Magistratura democratica

(Ri)Alzare la testa per recuperare memoria

di Pasquale De Sena

Nel registrare come la lotta al terrorismo o, per altro verso, politiche imposte dalla crisi finanziaria ed economica mondiale abbiano compromesso alcuni diritti fondamentali, l’Autore rileva che la crisi dei diritti umani è in realtà espressione di un fenomeno profondo, che si manifesta nell’allontanamento progressivo da alcuni dei motivi sostanziali posti a fondamento del funzionamento del sistema internazionale di tutela dei diritti umani e nella sottovalutazione del legame tra le varie categorie di diritti.

1. Molto si discute della crisi dei diritti dell’uomo dal punto di vista della loro tutela giuridica internazionale. Il più delle volte si allude alla compressione cui diritti internazionalmente previsti sono stati sottoposti, in ragione della necessità di difendersi dal terrorismo, nel corso degli anni 2000. Si tratta, naturalmente, di un riferimento del tutto appropriato, se solo si pensa, per esempio, alla pratica delle “renditions”[1] o a quella delle “rassicurazioni diplomatiche”[2], entrambe oggetto di pronunce da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo[3]. Altrettanto appropriato è il riferimento che viene fatto alla crisi economico-finanziaria mondiale ed europea, allorché si segnala la compressione alla quale sono andati incontro taluni diritti, soprattutto a contenuto sociale, per effetto di siffatta congiuntura[4].

Tuttavia, la crisi di cui è oggi opportuno parlare in tema di diritti dell’uomo è di portata più significativa rispetto a quella che si ricollega alla questione del terrorismo internazionale o anche agli effetti sociali della crisi economica, in sé e per sé considerati. È un fenomeno profondo, che si manifesta, per un verso, nella dimenticanza del significato storico di certi principi in materia di diritti, e, per altro verso, nella sottovalutazione del legame ineludibile che sussiste fra diverse categorie di diritti, indipendentemente dal diverso regime di tutela per essi predisposto

 

 

2. Quanto al primo aspetto, vorrei qui ricordare, a titolo di esempio, un caso in tema di interpretazione della nozione di dignità umana, che, seppure un po’ risalente nel tempo, mi pare degno della massima attenzione, avendo dato luogo ad una pronuncia di una delle massime istituzioni giurisdizionali di questo Continente, quale la Corte di giustizia dell’Unione europea (all’epoca, Corte di giustizia ce). Si tratta del caso “Omega”[5], il quale prende avvio da un provvedimento adottato dal Sindaco di Bonn nel 1994, con cui  quest’ultimo aveva vietato alla società tedesca Omega – per motivi di ordine pubblico, in applicazione dell’art. 14 dell’“Ordnungsbehördengesetz Nordrhein-Westfalen” – di far praticare nel suo “laserdromo” di Bonn un gioco consistente nel «colpire deliberatamente uomini mediante raggi laser o altri strumenti tecnici (come, ad esempio, raggi infrarossi), nonché il cosiddetto “omicidio simulato”, sulla base della registrazione dei colpi mandati a segno».

A seguito di una molteplicità di ricorsi, proposti dalla società “Omega” contro questo provvedimento, la questione era giunta sino al Bundesverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo federale) che, uniformandosi alle decisioni precedentemente rese in proposito da altri tribunali, aveva concluso che il gioco suddetto – nella variante del “gioco ad uccidere” – dovesse considerarsi contrario al principio della dignità umana, consacrato dall’articolo 1 della Costituzione tedesca[6]. Nel contempo, il Bundesverwaltungsgericht chiedeva alla Corte di giustizia di verificare se tale soluzione, ancorché conforme al diritto tedesco, non risultasse tuttavia contraria, rispettivamente, ai principi comunitari della libertà di circolazione dei servizi e delle merci, previste dagli articoli 28 e 49 del Trattato Ce dell’epoca (rispettivamente, articoli 34 e 56 del Tfue). Esso domandava di accertare, cioè, se il divieto disposto dal Sindaco di Bonn non si fosse tradotto, sia in un limite alla libertà di operare in territorio tedesco per la società britannica (Pulsar) – con la quale la società Omega aveva concluso un contratto di franchising, riguardante appunto il gioco incriminato –, sia in un ostacolo, per la stessa  società Omega, ai fini dell’importazione, dal Regno Unito, di beni di equipaggiamento del suo “laserdromo” (in particolare, apparecchi laser da tiro), necessari allo svolgimento del gioco.

Alla questione in esame la Corte di giustizia ha risposto, confermando la decisione del Bundesverwaltungsgericht, in base alla quale il suddetto divieto doveva considerarsi giustificato, in quanto rispondente all’esigenza di tutelare il principio della dignità umana di cui all’articolo 1 del Grundgesetz. Più esattamente, dal punto di vista dell’(allora) ordinamento comunitario (oggi, ordinamento dell’Unione), questa fondamentale esigenza viene ritenuta riconducibile al rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, e, dunque, in grado di comprimere legittimamente anche libertà economiche fondamentali.

Ciò che è significativo notare ai nostri fini è che, pervenendo ad una simile conclusione, la Corte di giustizia ha fatto propria l’impostazione adottata dalla giurisdizione amministrativa tedesca; e cioè, l’idea che la dignità umana possa ritenersi violata, indipendentemente dal verificarsi di una violazione della dignità di un singolo individuo, anche quando il comportamento rilevante sia contrario alla concezione generalmente accettata della dignità medesima. Tale doveva ritenersi, a giudizio del Bundesverwaltungsgericht, la pratica del “gioco ad uccidere”, essendo idonea a rappresentare la degradazione di un individuo a mero strumento di un altro, e configurandosi, perciò stesso, come pratica contraria alla clausola generale di ordine pubblico, interpretata, a sua volta, alla luce della nozione di dignità, desumibile dall’articolo 1 del Grundgesetz.

È difficile peraltro non rilevare quanto sia lontana una simile interpretazione dall’idea che la dignità umana costituisca il limite che l’azione del pubblico potere non può oltrepassare, nel dispiegarsi a discapito di diritti ed interessi di singoli individuali; idea, quest’ultima sulla cui base si fonda l’intero edificio del Diritto internazionale dei diritti umani, così come questo nasce dall’esperienza della seconda guerra mondiale, in particolare dell’Olocausto. Dov’è infatti la compressione della sfera soggettiva dell’individuo da parte dell’autorità pubblica in un simile caso? Non è singolare, e non deve forse far riflettere, per contro, la circostanza che la dignità umana venga richiamata per “riempire” la clausola dell’ordine pubblico (da parte del Bundesverwaltungsgericht), secondo un’interpretazione che finisce per essere recepita dalla Corte di giustizia Ue, con effetti (almeno potenzialmente) per tutti gli Stati membri?

 

 

3. Il secondo esempio riguarda la sottovalutazione degli effetti profondi della compressione di alcuni diritti sociali, derivante dalla crisi economica mondiale ed europea. Di tale fenomeno hanno avuto modo di occuparsi, anche di recente, sia giurisdizioni nazionali[7], che organi di controllo sovranazionali[8]. Non è però né sugli esiti delle relative decisioni, né sulle logiche seguite per adottarle che è qui il caso di porre l’accento. Si tratta piuttosto di sottolineare i riflessi che la compressione di alcuni dei suddetti diritti, in particolare del diritto all’istruzione, è in grado di produrre anche sull’effettivo godimento di diritti politici tradizionali, fra i quali la libertà di manifestazione del pensiero o il diritto di voto.

Non vi è dubbio, infatti, che il diritto all’istruzione presenti una dimensione “civile e politica”, come risulta con chiarezza, sul piano giuridico-internazionale, dall’articolo 13 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. In tale disposizione (par. 1), si afferma anzitutto che l’istruzione costituisce mezzo di realizzazione del “sense of dignity” della personalità umana, presupposto per la partecipazione dell’individuo alla vita collettiva “in a free society”, strumento di promozione della reciproca comprensione fra diversi gruppi etnici, nazionali, razziali e religiosi; a ciò si aggiungono gli obblighi di garantire l’istruzione secondaria (par. 2, lettera b) e l’istruzione superiore (par. 2, lettera c) ad accesso gratuito, i quali, ben più dell’obbligo di garantire l’istruzione primaria, appaiono direttamente preordinati a concretizzare il diritto all’istruzione nella sua dimensione di presupposto fondamentale per l’esercizio di libertà civili e politiche. Seppure sprovvisti di efficacia precettiva immediata, i principi in questione sono tutt’altro che privi di efficacia precettiva, come risulta dal General Comment del Comitato dei diritti economici, sociali e culturali (Cdesc) Pdesc, nel quale si chiarisce che gli Stati hanno una «specific and continuing obligation to move as expeditiously and effectively as possible towards the full realization of article 13[9]».

