Il 21 gennaio 2014 segna una nuova tappa negli sviluppi della controversa vicenda legata al riconoscimento del risarcimento dei danni alle vittime dei crimini commessi dalla Germania nazista durante l’occupazione successiva alla resa italiana dell’8 settembre 1943.
Come noto, dopo il 2004, ossia dopo la storica sentenza della Corte di Cassazione n. 5044/2004 (caso Ferrini) con la quale si era
negata l’immunità alla Germania e riconosciuta la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano nel caso in cui lo stato estero, pur nell’esercizio delle sue attività sovrane, avesse commesso atti configurabili quali crimini internazionali, si erano moltiplicati i ricorsi presentati davanti ai tribunali italiani. La Germania, a fronte delle numerose sentenze di condanna e temendo che in altri Stati si potesse seguire l’esempio italiano, si rivolse alla Corte Internazionale di Giustizia, che si pronunciò il 3 febbraio 2012 con una sentenza fortemente dibattuta in dottrina.
La Corte dell’Aja ha così condannato l’Italia per violazione della norma internazionale sull’immunità giurisdizionale dello stato estero, disponendo che “la Repubblica Italiana, promulgando l’opportuna legislazione o facendo ricorso ad altro metodo a sua scelta, dovrà fare in modo che le decisioni dei suoi giudici e quelle di altre autorità giudiziarie che violano l’immunità riconosciuta alla Repubblica Federale di Germania dal diritto internazionale siano rese inefficaci ”. Al fine di adempiere agli obblighi internazionali, nonché di adeguarsi alle decisioni della CIG (ex art. 94 Statuto ONU), è stata promulgata la legge n. 5/2013 con la quale in primo luogo l’Italia aderisce alla Convenzione di New York sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni e prevede poi espressamente all’art. 3 che “quando la Corte Internazionale di giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva, d’ufficio ed anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione ( ), il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo”. Non sorprende quindi che, alla luce di questo intervento normativo di attuazione degli obblighi internazionali, la Corte di Cassazione proceda ad un revirement della sua precedente posizione.
La Suprema Corte, nuovamente interpellata a seguito di ricorso da parte della Repubblica Federale di Germania avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze (n. 490/2011) di condanna della Germania al risarcimento dei danni a favore degli eredi del Sig. Ferrini Luigi, si limita infatti, come sembra ben comprensibile, a prendere atto del mutato quadro normativo interno conseguente all’intervenuta sentenza della CIG ed a “dichiarare il difetto di giurisdizione con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata”. Già nel corso del 2012 la Corte di Cassazione (sentenza n. 32139/2012) aveva dato prova di una certa umiltà adottando uno spontaneo atteggiamento di deferenza nei confronti dell’autorità della CIG. Essa infatti, pur ammettendo la pericolosità della decisione della CIG nel momento in cui “la predicata distinzione tra norme sostanziali e norme procedurali cagiona null’altro che l’impunità dei soggetti e finisce per riaffermare la poca persuasiva attrazione, nella sfera dell’esenzione dalla giurisdizione, propria degli atti jure imperii, di atti quali i crimini contro l’umanità che in quella categoria stentano ad essere ricompresi ”riconosce l’isolamento della propria teoria contraria ed al contempo, pur sottolineando “la totale autonomia della sua funzione da vincoli diretti ed immediati scaturenti dal dictum della CIG”, afferma comunque l’autorevolezza della decisione della Corte dell’Aja.
Considerato qui il nuovo status quo legislativo si deve invece osservare come una tale deferenza sia ora imposta alla Suprema Corte proprio dalla normativa interna e non dipenda più da un particolare senso di responsabilità del giudice italiano volto ad evitare ulteriori problemi all’Italia a livello internazionale.
L’annosa questione sembrava potersi pertanto ritenere conclusa, tenuto conto dell’intervento legislativo e dell’avvenuto revirement da parte della Corte di Cassazione della sua posizione forse un po’ troppo audace rispetto ai tempi del diritto internazionale.
Lo stesso giorno in cui la Suprema Corte confermava l’avvenuto arresto della propria battaglia con la sent. 1136/2014, interviene, invece, un’ordinanza del Tribunale di Firenze con cui si solleva una questione di legittimità costituzionale a protezione dei principi fondamentali dell’ordinamento. Un atto sicuramente coraggioso, in quanto in opposizione alla nuova posizione assunta dalla Suprema Corte italiana (sent. 4284/2013 e sent. 1136/2014) ed in rottura rispetto ad altri decisioni (Appello Torino, 3 maggio 2012), ma che soddisfa sicuramente le aspettative di quanti hanno avversato la decisione della CIG.
