Il giudice ed il precedente
Dopo aver posto alcune premesse, l’Autore rileva che è lo stesso ordinamento – nell’attribuire alla Corte di cassazione il compito di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» – a riconoscere che, di una stessa disposizione possono essere date più interpretazioni; di qui, il rischio di imprevedibilità delle decisioni. L’Autore prende allora in considerazione le «ragioni del cambiamento» e le «ragioni della stabilità», evidenziando come entrambe rispondano ad esigenze di rilievo costituzionale, soffermandosi, infine, sugli strumenti ordinamentali che possono garantire il delicato punto di equilibrio che la giurisdizione deve riuscire ad individuare.
Una premessa
Il tema del precedente giudiziario, fra i più discussi negli ultimi anni, coniuga un rilevantissimo interesse pratico ed una riflessione teorica, molto complessa, che incrocia altri temi fondamentali, a cominciare da cosa deve intendersi per giurisprudenza. Uno dei molteplici significati del termine “giurisprudenza”, come scrisse Gino Gorla[1] e come mostra d’intendere il legislatore ad es. nell’articolo 360-bis, cpc, è quello di “precedenti”. Ma anche quando non si relazionano come sinonimi, il nesso tra giurisprudenza e precedenti è tra i più densi di implicazioni e conduce alle questioni cruciali della funzione e dei limiti della giurisprudenza, del rapporto tra legge e giurisdizione[2]. Questo breve intervento non potrà esaminare problemi di dimensioni così ampie, li sfiorerà in un’ottica specifica: dare conto di come in concreto un giudice si pone dinanzi ai precedenti.
1. Common law e civil law>
La riflessione, per quanto così delimitata, deve partire dal chiedersi cosa si intende per precedente giudiziale. La risposta cambia a seconda dell’ambiente in cui si opera. Si suole distinguere tra common law e civil law, o comunque tra sistemi in cui la creazione del diritto è fondamentalmente giurisprudenziale e sistemi in cui è fondamentalmente legislativa. I due mondi tendono ormai da molti anni a convergere e sovrapporsi, ma i tratti di fondo della distinzione permangono[3].
In Inghilterra, negli Stati uniti e negli altri Paesi di common law, la regola per definire una controversia si ricerca prioritariamente non nella legge, ma nella decisione di un caso precedente. Il metodo di lavoro del giudice è la riconduzione di un caso ad un altro, scandagliando somiglianze e differenze. Individuato il caso identico o simile, la decisione adottata in precedenza ha carattere vincolante, in base alla regola dello stare decisis[4]. La parte propriamente vincolante di una precedente decisione è la sua ratio decidendi, ed è distinta dalle affermazioni incidentali dei giudici, gli obiter dicta, che non sono vincolanti. La ratio decidendi di un caso non viene determinata dai giudici che decidono il caso, ma è identificata dai giudici successivi, i quali devono stabilire se la decisione costituisce oppure no un precedente, esaminando comparativamente i fatti oggetto dei due casi: se sono diversi essi “distinguono” il caso anteriore, che non costituisce pertanto un precedente[5].
Nel nostro sistema invece il giudice cerca prima di tutto quale legge regoli la materia, poi passa ad esaminare la giurisprudenza che si è formata sul tema. Giurisprudenza intesa come precedenti elaborati in sede di interpretazione della legge da applicare per decidere la controversia[6].
2. Principio di diritto e precedente
In questo quadro hanno particolare rilievo i precedenti della Corte di cassazione[7], che, ai sensi dell’articolo384 cpc, «quando decide il ricorso proposto a norma dell’articolo360, primo comma n. 3, e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza” deve enunciare il “principio di diritto»[8].
Non è possibile addentrarsi nella complessa materia, ma appaiono necessarie due precisazioni.
Nel principio di diritto si indica la ratio decidendi e si sintetizza l’interpretazione della legge operata dalla Corte. È una specificazione della formula legislativa scaturente dall’incontro tra norma e fatti. Specificazione formulata in un testo, a sua volta da interpretare.
Nonostante il rilievo sempre maggiore che il legislatore italiano ha conferito al principio di diritto, il precedente rimane tuttavia un insieme di fatto e diritto (risoluzione di questioni giuridiche ad esso inerenti)[9]. Il fatto oggetto della decisione conserva sempre un grande rilievo per la comprensione della soluzione adottata e, pertanto, nello studio dei precedenti non dovrebbe essere pretermesso ma adeguatamente considerato[10].