Non vi è peraltro chi non veda che le politiche imposte dalla crisi finanziaria ed economica mondiale hanno fortemente compresso il diritto all’istruzione, con la stessa “complicità” di istituzioni internazionali, agenti peraltro nell’esercizio delle loro competenze. Sul piano globale, possono qui citarsi le misure di “condizionalità” adottate dalla Banca mondiale (che è un istituto specializzato delle Nazioni unite), già nel corso della prima metà degli anni 2000, nel contesto dell’aiuto finanziario concesso a Paesi in sviluppo; misure, nell’ambito della quali, a tacer d’altro, non è previsto alcun vincolo di destinazione delle risorse attribuite alla realizzazione progressiva di un sistema di istruzione secondaria e superiore ad accesso gratuito, come richiesto dall’articolo 13 del Patto[10]. Sul piano europeo, è appena il caso di accennare alle politiche con cui gli Stati dell’area euro hanno generalmente dato esecuzione alle prescrizioni in materia di bilancio, già contenute nel Patto di stabilità (poi rafforzate da un insieme di accordi internazionali, culminati nel cd. Fiscal Compact), ovvero, alle azioni imposte da accordi di prestito relativi a singoli Paesi della stessa area – quali Portogallo e Grecia – volte a realizzare il rispetto di dette prescrizioni. Tali politiche ed azioni, nella misura in cui hanno implicato una regressione (meglio dire, forse, un’inversione) del processo di generalizzazione dell’accesso gratuito all’istruzione secondaria e superiore, sono senz’altro in contrasto con l’articolo 13 del Patto (di cui gli Stati coinvolti sono parti), in particolare con la dimensione civile e politica del diritto all’istruzione, ricavabile da tale disposizione.

 

 

4. Solo apparentemente, i casi appena segnalati, pur essendo distanti sul piano dei diritti e dei valori che ne costituiscono oggetto, possono esser considerati come  distanti fra di loro (perlomeno) da un importante punto di vista. Sia pure per ragioni diverse, essi sono infatti espressione di un progressivo allontanamento da alcuni dei motivi sostanziali, di fondo, del sistema internazionale di tutela internazionale dei diritti umani. Di tali motivi si è già detto poc’anzi con riguardo alla vicenda della nozione della dignità umana nell’ambito del caso “Omega”. Qualcosa di simile è accaduto anche con riferimento al diritto all’istruzione, irrinunciabile – ancorché, spesso trascurato – presupposto del godimento di libertà civili e politiche. Si può senz’altro osservare che la previsione dell’articolo 13, nel disporre la progressiva realizzazione di un sistema di accesso gratuito all’istruzione secondaria e superiore, si riconnette a una vicenda politico-economica largamente esaurita sul piano storico, quale quella dello stato sociale. È però difficile negare che il suddetto principio è, non solo propedeutico alla realizzazione dell’uguaglianza sostanziale (ciò che attiene alla dimensione sociale del diritto all’istruzione), ma anche, per l’appunto, all’effettivo (=consapevole) esercizio della libertà di manifestazione o del diritto di voto. Ed è, dunque, altrettanto difficile negare che esso (principio), pur concernendo apparentemente solo un diritto “sociale”, costituisce, in realtà, la naturale evoluzione della stessa tradizione dei diritti civili e politici appena menzionati. Da questa tradizione gli sviluppi accennati sono, invece, ben più lontani di quanto appaiano

Molti sono naturalmente gli esempi che si potrebbero ancora indicare, a proposito del progressivo allontanamento dalle radici di fondo del fenomeno della tutela internazionale dei diritti dell’uomo, così come questo si è manifestato a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale. Basti solo pensare alla latitanza, nel quadro generale del dibattito seguito all’orribile attentato a Charlie Hebdo, della considerazione secondo la quale “il senso” più “profondo della libertà di espressione risiede nella tutela del debole che critica il potere”[11], come si desume facilmente dalla pregressa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo[12]. Considerazione, quest’ultima, che, se fosse stata diffusamente presente, avrebbe fatto probabilmente emergere un maggior livello di consapevolezza sul punto – evidentemente cruciale – del significato della libertà di espressione in società plurietniche e a forte tasso di disuguaglianza.

Quanto appena posto in risalto riguarda non solo gli operatori del diritto, ma soprattutto i decisori politici, la stampa e la stessa opinione pubblica. Né è qui possibile, neppure in forma di accenno, sviluppare discorsi  in relazione al ruolo che i suddetti operatori potrebbero svolgere per contribuire al recupero, ancorché critico, della memoria dei motivi di fondo del fenomeno della tutela giuridica internazionale dei diritti umani. In ogni caso, ... (ri)alzare la testa al fine di recuperare siffatta memoria – come hanno fatto, per esempio, di recente, il Tribunale di Firenze, e poi la Corte costituzionale italiana, con la sentenza 238/2014, affermando la prevalenza del diritto di accesso a un giudice sulla disciplina internazionalistica in tema di immunità degli Stati[13] – è senza dubbio indispensabile.

[*] Lo scritto qui pubblicato è frutto di un dialogo tra l’Autore, Vincenzo Ferrone e Vladimiro Zagrebelsky svoltosi il 29 gennaio 2015, in Roma, nella sede della Fondazione Lelio e Lisli  Basso (Isocco) della cui cortese ospitalità si desidera ringraziare la presidente Elena Paciotti (NdR).

[1] V. El-Masri v. the Former Yugoslav Republic of Macedonia, sentenza del 13 dicembre 2012 (http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-115621#{“itemid”:[“001-115621”]}).

[2] V. Saadi v. Italy, sentenza del 28 febbraio 2015 (http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-85276#{“itemid”:[“001-85276”]}).

[3] V. note precedenti.

[4] V., ad es., i contributi di G. Adinolfi, A. Viterbo, F. Costamagna, N. Napoletano e M. Fasciglione, contenuti nella sezione Crisi economico-finanziarie e tutela dei diritti umani (a cura di Nicola Napoletano), in Diritti umani e diritto internazionale, 201, pp. 319-450.

[5] Omega Spielhallen- und Automatenaufstellungs-GmbH c.Oberbürgermeisterin der Bundesstadt Bonn, sentenza del 14 ottobre 2004 (http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=49221&doclang=IT).

[6] Ivi, paragrafi 3 ss.

[7] Si veda, ad es., l’“Acórdão” n. 187/2013, del 5 aprile 2013, reso dal Tribunal constitucional portoghese (Diário da República, 1ª série – n. 78 – 22 aprile 2013, p. 2328 ss.), in ordine alla compatibilità rispetto a principi costituzionali fondamentali di alcune misure comprese nel bilancio dello Stato del 2013, in esecuzione di impegni internazionali assunti dallo Stato in cambio di aiuti finanziari (R. Cisotta, D. Gallo, Il Tribunale costituzionale portoghese, i risvolti sociali delle misure di austerità ed il rispetto dei vincoli internazionali ed europei, in Diritti umani e diritto internazionale, 2013, p. 465 ss.).

[8] Si tratta delle decisioni rese dal Comitato europeo dei diritti sociali sui reclami collettivi di alcuni sindacati greci contro misure di politica economica adottate in Grecia : v., anche per i riferimenti, L. Mola, Le “misure di austerità” adottate dalla Grecia davanti al Comitato europeo dei diritti sociali, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, p. 419 ss.

[9] General Comment No. 13, UN DOC E/C.12/1999/10 dell’8 dicembre 1999, par. 44 (www.refworld.org/docid/4538838c22.html).

[10] Mi permetto di rinviare a P. De Sena, Banca mondiale, diritto all’istruzione e Patto sui diritti economici,  sociali  e culturali, in N. Boschiero, R. Luzzatto (a cura di) I rapporti economici internazionali e l’evoluzione del loro regime giuridico (XII Convegno della Società italiana di diritto internazionale), Napoli, 2008, p. 123 ss., pp. 130-134.

[11] Così, giustamente, L. Pasquet  “Alcuni pensieri su «Charlie Hebdo», la libertà d’espressione e le leggi liberticide”, in SIDIBlog (18 gennaio 2015): www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=1259.

[12] V., per esempio, le decisioni citate la L. Pasquet.

[13] Sentenza del 23 ottobre 2014, n. 238, Pres. e relatore, Tesauro (www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=238).