Riconoscendo in prima battuta la competenza esclusiva della Corte dell’Aja sulla questione del conflitto tra norme di ius cogens(tutela dei diritti fondamentali dell’uomo) e norme procedurali (la regola dell’immunità giurisdizionale degli Stati esteri), anche se la stessa esclude la sussistenza di un simile contrasto per effettiva incomunicabilità tra i due livelli del diritto, sostanziale e procedurale, il giudice fiorentino ritiene pertanto di dover concentrare la propria analisi sulle conseguenze che si hanno sul piano interno dell’ordinamento derivanti dall’assorbimento della consuetudine di diritto internazionale che prevede l’immunità assoluta degli stati esteri. Evidenzia infatti come, alla luce dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia della portata di tale consuetudine, si venga a verificare una sproporzione nel bilanciamento tra l’esigenza di tutela della sovranità dello Stato ed il dovere di assicurare tutela giurisdizionale alle vittime di crimini internazionali rispettando il loro diritto, riconosciuto anche a livello internazionale, di ottenere riparazione per i danni subiti. Come ben noto infatti, l’art. 24 Cost., che assicura all’individuo titolare di una posizione giuridica sostanziale il diritto all’accesso alla giustizia, rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento italiano.
L’aspetto rivoluzionario è il nuovo punto di vista adottato dall’autorità giudiziaria, che abbandona le lenti del mero diritto internazionale e trasla la problematica a livello interno, sollevando il dubbio che esista un effettivo contrasto tra la norma consuetudinaria internazionale sull’immunità, nonché le norme interne attuative della stessa e di adattamento alla sentenza della CIG (artt. 1 e 3 della legge n. 5/2013) ed il principio fondamentale costituzionale di tutela giurisdizionale dell’individuo.
Partendo dalla constatazione dell’esistenza di un impianto normativo basato su un sistema multilivello, il giudice di primo grado sviluppa due ragionamenti. Da un punto di vista prettamente giuridico osserva che l’apertura del nostro ordinamento verso le norme di diritto internazionale consuetudinario e pattizio, operata dagli artt. 10, 11 e 117 Cost., non sia incondizionata ma incontri i limiti derivanti dalla Costituzione. Assumendo che le consuetudini internazionali che penetrano il nostro ordinamento tramite l’art. 10 Cost. assumono una posizione di inferiorità rispetto alle leggi costituzionali ed abbracciando poi la giurisprudenza della Corte costituzionale che supera la distinzione tra consuetudini anteriori e successive alla Carta costituzionale (sent. N. 73/2001), si ritiene possibile operare sempre un controllo di legittimità costituzionale delle stesse. Motiva così la sua decisione di verificare la compatibilità della norma sull’immunità giurisdizionale degli Stati esteri con il principio insopprimibile di diritto di accesso alla giustizia. Ammesso ciò, diviene pertanto naturale estendere tale verifica di legittimità costituzionale anche alle norme interne derivanti dal diritto internazionale pattizio, quali l’art. 1 legge 848/1957 che recepisce l’art. 94 dello Statuto ONU, che obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alle decisioni della CIG, e l’art. 3 legge 5/2013, che positivizza tale obbligo in forma di adeguamento proprio al dettato della pronuncia della Corte dell’Aja del febbraio 2012.
Muovendo invece da considerazioni di cultura giuridica, il giudice osserva l’affermarsi nella prassi internazionale di un trend volto ad una sempre maggiore tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Come dimostrano la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’orientamento di alcune corti statali nonché l’impegno profuso dall’International Law Association, il focus del diritto internazionale sembra concentrarsi sulla figura dell’individuo, abbandonandosi così quell’approccio conservatore, legato ad una logica meramente statocentrica, che lo caratterizzava. Alla luce di ciò il giudice italiano ritiene inaccettabile che tramite il principio di uguaglianza sovrana degli Stati possa sacrificarsi una effettiva tutela dei singoli verso i crimini contro l’umanità. Sulla scorta del “last resort” argument difensivo utilizzato dall’Italia di fronte alla CIG, il Tribunale fiorentino afferma che, in assenza di rimedi alternativi per le vittime dei crimini internazionali, la tutela dei loro diritti debba essere garantita a livello interno in ossequio ai principi costituzionali. Così facendo si vuole evitare che il diniego dell’accesso alla giustizia renda tali diritti fondamentali mera lettera morta e che al contempo si avvalori per il futuro l’idea di una totale impunità nei confronti di tali crimini.
Se guardando da un punto di vista di diritto meramente interno non si può che apprezzare la concatenazione logica degli argomenti giuridici finemente elaborati dal giudice fiorentino a sostegno della questione di legittimità costituzionale, e concordare con le conclusioni a cui giunge in tale ordinanza, non pochi dubbi sorgono riguardo alle conseguenze a cui l’Italia verrebbe esposta sul piano rapporti internazionali nel caso in cui la Corte costituzionale dovesse ritenere fondata la questione di legittimità costituzionale. Certamente conscio del problema, il giudice fiorentino chiarisce di voler circoscrivere la questione sollevata solo alla giurisdizione di cognizione, escludendo il piano dell’esecuzione del giudicato, ritenuto più invasivo della sovranità statale, lasciando pertanto “la coercizione dell’obbligo accertato alle dinamiche dei rapporti tra organi politici degli stati”.
La parola ora alla Corte Costituzionale, nella speranza che tale dialogo tra Corti possa contribuire a dare una nuova spinta verso uno sviluppo progressivo del diritto internazionale.
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