Magistratura democratica

Giudice e conciliatore.
L’esperienza del nuovo articolo 185-bis cpc

di Luciana Razete

Accanto all’esame della norma per gli aspetti relativi al suo ambito di applicazione, ai tempi ed alle modalità di formulazione della proposta, l’articolo analizza i profili del rapporto del giudice con le parti ed i loro difensori, delle tecniche persuasive, finora affidate all’iniziativa spontaneistica ed alla sensibilità individuale del singolo magistrato, della cumulabilità con altri istituti mediaconciliativi, della potenzialità e degli effetti della conciliazione ex art.185-bis cpc sulla durata ragionevole del processo in una prospettiva di ampio respiro, sotto il profilo programmatico e formativo.

Premessa

La legge 9 agosto 2013 n. 98, di conversione del Dl 21 giugno 2013 n. 69 ha apportato varie modifiche non solo al testo originario del Dlgs 4 marzo 2010, n. 28, ma anche al nuovo art. 185-bis cpc, intitolato «proposta di conciliazione del giudice», che ora cosi recita «il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice».

L’art. 185-bis cpc è norma applicabile ai processi pendenti in applicazione del principio tempus regit actum: infatti l’art. 77 del decreto legge 69/2013, che introduce la proposta di conciliazione del giudice, non contempla disposizioni transitorie e il suo regime di efficacia temporale discende dalla norma finale, art 86, per cui il decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (21 giugno 2013 data di pubblicazione in Gu).

Con la novella 69/2009, ma ancor più con il decreto legislativo 28/2010 sulla mediazione civile e commerciale, il legislatore pare aver inteso dare un forte impulso a tutti i mezzi di soluzione delle controversie alternativi al giudizio, sebbene i diversi interventi normativi che si sono succeduti al fine di realizzare tale obiettivo si siano ispirati a principi non sempre coerenti .

L’art. 185-bis cpc si inserisce a pieno titolo nella predetta categoria di interventi sebbene, la norma sia stata notevolmente modificata rispetto alla sua prima versione.

In presenza di una pluralità di sistemi conciliativi, pur con le peculiarità proprie di ciascuno di essi, talora in rapporto di concorrenzialità, appare possibile un loro impiego combinato o in sequenza nell’ambito dello stesso contenzioso.

Non deve trascurarsi che la proposta conciliativa di cui all’art. 185-bis cpc, specie nei processi la cui durata ha superato il termine ragionevole di tre anni (previsto per il giudizio di primo grado, dall’art. 55, comma 2 bis, del Dl 22 giugno 2012 n.83  -cd. decreto sviluppo – convertito dalla legge 7 agosto 2012 n. 83) – se anche non servisse a definire la lite – potrebbe conseguire l’effetto di escludere la possibilità per le parti che l’avessero rifiutata di richiedere l’indennizzo per irragionevole durata del processo, stante il disposto dell’art. 2, comma 2 quinques della legge 24 marzo 2001 n.89 (cd. legge Pinto), come sostituito dall’art. 55, del Dl 83/2012, convertito nella legge 134/2012 che prevede che: «Non e’ riconosciuto alcun indennizzo:b) nel caso di cui all’articolo 91, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile; …» cioè quando la domanda è accolta in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa.

1.Ambito di applicazione

La collocazione sistematica dell’art. 185-bis cpc indurrebbe a ritenere che esso possa trovare applicazione solamente nei giudizi di cognizione ordinaria in cui si controverta di diritti disponibili. In realtà non vi sono ostacoli, sotto il profilo teorico, ad ammettere la formulazione di proposte conciliative, sempre a discrezione del giudice, anche in altri giudizi come nel procedimento camerale o nel giudizio sommario di cognizione ex art. 702-bis cpc o in quello cautelare che possa concludersi con un provvedimento destinato ad acquistare una relativa stabilità (e con una condanna alle spese – art. 669-septies,, comma 2 e art. 669-octies, terz’ultimo comma, cpc). La durata solitamente contenuta di procedimenti del genere comporterebbe però un minor effetto persuasivo connesso alla prospettiva del rifiuto della eventuale proposta conciliativa, ma tale ragionamento andrebbe ribaltato nell’ipotesi di procedimenti – specie in tema di art. 700 cpc e di azioni di nunciazione – che richiedono indagini tecniche necessariamente complesse e dispendiose, in termini di costi e di tempo, e nel caso di periculum in mora fortemente rappresentato (si pensi al caso di temuti cedimenti strutturali di un immobile di eziologia incerta e contestata che richiedano sondaggi ed indagini idrogeologiche) in cui la proposta conciliativa, con esecuzione immediata di opere provvisionali, consentirebbe un significativo risparmio di tempo e costi .

In realtà sia un giudizio che risulti definibile prontamente in punto di fatto, ad esempio per mancata specifica contestazione dei fatti dedotti dalla controparte o per la sua natura documentale, sia quello che involga questioni complesse in punto di fatto (la norma impone questioni di facile e pronta soluzione “in diritto” ma non “in fatto”) potrebbero predisporre il giudice ad assumere una simile iniziativa e le parti ad aderirvi, sia pure per ragioni opposte nell’uno e nell’altro caso.

Nel primo infatti potrebbero essere indotte ad accettare la proposta dalla prospettiva di evitare una decisione che, presumibilmente, sopraggiungerà in tempi brevi mentre nel secondo dall’alea sull’esito del giudizio – per gli incerti risultati dell’accertamento dei fatti – e dal rischio conseguente che il contenzioso si articoli in tutti i gradi di giudizio possibili.

2. Tempi di formulazione della proposta

L’originario testo dell’art. 185-bis , introdotto dal Dl 69/2013 prima della conversione testualmente recitava:«Il giudice alla prima udienza ovvero fino a quando è esaurita l’istruzione, deve comunicare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio». Tale versione della norma si ritenne in contrasto con due principi essenziali della funzione giudicante: il principio dell’imparzialità e della terzietà del giudice e il principio del divieto di anticipazione del giudizio da parte del magistrato. La norma era stata formulata in termini imperativi nel senso che il giudice “deve” avanzare alle parti una proposta conciliativa, ma non era chiaro se doveva farlo comunque a prescindere da ogni circostanza processuale.

Per il momento nel quale il giudice deve formulare questa proposta transattiva o conciliativa due le alternative: immediatamente alla prima udienza oppure fino a quando non sia conclusa la fase istruttoria; la formulazione della proposta alla prima udienza appare prematura in quanto l’istruttoria non è ancora iniziata e, come è evidente, le ragioni di fatto e di diritto delle parti si chiariscono ulteriormente almeno al deposito della seconda o terza memoria istruttoria ex art.183 comma 6 cpc. Potrebbe non rivelarsi prematura per le cause di natura documentale ove i documenti sono allegati agli atti introduttivi (ovvero siano stati prodotti in precedenti fasi processuali, ad esempio nella fase monitoria o nel procedimento cautelare ante causam).

La formulazione della proposta «sino a quando è esaurita l’istruzione» inciso mantenuto dalla legge di conversione, non è quindi del tutto esente da criticità: parrebbe indicare un riferimento dell’ultimo atto istruttorio, escludendo l’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni (per il rischio, di un’anticipazione, nella proposta, del convincimento del giudice in relazione alla futura decisione ed in cui la proposta formulata si atteggerebbe verso le parti – che possono o no accettarla – come una minaccia per la futura decisione, tenuto conto che le parti non hanno l’obbligo di conciliare).

Una proposta conciliativa formulata in sede di precisazione delle conclusioni tenuto conto dei termini di cui all’art 190 e dei tempi di redazione della sentenza non sortirebbe poi apprezzabili economie sulla durata del processo

Può quindi concludersi che la proposta conciliativa/transattiva possa trovare spazio nella fase della trattazione (prima udienza) o nella fase dell’istruzione, e che esaurita e chiusa l’istruttoria, non sussista più per il giudice il potere-dovere di formulare una ipotesi conciliativa o transattiva, ai sensi e con gli effetti di cui all’art. 185-bis cpc. Questa lettura della norma discende sia dalla sua formulazione letterale («sino a quando è esaurita l’istruzione» indica esplicitamente come limite dell’attività del giudice di formulare i termini della transazione o della conciliazione quello della fase istruttoria) sia dall’interpretazione logico sistematica, in quanto stabilire il potere dovere del giudice di formulare (non potendo ciò avvenire se non in termini sufficientemente specifici e dettagliati) alle parti una ipotesi conciliativa o transattiva della controversia, in una fase in cui è già chiusa l’attività istruttoria e non resta che rimettere le parti alla decisione, significherebbe imporre al giudice di anticipare – esplicitando il contenuto della ipotesi transattiva/conciliativa – la sua probabile decisione finale, senza che possa sopravvenire alcun nuovo elemento istruttorio utilizzabile per la decisione.

Nessun ostacolo pare quindi esservi alla formulazione della proposta nel caso in cui, dopo essere stata posta in decisione, la causa ritorni sul ruolo per integrazione di attività istruttoria.

3. Modalità di formulazione della proposta

Il legislatore, in sede di conversione del Dl 69/2013, ha omesso di disciplinare le modalità di formulazione dell’eventuale proposta di soluzione conciliativa.

Ancorché la norma nulla disponga sul modus procedendi di norma, sia che la proposta sia contenuta in un ordinanza riservata che formulata in udienza sarà assegnato alle parti termine fino alla data dell’udienza per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di tale proposta; all’udienza fissata le parti potranno anche non comparire, ove abbiano ritenuto di accordarsi sulla base della proposta stessa; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno in quella sede, fissare a verbale quali siano state le rispettive posizioni, anche al fine di consentire la eventuale valutazione giudiziale della loro condotta processuale ai sensi degli artt. 91 e 96, co. 3, cpc.

La nuova disposizione non prescrive che la formulazione della proposta conciliativa si collochi all’interno di un tentativo di conciliazione. Se può pertanto ammettersi che il giudice formalizzi una ipotesi di soluzione amichevole anche al di fuori dell’udienza, ad esempio a scioglimento di una riserva (in questo caso le parti potranno aderire con differenti modalità a quella iniziativa): è indubbio che essa potrà più facilmente realizzarsi se l’iniziativa sarà stata preceduta da un tentativo di conciliazione, in quanto tale incombente consente al giudice di rendersi conto di quali siano le compiute ragioni del conflitto sostanziale tra le parti e quindi di acquisire le notizie utili ad elaborare una proposta rispondente ad esse.

Non è affatto necessario che la proposta di definizione amichevole o il tentativo di conciliazione vengano sollecitati dalle parti, atteso che il giudice istruttore, ai sensi dell’art. 185, primo comma, seconda parte, cpc ha facoltà, in ogni stato e grado del processo, di fissare l’udienza di comparizione personale delle parti per procedere al loro libero interrogatorio ed, in tale occasione, può esperire per la prima volta o rinnovare il tentativo di conciliazione già esperito e all’esito di esso formulare la proposta dopo aver verificati, attraverso i difensori delle parti ,la disponibilità delle stesse ad una soluzione amichevole della lite.

A differenza dell’attività che il giudice svolge nell’ambito del più generale tentativo di conciliazione delle parti ex art. 185 cpc (che si estrinseca nell’attività del giudice di stimolare le parti affinché si scambino, nell’ambito della loro autonomia privata, proposta e accettazione di accordi convenzionali transattivi o conciliativi) – la norma in esame configura in capo al giudice – il potere dovere di porre in essere una specifica attività consistente nel farsi promotore del contenuto di una ipotesi conciliativa o transattiva. Ed in tale ricerca di equilibrio tra i contrapposti interessi dei contendenti condivisibilmente, il potere del giudice di rivolgere alle parti proposte conciliative può tenere conto anche del più ampio eventuale contenzioso cioè delle questioni di lite esistenti tra le parti, che non siano oggetto dello specifico processo pendente, anche se siano connesse con lo stesso, di modo che l’assetto conciliativo vada a comporre il conflitto nel suo complesso non limitandosi a definire la singola controversia (v. Trib. Milano, sez. IX civ., decr. 14 novembre 2013; Trib. Roma, 23 settembre 2013, in Osservatorio Mediazione Civile n. 74/2013).

Un serio disincentivo all’utilizzo dell’istituto in esame, quantomeno dopo il momento dell’ammissione delle richieste istruttorie, può derivare dall’ art. 81-bis, primo comma, cpc sul calendario del processo che impone al giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, di fissare, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo, il calendario delle udienze successive.

Il giudice che ha già calendarizzato tutte le udienze in cui si svolgerà l’attività istruttoria delle cause che tratta che si determini a formulare proposte di definizione bonaria di una o più di esse, dovrebbe riprogrammare le udienze successive a quel momento sia nell’eventualità in cui le parti aderissero alla proposta sia nel caso in cui chiedessero un termine per esaminarla

Nella norma non esiste una previsione per cui la proposta conciliativa debba esseremotivata, bastando che in essa siano indicate alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e sulla opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente.

Una proposta generica va necessariamente integrata, tenuto conto dell’art. 91, comma 1, secondo periodo cpc, cosicché, solo se il rifiuto di essa sarà sorretto da un giustificato motivo non vi saranno conseguenze per la parte che lo abbia opposto mentre, in caso contrario, essa sarà condannata alla rifusione delle spese maturate dopo la formulazione della proposta, salvo che non sussistano i presupposti per la loro compensazione parziale o integrale

Anche il rifiuto della proposta giudiziale (che di per sé non comporta alcuna sanzione) dovrà essere adeguatamente motivato, al fine di ridurre il rischio di incorrere in condanne ex artt. 91 e 96 cpc e alla luce di questo principio emergente in varie pronunce, sarà opportuno che tale motivazione sia comunque esplicitata dai legali delle parti anche in assenza di un esplicito invito del giudice in sede di redazione della proposta.

Il rifiuto senza giustificato motivo di una delle parti condurrà il giudice a valutare la scelta ai fini del giudizio assumendo rilievo endoprocesuale sul regolamento delle spese ed extraprocessuale – in via eventuale e mediata – ai fini d esclusione dell’ indennizzo ex legge Pinto.

4. Soluzione amichevole: possibile sinergia di vari strumenti mediaconciliativi a disposizione del giudice. Conciliazione mediazione

La Proposta conciliativa si differenzia in modo netto dall’altra previsione (introdotta dalle sovracitate norme) secondo cui «il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione…». Questa previsione fa riferimento, comunque, ad un vero e proprio procedimento di mediaconciliazione autonomo e distinto dal giudizio in essere, anche se delegato dal giudice, che si differenzia nettamente dall’istituto regolato dall’art. 185-bis che fa riferimento ad una mera conciliazione giudiziale di cui il legislatore ha inteso incentivare le potenzialità applicative; è peraltro prevedibile un più frequente ricorso da parte del giudice all’istituto di cui all’art. 185-bis cpc piuttosto che alla media-conciliazione delegata: appare improbabileche il giudice possa delegare a terzi l’esperimento del tentativo di conciliazione, qualora si avveda, autonomamente o su segnalazione dei difensori, di una disponibilità conciliativa delle parti, cui dedicare un’apposita udienza, necessariamente in tempi brevi.

Per Trib. Milano, sez. IX civile, ord. 29.10.2013, la modifica normativa ha previsto la possibilità per il giudice (anche di appello) di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (cd. mediazione ex officio) a prescindere dall’elenco delle materie sottoposte alla cd. mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 comma 1-bis (e quindi può ricadere anche su controversie aventi ad oggetto il recupero di un credito rimasto insoddisfatto). Anche per la mediazione ex officio è vincolante la previsione di cui al novellato art. 4 comma III Dlgs 28/2010: la domanda di mediazione, pertanto, va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, disposizione, secondo il giudice, derogabile con l’accordo delle parti (che pertanto potranno rivolgersi con domanda congiunta ad altro organismo scelto di comune accordo).

Le parti, assistite dai rispettivi difensori, possono trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, e anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale, sicché è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato che potrebbe risultare vantaggioso per entrambe. Un’applicazione per così dire simultanea dei due istituti comporterebbe l’assegnazione alle parti un termine fino ad una certa data per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base della proposta giudiziale prevedendo, dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, il decorso un ulteriore termine di quindici giorni per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di mediaconciliazione, con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale, della controversia in atto. Interessante in quest’ottica l’ordinanza del Trib. Roma, 30 settembre 2013, dott. Moriconi (in G.dir., 2013, 45), che rappresenta un’ulteriore applicazione del nuovo art. 185-bis cpc, in tema di proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice in pendenza della lite ed esempio pratico di applicazione della cosiddetta mediazione delegata, ovvero di proposta conciliativa del giudice e successivo invito a rivolgersi ad un organismo di mediazione[1].

Appaiono invece improbabili i risultati positivi della mediaconciliazione delegata da attuarsi in uno stato avanzato della lite, in una fase in cui l’istruttoria – seppure non esaurita – sia ormai pervenuta ad esiti dirimenti (si pensi all’esito di una ctu grafica o alla confessione giudiziale) in quanto essa si insinua in una causa già ormai avviata alla decisione e quindi in cui si può prescindere ben poco dallo stato degli atti.

Deve anche segnalarsi la prassi (sempre più diffusa, in svariati tribunali) di conferire incarico alconsulente tecnico d’ufficio, oltre che di rispondere a specifici quesiti tecnici, di cercare una soluzione bonaria della vertenza anche alla luce delle risultanze peritali, prassi che si ricollega anche al disposto dell’art. 696-bis cpc, regolante la consulenza tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite. È certamente prassi virtuosa: il ctu dispone degli strumenti per ipotizzare una definizione della vertenza basata su dati oggettivi, il che ha una fondamentale importanza in cause “tecniche”, quali quelle edilizie o simili: in esse, certamente, è molto più agevole per il ctu, che per il giudice, delineare i termini di una proposta ex art. 185-bis (v ad es. Trib. Nocera, sez. I, Giudice-Levita, 27 agosto 2013, in Dir.&Giust., 2013, 2). Resta un margine di dubbio se la proposta del ctu possa avere lo stesso valore, ai fini di cui all’art. 185-bis cpc, di quella fatta dal giudice (questione che potrebbe essere esplicitata in sede di redazione del quesito e di conferimento dell’incarico per fugare ogni dubbio).

Molteplici dunque gli strumenti a disposizione del giudice, volti ad incentivare la composizione bonaria delle vertenze sulla base, però (e a differenza da quanto accade nella mediaconciliazione preventiva), di una situazione processuale ed istruttoria più avanzata, più definita e delineata nei suoi termini, tale pertanto da rendere anche più agevole una valutazione completa delle rispettive posizioni delle parti e quindi della convenienza od opportunità di chiudere la lite prima della decisione del giudice.

