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 22 del 2022) ‒ la quale, tuttavia, non ha potuto che dichiarare la propria impotenza di fronte all’inerzia della politica ‒ e che priva i malati e le loro famiglie della necessaria assistenza e dell’accesso alla cura.
E poi, non certo ultimo, il pianeta carcere. L’urgenza più conclamata e improcrastinabile.
Mentre si svolgeva il Congresso dell’Associazione è giunta la notizia di un ulteriore suicido di un detenuto, il sessantottesimo dall’inizio dell’anno.
Non possiamo, come magistratura del 2022, arrenderci di fronte al fatto che il carcere, che rappresenta la più evidente zona franca dal rispetto dei diritti e della dignità umana, sia e resti, con le attuali caratteristiche, l’unico orizzonte del diritto penale.
Serve una nuova Accademia dei Pugni che spalanchi le porte del carcere, in modo che nessuno possa più non vedere. E la giurisdizione per prima, insieme alle associazioni che difendono i diritti dei detenuti e all’avvocatura penale, deve perseguire quella profezia di Radbruch per cui smettere di cercare un diritto penale migliore e iniziare a pensare a qualcosa di meglio del diritto penale.
Al lavoro a fianco della società civile deve in ultimo affiancarsi, per una realistica prospettiva di rinnovamento, lo strumento della critica ragionata dei provvedimenti giudiziari, una cifra storica di Magistratura democratica che occorre declinare anche nell’attualità.
Se la magistratura vuole essere credibile come soggetto che affianca la società civile nella diffusione e nell’ampliamento dei diritti e che al contempo declina la giurisdizione in modo coerente ‒ i.e. l’unico modo costituzionalmente, e oggi anche europeisticamente, orientato ‒, non può arrogarsi la prerogativa di non sottoporre a critica i propri provvedimenti, proprio nel momento in cui questi rappresentano il punto di tenuta, o di caduta, dei diritti stessi.
Quand’anche questa solidarietà interna si fondasse, come alcuni sostengono, non su ragioni strettamente corporative ma su ragioni “istituzionali”, sarebbe comunque foriera di un male maggiore di quello che intende evitare: la chiusura all’interno, lo scollamento dalla realtà e dalle esigenze dei corpi che sono concretamente vulnerabili e uccidibili, in nome di una dimensione altra, che vive nella pura astrazione del nomos, lontano da quella concretezza.
Attraverso una critica sempre attenta alle modalità in cui si esprime, costruttiva e focalizzata su quella parte della decisione – a volte la decisione stessa, altre la motivazione che la sorregge – in cui fa segno il punto di tensione con i diritti, Magistratura democratica intende aprire, e non chiudere, il cerchio che lega reciprocamente la magistratura, la società e i corpi; e così dare il proprio contributo contenutistico alla casa comune, l’Associazione nazionale magistrati, perché essa sia sempre viva e aperta nella società, e fuori da una torre di autoreferenzialità nella quale, lo abbiamo visto, è estremamente più facile tentare l’aggressione alla nostra indipendenza.