Magistratura democratica
Magistratura e società

La rappresentazione della mafia e il processo. Pensieri di un giudice del Sud davanti alla televisione

di Emilio Sirianni
magistrato

Emilio Sirianni, un giudice che da sempre vive e lavora in Calabria, confida, in una mail indirizzata ai suoi colleghi, le impressioni e le preoccupazioni suscitate in lui da una recentissima trasmissione televisiva sull’indagine denominata Rinascita Scott. Con il consenso dell’autore, Questione Giustizia pubblica questo documento che rappresenta una significativa testimonianza di rivolta morale contro l’oppressione criminale e di intatta passione per un processo giusto.

Ero indeciso se scrivere di nuovo sull’argomento. La sensazione di inutilità, di prendersela contro i mulini a vento è forte, come pure la voglia di dire “ma chi me lo fa fare”. 

Però, in questo Sud io ci sono nato e ci vivo, l’oppressione e pervasività di “quel” potere le conosco bene e conosco bene la rassegnazione alla sconfitta. E relativi volti. Quelli di chi, letteralmente, ti rappresenta la fine della vita tua e di chi ti è vicino, pur non facendolo in modo esplicito, ma sempre con ragionamenti ellittici, dal suono amichevole persino e proprio per questo più terrorizzanti. Quelli di quanti stanno dietro o a fianco ai primi, ma mai nei luoghi della gente normale e che indossano toghe, siedono in c.d.a., presiedono enti, casse, partiti, fondazioni, frequentano le stanze di compensazione degli interessi che contano e decidono le sorti di queste terre da generazioni. Infine quelli dagli occhi bassi e i pugni stretti, che mordono le labbra e cedono e cedono e pare non debbano mai smettere di farlo.

Ma io sono in grado di comprendere e svelare, per il mestiere che faccio e, proprio perché conosco quei volti, sento di dover continuare a parlare. Prima di tutto a voi, che fate il mio stesso mestiere e avete la mia stessa possibilità e capacità di comprendere.

Ieri su Rai3, nella trasmissione Presadiretta, si è parlato del noto processo Rinascita-Scott, che proprio in questi giorni muove i primi passi nella nuovissima aula bunker costruita in tempo record a Lamezia Terme. 

In verità si è parlato delle indagini, perché il processo non è ancora neppure alle fasi preliminari. Ed è proprio questo il punto sul quale vale la pena di riflettere insieme. Anche se, prima di farlo sento il bisogno di dire quanto questa riflessione mi costa. 

Mi costa molto, per tante ragioni che prima ho solo accennato. 

Perché ho riconosciuto nei molti filmati dei ROS i volti di cui dicevo. Perché ho riconosciuto, nelle parole intercettate, parole che mi suonano in testa e mi pesano sul cuore da una vita. 

Di più, mi costa molto perché, da tecnico, ho ben percepito –come chiunque di voi abbia visto la trasmissione- il valore e l’importanza di quegli elementi di prova. Il loro peso dirompente laddove vanno a incidere l’empireo degli intoccabili, squarciando la pesante coltre dietro cui si nascondono. 

Mi costa moltissimo perché sento sulla mia pelle la rabbia e il dolore di quei genitori che hanno perso i figli per mano di un potere criminale, di tutte quelle donne e quegli uomini che manifestavano a sostegno dell’indagine sotto le finestre dei carabinieri all’indomani degli arresti, invocando finalmente giustizia. 

Ma al tempo stesso, proprio per questo, non posso tacere.

La stampa – lo sappiamo bene - fa il suo mestiere. Cerca notizie d’interesse pubblico e le diffonde e il valore di un giornalista si misura sulla sua capacità di trovare le notizie e sulla capacità di esporle. Il giornalista di cronaca le scova muovendosi fra segreti istruttori e fasi di discovery, fra prove nascoste e prove esibite, fra indiscrezioni carpite e indiscrezioni fatte filtrare.

Del resto anche la polizia giudiziaria e gli organi inquirenti fanno il loro di mestiere. Cercando prove, custodendole gelosamente, coltivandole affinché, al momento giusto, germoglino e diano frutti. Ma anche in questo caso, in un gioco di specchi e di parti che è antico quanto il processo stesso, praticando sovente l’arte dell’indiscrezione veicolata e del consenso. Spesso utili anche per le sorti delle ipotesi d’accusa, ma altrettanto spesso per quelle delle carriere personali. In America ci hanno costruito, da sempre, un genere letterario e cinematografico che non conosce crisi. 

Nella trasmissione di ieri, però, abbiamo assistito ad una sorta di smascheramento. Tutto si è svolto alla luce del sole anzi sotto la luce delle telecamere. Negli studi televisivi ed in esterni, letteralmente sul luogo del reato. 

Niente segreti pazientemente carpiti o sapientemente filtrati nell’ombra del lavoro d’indagine giornalistica od investigativa, ma ufficiali dei carabinieri che illustrano il contenuto di intercettazioni telefoniche e video, indicano i luoghi in cui si sono appostati per eseguire le riprese, illustrano le storie criminali dei vari protagonisti e gli organigrammi delle rispettive cosche. 

E in alto su tutti, ovviamente, l’Inquirente.

Tralasciamo gli aspetti personali che ognuno è libero di valutare come meglio crede. Penso ai reiterati riferimenti a concetti quali “codardia/vigliaccheria” o ai dialoghi interiori con compagna morte (intervista alla Gazzetta del Sud del 16 marzo). 

Quel che mi allarma, e che dovrebbe allarmare tutti, è che, proprio alla vigilia di un delicatissimo processo, si ritenga normale che il pubblico ministero partecipi, in veste di protagonista assoluto (pur se affiancato, come detto, da spalle di prim’ordine), al processo mediatico-televisivo che precede e affianca quello che s’avvia nell’aula bunker.

Un processo nel quale tre giovanissime colleghe, che assieme non arrivano a sommare 10 anni di anzianità, dovranno affrontare, oltre all’ordinaria pressione che accompagna un processo di queste dimensioni e complessità anche la pressione mediatica, enorme, che una delle parti processuali oggettivamente contribuisce a determinare. 

So che sapranno farlo, che resistere a simili pressioni è la parte di bagaglio professionale che alle nostre latitudini si acquisisce più celermente, ma è giusto ed accettabile che ciò accada?

Infine, noi, che siamo cresciuti alle lezioni di garantismo di Luigi Ferrajoli e di tanti altri maestri, abbiamo fermo in mente il loro insegnamento che ci ricorda come il soggetto da tutelare nel processo penale sia sempre l’imputato, a difesa dei cui fondamentali diritti sono predisposte tutte le regole e garanzie che ne scandiscono l’incedere. 

La prima delle quali è quella che stabilisce che la prova si forma nel processo. Non nelle indagini ed ancor meno nella rappresentazione mediatica delle stesse.

Una regola, questa, che esprime anche un fondamentale principio epistemologico del processo penale accusatorio, che individua nel contraddittorio e nella dialettica paritaria tra le parti del processo il miglior criterio per giungere all’accertamento della verità.

Ed a me, a noi tutti che in queste terre disgraziate ci troviamo o abbiamo scelto di vivere, quello che interessa, prima d’ogni altra cosa, è la verità.

Per questo, principalmente, vorrei invitare chiunque indaghi sulla criminalità mafiosa, con toga sulle spalle o stellette sul petto, a non arruolarsi in quella guerra che il Procuratore Gratteri ha evocato in TV, continuando, molto più banalmente, a fare ciascuno la cosa più difficile: il proprio mestiere. 

18/03/2021
Altri articoli di Emilio Sirianni
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Le ribelli. Storie di donne che hanno sfidato la mafia per amore

La recensione al libro di Nando Dalla Chiesa, edito da Solferino (2024)

26/10/2024
Il caso della consigliera Rosanna Natoli. E’ venuto il momento del diritto?

Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore. 

02/09/2024
L’imparzialità dei giudici e della giustizia in Francia…in un mondo dove gravitano i diritti fondamentali

Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese. 

16/05/2024
L’imparzialità del giudice: il punto di vista di un civilista

Il tema dell’imparzialità del giudice, di cui molto si discute riferendosi soprattutto all’esercizio della giurisdizione penale, presenta spunti di interesse anche dal punto di vista civilistico. Se è ovvio che il giudice debba essere indipendente e imparziale, meno ovvio è cosa per “imparzialità” debba intendersi. Si pongono al riguardo tre domande: se e quanto incidono  sull’imparzialità del giudice le sue convinzioni ideali e politiche e il modo in cui egli eventualmente le manifesti; se  l’imparzialità debba precludere al giudice di intervenire nel processo per riequilibrare le posizioni delle parti quando esse siano in partenza sbilanciate; entro quali limiti la manifestazione di un qualche suo pre-convincimento condizioni  l’imparzialità del giudice all’atto della decisione. Un cenno, infine, all’intelligenza artificiale e il dubbio se la sua applicazione in ambito giurisdizionale possa meglio garantire l’imparzialità della giustizia, ma rischi di privarla di umanità. 

04/05/2024
Un romanzo d’impronta sciasciana come riscrittura di sé, della cronaca e della Storia

L’articolo propone una lettura critica di un suggestivo romanzo, L’inferno non prevarrà, d’impronta sciasciana, firmato per i tipi Rubbettino da Andrea Apollonio, giovane magistrato presso la procura di Patti, ormai alla sua seconda prova letteraria. Nelle pagine dell’Autore vengono rintracciate quattro implicite tesi: quella giuridica, quella culturale, quella teologica, quella letteraria

27/04/2024
I test psicoattitudinali: la selezione impersonale dei magistrati

Certamente il lavoro del magistrato è molto impegnativo sul piano fisico, mentale e affettivo e vi sono situazioni - presenti, del resto, in tutte le professioni - in cui una certa vulnerabilità psichica può diventare cedimento e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Esse si risolvono con istituti già presenti nell’ordinamento come la “dispensa dal servizio” o il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Invece il progetto di introdurre test di valutazione psicoattitudinali per l’accesso alla funzione di magistrato è inopportuno sul piano del funzionamento democratico delle Istituzioni e inappropriato sul piano psicologico perché, da un lato, sposta l’attenzione dal funzionamento complessivo della Magistratura come istituzione all’“idoneità” del singolo soggetto e, dall’altra, non prende in considerazione il senso di responsabilità , la principale qualità che deve avere un magistrato e la sola che valorizza appieno la sua competenza e cultura giuridica. 

03/04/2024