5. Rapporti tra giudice parti e difensori nella proposta ex art. 185-bis cpc

La possibilità per il giudice istruttore di formulare la proposta in qualunque momento del giudizio purché non sia ultimata la fase istruttoria rende differente tale potere/dovere per il giudice civile ordinario rispetto a quello che detiene il giudice del lavoro. Nel rito del lavoro, infatti, il giudice può formularla solo ed esclusivamente alla prima udienza, ai sensi dell’art. 420 cpc e la rivolge non agli avvocati difensori (come accade nell’art. 185-bis), ma alle parti, comparse personalmente in udienza. Le parti potranno accettare formalmente la proposta, a mezzo dei rispettivi difensori, purché essi siano muniti di procura speciale, o comparendo di persona davanti al giudice per concludere una conciliazione giudiziale o per rinunciare agli atti del giudizio o lasciando estinguere il giudizio.

La direzione della proposta ex art.185-bis ai difensori ne potrebbe senza dubbio limitare la concreta operatività pratica, sminuendo l’incisività della proposta, sicuramente maggiore se rivolta direttamente alle parti in giudizio (il legislatore avrebbe potuto ben modificare il già presente art. 185 o, diversamente, ritornare al vecchio art. 183 cpc, ricorrendo ad un interrogatorio libero delle parti disposto dal giudice a seguito del quale il giudice stesso avrebbe potuto formulare la proposta.) In tale senso l’art.185-bis cpc , al di là dell’apparente novità, in realtà è apparso ai primi commentatori una rivisitazione di istituti già esistenti e riesumazione di istituti non più in vigore, Il giudice formula la proposta ai difensori delle parti poiché queste non sono obbligate a comparire personalmente. I difensori hanno così l’obbligo di riferire alle parti la proposta conciliativa formulata dal giudice. Una proposta formulata da un terzo, preclude, però, alla parte che si trova a doverla valutare, la possibilità di cogliereuna serie di sfumature ed orientamenti che sicuramente traspaiono dall’invito proveniente direttamente dal giudice. Per quanto la proposta venga riportata al proprio cliente dal difensore con intento di imparzialità, è tuttavia inevitabile che risenta del giudizio e dell’interpretazione personale dello stesso senza contare la frequente ipotesi in cui il difensore delega altri colleghi a comparire in udienza in sua vece ed in questo caso, la proposta potrebbe subire ulteriori filtri ed interpretazioni e, potrebbe risultare falsata rispetto all’intento originale. Non va sottovalutato il rapporto tra difensore e cliente e il fatto che non è facile far collimare gli incentivi del rappresentante con quelli del rappresentato.

Nella mia esperienza, nel formulare la proposta, ho sempre preferito disporre la comparizione personale delle parti privilegiando un loro contatto diretto con il giudice che evita quel possibile travisamento delle sfumature della proposta – da parte dei difensori e dei loro sostituti di udienza – fondata su delicati equilibri, ma anche per sollecitare, attraverso il loro libero interrogatorio, l’emersione delle ragioni profonde del contrasto attraverso un dibattuto diretto nel quale fondamentale appare la comunicazione tra giudice e parti, scevra da eccessivi tecnicismi.

6. Come il giudice perviene alla proposta conciliativa. Un’analisi basata sull’esperienza

La proposta conciliativa si fonda su ciò che emerge dall’istruzione probatoria (o dai fatti non contestati e quindi non bisognosi di prova) e sulle reciproche eventuali rinunce di entrambe le parti.

Il giudice, in qualità di promotore, dovrà sviluppare una particolare sensibilità nel cogliere la possibilità di conciliazione sin dalla prima udienza (si imporrebbe un percorso di formazione per magistrati e avvocati: i primi con lo scopo di potenziare le capacità conciliative, i secondi con quello di migliorare le capacità di valutazione di proposte transattive). Se è vero che la ragione della scarso successo della mediazione è legata sia ad una radicata resistenza della classe forense verso l’Adr sia ad una certa diffidenza delle parti nei confronti di un soggetto che non ritengono tecnicamente attrezzato, risulta chiara la ratio legis che si fonda sull’ importanza, in tale veste conciliativa, di un soggetto terzo e neutrale che, però, a differenza del mediatore professionale, ha la potestas decidendi, e sul cui prestigio ed autorevolezza le parti confidano (nonostante le tristi campagne di delegittimazione della magistratura non arginate dalla classe politica di qualsiasi colore). Il giudice – negoziatore efficace nel processo interattivo di comunicazione tra due litiganti – è soggetto che ha piena contezza delle rispettive pretese e delle emergenze processuali che, in alcuni casi, lo stesso ha raccolto.

Se, come sarà opportuno, sarà stata disposta la comparizione personale delle parti, il giudice dovrà prestare speciale attenzione alla comunicazione con persone che hanno difficoltà di approccio al linguaggio giuridico ed ai meccanismi processuali anche nei casi di soggetti non illetterati e con discreto livello di scolarità. La comunicazione deve essere del tutto scevra da tecnicismi ed adeguata al livello culturale ed al profilo delle parti (si pensi a soggetti di età avanzata seppur pienamente capaci) nella consapevolezza che, specie in contesti territoriali connotati da forte depressione economica e culturale, i contendenti hanno talora difficoltà a destreggiarsi con l’italiano adoperando come normale canale di comunicazione il dialetto.

La realtà che affronto quotidianamente è proprio quella di un contesto provinciale con livello culturale non elevato – in un territorio inesorabilmente e costantemente all’ultimo posto della classifica per qualità della vita – una realtà in cui il substrato economico produttivo di tipo industriale è praticamente assente e che – nonostante l’immenso patrimonio artistico e naturalistico, gravemente sfregiato dall’abusivismo edilizio – vive di agricoltura, di poco turismo, di terziario ed anche di assistenzialismo, caratterizzata da emigrazione fortissima dove comunque intenso rimane il legame con il territorio e la proprietà fondiaria. Questi profili si riverberano sul contenzioso nel senso che le vicende giuridiche ruotano intorno alla gestione di immobili, a questioni di rapporti vicinato, di diritti reali, di successioni ed, in minor misura, di rapporti commerciali con elevato ricorso al patrocinio a spese dello Stato (per le modeste soglie di reddito dei litiganti).

