Nella pronuncia in commento la suprema Corte va affermando un principio in diritto che non consta di precedenti in termini: «L’effetto estintivo di cui all’art. 460, comma 5, cpp. non è condizionato dalla mancata esecuzione della pena inflitta con il decreto penale di condanna».
La vicenda prende l’abbrivio da un incidente di esecuzione promosso da XY avverso un decreto penale di condanna del gip presso il Tribunale di Ferrara, divenuto definitivo il 16 dicembre 2011, con cui egli era stato condannato, siccome responsabile del reato di cui all’art. 646 cp, alla pena principale della multa di € 5.500,00; l’incidente di esecuzione era volto ad ottenere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 460, comma 5, e 676, comma 1, cpp, l’estinzione del reato e di ogni effetto penale del decreto penale di condanna.
Il giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell’esecuzione respingeva la richiesta, perché né dal certificato del casellario né dall’istanza risultava corrisposta la pena di € 5.500,00 di multa inflitta con il decreto penale, l’ufficio recupero crediti del Tribunale aveva comunicato che dall’esame degli atti la partita risultava ancora aperta e, quindi, veniva meno l’effetto estintivo ex art. 136 disp. att. cpp, essendosi il condannato sottratto volontariamente all’esecuzione della pena.
XY proponeva opposizione ex artt. 676 e 667 cpp avanti il gip presso il Tribunale di Ferrara, competente in quanto «avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione, sia che abbia deciso de plano ai sensi dell’art. 667 cpp, comma 4, sia che abbia proceduto irritualmente ex art. 666 cpp, è data solo la facoltà all’interessato di proporre opposizione davanti allo stesso giudice dell’esecuzione» (Cass. 775/2007, Cass. 8124/2002; Cass. 1182/1995); nell’opposizione veniva evidenziato che il richiamo all’art. 136 disp. att. cpp risultava del tutto inconferente.
Fissata l’udienza in camera di consiglio, il giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell’esecuzione respingeva l’opposizione. Secondo il giudicante nel caso di specie si verteva di una pena pecuniaria di € 5.500,00 di multa inflitta con decreto penale di condanna, in relazione alla quale non ricorrevano le cause di estinzione di cui agi artt. 171 ss. cp; il sistema di estinzione di cui all’art. 460, comma 5, cpp presuppone l’avvenuto pagamento della pena inflitta, perché, in difetto, si verrebbe a dichiarare estinta una pena per cui è ancora attuale la pretesa punitiva dello Stato, in un termine diverso e di molto inferiore a quello previsto dall’art. 172 cp; con la conseguenza che la mancata esecuzione della pena inflitta fa sì che non possa dichiararsi l’estinzione del reato, in difetto di altre cause estintive di cui agli artt. 171 e ss. cp.
XY ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cpp per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 460 cpp, 136 disp. att. cpp e 14 Preleggi, e chiedendo, in principalità, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. l), cpp e la declaratoria di estinzione del reato e di ogni effetto penale di cui al decreto penale di condanna ai sensi dell’art. 621, comma 1, cpp ovvero, in subordine, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata ex art. 623 cpp.
La Corte di cassazione, su conclusioni conformi del Procuratore generale, accoglieva il ricorso, sul rilievo che la norma di cui all’art. 460, comma 5, cpp non condiziona l’effetto estintivo del reato all’esecuzione della pena, che, nel caso in esame, non era stata attivata dall’organo esecutivo competente; conseguentemente affermava il principio in diritto in virtù del quale «l’effetto estintivo di cui all’art. 460, comma 5, cpp non è condizionato dalla mancata esecuzione della pena inflitta con il decreto penale di condanna».
Lo snodo dell’apparato motivazione della pronuncia della suprema Corte passa attraverso la corretta esegesi dell’art 136 disp. att. cpp.
La citata disposizione, infatti, prevede che «l’effetto estintivo previsto dall’art. 445 comma 2 del codice non si produce se la persona nei cui confronti la pena è stata applicata si sottrae volontariamente alla sua esecuzione».
Tale norma, quindi, circoscrive i limiti all’effetto estintivo all’ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, senza alcun riferimento, né espresso né implicito, al decreto penale di condanna.
Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Né è ammissibile un’esegesi che estenda l’applicazione dell’art. 136 disp. att. cpp al decreto penale di condanna, in quanto si traduce in un’interpretazione analogica in malam partem in violazione dell’art. 14 Preleggi. L’art. 460, comma 5, cpp, infatti, ha natura sostanziale, in quanto incide sulla stessa esistenza del reato, determinandone l’estinzione; tanto che tale disposizione è stata applicata anche ai decreti penali di condanna divenuti esecutivi prima dell’entrata in vigore della cd. Legge Carotti in forza del principio del favor rei di cui all’art. 2, comma 3, cp, in materia di successione di leggi penali (sostanziali) nel tempo, anziché del principio del tempus regit actum in tema di successione della legge processuale nel tempo.
Anche la Consulta, con l’ordinanza n. 407/2007, aveva dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 460, comma 5, cpp e 136 disp. att. cpp, che pretendeva di estendere al rito monitorio il limite all’effetto estintivo di cui all’ art. 136 disp. att. cpp, previsto esclusivamente per il patteggiamento.
Anche a ritenere applicabile la norma da ultimo citata al decreto penale di condanna, la preclusione all’effetto estintivo ricorrerebbe solo laddove vi fosse «una determinazione volontaria di sottrazione agli effetti della condanna passata in giudicato, rintracciabile soltanto in caso di evasione, oppure di omesso pagamento della sanzione pecuniaria (Sez. 1, 24 ottobre 2013, Milan, Rv. 257621)»; la volontaria sottrazione all’esecuzione della pena, invero, prevede e presuppone che gli organi deputati a darvi esecuzione si siano attivati.
Nell’ordinanza cassata il gip presso il Tribunale di Ferrara, per escludere l’effetto estintivo nel caso di mancata esecuzione della pena, aveva valorizzato il regime della prescrizione, a tal fine richiamando l’art. 172 cp e sostenendo che l’eventuale riconoscimento dell’estinzione del reato, nonostante la mancata esecuzione della pena, comporterebbe il verificarsi dell’estinzione di quest’ultima nel decorso di un termine (nella specie, cinque anni) assai inferiore rispetto a quello stabilito dall’art. 172 cp (dieci anni).
Come sostenuto dal ricorrente, invece, la suprema Corte confermava che il richiamo all’art. 172 cp non era pertinente nel caso di specie.
La citata disposizione, infatti, tratta dell’estinzione della pena conseguente alla sua prescrizione per decorso del tempo. Nel caso de quo, invece, a venire in rilievo era l’art. 460, comma 5, cpp, che dal decorso del tempo – unitamente alla non commissione di delitti o di contravvenzioni della stessa indole – fa derivare l’estinzione del reato e di ogni altro effetto penale.
Secondo la Corte di cassazione trattasi di «concorso di cause estintive della pena inflitta, – in un caso, per il semplice decorso del tempo (art. 172 cp), nell’altro, come conseguenza dell’estinzione, dopo il giudicato, del reato (art. 460 comma 5, cpc) – che l’art. 183 cp disciplina dando prevalenza alla causa di estinzione del reato rispetto alla causa di estinzione della pena, ovvero, nel caso di cause di estinzione della medesima natura, secondo il criterio della priorità (vedi Sez. Un. 15 luglio 2010, Bracco, Rv. 247940; Sez. 1, 16 febbraio 2010, Infantino, Rv. 246508, Sez. Un. 24 settembre 2009, Martinenghi, Rv. 245162)».
Tramite detto ragionamento la suprema Corte giunge ad affermare che «l’effetto estintivo di cui all’art. 460, comma 5, cpp non è condizionato dalla mancata esecuzione della pena inflitta con il decreto penale di condanna».