Alla luce dell’evoluzione impressa dalla Consulta alla legge 40/2004, dei numerosi arresti della Corte di cassazione in materia di omogenitorialità e del profondo mutamento del quadro giuridico rappresentato dalla legge n. 76 del 2016 (cd. legge Cirinnà), è oggi possibile assumere che il meccanismo previsto dall’art. 8 della legge 40 a protezione dei nati da Pma (i quali «hanno lo stato di figli … della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime») si applichi anche per i bambini nati da una coppia di donne che sia ricorsa a Pma eterologa all’estero, con l’effetto che anche per il nostro ordinamento entrambe le donne che abbiano prestato il relativo consenso debbano essere considerate madri del nato.
A ciò conduce una interpretazione letterale delle norme, posto che i termini “coppia” e “convivente” non possono essere riferiti alle sole coppie e convivenze eterosessuali, mentre, come affermato dalla Corte di cassazione, non si rinviene nell’ordinamento alcun ostacolo giuridico al riconoscimento dell’omogenitorialità. Non appare inoltre ostativa la permanenza del divieto di accesso in Italia alla Pma per una coppia di donne, atteso che il meccanismo di attribuzione della genitorialità in base non al collegamento biologico ma alla volontà (in base, cioè, alla consapevole assunzione della responsabilità genitoriale nei confronti del nascituro) è stato previsto dal legislatore proprio per l’ipotesi di ricorso da parte di cittadini italiani alla fecondazione eterologa all’estero all’epoca del suo divieto, poi rimosso dalla Corte costituzionale.
*In copertina un fotogramma tratto da L’amore e basta di Stefano Consiglio (2009)