Nonostante l’espresso inciso dell’articolo 185-bis, nel suo ultimo comma, cpc – che pone la proposta al riparo dalla ricusazione – quale che sia il livello di scolarità dei nostri interlocutori, per favorirne il successo, sarà comunque indispensabile chiarire alle parti che la proposta prescinde del tutto da una valutazione del merito della causa, dalla ragione e del torto rispettivi si da chiarire che il giudice in definitiva non parteggia per le posizioni di alcuno dei contendenti e mira soltanto ad una definizione della causa che consenta ad entrambi di raggiungere un risultato concreto, soddisfacente, conveniente e vantaggioso in tempi brevi e soprattutto più economici nell’ottica di un risparmio anche delle spese di giustizia; è evidente che questa premessa metodologica attiene al momento del contatto o meglio del primo contatto tra il giudice le parti (colmando eventuali lacune informative dei procuratori che non abbiano ben chiarito le finalità della proposta) e dovrebbe indurre le parti ad una condizione di maggiore affidamento e serenità nella percezione in dettaglio della proposta; questa fase sarà accompagnata dal cosiddetto adeguamento al registro comunicativo dei contendenti e preceduta da un attento esame preliminare degli atti volto ad individuare non solo il thema decidendum (i fatti effettivamente controversi) ma anche le questioni giuridiche di facile e pronta soluzione. Il dibattito orale, in sede di comparizione delle parti, consentirà l’emersione delle ragioni “naturalistiche” di contrasto, ad esempio,la presenza di forti e radicati contrasti personali tra le medesime parti, magari per precedenti controversie insorte tra le stesse o tra le rispettive famiglie (ad es per ragioni di intolleranza nei rapporti vicinato), come nella materia successoria, la presenza di sentimenti di rivalsa per ataviche ragioni familiari personali o, di contro, l’esistenza di condizioni ostative di tipo obiettivo come illiquidità della società debitrice nei rapporti commerciali. La piena cognizione delle ragioni profonde del contrasto consentirà di calibrare al meglio quelle che sono le tecniche della moral suasion e cioè il cosiddetto potere di attrattiva dei risultati a seconda della natura delle ragioni stesse. A tale dibattito processuale sarà opportuno dedicare abbastanza spazio con udienza ad hoc o con destinazione di apposita fascia oraria.

Gli incentivi sono di norma rappresentati: a) dall’accorciamento dei tempi di attesa; b) dall’eliminazione del rischio: di accordi frettolosi sotto la spinta magari di una esecuzione; degli alti costi degli accertamenti tecnici; della cattiva pubblicità sul mercato per tutta la durata del processo; di opportunità perse ed affari sfumati con altri soggette (ad esempio una vendita immobiliare ostacolata dalla presenza della trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica di un preliminare); dell’intervento di misure cautelari limitative della disponibilità del bene (come un sequestro giudiziario con nomina di un custode esterno ); di interruzione di relazioni d’affari durante la pendenza delle lite; dello stress emotivo e psicologico per l’esasperazione dei rapporti interpersonali specie tra stretti congiunti e soggetti legati da relazioni di vicinato o societarie, in quest’ultimo caso, con ripercussioni negative sulla vita aziendale e sulla gestione del bene comune. Indispensabile per il giudice: la capacità di ascolto che agevoli il confronto ed infonda alle parti maggior fiducia con domande aperte volte a far emergere le ragioni reali del conflitto, emozioni, risentimenti intensi, ostacoli emotivi ed i prodromi della controversia, le aspettative e finalità perseguite, i timori e quel che le parti ritengono effettivamente negoziabile, pregressi relazioni e rapporti economici che impongano di mantenere un rapporto di cooperazione per i vantaggi personali e squisitamente economici che ne derivano (ove le parti – nonostante la controversia – siano obbligate a materne rapporti economici come ad esempio nel contratto di agenzia) ovvero il sopravvenuto disinteresse al mantenimento del rapporto che possa condurre ad una sua risoluzione consensuale con un equa compensazione pecuniaria (o ad esempio con restituzione dei beni oggetto della transazione commerciale) o ancora l’interesse al pagamento pur con dilazioni e scansioni temporali nel caso il creditore sia in condizioni di temporanea difficoltà economica, reversibile nel breve periodo. Si impone quindi la concentrazione su interessi prioritari e sulle aspettative delle parti e sulle ragioni del conflitto reale, su interessi profondi, timori, ostacoli che hanno impedito di accordarsi autonomamente utilizzando la rappresentazione dei rischi di cui sopra come strategia per superare tali remore, analisi che impone la preliminare raccolta di informazioni specie sulla genesi concreta del conflitto, sulla sua storia ed anche su altri procedimenti pendenti e tentativi di conciliazione e cause di interruzione dei precedenti negoziati. Necessario un percorso di condivisione alla soluzione della contesa oltre alla rappresentazione della irragionevolezza di una diversa opzione. In tale prospettiva è fondamentale adottare un registro comunicativo adeguato, anche attraverso il comportamento non verbale, sviluppando una formulazione neutrale della proposta e l’elaborazione e sviluppo di una soluzione partecipata in cui i contendenti abbiano un ruolo attivo ed, a loro volta, propositivo. Un esempio: in una controversia ereditaria in cui pacifico il valore frazionario delle quote legittime (o delle quote di riserva) la controversia attenga esclusivamente alla stima dell’immobile da dividere (specie ove, in realtà, le ragioni della mancata divisione amichevole risiedano in risalenti rancori tra i condividenti legati da vincoli di stretta parentela) sarà ben convincente l’argomento economico relativo alla risparmio nei costi delle ctu e dei tempi del processo che terrebbe in qualche modo legate le parti in un contenzioso persistente oltre a quello della concretezza e maggiore immediatezza ed economicità dei risultati soprattutto ove si rappresenti la enorme difficoltà di vendita di beni non divisibili o non comodamente divisibili (destinati a restare invenduti specie nell’attuale situazione di stasi e declino delle transazioni immobiliari) e la più agevole soluzione offerta dai conguagli in danaro, ancor più agevolmente praticabile nel caso di azione di riduzione per lesione di legittima in cui la rinuncia all’azione con il conguaglio pecuniario consentirebbe anche un maggior risparmio fiscale. Lo spauracchio della prolungata tensione derivante dalla durata del processo non è di poco momento soprattutto quando uno dei contendenti sia più desideroso di definire i rapporti con la controparte anche a costo di qualche maggior sacrificio economico. In un caso abbastanza recente di scioglimento di comunione (di beni mobili) tra ex coniugi, privi di prole, a tra i quali era già stata pronunciata, da tempo, sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, dopo la loro comparizione personale, ha trovato immediato accoglimento una proposta conciliativa da parte dell’ex coniuge detentore dei beni con pagamento di una compensazione pecuniaria, tenuto conto della antieconomicità del protrarsi del processo, in termini di tempo e di costi della procedura – per le contestazioni esistenti sulla provenienza di arredi e suppellettili oggetto di un lungo elenco (contestando l’acquisto in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale e la provenienza da donazioni, circostanze bisognose di prova): la parte detentrice dei beni – evidentemente più desiderosa di troncare ogni tipo di relazione con l’ex coniuge – offrì banco iudicius e senza dilazione, una consistente somma di denaro, forse superiore al probabile valore della metà dei beni, quale si evinceva sommariamente dagli atti e che la controparte non poté fare a meno di accettare. Evidentemente il disagio derivante dalla pendenza del processo e dalla permanenza del contrasto, più che la rappresentazione dei costi, in quel caso, ebbe una valenza preponderante sul sacrificio pecuniario che la soluzione conciliativa comportava: in altri termini il “costo” psicologico del processo superò il suo profilo economico.

Talvolta quindi la tensione derivante dalla permanenza del processo è un punto favorevole alla soluzione transattiva ove questa sia suscettibile di determinare la cessazione di ogni tipo di contrasto (e forse anche di contatto) con la controparte. In un altro caso di lite, sempre tra ex coniugi, l’attribuzione patrimoniale dei beni in contesa alla prole – la cui tutela era di comune interesse – ha eliminato un variegato contenzioso in sede di cognizione ordinaria ed esecutiva (con vari procedimenti incidentali) oltre ai procedimenti penali innescati da querele poi rimesse.

Talvolta, al contrario, la soluzione transattiva consente il mantenimento del rapporto tra le parti ed il ripristino delle normali relazioni commerciali; ad esempio, nel caso di rapporti di fornitura abituale tra due soggetti imprenditoriali – produttore e fornitore – la soluzione del contrasto, in sede conciliativa, consente una serena ripresa della relazione commerciale nel lungo periodo a differenza dell’intervento giudiziale che rappresenta sempre una cesura più radicale del rapporto tra le parti; analogamente in materia di beni comuni la soluzione transattiva consente una gestione più razionale ed economica delle res.

Un altro esempio: a causa dell’ostruzione e danni ad un canalone di scolo che attraversava diversi fondi, in sede cautelare ex art. 700 cpc, erano contestate le ragioni dell’avaria e del malfunzionamento dell’impianto con reciproci addebiti di responsabilità. L’accoglimento della proposta conciliativa, con interventi comuni di rimozione di detriti e manutenzione del canale con ripartizione delle spese in misura approssimativamente proporzionale all’estensione delle rispettive proprietà fondiarie, evitò una complessa e non breve indagine tecnica sulle cause dell’intasamento del canale e sulle rispettive responsabilità e sugli interventi da effettuare così consentendo una rimozione immediata degli inconvenienti lamentati, una ripresa della funzionalità dell’impianto con beneficio immediato per i fondi allagati, un miglior rapporto di collaborazione tra i proprietari confinanti, suscettibile di evitare future tensioni (che qualche volta si traducono in attività ritorsive).

Le materie possessoria e cautelare, fortemente connotata da tali caratteristiche di tensione personale, come quella ereditaria, dei rapporti vicinato, della comunione e condominio meglio si prestano alla ricettività di una proposta conciliativa, di immediata operatività, nell’ottica di una rapida soluzione della controversia. Qualche volta invece in materia di relazioni commerciali l’attuazione di una soluzione conciliativa non è istantanea come nel caso in cui le ragioni di inadempimento siano da ricondurre a una transitoria crisi di liquidità dell’onerato o ad una difficoltà di produzione o ad un cambiamento degli standard produttivi che mal si presta a una soluzione immediata ed a cui meglio risponde una dilazione ragionevole di pagamenti ovvero una graduale revisione condivisa degli accordi commerciali che consenta di mantenere il rapporto di fiducia tra gli operatori.

In tal caso la proposta impone una ponderazione più accurata dei contrapposti interessi economici in gioco, della situazione patrimoniale dei contendenti e la ricerca di un punto di equilibrio che non è solo una media aritmetica delle reciproche pretese ma un punto di convergenza che tenga conto di molteplici fattori, suscettibili di valutazione economica ma non quantificabili in termini meramente aritmetici, quali l’avviamento, la durata dal rapporto commerciale, la penetrazione del prodotto nel mercato, la posizione del consumatore finale.

Sull’attività conciliativa ex art. 185-bis cpc pesano due grandi interrogativi: se, in una situazione in cui, per espressa previsione della norma, le questioni giuridiche sono di facile e pronta soluzione, sia corretto rappresentare alle parti – per definizione digiune di diritto – alcuni effetti giuridici per così dire scontati e costituenti “diritto vivente”; ad esempio l’impossibilità della prova tra le parti della simulazione relativa in assenza di una controdichiarazione, l’inammissibilità di una prova orale di contratti per cui sia richiesta la firma scritta, ad substantiam, l’impossibilità di circolazione di beni edificati senza concessione e non sanabili (in tema di richiesta di sentenza costitutiva ex art. 2932 cc), o, in materia di rapporti bancari, il computo della commissione di massimo scoperto ai fini del tasso soglia dell’usura (si pensi al proliferare del contenzioso bancario per rilievi che hanno trovato soluzioni giurisprudenziali univoche, confortate dalle pronunce delle sezioni unite della Cassazione ed in cui la quantificazione, da parte del ctu contabile delle poste indebite, dà talora risultati prossimi al costo delle indagini peritali (liquidate con compenso a scaglioni sul valore della controversia: saldo negativo dei conti). Ritengo che tale scelta, in presenza di principi che costituiscono “diritto vivente” (quadro normativo di riferimento e interpretazioni giurisprudenziali del tutto univoci) appaia legittima onde sgombrare il campo da questioni su cui vi è ormai certezza legislativa e/o orientamenti giurisprudenziali consolidati. L’ultima comma dell’art. 185-bis cpc eviterà che una sostanziale anticipazione di giudizio o meglio dei principi di diritto applicabili alla fattispecie determinino una ricusazione.

