Il presente saggio – di cui si anticipa la pubblicazione sulla versione online della Rivista – è destinato al n. 4/2020 di Questione giustizia trimestrale, interamente dedicato ai temi della giustizia costituzionale.
Frammenti di un novennio (dicembre 2010 - dicembre 2019) *
I ricordi del presidente emerito sui nove anni vissuti alla Corte, dipinta nelle pieghe più vivide del suo operato, si intrecciano a una riflessione più ampia sul ruolo del Giudice costituzionale nei suoi rapporti con il Legislatore e le Corti internazionali.
La riflessione del prof. Zanon sull’opinione dissenziente viene correlata dall’Autore (anche) ad una visione “originalista” dell’interpretazione costituzionale, che dal testo deve partire e al testo deve tornare. È la connessione tra separazione dei poteri e principio di legalità ad imporre questa impostazione che nel diritto penale assume carattere particolarmente stringente perché l’intero “edificio” delle garanzie penalistiche si fonda appunto sul principio di legalità e, quindi, in ultima istanza (innanzitutto) sul dato letterale. Per la stessa ragione, la crisi della riserva di legge e, in particolare, della ratio democratica, impongono di studiare e progettare le condizioni per una legalità migliore che restituisca consistenza al fondamento della legalità.
Con ordinanza del 24 settembre 2024 il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, primo comma, lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114, con cui è stato abrogato il reato di abuso d’ufficio. Di tale norma abrogativa è stato, più in particolare, denunciato il contrasto sia con i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali assunti dall’Italia con l’adesione, ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata a Merida nell’anno 2003, sia con il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
Probabilmente costituisce un record il numero di pronunce di incostituzionalità che hanno colpito il d.lgs. n. 23 del 2015 (cd. Jobs act): ciò che ne esce sconfessata è soprattutto la filosofia che vi era sottesa
Pubblichiamo, per il suo valore in termini di controllo sulla discrezionalità legislativa in materia di dosimetria della pena, la sentenza n. 86 del 2024 della Corte Costituzionale
Il tema della applicazione della pena in modi conformi alla dignità della persona privata della libertà e della conseguente necessità della espansione degli aspetti della persona stessa che più rischiano di venir compromessi o compressi dallo stato detentivo ormai da tempo, e per merito del brillante impegno di studiosi ed operatori professionali specializzati, attrae un qualificato dibattito sociale-istituzionale-giuridico. L'intensità della discussione sviluppatasi e la persuasività delle ragioni poste a fondamento di idee e soluzioni idonee a realizzare quella necessità hanno trovato compimento, quanto ad una delle dimensioni costitutive della personalità umana, quella dell'affettività destinata ad esplicarsi in una sfera di inviolabile intimità, nella sentenza n. 10 depositata il 26 gennaio 2024 dalla Corte costituzionale. Questa ha additivamente dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 26 luglio 1975 n.354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) là dove non prevede la possibilità di contatti, destinati a tradursi anche in momenti di intensa ed intima affettività, tra il detenuto e le persone a lui legate da vincoli parentali, giuridici e sociali. Questo saggio è dedicato alla breve rassegna dei coordinati argomenti impiegati, in progressiva successione, dalla sentenza.
Pubblichiamo un’interessante ordinanza, con la quale il Tribunale di Siena ha sollevato una questione di legittimità costituzionale relativa alla prosecuzione del giudizio dibattimentale, successivamente alla celebrazione dell’udienza di comparizione predibattimentale disciplinata dagli artt. 554-bis e ss. c.p.p.
Con la sentenza Corte cost. n. 10 del 2024 ai detenuti viene consentito il diritto a colloqui intimi con i partner della loro vita. Si tratta di una pronuncia spartiacque per il nitore con cui afferma il valore relazionale del principio di risocializzazione e il senso del limite che i diritti inviolabili impongono alla signoria della pretesa punitiva.
Muovendo dai precedenti della Consulta, il Tribunale di Ravenna propone nuova questione di costituzionalità dell’art. 3 Decreto n. 23/2015, laddove, a fronte di un vizio di identica gravità rispetto al licenziamento disciplinare, esclude quello per g.m.o. dalla tutela reintegratoria.
Sul libro di Giuliano Amato e Donatella Stasio (Feltrinelli, 2023)