Necessariamente rapsodiche, siccome dettate dall'emergenza del momento, queste prime riflessioni vanno precedute da un'amara constatazione, del tutto personale (ma già condivisa dal documento licenziato dall'Ucpi in data odierna, che ha definito, a ragione, “ciniche ed irresponsabili” le scelte operate). Ancora una volta, in materia penitenziaria, la politica chiude gli occhi, per cinismo, per insipienza, questa volta assumendosi la responsabilità di non scegliere per ciò che serve al Paese (non solo ai detenuti, che peraltro non son figli di un Dio minore), ma per quel che si ritiene sia utile (continui ad esserlo, pro futuro) ad un consenso elettorale da spendere quando verrà il momento. Scelte che, deve qui segnalarsi, non possono essere ascritte soltanto al Ministro della Giustizia (la cui siderale distanza dai problemi del carcere è nota) o al Presidente del Consiglio, giacché lo strumento utilizzato, questa volta, non consiste nel “consueto” Dpcm, ma si sostanzia in un decreto legge.
Al dunque, per “casi straordinari di necessità e d'urgenza” (art.77/2 Cost) il Governo ha inteso rispondere con soluzioni assolutamente inefficaci e comunque restrittive rispetto alla legislazione vigente (che, per quanto qui si dirà, deve poter essere tuttora utilizzata).
Vediamo perché.
L'art.123 del dl n.18/2020, la cui rubrica recita Disposizioni in materia di detenzione domiciliare (con il che, per quanto questa non sia vincolante per l'interprete, si rende evidente la non piena sovrapponibilità della novella alle disposizioni di cui alla l. n. 199/2010, intitolata, com'è noto, Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi) disciplina le ipotesi di concessione “in deroga al disposto dei commi 1,2 e 4 della legge citata, fino al 30 giugno 2020”.
Com'è noto, anche la l. n. 199 nacque per ragioni emergenziali, e fu poi ampliata e stabilizzata con il dl n.146/2013 (di cui si dirà infra).
La deroga al comma 1 sembra riferirsi alla disposizione per la quale “il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo sulla richiesta se già dispone delle informazioni occorrenti”, ma in realtà, come vedremo, anche questa decisione (semplificata), abbisogna pur sempre di informazioni (di cui al comma 6).
Quanto al comma 2, vengono replicate le condizioni ostative di cui alle lett. a), b) e c), alle quali si aggiungono ulteriori categorie, che di per sé (ma ciò non basta ancora!) danno conto della soluzione restrittiva introdotta.
Quanto alle (pur gravi) ragioni disciplinari richiamate dalla lett. d), deve evidenziarsi (circostanza che vale, in generale, per quanto si dirà in conclusione) che la decretazione di urgenza del caso di specie dovrebbe misurarsi con un problema oggettivo (il Covid-19) e non rispondere a criteri di meritevolezza. Ma tant'è; in ogni caso, la preclusione si concentra su un periodo ampio (“nell'ultimo anno”) e prevede che sia intervenuta una sanzione.
Non così, invece, per quel che riguarda la lett.e), per la quale è sufficiente ad escludere dal beneficio la redazione del rapporto disciplinare “in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020”. E se la procedura dovesse risolversi positivamente per il sanzionando? In ogni caso, il Magistrato di Sorveglianza conserva i suoi poteri di vigilanza e decisione in materia, ai sensi degli artt. 35 bis, 69, comma 6, lett.a), o.p.
Ancora, immancabile: la lett. f) ribadisce il riferimento alle esigenze di tutela delle persone offese dal reato in ordine all'idoneità del domicilio. Senza dover trascurare la ratio, pur apprezzabile (e già prevista dall'art.1, comma 2, lett. d l. n. 199/2010), non può non cogliersi il privilegio espresso a dette ragioni (del resto figlio – questo si – della particolare “sensibilità” del Ministro sul punto), che pure avrebbero certamente costituito oggetto di valutazione da parte del Magistrato, e che qui invece si trasformano in meccanismo preclusivo (“salvo che riguardi”, recita il comma 1).
Non basta; alla lett. a), alla consueta litania del 4 bis o.p., si aggiungono le ipotesi di cui agli artt. 572 e 612 bis c.p. (la cui vis espansiva, in più parti dell'ordinamento, sembra ormai non conoscer limiti).
Da quanto sopra indicato appare dunque evidente come la novella, lungi dal costituire strumento espansivo della detenzione domiciliare (sia pur atecnicamente denominata), si riveli in realtà restrittiva, oltre che inefficace.
Ma vi è (molto) di più, e di peggio.
Incomprensibile il richiamo ai “gravi motivi ostativi alla concessione della misura”, di cui al comma 2 (salvo, appunto, voler considerare gli stessi in relazione al disposto di cui alla lett. f, che tuttavia, per quanto sopra, viene ritenuta circostanza ostativa).
Irragionevole (dovendo qui limitare l'aggettivazione), soprattutto, l'obbligo de “la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari”, al quale si sottraggono soltanto le pene residue di mesi sei e i condannati minorenni.
Infatti, non solo l'individuazione del numero dei presidi dovrà avvenire con provvedimento concertato tra il Capo del Dap e della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, adottato entro dieci giorni dalla pubblicazione in GU del Decreto Legge (ciò che dunque differisce l'applicabilità del provvedimento di urgenza!), ma ciò avverrà “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente” (commi 5 e 9), “tenendo conto anche delle emergenze sanitarie rappresentate dalle autorità competenti”. Anche! Ciò che costituisce la ragion d'essere del provvedimento di urgenza (limitare, e – ahinoi – non più evitare il contagio intra moenia), costituisce un elemento, non l'unico, cui riferirsi per l'applicazione del beneficio, ma sempre condizionato dall'applicazione del braccialetto elettronico.
Sul punto, perché non si sedimenti da subito la malerba dell'interpretazione restrittiva, soccorrono le seguenti indicazioni.
L'art.1, comma 8, L. n. 199/2010 (non derogato dalla novella) fa riferimento all'art. 47 ter, comma 4 bis o.p., che prevedeva analogo corredo in ordine alla (diversa) misura della detenzione domiciliare. Com'è noto detta disposizione è stata abrogata dall'art.3, comma 1, lett. f) del dl n.146/2013, convertito con modificazioni dalla l. n. 10/2014. E' pur vero che la stessa legge (lett. h) ha introdotto l'art.58 quinquies o.p. (entrambe le disposizioni, peraltro, prevedendo la possibilità, e mai l'obbligo – tant'è che non si è mai fatto ricorso a ciò), disciplinante “particolari modalità di controllo nell'esecuzione della detenzione domiciliare”, ma il rinvio alla prima disposizione (non già un rinvio mobile) dell'art.1 comma 8 della l. n. 199/2010 (tuttora vigente) esclude, appunto, l'operatività dello strumento.
Per questo, la legge n. 199/2010 potrà ritenersi tuttora utilizzabile laddove risulti l'assenza di strumenti atti al controllo ed il Magistrato abbia valutato (questo l'ubi consistam del suo ruolo per ciò che rileva nel caso di specie) l'assenza del pericolo di fuga e di reiterazione del reato, utilizzando quei canali informativi che la novella ha eliminato per “accelerare” (comma 4 dell'art.1 della Legge citata). Del resto, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di chiarire che ai fini dell'accesso alla misura di cui alla l. n. 199/2010 non è richiesto alcun giudizio di meritevolezza del condannato, ma solo la verifica dell'assenza delle condizioni ostative previste dalla legge (Cass. 11 dicembre 2013, p.m. in c. Caldarozzi, Dir e giust. 11 febbraio 2014, nota Gasparre). In conclusione, sul punto, andrà comunque considerato quanto stabilito dalla SSUU nella sentenza 28 aprile 2016, n.20769.
Ancora.
Quanto ai condannati per reati di cui all'art.4 bis o.p., nel silenzio della legge (a differenza delle espresse previsioni di cui all'art. 41 bis, comma 2 o.p. o differenti modulazioni di cui all'art.94 dpr n.309/'90), potrà farsi riferimento al favor sotteso all'operatività dello scioglimento del cumulo.
Diversamente opinando (ma l'interpretazione conforme – al di là dei tempi necessari alla Corte Costituzionale per decidere – consente di evitare l'incidente) non resterebbe che la via della questione di legittimità costituzionale, anche con riferimento all'art.32 Cost, e non solo ai parametri di cui agli artt.3, 24, 27/3, 117/1 in relazione al 3 Cedu.
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Quanto all'art.124 (Licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà), appare da salutare con favore la previsione (ferme le ulteriori disposizioni previste dall'art.52 o.p.) di concedere licenze ai semiliberi, anche in deroga al complessivo limite temporale di quarantacinque giorni all'anno, sino al 30 giugno 2020.
Tuttavia, secondo il principio di non regressione del trattamento (sentt. Corte Cost. nn.504/1995, 445/1997, 137/1999, 32/2020) analoga disposizione avrebbe dovuto adottarsi per i permessi premio, viceversa oggetto di previgenti (e non modificate con la novella – che anzi ribadisce l'assunto all'art.83, comma 17) disposizioni restrittive (sia pur non automatiche), onde (tentare di) impedire che il soggetto al rientro in carcere potesse veicolare il virus all'interno dell'istituto.
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Ultima considerazione: il menzionato art. 83, al comma 16, prevede la sospensione dei colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati, sino alla data del 22 marzo 2020, vicariati (ove possibile) da strumenti di comunicazione a distanza.
Due osservazioni sul punto, prima di concludere.
La prima (se solo uno avesse il polso della situazione, ed andasse realmente in galera): non tutti (per usare un eufemismo) gli istituti italiani possiedono le attrezzature indicate dal legislatore di urgenza.
La seconda: al 22 marzo mancano pochi giorni, ed il virus è già entrato in carcere. Cosa accadrà dopo quella data? Siamo certi che la maggior parte della popolazione detenuta saprà farsi carico responsabilmente delle esigenze di tutela della salute collettiva, ma è del tutto evidente che il legislatore dovrà presto (e bene) intervenire nuovamente sul punto, aprendo a soluzioni (non solo su questo aspetto), realmente rispettose dei beni costituzionali in discussione.
Come già evidenziato dal Presidente Silvestri, infatti, “la Dignità non si acquista per meriti, e non si perde per demeriti”.