Altro interrogativo – che attiene a profili di politica giudiziaria – è la ponderazione degli sforzi del decidente per l’elaborazione e la realizzazione di una proposta conciliativa in rapporto a quelli, talora minori, che richiederebbe la redazione di un provvedimento decisorio, redatto magari con richiamo ai precedenti pacifici e con ricorso a precedenti motivazioni analoghe ed ai risultati di una ctu pienamente condivisibili e non oggetto di rilievi specifici: qualche volta questo sbilanciamento si verifica ma non va trascurato che anche la soluzione conciliativa rappresenta un momento alto di affermazione della giurisdizione, nella prospettiva di una sollecita e soddisfacente risposta di giustizia e della salvaguardia del tessuto economico produttivo, senza le lacerazioni che qualche volta la pronuncia giudiziale inevitabilmente produce e perciò merita di essere perseguita nonostante un apparente sbilanciamento del rapporto immediato sforzo/beneficio isolatamente considerato, in vista delle potenzialità espansive del contezioso insite nella pronuncia ed in un ottica deflattiva di più ampio respiro.

La pendenza del processo è suscettibile di ingenerare, a parte le impugnazioni, possibili richieste di misure cautelari ed anticipatorie in corso di causa e reclami ex art. 669-terdecies cpc per le prime; la pronuncia della sentenza è seguita da procedimenti esecutivi e relative opposizioni ex art. 615 e 617 cpc , nelle quali trovano frequente spazio le sospensioni dell’esecuzione ex art. 624 cpc ed i relativi reclami ex art. 66-terdecies, a parte i costi per l’Erario dell’ammissione a gratuito patrocinio cui si fa frequente ricorso nella aree economiche depresse (e relative liquidazioni e possibili opposizioni ex art. 170 dpR 115/2002 e 15 Dlgs 150/2011). Quindi la soluzione conciliativa – ancorché laboriosa ed impegnativa – oltre ad eliminare il contrasto tra le parti in lite evita la non rara insorgenza di questa filiera di ulteriore contenzioso che appesantisce il sistema giustizia e genera costi non indifferenti per l’Erario.

7. La proposta conciliativa in una dimensione programmatica organizzativa della gestione del contenzioso

Ardua una progettualità dell’incidenza sui procedimenti definiti nell’ambito dei programmi di gestione dell’arretrato civile ex art.37 Dl 98/2001, convertito nella legge 111/2011, delle proposte conciliative – affidate finora all’iniziativa individuale del singolo magistrato senza una precisa metodologia e rilevazione statistica – specie nel rapporto percentuale tra numero delle proposte ed esito positivi (in base agli attuali format ex art. 37 gli esiti positivi delle proposte conciliative ex art.185-bis cpc si collocano tra i procedimenti “altrimenti definiti“ cioè non definiti con sentenza ma senza una loro autonoma evidenza statistica che consentirebbe di misurare il tasso della litigiosità sul territorio).

L’ elaborazione dei cd. carichi esigibili, nell’ambito dei programmi di cui al citato art.37, non è certo una scienza predittiva ma si basa su una prognosi che parte dalla diagnosi dei risultati del periodo precedente tenendo conto, in tale proiezione, di diverse variabili (indici relativi all’ufficio ed al ruolo giudiziario) tra le quali il tasso di litigiosità dovrebbe trovare spazio cosi come potrebbe trovare collocazione sistematica nel programma Strasburgo 2 il cui avvio il 14 gennaio corrente ha avuto ampia eco negli organi di stampa e che si ispira al principio cd. Fifo[2].

Programma Strasburgo 2 èil nome del progetto del Ministero della Giustizia che ricalca da vicino il progetto organizzativo del Tribunale di Torino, risalente al 2001, preso a modello anche in altri uffici giudiziari, da Marsala, a Genova e Prato. Una prima fase del piano ministeriale si è già concretizzata con l’acquisizione delle statistiche aggiornate dell’arretrato civile esistente; ora, seguendo il principio ‘Fifo - first in, first out’, ossia la prima causa che entra è la prima ad uscire, si punta all’azzeramento in tempi brevissimi di parte dell’arretrato: smaltire quindi entro 6 mesi gli affari contenziosi (in totale 86.283) iscritti a ruolo fino all’anno 2000, ed entro 9 mesi quelli (ben 127.146) iscritti fino all’anno 2005.

Altra fase consisterà nella gestione ordinaria dell’arretrato residuo (835.190 affari iscritti a ruolo negli anni 2006-2010), nonché delle giacenze infra-triennali(2.692.504 affari iscritti a ruolo negli anni 2011-2013). L’obiettivo è portare la durata effettiva di ogni singolo processo sotto i 3 anni, tendenzialmente verso il biennio, con l’ambizione di ridurre la durata a 12 mesi.

Il progetto presentato al Ministero sarà «di tipo esclusivamente organizzativo – ha spiegato il capo della Dog – non vi sarà nessuna imposizione di regole per gli uffici giudiziari ma piuttosto un invito a dotarsi di un metodo»; potrà essere realizzato sia seguendo il decalogo già applicato a Torino sia una delle best pratictes censite dal Csm (anche attraverso l’esperienza degli Osservatori). Il programma non porterebbe, ad aggravare il lavoro dei magistrati nella stesura delle sentenze: «spesso, infatti, le parti in causa in processi troppo lunghi, hanno voglia di concludere e quindi la via risolutiva diventa la conciliazione».

Il progetto organizzativo è fondato su un decalogo di “prescrizioni e consigli”:

  • programma di esaurimento delle cause civili con il metodo Fifo (First In, First Out) e non più Lifo (Last In, First Out);
  • precedenza assoluta per le cause di anzianità ultra-triennale, eventualmente con udienze appositamente riservate;
  • rilevazione periodica con la “targatura dei processi”.

 

Impostato con la seguente tecnica:

  1. individuazione di un obiettivo comune (vision del problema irrisolto);
  2. sforzo congiunto per realizzarlo (mission);
  3. coinvolgimento anche emotivo dei protagonisti, giudici e personale amministrativo (condivisione della mission).

