Un punto di arrivo o un punto di partenza?
Il Csm interveniva in occasione di polemiche suscitate da interventi pubblici di magistrati per richiamare il dovere di misura e riserbo. Di recente ha affrontato “in positivo” il tema della comunicazione sulla giustizia. Le “Linee-guida” del 2018, segnano il punto di assestamento di questo percorso: la questione non è “se comunicare”, ma “come comunicare”. La tematica della comunicazione deve far parte della formazione fornita dalla Scuola superiore della magistratura con corsi pratici diretti non solo ai dirigenti. Oggi ciascun singolo magistrato, attraverso i social media, entra direttamente (spesso senza la necessaria consapevolezza) nella arena pubblica. Pur con limiti ed omissioni, le «Linee-guida 2018» del Csm costituiscono un significativo punto di arrivo. Vi è da augurarsi che il Csm attualmente in carica raccolga il testimone dal predecessore e fra quattro anni, ritorni sul tema, con un approccio diverso, orientato alla ricognizione delle prassi nel frattempo instauratesi. Dunque in conclusione: un punto di arrivo e insieme un punto di partenza.
1. La nuova “linea” del Csm
Le «Linee-guida» sulla comunicazione approvate dal plenum l’11 luglio 2018, segnano il consolidamento, se mi si perdona il bisticcio verbale, di un mutamento di linea del Csm. Di solito il Csm interveniva sul tema della comunicazione in occasione di polemiche suscitate da interventi pubblici di magistrati per richiamare il dovere di misura e riserbo. Accanto ad interventi di questo segno, da una decina di anni il Csm ha cominciato ad affrontare “in positivo” il tema della comunicazione sulla giustizia.
Un primo significativo intervento è stato sollecitato al Csm dall’entrata in vigore della nuova disciplina sulla organizzazione delle Procure (d.lgs n. 106/2006) che all’art 5 prevede:
«Rapporti con gli organi di informazione
1. Il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione
2.Ogni informazione inerente alle attività della procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento.
3. È fatto divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciar dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio.».
Il Csm con deliberazione del 10 settembre 2008, ha risposto al quesito di un procuratore della Repubblica di un ufficio di grandi dimensioni, il quale rilevava che «una informazione veicolata attraverso canali centralizzati rischia di ingenerare, seppur involontariamente, distorsioni conoscitive, pregiudizi ingiustificati in danno di soggetti coinvolti, allarmismi ed inappropriate emotività. […] Una sola fonte, sia essa il procuratore capo o un solo magistrato a ciò delegato, anche qualora fosse distolta da ogni altro incombente, non potrebbe far fronte con precisione e completezza ad una tale ampia richiesta (di tempestive notizie), nei tempi brucianti della comunicazione mass mediatica. Il risultato sarebbe insoddisfacente e rischierebbe di frustrare ogni ambizione alla trasparenza delle fonti e dei canali informativi e favorire un repentino ritorno alle prassi comportamentali che la norma vorrebbe superare.».
La analisi del procuratore è puntuale ed impietosa. La risposta del Csm, indubbiamente in difficoltà di fronte alla formulazione stringente dell’articolo 5 citato, si limita a ritenere compatibile con il precetto normativo la delega, anche in via permanente, in favore dei (soli) procuratori aggiunti, nelle materie di loro rispettiva competenza. Il Csm aggiunge che «non appare, invece compatibile con lo spirito e la lettera della norma la possibilità di prevedere la partecipazione alle conferenze stampa del magistrato titolare del procedimento, quando questi sia diverso dal procuratore capo o dal procuratore aggiunto all’uopo delegato», pur concedendo che «il magistrato titolare delle indagini collabori nella preparazione della conferenza stampa, fornendo elementi informativi.».
L’esperienza infatti insegna che la comunicazione, nella realtà pratica, passa inevitabilmente attraverso il magistrato che ha la responsabilità dell’indagine, che ne conosce tutti risvolti e dunque può valutare il contenuto ed il livello delle informazioni che possono essere comunicate, nelle diverse fasi delle indagini; che alcune delle dichiarazioni più discusse sono state fornite proprio da capi degli uffici, i quali magari erano spinti dal desiderio di mettere in luce il lavoro dell’ufficio, ma spesso non tenevano in conto tutti gli elementi del caso, per non dire che dal virus del protagonismo non sono esenti neppure i procuratori capo. La prassi degli ultimi anni si è spinta oltre nella “interpretazione evolutiva” dell’articolo 5 d.lgs n. 106/2006 e alle conferenze stampa si vista spesso la partecipazione, accanto al procuratore e all’aggiunto, anche del/dei magistrati titolari dell’indagine. E anche chi scrive, nella funzione di procuratore, ha contribuito a questa prassi. Ed in effetti il dettato del comma 2 dell’articolo 5 sopra citato se a prima vista appare un richiamo contro il protagonismo del singolo pm in realtà si scontra, per quanto riguarda le conferenze stampa, con le buone ragioni indicate nel quesito sopra richiamato. Per altro verso vi è un legittimo interesse della stampa a conoscere e pubblicare il riferimento al magistrato assegnatario del procedimento: è un dato rilevante per la pubblica opinione conoscere se quella specifica indagine è svolta da un pm noto per la sua professionalità e rigore o da un pm noto, all’opposto, per iniziare indagini che non approdano quasi mai a nessun risultato, oltre il grande clamore mediatico.
Una seconda innovazione si deve ancora al Csm della consiliatura 2006-2010, il quale, nella attività di formazione, allora ancora interamente a carico dello stesso Csm, ha programmato corsi di aggiornamento in cui non solo si affrontava il tema classico “giustizia e informazione” ma, per la prima volta, anche con il supporto di esperti di comunicazione, si cercava di fornire ai magistrati indicazione sulle tecniche di comunicazione.
Con una terza innovazione lo stesso Consiglio con una Risoluzione del 26 luglio 2010 ha sollecitato la costituzione degli Uffici per il Rapporto con il pubblico (Urp), come strumento che superando la mera, pur rilevante funzione, di Ufficio informazioni, si proponga come canale per il rapporto tra cittadini e istituzione giudiziaria. Esperienze di questo tipo cominciano ad essere attuate in diversi uffici giudiziari.
Una quarta innovazione si deve al Csm della consiliatura 2014-2018 che ha promosso una riqualificazione del sito ad accesso pubblico www csm.it.
Le «Linee-guida» del 2018, segnando il punto di assestamento di questo ormai lungo percorso, si propongono come primo intervento organico del Csm sulla materia della comunicazione partendo dalla acquisizione ormai consolidata che il tema non è «se comunicare», ma «come comunicare».
2. Il Codice etico dell’Associazione nazionale magistrati
Nella premessa alle «Linee-guida» si dà atto che nel corso dei lavori preparatori si è proceduto a varie audizioni e tra esse anche dell’Associazione nazionale magistrati. Sorprende pertanto che nel testo, che pure cita opportunamente iniziative del Consiglio d’Europa, non si faccia alcun riferimento al Codice etico adottato nel 1994 dall’Associazione nazionale magistrati. Fu il primo in Europa e, grazie anche alla pronta traduzione in francese, ebbe una notevole diffusione e fu tenuto in conto nella elaborazione delle successive raccolte di principi deontologici[1]. L’articolo 6, che di seguito si riporta, costituisce il primo organico intervento sulla materia:
«Rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione di massa.
Nei contatti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione il magistrato non sollecita la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio.
Quando non è tenuto al segreto o alla riservatezza su informazioni conosciute per ragioni del suo ufficio e ritiene di dover fornire notizie sull’attività giudiziaria, al fine di garantire la corretta informazione dei cittadini e l’esercizio del diritto di cronaca, ovvero di tutelare l’onore e la reputazione dei cittadini, evita la costituzione o l’utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati.
Fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione di massa.».
Sulle dichiarazioni che riguardano casi che il magistrato sta trattando, è utile sottolineare che il Codice etico già nel 1994, piuttosto che proporre un divieto assoluto, irrealistico e talora ingiustificato, sottolinea come in alcuni casi l’informazione sia addirittura doverosa e si preoccupa piuttosto di dettare alcune regole di comportamento. L’Anm nel 2010, a fronte del fenomeno dell’intervento di magistrati in trasmissioni televisive che mettevano in scena processi paralleli, ha emendato il Codice etico, approvato nel 1994, aggiungendo all’articolo 6, sopra riportato, un ulteriore comma: «[Il magistrato] evita di partecipare a trasmissioni nelle quali sappia che le vicende di procedimenti giudiziari in corso saranno oggetto di rappresentazione in forma scenica.».
Gli emendamenti adottati del 2010 hanno visto l’Anm attenta a cogliere i fatti nuovi ed in particolare le derive della “giustizia mediatica”. Non così all’inizio del 2018, quando non è stato approvato un ulteriore emendamento proposto dalla dirigenza dell’Anm a seguito di interventi dei magistrati sui social media, che avevano destato polemiche: «Il magistrato utilizza i social network e gli altri strumenti di comunicazione telematica consapevole del proprio ruolo professionale, astenendosi da comportamenti che possono ledere la credibilità della funzione giudiziaria e della magistratura nel suo complesso.».
La omissione della citazione del Codice etico Anm è tanto più curiosa perché al punto 1 dei «Principi, diritti e doveri» vi sono riferimenti quasi testuali all’articolo 6 del Codice.
3. Siti internet, Urp e Bilancio di responsabilità sociale
La lettura delle «Linee-guida» suggerisce di segnalare alcuni profili di ulteriore sviluppo e impegno per il Csm, il quale, d’altronde, sottolinea che «non costituiscono un approdo statico e definitivo, ma debbono essere sottoposte a costante monitoraggio e aggiornamento, verificandone obbiettivi, risultati e criticità.».
Il rilevo assunto dalla comunicazione sul web investe anche il “sistema giustizia” sotto diversi profili.
Il sito internet del Csm è stato rinnovato negli ultimi anni sia con una ristrutturazione generale sia con l’apertura di nuove sezioni tra le quali da segnalare «giurisdizione e società», «archivio storico», «per non dimenticare». Tuttavia il sito www.csm.it ad accesso libero rimane sostanzialmente orientato all’utente professionale magistrato, avvocato e poco attento all’utenza generale, composta da persone che, per desiderio di approfondimento o perché utenti, nelle diverse possibili situazioni, della “giustizia”, desiderano informarsi sulla organizzazione e sul funzionamento della macchina giudiziaria. La sezione «Magistratura» dovrebbe assumere un posto centrale ed essere orientata al target generale. Oggi la sottosezione «Il sistema giudiziario italiano» utilizza una impostazione quasi da manuale di ordinamento giudiziario e un linguaggio troppo tecnico; basti dire che alla seconda riga indulge all’inutile latinetto ius dicere. E così la fonte principale di notizia rischia di essere la voce «Consiglio superiore della magistratura» di Wikipedia, non priva di approssimazioni ed imprecisioni, ma sintetica.
Meriterebbe una nuova edizione, magari più agevolmente solo on line, il volume «Il sistema giudiziario italiano» edito dal Csm nel 1999, che andrebbe radicalmente rinnovato nell’impostazione secondo le linee sopra indicate. Andrebbe valorizzata l’idea delle sezioni nelle diverse lingue, francese, inglese, spagnolo, tedesco; non una mera meccanica (talora incomprensibile) traduzione del testo italiano, ma un testo orientato alla comprensione del lettore che ha in mente altri sistemi. La ormai lunga esperienza dei testi pubblicati in diverse lingue nelle varie istanze del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea dovrebbe essere sfruttata.
Il tema dei siti internet degli Uffici giudiziari è affrontato solo con rapidi cenni. Eppure è oggi, allo stesso tempo, uno strumento centrale della comunicazione istituzionale e un elemento di criticità. Vi sono grandissime disparità, anche con alcune eccellenze, ma domina il fai da te. Il Csm dovrebbe farsi carico di promuovere, d’intesa con il Ministero, una struttura di base da mettere a disposizione di tutti gli uffici giudiziari. Per altro verso il sito internet dovrebbe guidare all’accesso ai servizi forniti on line dagli Urp.
La esperienza dei Bilanci di responsabilità sociale, di cui fu pioniere la Procura della Repubblica di Bolzano, che oggi ha una diffusione crescente, è richiamata solo con un rapido cenno nelle «Linee-guida». Il Csm dovrebbe stimolare queste iniziative, che costituiscono sia un momento rilevante del “rendere conto” sia, nella fase di preparazione, l’occasione per procedere ad una “autovalutazione” dell’ufficio giudiziario su risultati e obbiettivi, con ben maggiore incidenza rispetto allo stanco rito delle informazioni, spesso meri numeri non elaborati, burocraticamente fornite per le relazioni inaugurali dell’anno giudiziario. La valorizzazione del profilo del “rendere conto” deve contribuire ad accrescere nella coscienza di tutti i magistrati il profilo del “servizio” che deve essere reso ai cittadini.
4. Uffici-stampa e conferenze stampa
Le «Linee-guida» evitano accuratamente di utilizzare la nozione di Ufficio stampa preferendo parlare di “responsabile per la comunicazione” sia per gli uffici di procura che per quelli giudicanti. Ma, quale che sia l’espressione utilizzata, ove si prendano in considerazione in particolare le «Linee-guida per gli uffici requirenti», è evidente che si tratta del modo di operare di un Ufficio stampa, tanto che non si esita ad utilizzare la nozione di «strategie di comunicazione».
È un tema da sempre controverso. La questione della eventuale istituzione di veri e propri uffici stampa è stata risolta nei fatti dalla mancanza di mezzi e strutture: nessuna procura può disporre di un giornalista professionista e nemmeno potrebbe permettersi il lusso di assegnare al ruolo di addetto stampa in via esclusiva un magistrato dell’ufficio, come ad esempio avviene alla Procura di Parigi.
Ma il problema della comunicazione, con particolare riguardo alla fase coperta dal segreto investigativo rimane. Da più parti e da tempo è stato sostenuto che la burocratizzazione dei canali di comunicazione delle notizie attraverso uffici-stampa è inutile e spesso controproducente[2].
Un ulteriore argomento critico è stato prospettato sotto il profilo che «il soggetto controllato scelga se e cosa dire al controllore»[3]. Si dice: «il soggetto controllato sceglie se e cosa dire al controllore, decide il quando e il che cosa». Certo, ma, ferma restando la libertà/dovere professionale del giornalista di acquisire autonomamente notizie, non si vede, in questa fase, chi altri potrebbe adempiere al “dovere di comunicazione” di cui alla Raccomandazione Rec 2003(13) del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa se non l’autorità giudiziaria che procede; ed infatti la Raccomandazione al Principio 5 indica espressamente come «moyens de fournir des information aux médias» comunicati stampa e conferenze stampa. Anche il più recente Parere (2013) n.8 del Ccpe (Consiglio consultivo dei procuratori europei) sui «Rapporti tra il pubblico ministero e i mezzi di informazione» suggerisce come mezzo di comunicazione da parte del pubblico ministero comunicati stampa e conferenze stampa, tenute anche con la cooperazione delle autorità di polizia.
Si aggiunge in chiave critica: «Somministrazione di verità ufficiale». Ma sta ai media non considerare la comunicazione ufficiale come “verità” e non limitarsi ad ingoiare acriticamente la somministrazione, come fecero, non dimentichiamolo, tutti i più autorevoli quotidiani italiani che titolarono «Il mostro Valpreda». Il Tg1 della sera del 16 dicembre 1969 trasmetteva un servizio, dagli uffici della Questura di Roma, di Bruno Vespa, che raccoglieva con acritica adesione le dichiarazioni del Questore di Roma[4]. Il dovere del giornalista è, appunto quello di sottoporre a vaglio critico la “verità” ufficiale.
Il problema è come il controllato, Procura, deve comunicare, in particolare nella fase coperta dal segreto investigativo. A mio avviso, le indicazioni contenute nelle «Linee-guida per gli uffici requirenti» costituiscono una efficace sintesi di questioni di principio e di indicazioni operative anche con riguardo al tema più specifico delle conferenze stampa[5].
5. La formazione dei magistrati sulla comunicazione
Le indicazioni proposte nelle «Linee-guida» in ordine alla formazione dei magistrati sulla comunicazione costituiscono un importante passo avanti, che deve essere coltivato dalla Scuola superiore della magistratura, oggi responsabile della formazione. Accanto ai corsi, ovviamente da mantenere, di carattere più “teorico” sul tema classico “giustizia e informazione” occorre organizzare dei veri e propri corsi pratici di formazione alla comunicazione. E occorre investire sul futuro, evitando di indirizzarli solo a coloro che rivestono funzioni direttive. Non solo perché tutti i magistrati possono aspirare ad incarichi dirigenziali; Napoleone insegnava «ogni soldato francese porta nel suo zaino il bastone di Maresciallo di Francia». Ma anche, e soprattutto, perché è necessario che la tematica della comunicazione entri sin dall’inizio nella formazione di ciascun singolo magistrato, che oggi attraverso i social media entra direttamente (spesso senza la necessaria consapevolezza) nella arena pubblica. Come si è visto l’Anm, purtroppo, non ha accolto la proposta di un emendamento aggiuntivo sul tema nel Codice etico. Ma l’attenzione alla comunicazione dei magistrati sui social media è questione ineludibile ovunque e già da tempo affrontata negli Stati Uniti[6].
La Enm (Ecole nationale de la magistrature) francese ha organizzato a Bordeaux nel novembre 2007 il primo corso di comunicazione per magistrati in tirocinio «Justice et medias». Il corso per gli auditeurs de justice[7] era organizzato in questo modo. Il dossier completo di un caso non più coperto dal segreto istruttorio viene messo a disposizione degli uditori divisi in gruppi di una dozzina, guidati da un magistrato formatore. Ogni gruppo si sceglie un portavoce che è intervistato da un giornalista professionista della stampa, della radio o della Tv. Il risultato della intervista è ridiscusso nel gruppo. Il corso di formazione si conclude con sessione plenaria in cui vengono versate le esperienze dei diversi gruppi; chi scrive era stato chiamato a proporre un confronto con le problematiche italiane.
La prospettiva che si apre per la Scuola superiore della magistratura è molto impegnativa ed è un bene, che ferma restando la responsabilità esclusiva della Ssm, il Csm indichi, per parte sua, come prioritari questi temi.
6. Le «Linee guida 2018» del Csm: un punto di arrivo e insieme un punto di partenza
Pur con taluni limiti ed omissioni, che sono stati segnalati, le «Linee-guida 2018» del Csm costituiscono un significativo punto di arrivo nell’approccio del Csm al tema della comunicazione. Molti sono i problemi aperti e le questioni controverse. Vi è da augurarsi che il Csm attualmente in carica raccolga il testimone dal predecessore e fra quattro anni, al termine della consiliatura, ritorni sul tema, con un approccio diverso, orientato alla ricognizione delle prassi nel frattempo instauratesi. Dunque in conclusione: un punto di arrivo e insieme un punto di partenza.
[1] D. Salas et H. Epineuse (dir.), L’éthique du juge: une approche européenne et internationale, Dalloz, Paris 2003.
[2] Cfr. al riguardo G. Giostra, Fa discutere la proposta di istituire uffici stampa presso le Procure della repubblica, in Diritto penale e processo, 1999, n. 3, p. 138.
[3] G. Giostra, Processo penale e informazione, Giuffrè, Milano, 2° ed, 1989, p. 276. Vedi anche G. Giostra, L’informazione giudiziaria non soltanto distorce la realtà rappresentata, ma la cambia, in Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione delle Camere penali italiane (a cura di), L’informazione giudiziaria in Italia. Libro bianco sui rapporti tra mezzi di comunicazione e processo penale, Pacini Giuridica, Pisa, 2016, p. 82; L. Ferrarella, Il “giro della morte”:il giornalismo giudiziario tra prassi e norme, in Diritto penale contemporaneo rivista trimestrale, 3/2017, p. 8, www.penalecontemporaneo.it/d/5687-il-giro-della-morte-il-giornalismo-giudiziario-tra-prassi-e-norme.
[4] Il servizio del Tg 1 è agevolmente reperibile sul web.
[5] Per un approfondimento sulle problematiche delle conferenze stampa mi permetto di rinviare a E. Bruti Liberati, Prassi, disciplina e prospettive dell’informazione giudiziaria, in Diritto penale contemporaneo, 12 gennaio 2018, www.penalecontemporaneo.it/d/5807-prassi-disciplina-e-prospettive-dell-informazione-giudiziaria.
[6] National Association for Court Management, Managing the Message:The Nacm Media guide for today’s court. 2010 Mini guide. Il testo è presentato come «an update and complete revision of Nacm,s 1994 Media guide» e presta una particolare attenzione a website e social media.
[7] Auditeurs de justice bella ed evocativa terminologia che noi avevamo tradotto in “uditori” e che di recente abbiamo abbandonato a favore dell’orribile acronimo Mot, a proposito di strategie di comunicazione...