Il cammino della riforma contenuta nello schema di decreto legislativo adottato il 22 dicembre 2017 rischia di avere una definitiva battuta di arresto. Ci rivolgiamo con forza al Governo perché, mantenendo fede all’impegno assunto ed esercitando almeno nella sua parte fondamentale la delega conferita con la legge n. 103/17 votata dal Parlamento, approvi in via definitiva, pur dopo le elezioni politiche, la riforma dell’ordinamento penitenziario, riportando l’esecuzione penale entro una cornice di legalità costituzionale e sovranazionale dopo le umilianti condanne europee.
La riforma rappresenta niente più che il rifiuto, ideale prima ancora che giuridico, di presunzioni legali di irrecuperabilità sociale, dal momento che nessuna pena deve rimanere per sempre indifferente all’evoluzione personale del condannato, ed affida alla magistratura, cui per legge è assegnata istituzionalmente la realizzazione del finalismo rieducativo dell’art. 27 della Costituzione – la magistratura di sorveglianza – la piena valutazione sulla meritevolezza delle misure alternative e il bilanciamento degli interessi in gioco.
Sarebbe davvero amaro se il destino di questa stagione riformatrice, iniziata nel 2015 con la felice intuizione degli “Stati generali dell’esecuzione penale”, si concludesse con la beffarda presa d’atto che solo il carcere e non anche – e soprattutto – le misure di comunità svolgono efficacemente la funzione di garantire la sicurezza dei cittadini e riducono la recidiva.
La mancata approvazione della riforma, o anche solo una sua regressiva rimodulazione, offuscherebbe quella “messa a punto costituzionale” del sistema penitenziario che, a quarant’anni dall’ultimo organico intervento, impone lo spostamento del baricentro dell’esecuzione penale verso le sanzioni di comunità, accompagnato dalla selettiva rimodulazione dei presupposti per la concessione delle stesse e delle modalità per assicurare l’effettività del rispetto delle prescrizioni imposte. Crediamo che solo in questo possa consistere la “certezza della pena”, che nella sua effettività rieducativa e nell’efficace abbattimento della recidiva, statisticamente dimostrato, è l’unica ragionevole risposta ad un’opinione pubblica confusa e impaurita dal clima di insicurezza alimentato, troppo spesso, dagli organi dell’informazione.
Un sistema penitenziario che accolga ed attui i principi della Costituzione dovrebbe inoltre senza ulteriori remore far proprie, sul versante del trattamento penitenziario, quelle disposizioni, contenute nello schema di decreto, che mirano a favorire l’effettivo esercizio, da parte dei soggetti detenuti, di alcuni importanti diritti fondamentali che neppure lo status detentionis può del tutto comprimere, prima di tutti quello alla salute. La pena priva l’uomo della libertà, ma non della sua dignità.
Siamo convinti che la vittima del reato riceva maggior risarcimento morale da un’assunzione di responsabilità del colpevole, al quale chiedere di più sotto il profilo di condotte materialmente e psicologicamente riparatorie nei confronti suoi e della collettività, piuttosto che da una pena ciecamente afflittiva.
La riforma non contiene nessun afflato buonista, nessuna “liberatoria” per pericolosi delinquenti – tanto meno per mafiosi e terroristi, espressamente esclusi dall’intervento riformatore – nessun insensato ed indulgenziale “svuotacarceri”: semmai preserva la comunità da gravi forme di recidiva criminale attraverso la proposta di un impegnativo cammino di rientro rivolta a chi voglia e sappia intraprenderlo.
È per questo che chiediamo che l’impegno di varare la riforma sia mantenuto, perché uno Stato il quale sa offrire una speranza alle persone che ha legittimamente condannato deve concedere loro l’opportunità di diventare buoni cittadini e rendere così un utile servizio alla collettività intera.
Chiediamo inoltre di non far cadere nel nulla la riforma delle misure di sicurezza personali, secondo le indicazioni espresse dal Parlamento nella legge delega: una riforma a sua volta in grado di recare un rilevante contributo di civiltà in un settore dell’ordinamento penale nel quale pure sono in gioco diritti fondamentali dell’uomo.
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Sottoscrivono l’appello:
Associazione italiana dei professori di diritto penale
Associazione tra gli studiosi del processo penale
Unione Camere penali italiane
Consiglio Nazionale Forense
Magistratura democratica
Area democratica per la giustizia
Antigone
Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
Bruti Liberati Edmondo, già Procuratore della Repubblica Milano
Cavalli Fabio, Regista
Ceretti Adolfo, Ordinario di criminologia (Università di Milano-Bicocca)
Di Paolo Paolo, Scrittore
Dolcini Emilio, Professore emerito di diritto penale (Università statale di Milano)
Fassone Elvio, già Presidente Corte di Assise Torino, Scrittore
Fiandaca Giovanni, già Ordinario di diritto penale (Università di Palermo)
Formenton Luca, Editore
Grosso Carlo Federico, Professore emerito di diritto penale (Università di Torino)
Lingiardi Vittorio, Psichiatra, Ordinario di psicologia (Università La sapienza Roma)
Lorenzoni Franco, Insegnante e scrittore
Lupo Ernesto, già Primo Presidente della Corte di Cassazione
Moccia Sergio, già Ordinario di diritto penale, Università Federico II di Napoli
Montanari Tomaso, Presidente di Libertà e Giustizia
Onida Valerio, Presidente emerito della Corte costituzionale
Padre Laurent Mazas, Direttore del Cortile dei Gentili
Palazzo Francesco, già Ordinario di diritto penale, Università Firenze
Palma Mauro, Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà
Petrignani Sandra, Scrittrice
Punzo Armando, Attore e regista, fondatore Compagnia della Fortezza
Pugiotto Andrea, Ordinario di diritto costituzionale (Università di Ferrara)
Pulitanò Domenico, Professore emerito di diritto penale (Università di Milano-Bicocca)
Ruotolo Marco, Ordinario di diritto costituzionale (Università Roma III)
Silvestri Gaetano, Presidente emerito della Corte costituzionale
Siracusano Delfino, Professore emerito di Procedura penale (Università La Sapienza Roma)
Spataro Armando, Procuratore della Repubblica di Torino
Stasio Donatella, Giornalista
Zagrebelsky Vladimiro, già Giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo