Il ruolo della formazione nella comunicazione dell’informazione giudiziaria: un investimento necessario
La capacità di comunicare deve diventare una nuova competenza funzionale all’esercizio della giurisdizione. Il recupero del rapporto di fiducia del cittadino per le istituzioni passa per l’esatta comprensione dei provvedimenti giurisdizionali e, quindi, dall’apprendimento della semplificazione linguistica e dalla reciproca alfabetizzazione di giornalisti e magistratura.
Serve un cambiamento organizzativo degli uffici e ancor prima un cambiamento culturale anche tramite l’adozione di una nuova metodologia formativa ispirata all’esperienze fuori confine.
1. Il percorso della Scuola superiore della magistratura
Il decreto legislativo 26/2006 istitutivo della Scuola superiore della magistratura quando elenca le finalità della stessa non tralascia, accanto al dovere di formazione, quello di aggiornamento professionale.
L’aggiornamento introduce un’operazione legata alla necessità di interpretare costantemente il ruolo sociale del magistrato, l’incidenza della modalità di esercizio della sua funzione nella quotidianità, monitorando che non vi sia mai un divario tra il progressivo mutamento culturale della società, e i nuovi bisogni che da ciò derivano, e l’adozione di strumenti interpretativi adeguati.
È apparso sempre più evidente che l’esercizio del giudicare si è arricchito di funzioni ulteriori a quella della sussunzione del fatto alla norma, spesso rivelando una capacità innovativa che rompe lo schema classico della separazione dei poteri di montesquiana memoria. Non è un caso che oggi molti studiosi dubitino della vigenza di tale principio nello Stato contemporaneo[1]. Il giudice, quindi, diventerebbe strumento di interpretazione dei valori contemporanei, voce autonoma ed indipendente di una nuova etica sociale[2].
In questo contesto la Scuola superiore della magistratura, fin dal primo ciclo di corsi di sua esclusiva competenza, ha intercettato la necessità di creare occasioni di riflessione attenta, scientificamente supportata per accrescere l’attenzione sulle modalità di veicolare questa diversa profilazione della magistratura e, con essa, del potere giudiziario.
Nel 2013 è stato coniato il corso «Giustizia e comunicazione», replicatosi l’anno successivo con l’intento di affrontare aspetti relativi alle dinamiche e alle metodologie di divulgazione delle vicende giudiziarie di rilevante interesse sociale nel contesto mediatico, per esaminare criteri e strategie a cui si dovrebbe attenere il magistrato nel porsi a confronto con i professionisti dell’informazione e la pubblica opinione. Il corso nelle prime due edizioni si è proposto come momento di riflessione interna, dove la narrazione, affidata prima a un docente di storia delle dottrine politiche e poi ad un giornalista, ha saputo offrire ai partecipanti una visione ampia del tema, anche di matrice internazionale, sollecitando la presa di coscienza che della comunicazione giudiziaria non si poteva solo manifestare una preoccupazione per le costanti ricadute ma si doveva iniziare ad immaginarne una disciplina.
Su questo tracciato, l’edizione del 2015 ha avuto la sua naturale evoluzione nella collaborazione diretta con il Csm e l’Ordine nazionale dei giornalisti. Sono state quattro sessioni di confronto aperto sugli equilibri tra la tutela dei soggetti interessati e il diritto all’informazione, sull’opportunità o meno che il diritto alla riservatezza portasse ad una riforma della legge sulle intercettazioni e il loro utilizzo, sulla necessità di rivedere le norme di deontologia appartenenti alle singole categorie professionali coinvolte. Le conclusioni non potevano che portare ad esplicitare il concetto per cui i tempi si stavano facendo maturi perché le istituzioni competenti intervenissero con una normazione interna del fenomeno. Sullo sfondo, però, un tema si riproponeva di anno in anno: i giudici parlano solo con le sentenze?
Ecco perché nel 2016 la Scuola superiore della magistratura decide di affrontare il tema da un punto di vista sociologico e il titolo si trasforma in «Informazione e Giustizia» in quanto il corso vuole analizzare la trasformazione in atto nei sistemi di comunicazione, i nuovi flussi che generano la notizia, i profili “culturali” dell’informazione sulla giustizia nel nostro Paese. Il corso è nuovamente affidato ad un giornalista che conduce i relatori a discutere del ruolo della comunicazione e dell’informazione nella società postmoderna, specie in relazione alla domanda di giustizia da parte dei cittadini, del rapporto tra giustizia, politica e informazione, includendo anche il ruolo della polizia giudiziaria nel rapporto fra informazione e magistratura. Si cerca di togliere il velo sui cortocircuiti che si innescano nel flusso informativo per verificare quanto sia ampio lo iato tra la giustizia reale e la giustizia percepita.
L’esito si concretizza nell’esigenza di ridurre in capo al cittadino l’erroneità, l’imprecisione e la parzialità dell’informazione anche per il tramite di una reciproca alfabetizzazione dei magistrati e dei giornalisti su quelli che sono i linguaggi appartenenti a ciascun mondo.
Da qui la necessità che il corso del 2017 prendesse di petto l’analisi dei limiti all’interno della magistratura che maggiormente hanno influito nella trasmissione dei principi ispiratori delle decisioni ad alto impatto sociale, e i limiti all’interno del sistema giornalistico che hanno impedito il pieno raggiungimento dello scopo del fare informazione, ossia il garantire la trasparenza, il controllo sociale e la comprensione della giustizia da parte dei cittadini. Lo stesso titolo «Il sistema della giustizia nel mondo dell’informazione» esplicitava il percorso che si stava intraprendendo. Un’analisi interna alla magistratura, guidata da un esperto formatore appartenente al mondo del giornalismo giudiziario. La Scuola superiore della magistratura con il corso di formazione del 2017 ha esercitato con pienezza il suo ruolo che richiede la capacità di creare occasione di studio e confronto laico che si traduca poi in uno strumento utile per un apprendimento pratico e permanente. Ecco che il corso, su iniziativa della Scuola superiore della magistratura, in data 9 maggio 2017, è stato preceduto da un tavolo di confronto dall’esplicito titolo «Idee per un protocollo sulla comunicazione giudiziaria», tenutosi presso il Ministero della giustizia e al quale sono stati invitati, oltre che il Ministro della giustizia e il vicepresidente del Csm, il presidente della Corte di cassazione, l’avvocato generale presso la Corte di cassazione, il procuratore generale presso la Corte di cassazione, e i procuratori della Repubblica presso i Tribunali di Milano, Napoli, Palermo, Roma, Reggio Calabria, il presidente della Corte d’appello di Firenze, il presidente del Tribunale di Napoli, il presidente aggiunto gip del Tribunale di Milano e la rappresentante del Governo italiano a Strasburgo.
Ciascuno dei partecipanti, da sempre sensibili al tema, in base alla propria esperienza ha evidenziato e ribadito alcuni principi cardine di questa tematica: la comunicazione è un dovere istituzionale per la magistratura, necessità insita nell’attività giudiziaria, ed essa deve riguardare l’intera attività giudiziaria sia penale che civile.
Ne consegue che se esiste un dovere d’informazione, esiste altresì un’esigenza di formazione del magistrato alla comunicazione. Si indaga su chi debba occuparsi di questa trasmissione e su quale debba esserne il contenuto, nell’equilibrio tra riservatezza e tutela della dignità dell’indagato e di quello che è il ruolo delle parti a seconda del momento in cui la notizia viene trasmessa. In un contesto di analisi scientifica, quale quello proposto dalla Ssm, si è potuto considerare quale possa essere il metodo più adatto per comunicare, se l’intervista o la conferenza stampa, chi debba concretamente occuparsene e con quali modalità.
Si accendono nuovamente i riflettori sullo spazio che separa la magistratura, con i suoi atti, dalla cittadinanza. In questa prospettiva il corso del maggio 2018 intitolato «Alla ricerca di un linguaggio comune tra società civile e giurisdizione» ha voluto sollecitare un confronto in uno degli aspetti sopra evidenziati, ossia il veicolo per la trasmissione dell’informazione giudiziaria, cercando anche all’estero esempi di gestione e attuazione delle Raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa e dei pareri del Consiglio consultivo dei giudici europei (Ccje) e del Consiglio consultivo dei procuratori europei (Ccpe). Il confronto si è anche allargato agli altri attori nel flusso comunicativo, ossia l’avvocatura evidenziando il non secondario aspetto della formazione dell’opinione pubblica, all’interno dei processi mediatici, sull’innocenza o meno dell’indagato/imputato e, quindi, sull’aspettativa di un esito del giudizio rispetto ad un altro. Questo gap informativo, privo della tecnicità necessaria per trasmettere la temporaneità dei dati e la possibile diversa interpretazione degli stessi, mina gravemente la fiducia del cittadino verso le istituzioni soprattutto quando giungono a soluzioni giuridicamente corrette ma populisticamente poco apprezzabili. A rimetterci è anche la figura del giudice o del pm, valutati come non capaci di sostenere l’accusa o di interpretare correttamene i fatti per come erano stati veicolati. Il danno che ne consegue è di portata complessiva dato che spesso il destinatario della notizia spersonalizza l’autore del provvedimento e lo identifica con la categoria professionale di appartenenza, lasciando spazio a idee alternative di ottenimento della giustizia o, peggio, sovvertendo il valore dei principi morali che, erroneamente, erano stati nuovamente interpretati all’esito del giudizio: se una persona non va in prigione pur avendo ucciso, allora si può uccidere!
