Introduzione
«Esistevano due procedure per riparare i torti, a quel tempo in Israele. La prima, il mishpat o giudizio, era una procedura a tre, analoga al processo che conosciamo: l’offeso che conduce l’offensore davanti ad un terzo imparziale, il giudice, affinché questi pronunci una condanna che valga a compensare il torto. L’immagine di questo tipo di giustizia è la bilancia, i cui piatti devono stare in equilibrio.
Questa procedura e questa giustizia valevano tra due nemici o, almeno, tra due estranei. Ma dove i contendenti fossero stati amici o fossero legati da un rapporto vitale (padre-figlio; marito-moglie, fratello-fratello, Dio e il popolo eletto…) era possibile lo scontro a due, il ryb, il litigio. Il ryb era uno scontro ma non mirava a distruggere l’avversario. Al contrario. Lo scopo era il componimento della controversia, la conclusione della contesa attraverso il riconoscimento del torto compiuto, il perdono e quindi la riconciliazione e la pace… L’immagine, invece che la bilancia da riequilibrare, potrebbe essere il nodo da riallacciare.»
G. Zagrebelsky, Il “crucifige!” e la democrazia, Torino, 1995, p. 25
Da molto tempo, almeno dalla seconda metà degli anni ‘90, Questione Giustizia guarda con attenzione e interesse a quella che Marco Bouchard definiva, in un bell’articolo del 1999 (cui ho rubato la citazione di apertura)[1], la «galassia delle tutele», cioè l’insieme di alternative alla giurisdizione ordinaria. Di tali alternative si era discusso, tra l’altro, proprio in quel 1999, in un lungimirante colloquio tenutosi a Parigi il 29-30 gennaio 1999 e organizzato da Medel, Magistrats Européen pour la Democratie et la Liberté, dal titolo «Per una nuova giustizia civile. La crisi di effettività della giustizia in Europa». La conclusione del dibattito era che «d) i modelli alternativi di risoluzione delle controversie (in senso lato) possono svolgere un ruolo importante nel superamento della crisi della giustizia civile, a condizione che lo stesso non si giochi tutto sul terreno della deflazione dei carichi giudiziari … ma punti sulla vera forza di quei modelli: l’essere una via pacifica, non autoritaria, coscientemente imboccata per la risoluzione condivisa dei conflitti, una via per garantire una soluzione che non abbia il suo baricentro nell’affermare il torto o la ragione secondo la legge ma che punti al recupero di una comunicazione interrotta dal conflitto e alla ricostruzione dei rapporti, divenendo così oltre che mezzo per risolvere (o evitare) la lite (in senso atecnico) un potente strumento di pacificazione sociale … f) la maggiore coscienza che si sta diffondendo nella società e tra i giuristi dell’importanza di una soluzione concordata dei conflitti pone alcune importanti questioni: f1) al giudice negli ordinamenti europei è solitamente demandato il compito di esperire un tentativo di conciliazione tra le parti; si affaccia oggi la domanda se il giudice debba espletare tale compito muovendosi all’interno dei confini tradizionali (aiuto alle parti nella ricerca di un’equa composizione degli interessi, controllo del rispetto dei limiti dell’ordine pubblico e del buon costume, riequilibrio dei rapporti di forza) oppure debba appropriarsi delle tecniche suggerite dalle scienze sociali attraverso un’apposita formazione; in altre parole ci si chiede oggi se il giudice possa svolgere il doppio ruolo di organo giurisdizionale e di conciliatore o mediatore, assai differenti tra di loro presupponendo il primo la logica binaria del diritto e muovendo l’altro verso il superamento di tale logica, insufficiente a comprendere la complessità sociale e umana, per andare alla ricerca delle ragioni che stanno dietro al conflitto e alla scoperta dei reali interessi perseguiti dalle parti; come ha osservato Jean, il giudice “deve delegare o ha bisogno lui stesso degli elementi tecnici necessari? Conviene non mescolare, evitare il juge prothée o il giudice terapeuta”; f2) il favore verso istanze non giurisdizionali di soluzione dei conflitti, lo sviluppo di modelli alternativi apre nuovi campi professionali (negoziatori, conciliatori, mediatori ma anche consulenti, informatori, gestori di istanze d’ascolto) sui quali si accentrano gli interessi delle tradizionali professioni giuridiche, in primo luogo avvocati, ma anche di psicologi, sociologi, operatori sociali; ciò crea il rischio di operazioni lobbistiche di conquista di questo nuovo mercato e pone in ogni caso seri problemi di formazione e selezione dei conciliatori/mediatori/negoziatori nonché di regolamentazione delle attività relative»[2].
Le questioni erano dunque già tutte sul tappeto. Sulle stesse abbiamo continuato a interrogarci nel corso degli anni e, poiché in tempi recenti l’attivismo del legislatore in questo settore è stato rilevante, abbiamo voluto iniziare il 2015 dedicando al tema un approfondito obiettivo.
Già il titolo – la risoluzione amichevole dei conflitti – è una scelta di campo, per rivolgere lo sguardo verso metodi di pacificazione, costruzione e ripresa della comunicazione, rafforzamento e continuazione di rapporti per il futuro, rifiutando una logica vuotamente efficientista di vasi comunicanti tra giurisdizione e meccanismi alternativi.
All’obbiettivo hanno contribuito teorici e pratici del diritto, professori, avvocati, magistrati, componendo, attraverso i diversi articoli, un quadro tendenzialmente completo degli strumenti a disposizione delle parti, dei punti di forza e delle criticità, delle prospettive. Tra le interessantissime esperienze che stanno maturando in tutta Italia, ne vengono presentate due, quella milanese di mediazione e conciliazione familiare dentro e fuori del processo e quella fiorentina di rinvio in mediazione. Un’attenzione particolare è riservata alle novità normative, dalla mediazione in appello al rinvio agli arbitri. Non manca lo sguardo all’Europa e ad un’esperienza straniera particolarmente significativa, quella francese.
Quel che emerge è l’insostenibilità di un sistema di Adr, autonomo e avulso dalla giurisdizione, a questa completamente alternativo. I modelli che funzionano in modo più efficace sono quelli che vedono l’intervento del giudice, o come conciliatore o mediatore all’interno o in limine litis o come propulsore della mediazione, attraverso l’uso del case management per selezionare i casi da avviare alla via conciliativa e quelli da avviare alla via contenziosa ordinaria e attraverso un rinvio che tende ad esser configurato dalla giurisprudenza in modo sempre più cogente per renderlo effettivo. La combinazione dei modelli contenziosi e dei modelli conciliativi configura un nuovo sistema in cui la Corte presenta all’utente della giustizia un’offerta multipla secondo la tipologia della controversia e le esigenze che ne sono sottese. La fiducia nel giudice e nelle sue indicazioni nella trattazione delle controversie ne resta motore vitale.
Viene poi riconfermata l’essenzialità del ruolo degli avvocati, senza i quali la mediazione non può avere un futuro, e che oggi possono offrire ai clienti in prima persona soluzioni graduate e varie, dal diritto collaborativo alla negoziazione assistita, all’assistenza nel rinvio in mediazione o all’arbitrato.
Emerge infine il problema del patrocinio ai non abbienti e della tendenziale necessità della sua estensione a fasi pre-contenziose finalizzate alla conciliazione della lite o a procedimenti alternativi alla giurisdizione, quali la negoziazione assistita. Come ha osservato Jean-Paul Jean nella relazione conclusiva del citato colloquio parigino, «l’essenziale è che il cittadino abbia sempre una scelta (sostenuta dallo Stato per i non abbienti) di una soluzione alternativa al processo (ascolto, consiglio, negoziazione) o di una soluzione contenziosa, l’una non escludente l’altra. È necessario diffondere l’informazione giuridica (avvocati, altri giuristi, associazioni … ), proporre un ventaglio di soluzioni. Attualmente, il ricco può scegliere tra negoziazione, arbitrato e contenzioso. Il povero non poteva che andare davanti al giudice con il patrocinio statale; adesso in Francia può anche ottenere un sostegno giuridico per una trattativa, essere assistito da un avvocato prima di adire il giudice per un tentativo di transazione».
Questo nel nostro Paese è un terreno ancora tutto da esplorare.
[1] Bouchard, La galassia delle tutele (ovvero la risoluzione dei conflitti dentro e fuori della giurisdizione), in questa Rivista, 1999, n. 4, ed. Franco Angeli.
[2] M.G. Civinini, La crisi di effettività della giustizia civile in Europa (a margine del colloquio di Medel del 29-30 gennaio 1999), in questa Rivista, 1999, n. 2, ed. Franco Angeli.