3. Valore del precedente nell’ordinamento italiano
Fatte queste precisazioni, certo non esaustive di una problematica sconfinata, si può affrontare il tema, cruciale, del grado di vincolatività del precedente giudiziario nel sistema giuridico italiano.
In realtà solo in un caso il giudice è tenuto a conformarsi al precedente. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 384 cpc, la Corte di cassazione, «quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte». Se il giudice di merito destinatario del rinvio non si uniforma, la sua sentenza potrà essere impugnata in Cassazione. La vincolatività è piena, salvo che non intervengano fattori nuovi con efficacia terminativa sul vincolo[11].
Questa è l’unica ipotesi in cui vi è un preciso obbligo di uniformarsi alla pronuncia della Cassazione, che, a ben riflettere, non costituisce un precedente ma un’altra fase della decisione del medesimo caso.
Quanto vale invece un precedente della Corte di cassazione o di altri giudici per la decisione di altri processi?
Nel nostro sistema il giudice è soggetto soltanto alla legge. La Costituzione gli riconosce indipendenza ed autonomia nell’applicazione della legge, garantendo così, fra l’altro, la possibilità del diritto di evolversi come diritto pretorio. Il giudice non può essere sanzionato per il fatto di non essersi uniformato ad un precedente e il suo provvedimento non può essere impugnato, e tanto meno annullato, per il fatto in sé che non sia conforme ad un precedente.
Tuttavia, un sistema non si tiene solo con obblighi e sanzioni. Il precedente, sebbene non abbia efficacia vincolante, ha un sua valenza e rilevanza. Si è parlato di “efficacia persuasiva”, alcuni autori preferiscono dire “efficacia morale”[12], da ultimo si è parlato di “precedente influente”[13].
4. Autorevolezza del precedente
Pur in assenza di un obbligo di conformazione, vi è un’innegabile influenza del precedente autorevole. Autorevolezza che può derivare da un complesso di elementi, estrinseci o intrinseci.
Quelli estrinseci concernono il giudice che lo ha emesso. Ponendo da parte le sentenze che possono incidere direttamente sulle previsioni legislative, come quelle della Corte costituzionale o della Corte di giustizia dell’Unione europea, è indubbio che, di massima, l’autorevolezza cresce in relazione alla posizione del giudice nell’ordine giudiziario e che le decisioni della Corte di cassazione hanno una particolare valenza come guida nell’interpretazione della legge, in quanto provengono dall’organo funzionalmente preposto alla nomofilachia e collocato al vertice del sistema delle impugnazioni.
Gli elementi intrinseci attengono alla qualità della motivazione del provvedimento che forma il precedente: il grado di persuasività degli argomenti, la sua chiarezza e linearità[14].
Alla stregua di questi fattori una decisione, pur non essendo vincolante per i giudici che dovranno affrontare casi identici o simili, ha peso e rilievo e il nuovo giudice non potrà non tenerne conto. Egli, nel decidere, deve interpretare ed applicare al caso concreto le disposizioni di legge. Se queste disposizioni sono state già interpretate ed applicate da altri giudici in casi identici o simili, e se in particolare questa operazione è stata fatta dalla Corte di legittimità, il giudice non potrà prescinderne. Può essere che la soluzione adottata non lo convinca, in tal caso dovrà scegliere se adeguarsi o discostarsi dai precedenti; lo farà comparando le ragioni dell’innovazione con le ragioni dei precedenti. Nel caso si discosti dovrà specificare le ragioni della sua scelta[15]. In un certo senso, anche l’innovazione si fonda sui precedenti.
5. Le ragioni del cambiamento
Le ragioni del cambiamento possono essere di varia natura. Può essere emerso, magari a seguito delle osservazioni critiche della dottrina, che la decisione precedente non fosse convincente e fosse necessario correggerla.
Può invece essere accaduto qualcosa di più complesso: era corretto interpretare in un certo modo una disposizione all’epoca in cui si formò il precedente, ma questa valutazione è cambiata. Il fattore tempo incide sul rapporto tra disposizione e norma[16].