2. Gli aspetti su cui continuare la riflessione
La Scuola superiore della magistratura deve continuare a portare avanti un’analisi sistematica sul punto continuando ad avere chiari i passaggi necessari per offrire una formazione utile ad un nuovo ruolo a cui è chiamata la magistratura.
Questa visione sistematica non può che appartenere a chi è chiamato a fornire la formazione complessiva dato che l’interdisciplinarietà del tema della comunicazione richiede la creazione di un modulo formativo nuovo. Questo aspetto è richiamato anche nelle «linee guida» che il Csm ha redatto per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale. Questo viene dichiarato come un documento prodromico all’adozione a livello di normativa secondaria, delle modifiche ordinamentali necessarie per includere anche la comunicazione tra le attività che gli uffici devono organizzare.
Il percorso svolto dalla Ssm, e sopra descritto, ha voluto proprio incoraggiare e fornire parte del materiale utile alla realizzazione di queste «linee guida».
Il modulo formativo non potrà che essere correttamente interpretato dopo che gli uffici saranno organizzati perché la “comunicazione” non sia solo il frutto di un’intraprendenza personale, seppur dettata dall’esigenze del territorio, dove il presidio vero di giustizia è dato anche dall’affrontare pubblicamente certi argomenti (che siano le organizzazioni criminali, come i reati reiterati nei confronti di soggetti deboli come ad esempio donne ed extracomunitari), ma anche una componente professionalizzante.
La Scuola superiore della magistratura fornisce la formazione obbligatoria ex articolo 26bis del d.lgs 26/2006 agli aspiranti ad assumere incarichi direttivi, è evidente che dove già affrontato il tema della comunicazione all’interno di una più ampia discussione sull’organizzazione degli uffici giudiziari per una loro maggiore efficienza, in futuro non potrà esimersi dall’adottare anche in queste sedi il materiale appartenente a corsi come quello «Informazione e Giustizia», coinvolgendo contestualmente soggetti capaci di fornire gli strumenti utili a sviluppare anche un approccio attento al rispetto del dovere di trasparenza e di informazione, in grado di consentire l’adozione della condotta che in qualche modo sia già stata delineata come la più adatta alle finalità della comunicazione.
La Scuola superiore della magistratura, oltre ad organizzare gli auspicati e innovativi corsi per i magistrati addetti alla comunicazione, dovrà offrirsi come laboratorio nel quale la collaborazione con l’Ordine dei giornalisti, il Consiglio nazionale forense e il Csm possa dare contenuto alle «linee guida» del luglio 2018. Sarà necessario approfondire la conoscenza delle regole a tutela di un corretto trattamento dei dati sensibili e giudiziari, oggi distinti dal General data protection regulation n, 679/16 e che l’implementato utilizzo degli strumenti informatici possono mettere in pericolo, così come la mancanza di un’uniforme approccio all’utilizzo delle intercettazioni. Sarà necessario far conoscere le regole della comunicazione sia con riferimento al linguaggio, alla tempistica e alle modalità di trasmissione che potrebbero rivelarsi anche diverse a seconda della fase in cui viene trasmesso il flusso di informazioni o la tematica sociale che si affronta con il caso concreto. Il dirigente dell’ufficio o il suo incaricato, che dovrà essere necessariamente previsto nel sistema tabellare, dovrà instaurare un rapporto costante con la stampa locale nel rispetto del principio della trasparenza e della parità di condizioni tra le varie testate.
Si delinea, anche solo tramite una semplice elencazione, una formazione ad ampio raggio che parte dall’analisi dei diritti fondamentali fino all’adozione di tecnicismo linguistico che, però, riesca a rendere più esplicito e semplice il messaggio da trasmettere.
In merito al tecnicismo linguistico e alla comprensibilità delle decisioni e del ragionamento ad esse sottostante, la Ssm dovrà continuare ad offrire, come già fatto in questi anni, una formazione puntuale sulle tecniche di scrittura. È anche in questo solco che si pone il breviario sulla chiarezza e la sinteticità degli atti giudiziari emesso con decreto del Ministro della giustizia tra settembre 2017 e gennaio 2018 e nella cui introduzione al destinatario vengono rivolte le parole di Adolf Merkl per cui la lingua «non è affatto una vietata porticina di servizio attraverso la quale il diritto s’introduce di soppiatto. Essa è piuttosto il grande portale attraverso il quale tutto il diritto entra nella coscienza degli uomini[3]».
Si rinviene, quindi, la necessità di un doppio livello formativo: il primo rivolto alla peculiare figura di magistrato addetto alla comunicazione e il secondo rivolto all’intera compagine della magistratura che per cultura e attitudine intende parlare solo con le proprie sentenze. Il corso svolto negli anni in collaborazione con l’Accademia della Crusca mira a discutere le modalità della scrittura degli atti giudiziari, sia intervenendo sullo stile, sia evidenziando il principio ormai consolidato della sinteticità e della chiarezza delle sentenze. Un simile fine ovviamente non deve in alcun modo produrre una banalizzazione del linguaggio del giudice, né tanto meno rinunciare alla sua insopprimibile natura di linguaggio specialistico, ma piuttosto eliminare l’eccesso di formule che spesso lo affligge, ridurre la ridondanza dell’espressione, eliminare una certa articolazione barocca della frase. Anche il vocabolario impiegato (non quello strettamente tecnico-giuridico) richiede spesso una verifica e una razionalizzazione. Fine di questo esercizio è quello di rendere il più possibile accessibile la lettura degli atti anche al cittadino non specialista, eliminando oscurità linguistiche e sintattiche che ostacolano talvolta la comprensione. Questo risultato renderà anche più facile veicolare l’informazione giudiziaria da parte della stampa.
La Scuola superiore della magistratura riuscirà ad adempiere correttamente alla sua funzione non solo individuando, così come sta facendo, l’esigenza di una proposta formativa nuova ma individuando altresì la metodologia corretta per impartire la formazione richiesta. In questo potrebbe essere trovato un apporto nell’esperienza oltre confine, come ad esempio in Francia, che da tempo ha disciplinato la comunicazione giudiziaria, prevedendo una competenza professionale della magistratura.
La Rete europea di formazione giudiziaria (Refg)[4], la Commissione europea e il Consiglio d’Europa promuovono e favoriscono la creazione di reti tra gli istituti nazionali di formazione giudiziaria. La Refg ha predisposto un manuale sulla metodologia della formazione giudiziaria in Europa nel quale si descrivono diverse pianificazioni dei programmi di formazione a seconda delle esigenze e delle funzioni dei discenti, nuovi metodi di apprendimento e i passaggi necessari per la realizzazione attenta di ogni evento formativo. In tutte queste previsioni si intuisce che il ruolo fondamentale è quello del formatore che deve essere capace di svolgere la didattica richiesta potendo vantare una solida conoscenza della materia. Il formatore deve possedere delle competenze metodologiche, sociali e psicologiche per poter interagire con pubblici ministeri e giudici, quali soggetti in grado di attuare successivamente quanto appreso. Non più solo una formazione nozionistica ma una formazione fruibile nella quotidianità. Nel tema specifico della comunicazione, dove le richieste rivolte alla magistratura sono anche di modificare l’impostazione nella redazione dei provvedimenti, di evitare l’uscita incontrollata di informazioni, di rendersi più comprensibili, spesso si assiste ad un atteggiamento di difesa e, quindi, di maggiore chiusura, tanto più se a condurre l’analisi è un professionista che non appartiene alla magistratura stessa. Questo contesto diviene poi una cassa di risonanza non appena tra le relazioni si inserisce un portavoce del mantenimento dello status quo che riporti i discenti nel campo del conosciuto, del controllabile e che, pertanto, non cambia il modus operandi stratificatosi negli anni.
Questa considerazione, facilmente verificabile dalle schede di valutazione raccolte nelle varie edizioni dei corsi, mostra come la formazione debba coinvolgere prima di tutto un cambiamento culturale, valorizzando l’opportunità che già nella formazione dei Mot si parli in modo sempre più compiuto e approfondito del tema della comunicazione, togliendolo dagli argomenti tabù, se mai vi è stato, e inserendolo tra le competenze da acquisire perché non deve essere dimenticato il principio espresso dalla Corte costituzionale poco meno di 40 anni fa e che ha identificato il prestigio dell’ordine giudiziario nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità della stessa.
Minare il prestigio dell’ordine giudiziario equivale a minare le fondamenta della convivenza civile.
[1] M. Bassani, La crisi della divisione dei poteri, in Società e Diritti, n. 4, 2017, p. 149.
[2] G. Resta, I nuovi oracoli della giustizia: processi mediatici e laicità del diritto, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, n. 1, 2010.
[3] A. Merkl, Il duplice volto del diritto, Giuffrè, Milano, 1987, p. 125.
[4] La Scuola superiore della magistratura è dal 2017 per la prima volta componente del comitato di Pilotaggio e a guida del gruppo di lavoro Judicial Training Methodologies (Jtm).