 

Ridurre a un anno la durata massima delle cause civili commerciali ed a meno di tre anni le altre cause di primo grado, dando priorità processuale alle cause di imprese e famiglie, dimezzando così l’arretrato – il “fardello” più pesante della giustizia civile italiana – è quindi l’ambizioso obiettivo del piano straordinario messo a punto dal Guardasigilli, insieme con il capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria. Un progetto di carattere «organizzativo», che, parallelamente alle riforme legislative in atto ed in cantiere, punterebbe a raggiungere l’obiettivo di una giustizia più rapida ed efficiente con una maggiore competitività delle imprese in Europa e con un rilevante beneficio economico per l’Erariosotto il profilo della riduzione del cd. “rischio Pinto”.

Si propone di affrontare l’emergenza dell’arretrato ultratriennale, con misure organizzative però a costo zero, puntando ad azzerare il fardello di vecchi procedimenti che condiziona i tempi del lavoro negli uffici giudiziari con progetto che prevede tre fasi:

1) Prima fase: acquisizione delle statistiche aggiornate dell’arretrato esistente, fase già esaurita con il Censimento speciale di tipo selettivo sulla giustizia civile, realizzato dal Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria tramite la Direzione generale di statistica utilizzando un programma informatico apposito (il data-warehouse); che ha permesso l’identificazione, in ogni tribunale e corte d’appello, della reale entità di cause fisiologicamente giacenti, distinguendole dal patologico arretrato ultratriennale.

2) Seconda fase: azzeramento in tempi brevissimi di parte dell’arretrato, secondo il cosiddetto principio Fifo (First In First Out) in cui è consigliato il cosiddetto decalogo Strasburgo o altra best practice analoga:

  • entro 6 mesi, gli affari contenziosi iscritti a ruolo fino all’anno 2000 (86.283 affari);
  • entro 9 mesi, gli affari contenziosi iscritti a ruolo fino all’anno 2005 (127.146 affari).

 

3) Terza fase: gestione ordinaria dell’arretrato residuo (affari iscritti a ruolo negli anni 2006-2010, 835.190 affari) nonché delle giacenze infra-triennali (affari iscritti a ruolo negli anni 2011-2013, 2.692.504 affari): nel rispetto del principio Fifo, con l’obiettivo di portare la durata effettiva di ogni singolo processo sotto i tre anni, tendenzialmente verso il biennio, con l’ambizione di ridurre la durata a 12 mesi (quantomeno per le cause commerciali) Il sistema della marcatura o targatura dei fascicoli (con bollini di diverso cromatismo o altri segni che diano immediata evidenza visiva della loro progressiva “anzianità”) è stato adottato in quasi tutti i Tribunali

Per le cause risalenti iscritte a ruolo prima del 2005 o addirittura del 2000 – precipuo obiettivo del programma – stante l’inapplicabilità della mediazione preventiva, l’art. 185-bis cpc può rappresentare un fondamentale strumento di definizione non decisoria, unitamente ai nuovi istituti di Adr, introdotti dal Dl 132/2014, convertito nella legge 162/2014 (arbitrato e negoziazione assistita).

Alla conciliazione il piano straordinario assegna un ruolo fondamentale che tuttavia sarebbe riduttivo limitare alle cause più anziane, ben potendo funzionare per quelle alle quali lo stesso programma Strasburgo 2 assegna una corsia privilegiata (imprese e famiglia anche se a quest’ultima materia, paiono attagliarsi meglio gli strumenti della negoziazione assistita e quelli di semplificazione – accordi ricevuti dall’ufficiale di stato civile – introdotti dal citato Dl 132/2014) ed anche per la materia cautelare e possessoria.

È evidente che il successo di tale strumento non può prescindere da una sua analisi con metodo statistico e da una adeguata progettualità che passa attraverso il percorso formativo del giudice conciliatore per ora, pare, scarsamente incentivato.

[1] Così la motivazione: «Si ritiene che in relazione all’istruttoria fin qui espletata ed ai provvedimenti già emessi dal giudice, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo. Una tale soluzione, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per entrambe. Invero la controversia non ha fatto emergere questioni di diritto complesse, e dubbi tali da richiedere approfondite analisi e difficili interpretazioni dei testi normativi. La condizione postulata dall’art.185-bis (come introdotto dall’art.77 del Dl 21.6.2013 n.69 conv. nella l. 9.8.2013 n. 98) della esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, trova il suo fondamento logico nell’evidente dato comune che è meno arduo pervenire ad un accordo conciliativo o transattivo se il quadro normativo dentro il quale si muovono le richieste, le pretese e le articolazioni argomentative delle parti sia fin dall’inizio sufficientemente stabile, chiaro e in quanto tale prevedibile nell’esito applicativo che il Giudice ne dovrà fare. Anche la natura ed il valore della controversia in un accezione rapportata ai soggetti in causa, sono idonei a propiziare la formulazione di una proposta da parte del giudice ai sensi della norma citata. Trattandosi di norma processuale, in applicazione del principio tempus regit actum, è applicabile anche ai procedimenti già pendenti alla data della sua entrata in vigore. … Benché la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art.185-bis cpc debba essere motivata (le motivazioni dei provvedimenti sono funzionali alla loro impugnazione, e la proposta ovviamente non lo è, non avendo natura decisionale); tuttavia si indicano alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato. Alle parti si assegna termine fino alla data del … per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di tale proposta. Dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg. 15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. artt. 17 e 20 del decr.legisl. 4.3.2010 n. 28), della controversia in atto. Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire al giudice l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 e 96 III cpc».

[2] Il termine Fifo è un acronimo inglese di First In First Out (primo ad entrare, primo ad uscire). Meccanismo mutuato dal mondo aziendale è usato per la gestione del magazzino secondo cui le cause più vecchie vanno gestite per prime. Il termine ha origini informatiche ed esprime in ambito informatico il concetto di una  coda, ovvero la modalità di immagazzinamento di oggetti fisici in cui il primo oggetto introdotto è il primo ad uscire. La modalità Lifo (Last In-First Out: ultimo arrivato primo uscito) è alternativa alla Fifo in quanto è l’ultimo oggetto inserito ad essere estratto per primo; in questo modo l’ordine di uscita è invertito rispetto a quello di entrata.
Gli aziendalisti definiscono ironicamente Fish (First In, Still Here) la tecnica usata nelle pubbliche amministrazioni: la pratica più vecchia, cioè la prima entrata è ancora qui!