A volte il cambiamento è reso necessario dal fatto che, pur essendo rimasto immutato il testo della specifica disposizione da applicare, sono state introdotte o modificate altre disposizioni, determinando una trasformazione del contesto normativo tale da rendere necessaria una nuova interpretazione sistematica[17].
Altre volte può essere mutato il contesto culturale e sociale in cui la disposizione opera, specie se utilizza concetti ampi e fortemente sensibili alla trasformazione dei costumi, dei valori o delle tecniche[18].
L’ordinamento deve lasciare spazio all’evoluzione della giurisprudenza. Ma le ragioni per il cambiamento devono essere forti, consapevoli e convincenti. Devono essere in grado di prevalere sulle ragioni della stabilità, che sono a loro volta importanti e hanno implicazioni di ordine costituzionale.
6. Le ragioni della stabilità
Una prima ragione si fonda sulla tutela dell’affidamento. Se una persona sa che in una determinata situazione vale una certa regola adeguerà i suoi comportamenti. Facendo affidamento sui precedenti vengono compiuti atti e attività. Il mutamento di giurisprudenza colpisce, con invalidità degli atti o forme di responsabilità, chi avendovi fatto affidamento è ora parte soccombente nel giudizio che porta alla nuova decisione. Ma il cambiamento probabilmente colpirà anche altre persone che nel frattempo, prima delle nuove decisioni, hanno compiuto un simile atto o tenuto un determinato comportamento[19].
Nella stessa ottica, in più recenti riflessioni, si è posto il tema della calcolabilità giuridica[20], o quanto meno della ragionevole prevedibilità. In generale, ogni persona ha diritto di sapere a priori quali saranno le conseguenze giuridiche delle sue scelte e dei suoi comportamenti. In proiezione giudiziale, colui che inizia un giudizio ed investe le sue risorse, impegnando al tempo stesso risorse del sistema giustizia, deve poter calcolare, o quanto meno, ragionevolmente prevedere l’esito della controversia. La ragionevole prevedibilità della soluzione di un giudizio è una componente, non secondaria, del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Essa inoltre inducendo a rinunciare a giudizi il cui esito prevedibile è negativo, si riflette sul sistema giustizia evitando inutili appesantimenti e, di conseguenza, si riflette sugli altri giudizi che, meno numerosi potranno essere trattati con maggiore attenzione e rapidità. In ultima analisi, vi è un nesso tra ragionevole prevedibilità e i principi del giusto processo e della sua ragionevole durata[21].
Una distinta e fondamentale ragione si fonda sul principio di uguaglianza. Uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge significa anche uguaglianza dinanzi alle interpretazioni della legge, uguaglianza di trattamento in sede giurisdizionale[22].
Non è stata mai modificata la norma fondamentale dell’ordinamento giudiziario in base alla quale la Corte di cassazione «assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge». Utilizzando questa duplice espressione il legislatore mostra di essere consapevole che di una disposizione a volte possono essere date ragionevolmente più interpretazioni. Se fosse stato convinto che l’interpretazione esatta è necessariamente unica, avrebbe parlato solo di esattezza dell’interpretazione[23]. La duplicazione delle espressioni e dei concetti indica che, anche nelle ipotesi in cui sia possibile più di una soluzione ermeneutica, deve comunque essere garantita l’uniformità dell’interpretazione, all’evidente fine di evitare che, con argomenti analogamente persuasivi, siano date risposte diverse in giudizi su casi simili. L’ordinamento affida alla Corte di cassazione il compito di garantire questa declinazione del principio costituzionale di uguaglianza: i suoi precedenti hanno pertanto anche questa particolare valenza. Ma in generale il sistema giudiziario, in tutte le sue articolazioni, deve muoversi in questo senso[24]. Un sistema per definizione deve dare risposte coerenti tra loro.
L’ordinamento giuridico deve dare alle domande di giustizia dei cittadini risposte unitarie e coerenti tra loro. Stabilità e coerenza devono essere prioritariamente garantite. Mutamenti di giurisprudenza possono allora giustificarsi solo per ragioni gravi, così pesanti da controbilanciare e prevalere su esigenze rispondenti a principi di ordine costituzionale.
7. Coerenza e prevedibilità
Tutto ciò è sempre stato, ma forse oggi se ne sente maggiormente la necessità. Lo stesso intensificarsi del dibattito dottrinale sul tema del precedente è un indice di questa particolare sensibilità.
La riflessione giuridica risente naturalmente di dinamiche culturali e sociali più ampie, che oggi registrano un sentimento di perdita e spaesamento, che si tende ad affrontare guardando al passato, ricercando continuità in luogo di fratture[25]. Persino nella psicoanalisi si riscopre il valore di concetti come quello di “eredità”[26], una declinazione, in fondo, del concetto di precedente.
Probabilmente vi è un rapporto tra complessità del sistema normativo ed esigenze di coerenza e affidabilità giurisprudenziale. Quanto più aumentano articolazione e disordine del quadro normativo tanto più si percepisce l’esigenza di una giurisprudenza che sia in grado di ricucire le maglie della rete, di ridurre le aporie, di dare senso e coerenza al sistema. In analoga misura, più aumenta il soggettivismo dei giudici, il loro proporsi come monadi autoreferenziali, tanto più è sentita l’esigenza di una risposta convergente e coerente alla domanda di giustizia.
E se questo è vero in generale, lo è ancor di più con riferimento alle regole processuali. Il processo è il luogo in cui più che mai deve essere garantita l’esigenza di certezza e stabilità delle regole del gioco[27].
8. Riforme del giudizio di legittimità e valore del precedente
Di tutto ciò il legislatore sembra essere consapevole. Pur con alcune oscillazioni ed incongruenze, negli ultimi sviluppi della disciplina processuale emerge la ricerca di meccanismi che incentivino e garantiscano la coerenza, l’uniformità e la prevedibilità delle risposte alla domanda di giustizia.
8.1. Precedente e motivazione
Nella motivazione delle decisioni si sollecita il richiamo dei precedenti conformi. L’articolo 118 disp. att., cpc, novellato nel 2009[28], nel fissare le regole della motivazione della sentenza, richiede l’esposizione «dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi». L’articolo 348-ter cpc, introdotto nel 2012[29], nel disciplinare l’ordinanza di inammissibilità dell’appello che non ha ragionevole probabilità di essere accolto, invita il giudice a fare «riferimento a precedenti conformi». In entrambi i casi la scelta del legislatore è finalizzata ad ottenere una maggiore concisione nella motivazione dei provvedimenti, ma anche a sollecitare il giudice a dare conto della collocazione della nuova decisione rispetto ai precedenti e quindi della coerenza della risposta del sistema giudiziario in casi identici o simili.
8.2. Precedente e interpretazione dei contratti collettivi
Si predispongono meccanismi volti ad accelerare la formazione di un precedente autorevole che possa guidare la decisione del caso in esame e di una pluralità di casi simili, saltando l’ordinaria sequenza delle impugnazioni. L’articolo 420-bis, cpc, introdotto nel 2006[30], prevede la possibilità per il giudice di primo grado, qualora per decidere una controversia si debba interpretate una clausola di un contratto collettivo nazionale, di andare subito alla decisione, emanando una sentenza sulla questione pregiudiziale, impugnabile direttamente con ricorso per Cassazione (sentenza «impugnabile soltanto con ricorso immediato in Cassazione»)[31]. La pronuncia della Cassazione avrà efficacia vincolante nello specifico processo, perché il giudice del merito al quale ritornerà la causa dovrà decidere conformandosi alla soluzione del problema interpretativo (o di efficacia o invalidità) adottata dalla Cassazione, ma si rifletterà anche su altri processi in cui la questione si riproponga. In base al combinato disposto dell’articolo 420-bis cpc e dell’articolo 64 d.lgs n. 165/2001, le sezioni unite hanno infatti affermato che «la sentenza della Corte resa sulla questione pregiudiziale reca, per i giudici di merito diversi da quello che ha pronunciato la sentenza impugnata in Cassazione, un vincolo procedurale, nel senso che costoro, ove non intendano uniformarsi alla pronuncia della Corte, devono provvedere, ma con sentenza emessa ai sensi dell’articolo 420-bis cpc, in modo da consentire alle parti il ricorso immediato e la verifica, da parte del giudice di legittimità, della correttezza della diversa opzione interpretativa seguita»[32].
8.3. Precedenti e ammissibilità del ricorso per Cassazione
Ancor più indicative della tendenza a dare rilievo al precedente e a curarne con particolare attenzione l’elaborazione, sono le riforme sull’accesso e sui percorsi del giudizio di legittimità.
L’accesso è regolato oggi da una normativa introdotta nel 2009 e ricalibrata nel 2016[33], che ha istituito una “apposita sezione” (articolo 376 cpc), poi denominata sesta sezione civile, con il compito di filtrare i ricorsi valutandone, con la maggiore rapidità possibile, ammissibilità, proponibilità, manifesta fondatezza o infondatezza. La sesta sezione decide con rito camerale che si conclude con una ordinanza. Nell’ambito di tale nuovo assetto organizzativo della Corte è stato introdotto l’articolo 360-bis, cpc[34], intitolato «Inammissibilità del ricorso», il cui punto n. 1 così dispone: Il ricorso è inammissibile «quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa»[35].
In questo modo si affida alla sesta sezione della Corte una valutazione articolata in due passaggi. Il primo consiste nel confronto tra la soluzione adottata dal giudice che ha emesso il provvedimento impugnato e i precedenti (la “giurisprudenza”) della Corte di cassazione. Se la soluzione adottata dal giudice di merito è conforme alla giurisprudenza della Cassazione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, salvo l’esito di un secondo passaggio, concernente la valutazione degli elementi offerti dal ricorrente per indurre la Corte a mutare il suo orientamento. Qualora il ricorso offra alla Corte elementi per un ripensamento, dovrà essere deciso secondo il percorso ordinario del giudizio di legittimità.
Il legislatore quindi sollecita la Corte a focalizzare con precisione i suoi precedenti e a metterli a confronto con le ragioni della innovazione. I precedenti non sono vincolanti ed eventuali modifiche di orientamento sono sicuramente possibili. Tuttavia, le innovazioni devono essere attentamente soppesate e non possono essere operate saltando il confronto con i precedenti e senza un’adeguata motivazione.
8.4. Differenziazione dei percorsi ed elaborazione dei precedenti
Uno sviluppo di questi cambiamenti si è avuto con la riforma del 2016[36], che in questa sede rileva nella parte in cui ha distinto i percorsi dei giudizio di Cassazione, estendendo l’ambito del rito camerale e circoscrivendo il giudizio in pubblica udienza ai ricorsi che pongono questioni di diritto di particolare rilevanza.
La ratio della scelta è – a fronte di un contenzioso di eccezionali dimensioni che porta in Cassazione circa trentamila ricorsi civili ogni anno – di differenziare e proporzionare l’impegno della Corte, concentrandolo in modo particolare nella cura dei giudizi che affrontano questioni di diritto di particolare rilevanza e quindi portano a decisioni destinate a divenire “precedenti” per giudizi futuri[37].
8.5. Precedenti delle sezioni unite
Nella logica di stabilizzare e rendere coerente la giurisprudenza della Corte si colloca infine la modifica del rapporto tra sezioni semplici e sezioni unite operata con la revisione dell’articolo 374 cpc, il cui nuovo testo così dispone al terzo comma: «Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso».
Senza introdurre un obbligo delle sezioni semplici di conformarsi alle sezioni unite, si è pertanto stabilito che, in caso di dissenso, la sezione semplice deve rimettere nuovamente la decisione alle sezioni unite. La scelta di modificare un orientamento assunto dalla Corte a sezioni unite spetta esclusivamente alle stesse sezioni unite[38].
Non sono previste sanzioni per la violazione della regola, ma se una sezione semplice dovesse esprimere un orientamento difforme dalle sezioni unite senza seguire la via tracciata dal codice, il precedente così creato risulterebbe fortemente indebolito quanto alla sua autorevolezza.
La regola, introdotta per le sezioni unite civili, tende a generalizzarsi: vale anche per la giustizia amministrativa e contabile[39] e, da ultimo è stata estesa anche alle sezioni unite penali: l’articolo 618, comma 1-bis cpp, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, dispone: «Se una sezione della Corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalla sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso». Il testo è del tutto analogo a quello dell’articolo 374 cpc, salvo il fatto che in materia penale non si richiede espressamente che l’ordinanza sia motivata, motivazione che, comunque, il provvedimento della sezione semplice non dovrebbe omettere.
L’ordinamento tende quindi, alla ricerca di coerenza e ponderazione, ad affermare il principio per il quale all’interno della Corte di cassazione, penale e civile, nonché del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il dissenso delle sezioni semplici deve essere motivato è deve esprimersi non direttamente, ma mediante la richiesta di un nuovo intervento delle sezioni unite o della adunanza plenaria, il che accentua fortemente l’autorevolezza dei relativi precedenti.
In conclusione
In conclusione, gli sviluppi normativi dell’ultimo decennio appaiono orientati ad incrementare il peso del precedente in generale e dei precedenti delle sezioni unite in particolare. Questo spostamento non giunge mai ad intaccare il principio della soggezione del giudice solo alla legge. Non si prevedono meccanismi di caducazione del provvedimento giudiziario emesso in contrasto con un precedente, neanche nel caso in cui il precedente sia della sezioni unite. Vengono garantiti il dissenso e l’evoluzione della giurisprudenza, la correzione, il ripensamento o l’innovazione dei suoi orientamenti. Ma dissenso e cambiamento devono seguire percorsi predeterminati dall’ordinamento; devono essere motivati e fondati su elementi idonei a giustificare il mutamento di indirizzo: elementi così convincenti da far prevalere le ragioni del cambiamento rispetto alla tutela dell’affidamento ed al diritto dei cittadini ad essere uguali dinanzi all’interpretazione della legge, ad avere un uguale trattamento giurisdizionale. Il bilanciamento e il contemperamento di questi valori, è rimesso dal legislatore alla giurisprudenza, da intendersi, qui più che mai, come prudenza dei giudici.
[1] G. Gorla, voce: “Giurisprudenza”, in Enc. Dir., vol. XIX, Milano, 1970, p. 489, nonché voce: “Precedente giudiziale”, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXIII, Roma, 1990.
[2] Sul tema, anche per un quadro aggiornato dei riferimenti bibliografici, si rinvia a Lipari, Il diritto civile tra legge e diritto, Milano, 2017, sul quale D. Dalfino, Giurisprudenza creativa e prevedibilità del diritto giurisprudenziale, in corso di pubblicazione in Giust.proc.civ.
[3] Uno studioso statunitense ha affermato: «Benché quello della convergenza sia il modo di vedere più sofisticato al giorno d’oggi, sarebbe bene che non lo fosse troppo. In quanto nello stile, nel tono, negli atteggiamenti e persino, in buona misura, nella struttura formale, i sistemi di common law differiscono in maniera significativa da quelli di civil law» (Schauer, Thinking Like a Lawyer. A New Introduction to Legal Reasoning, Harvard College, 2009, trad. it. Il ragionamento giuridico. Una nuova introduzione, Roma, 2016, p. 156).
[4] Cfr., anche per ulteriori richiami, H. J. Merryman (voce: Common law (paesi di), III, Diritto degli Stati Uniti d’America, in Enc. Giur. Treccani, vol. VII, Roma, 1990), il quale sottolinea che «Lo stare decisis può essere inteso sia come una regola giuridica vera e propria in virtù della quale i giudici sono tenuti a seguire i precedenti giudiziali, sia come un principio di policy (dettato, cioè, da ragioni di giustizia e di convenienza, epperò privo di uno specifico rilievo normativo), per cui casi simili dovrebbero essere decisi nello stesso modo».
P. Stein, Common law (paesi di), I) Diritto inglese, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1990, vol. VII) afferma che la regola ha una declinazione particolarmente rigorosa nell’esperienza inglese, ma ricorda che nel 1966 la House of Lords annunciò che in casi eccezionali si sarebbe discostata dalle proprie precedenti decisioni, ove avesse ritenuto giusto farlo. Più ampia la possibilità di deroga nel diritto statunitense: H. J. Merryman, op. loc. cit., afferma che «nell’esperienza statunitense i giudici considerano lo stare decisis più come un principio di policy che come una regola di diritto. Riconoscono i vantaggi derivanti dall’affidamento fatto sui precedenti a fini di stabilità e prevedibilità del diritto, nonché di efficienza dell’amministrazione della giustizia. Ma, là dove si presentano ragioni sostanziali che giustificano una soluzione diversa, il precedente può essere distinto, modificato o, meno frequentemente, eliminato (overulled)» … sicché per i giuristi nord-americani, rappresenta un’esagerazione parlare di «precedente strettamente vincolante (binding precedent)».
[5] P. Stein, op. loc. cit.
[6] Ancora F. Schauer, op. loc. cit.: «I giudici rimangono figure assai più centrali nel sistema di common law di quanto non siano nei Paesi a diritto codificato, e trattare il codice anziché il caso come l’elemento fondamentale per l’argomentazione giuridica rimane la caratteristica principale dello spirito del civil law. Sebbene sussista una grande sovrapposizione e una notevole convergenza tra common law e civil law, v’è ancora più di un grano di verità nell’osservazione che il diritto di tradizione romanistica è sostanzialmente incentrato sui codici, mentre il common law continua ad essere sostanzialmente incentrato sui giudici».
[7] Per un inquadramento generale del tema, cfr. G. Amoroso, La Corte di cassazione e il precedente, in M. Acierno, P. Curzio, A. Giusti, La Cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana, II ed., Bari, 2015, pp. 47 ss.
[8] Il principio di diritto, ai sensi dell’articolo 363, terzo comma, cpc, «può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza», In tal caso, la pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito (quarto comma).
Ancora, ai sensi dei primi due commi della medesima disposizione, «Quando le parti non abbiano proposto ricorso nei termini di legge o vi abbiano rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in Cassazione e non è altrimenti impugnabile, il procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi» (primo comma). «La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza» (secondo comma).
Principi analoghi valgono per la giustizia amministrativa: il quinto comma dell’articolo 99 cpa stabilisce: «Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l’adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. In tali casi la pronuncia dell’adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato».
[9] Sul rapporto tra precedente e principio di diritto cfr., A. Proto Pisani, Il precedente nella giurisprudenza, in Foro it., 2017, V, pp. 277 e ss., specie par. 2.
[10] Sul rapporto tra presupposti di fatto e principio di diritto, cfr. M. Morelli, L’enunciazione del principio di diritto, in M. Acierno, P. Curzio, A. Giusti, La Cassazione civile, cit., pp. 425 e ss.
[11] Per un’analitica esposizione di questi fattori, cfr. M. Morelli, op. cit., pp. 426 e ss.
[12] G. Gorla, op. loc. ult. cit.
[13] A. Proto Pisani, Il precedente nella giurisprudenza, cit., par. 3.
[14] Sull’autorevolezza del precedente incide anche il rapporto tra concisione e qualità della decisione. «La concisione della esposizione dei fatti rilevanti, delle norme e dei principi giuridici applicati, rende in modo più sicuro percepibili le ragioni di fondo della decisione. Non è solo questione di stile, è segno di un modo non esoterico ma democratico di esercizio della funzione» (P. Vittoria, La motivazione della sentenza tra esigenze di celerità e giusto processo, in M. Acierno, P. Curzio, A. Giusti, La Cassazione civile, cit., p. 466).
[15] M. Taruffo, Aspetti del precedente giudiziale, in Criminalia, 2014, pp. 50 e ss, afferma che «il giudice è obbligato a giustificare adeguatamente la sua decisione quando sceglie di non uniformarsi al precedente.»
[16] Su questo rapporto, cfr. P. Grossi, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 111 ss., riflettendo su Cass., Sez. un., 2 agosto 1994 n. 7194; v. ora Id., L’invenzione del diritto, Roma-Bari, 2017.
[17] L’interpretazione è sempre stata un’attività complessa, ma oggi lo è più che mai, per la iperproduzione normativa, per la pluralità delle fonti del diritto da coordinare e per la molteplicità dei giudici, nazionali, europei e internazionali, che vi partecipano, in un processo a più voci, a volte non collimanti, in interazione tra loro.
[18] Questa evoluzione dei significati diviene ancora più accentuata in periodi come quello attuale in cui –come ha scritto Ulrich Beck nel suo libro rimasto incompiuto- il mondo non sta semplicemente cambiando, ma è nel mezzo di una “metamorfosi”, cioè di una trasformazione radicale in cui vecchie certezze della società moderna vengono meno e nasce qualcosa di radicalmente nuovo, che è necessario indagare puntando lo sguardo su ciò che sta emergendo dal vecchio, cercando d’intravedere, nel tumulto del presente, le strutture e le norme future (U. Beck, La metamorfosi del mondo, Bari-Roma, 2016).
[19] Così G. Gorla, voce: “Precedente giudiziale”. cit.
[20] N. Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016, nonché A. Carleo (a cura), Calcolabilità giuridica, Bologna, 2017.
[21] P. Vittoria, La motivazione della sentenza, cit., in M. Acierno, P. Curzio, A. Giusti, La Cassazione civile, cit., pag. 491.
[22] G. Gorla, op. ult. cit., pag. 6, parla di «principio di uguaglianza qui inteso come uguaglianza di trattamento (giurisdizionale) di casi simili, cioè delle persone che agiscono in questi casi».
[23] Come faceva l’articolo 122 del primo ordinamento giudiziario dello Stato italiano (Rd 6 dicembre 1865, n. 2626).
[24] Per G. Canzio, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, in Contratto e impresa, n. 2, 2017, p. 368, «la nomofilachia moderna non può essere che “orizzontale”, “circolare” e “cetuale”. Essa trova il naturale punto di sintesi nella Corte di cassazione, ma è promossa dai giudici di merito, i primi a confrontarsi con la fluidità sociale; e torna ai giudici di merito, che misurano gli effetti pratici della giurisprudenza di legittimità. Non le magistrature soltanto, bensì tutto il ‘ceto dei giuristi’ fa nomofilachia. Fondamentale è il ruolo critico della dottrina, alla quale compete l’analisi delle soluzioni e l’elaborazione delle alternative».
[25] Z. Bauman, Retropia, Bari-Roma, 2017. S. Boym, The Future of Nostalgia, New York, 2001.
[26] M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Milano 2013.
[27] G. Costantino, Introduzione, in Atti (in corso di pubblicazione) del XXXI Convegno nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, svoltosi a Padova il 29-30 settembre 2017, sul tema La tutela dei diritti e le regole del processo.
[28] Dall’articolo 52, comma 5, della legge 18 giugno 2009, n. 69.
[29] Dall’articolo 54, comma 1, del dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134.
[30] Dall’articolo 18 del d.lgs 2 febbraio 2006, n. 40. La disciplina si completa con l’articolo 146-bis disp. att., cpc, che rinvia all’articolo 64 del d.lgs 30 marzo 2001, n. 165, norma che introdusse per la prima volta l’istituto, ma limitatamente al settore del pubblico impiego.
[31] Per approfondimenti, cfr. G. Ianniruberto, L’accertamento pregiudiziale sull’interpretazione, validità ed efficacia dei contratti collettivi, in G. Ianniruberto e U. Morcavallo (a cura di), Il nuovo giudizio di cassazione, II ed., Milano, 2010, pp. 111 ss., nonché P. Curzio, Il giudizio di cassazione, in AAVV, Processo del lavoro, in P. Curzio, L. Di Paola e R. Romei (diretta da), Pratica professionale. Lavoro, Vol. VI, Milano, 2017, pp. 270 ss., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
[32] Così il principio di diritto fissato da Cass., Sez.un., 23 dicembre 2010, n. 20075.
[33] Legge 18 giugno 2009, n. 69 e dl 31 agosto 2016, n. 168 convertito con modificazioni nella legge 197 del 2016.
[34] Articolo 47, lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69.
[35] Da ultimo, su questa disposizione, cfr. le precisazioni di Cass., Sez. un., 21 marzo 2017, n. 7155.
[36] Operata in sede di conversione del dl 31 agosto 2016, n. 168 nella legge 197 del 2016.
[37] Per approfondimenti, rinvio a P. Curzio, Il ricorso per cassazione: viaggio all’interno della Corte, in Foro it., 2017, V, pp. 48 ss., nonché D. Dalfino (a cura di), Il nuovo procedimento in Cassazione, Torino, 2017.
[38] Sul rapporto tra sezioni semplici e sezioni unite, cfr. R. Rordorf, La nomofilachia nella dialettica sezioni semplici-sezioni unite e Cassazione-Corte costituzionale, in M. Acierno, P. Curzio, A. Giusti, La Cassazione civile. cit., pp. 537 ss.
[39] Il terzo comma dell’articolo 99 del codice del processo amministrativo sancisce che, all’interno del Consiglio di Stato, «se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso».