Sommario: 1. La storia comincia, ma non finisce qui e non si gestisce nel vuoto - 2. La struttura interna della Procura - 3. Le scelte discrezionali del Pm - 4. Tanto rumore per … quasi nulla. Priorità dell’azione penale - 5. Le soluzioni miracolistiche. Il Court manager - 6. Accountability e trasparenza - 7. La comunicazione delle Procure - Appendice
1. La storia comincia, ma non finisce qui e non si gestisce nel vuoto
Il primo passo del sistema giudiziario nell’accertamento e nella repressione dei reati spetta alla Procura della Repubblica. La storia comincia ma non finisce qui. Il Pm deve avere la vista corta e concentrarsi su quel fatto di reato e sui responsabili, ma deve avere insieme la vista lunga perché in ogni caso l’ultima parola è quella del giudice. Sin dal primo passo il Pm non agisce da solo perché deve dirigere la polizia giudiziaria, collaborare con il personale ammnistrativo, deve confrontarsi con le garanzie di difesa, con le istanze delle vittime e con gli avvocati delle parti.
Se questo vale per la singola indagine, la Procura come ufficio deve misurarsi con le risorse a sua disposizione e tenere in conto le risorse a disposizione dei giudici dell’indagine e dell’udienza preliminare e del Tribunale, monocratico e collegiale. E non basta perché in via generale e oltre la singola indagine. la Procura deve confrontarsi con i corpi di polizia giudiziaria, con le organizzazioni dell’avvocatura, ed ancora con gli amministratori locali e i rappresentanti del governo centrale come i prefetti.
2. La struttura interna della Procura
L’ufficio del Pm è composto da magistrati indipendenti, ma è organizzato, per legge, su una struttura gerarchica. Se poi con termini più moderni invece che di gerarchia si parla di governance, di cui il Procuratore è responsabile, il problema rimane. Il singolo PM agisce necessariamente con una forte impronta personale, ma è inserito in una struttura organizzativa complessa.
Il modello rigidamente gerarchico è in crisi in ogni organizzazione complessa, tanto meno può reggere a fronte delle garanzie di indipendenza dei singoli magistrati di una Procura. Rischia di essere sostituito da un modello paternalistico “siamo una famiglia” che nella pratica vive su una massiccia dose di ipocrisia, ma l’Ufficio di procura non si può reggere sull’allegra anarchia o su un modello assembleare.
«La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione».
(Giorgio Gaber, La Libertà, 1973)
Il problema è aperto e le delibere del Csm mostrano oscillazioni ed incertezze, che emergono quando il modello ideale si confronta con i duri casi della realtà. Un ufficio come la Procura non si regge certo senza un coinvolgimento di tutti i magistrati, ma neppure può reggersi senza assunzione chiara di responsabilità da parte del Procuratore.
Governance vuol dire direttive sul rapporto con la polizia giudiziaria, sulla gestione delle risorse e delle spese, valutazione di professionalità dei magistrati in cui accanto agli ottimi e agli eccellenti vi sono gli “insufficienti”, vuol dire intervenire in modo deciso su disfunzioni anche nella gestione delle singole indagini.
Gestione delle spese: i magistrati del pm si adagiano spesso sulla comoda idea che l’obbligatorietà dell’azione penale comporti non prendere neppure in considerazione la questione spese, tanto poi il Ministero provvede. Spesso l’attenzione alle spese va di pari passo con l’attenzione alle garanzie, come nel caso delle intercettazioni telefoniche.
Senza una forte governance, cui deve corrispondere altrettanto forte trasparenza delle scelte e assunzione di responsabilità, un Ufficio di Procura non regge la quotidianità della gestione e men che meno è in grado di affrontare la indispensabile continua attenzione all’ innovazione organizzativa.
Molto si gioca in questa fase transitoria, fino al 31 dicembre 2024, nel corso della quale saranno attuati i provvedimenti organizzativi previsti nel PNRR: reclutamento di nuovi magistrati e personale amministrativo, ufficio per il processo, informatizzazione delle procedure.
3. Le scelte discrezionali del Pm
Sulla assunzione di responsabilità da parte dei magistrati importanti spunti di riflessione sono stati proposti dal Presidente Mattarella nel discorso rivolto il 6 febbraio 2017 ai magistrati in tirocinio: "I provvedimenti adottati dalla magistratura incidono, oltre che sulle persone, sulla realtà sociale e spesso intervengono in situazioni complesse e a volte drammatiche, in cui la decisione giudiziaria è l'ultima opportunità, a volte dopo inadempienze o negligenze di altre autorità. Per questo l'intervento della magistratura non è mai privo di conseguenze. La valutazione delle conseguenze del proprio agire non può essere certo intesa in alcun modo come un freno o un limite all'azione giudiziaria rispetto alla complessità delle circostanze. È, comunque, compito del magistrato scegliere, in base alla propria capacità professionale, fra le varie opzioni consentite, quella che, con ragionevolezza, nella corretta applicazione della norma, comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli interessi coinvolti".
Difendere il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale per la sua valenza di garanzia impone però affrontare il tema delle scelte discrezionali del pm che la prassi comporta. La giaculatoria dell’"atto dovuto" non giova. Il pm nella attività di indagine, sin dal momento iniziale, deve fare delle scelte. Eludere questa assunzione di responsabilità è vano, ma neppure giova invocare come soluzione salvifica le direttive sulle priorità. Se, come e quando adottare atti e provvedimenti comporta scelte, da adottare caso per caso. Iscrizione nel registro delle notizie di reato: «immediatamente» dice la legge (art. 335 cpp). Ma occorre verificare se l’atto pervenuto alla Procura è una “notizia di reato” o non piuttosto una denuncia pretestuosa di un privato ovvero una avventurosa iniziativa di non benemerite associazioni di consumatori in cerca di pubblicità. Scorretto ritardare la iscrizione per eludere la funzione di garanzia e i termini di durata delle indagini, ma ancor più dannose le prassi basate su automatismi.
L’informazione di garanzia deve essere inviata all’indagato “solo” quando il pm compie un atto di investigazione al quale il difensore ha diritto di assistere (art. 369 cpp), come ad esempio perquisizione o sequestro. Il Pm decide la tempistica: anticipare al massimo ha una valenza garantistica, ma anche l’effetto di rendere pubblica l’indagine. La informazione di garanzia “subito” solo raramente è un “atto dovuto”; lo è proprio nei casi cui si debba stabilire se ricorre la legittima difesa, perché necessaria per l’esercizio del diritto di difesa sin dall’inizio nell’autopsia, perizie etc.
Infine, a conclusione delle indagini il Pm deve vagliare con rigore la sostenibilità della accusa in giudizio, resistendo alle pressioni di parti offese e denuncianti particolarmente motivati, per non dire di campagne di stampa colpevoliste. Non vi è solo l’alternativa tra richiesta di archiviazione ed esercizio della azione penale, ma anche la scelta dei riti processuali che incide sui tempi del giudizio. La correttezza o meno di queste scelte del pm sarà valutata solo ex post, dal giudice. Nella fase iniziale il pm è “solo” senza confronto con la difesa. “Pm parte imparziale” non è un ossimoro se si pone l’accento su professionalità e deontologia.
4. Tanto rumore per … quasi nulla. Priorità dell’azione penale
Non condivido gli allarmi da più parti lanciati sul tema delle priorità sull’esercizio dell’azione penale dettate dal Parlamento. Prescrivendo l'obbligatorietà dell'azione il Costituente ha voluto "soltanto" fissare un principio: l'eguaglianza di tutti davanti alla legge sancita dall'art. 3 esige che nell'applicazione della legge penale il primo attore, il pm, sia sottratto a ogni influenza dell'esecutivo. La norma ora approvata con la riforma Cartabia prevede che “gli uffici del pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con priorità rispetto alle altre”. Una formulazione infelice che induce equivoci, ma non giustifica allarmi. Più correttamente si dovrebbe fare riferimento non a “criteri di priorità” ma agli indirizzi di politica criminale adottati dal Parlamento su proposta del Governo. La politica criminale, più che in direttive di priorità, si concreta nelle scelte organizzative sull'impiego delle risorse materiali e tecnologiche e nella distribuzione del personale di magistratura e delle forze di polizia e infine nell'adeguamento della normativa penale processuale e sostanziale. Le eventuali priorità che fossero definite annualmente a livello nazionale devono essere calibrate a livello locale e costantemente monitorate. La attuazione pratica di questi indirizzi nella singola Procura si traduce nella dislocazione delle risorse materiali, tecnologiche e umane. Proviamo a fare un solo paradossale esempio: ove un malaccorto Parlamento, magari per “riguardo” ad un leader politico della maggioranza indagato, dimenticasse di indicare tra i reati prioritari la corruzione, la Procura competente, protetta dal principio costituzionale, doverosamente porrebbe tra le priorità quella indagine specifica.
5. Le soluzioni miracolistiche. Il Court manager
Ancora da ultimo è stata rilanciata la introduzione negli uffici giudiziari di figure «simili ai court manager, soggetti titolari del caseflow management - cioè, della gestione dei procedimenti e del loro flusso - negli uffici giudiziari statunitensi». Così la proposta del “Comitato programma per l'Italia", presentato su Il Sole 24 Ore il 16 giugno scorso da Carlo Cottarelli e Alessandro De Nicola.
Sul tema ritorna The European House Ambrosetti “Ridisegnare l’Italia. Proposte di Governance per cambiare il Paese - Forum 2021 di Ambrosetti Club 30 marzo 2021” (p. 195) presentato all’ultimo Forum di Cernobbio.
«Introduzione della figura del Court Manager – da selezionare tra manager privati o magistrati che scelgono di dedicarsi esclusivamente ad una carriera gestionale-ammnistrativa – a cui affidare l’amministrazione e l’organizzazione gestionale dell’ufficio giudiziario secondo logiche di coerenza tra obbiettivi e risorse assegnate».
Il "trapianto" di modelli in contesti diversi per lo più ha dato risultati controproducenti. Ma qui si tocca il nucleo della funzione del magistrato dirigente, giudice o Pm. Per i Tribunali la «gestione dei procedimenti e del loro flusso» deve muoversi nel delicato equilibrio tra produttività e celerità da un lato e dall'altro rispetto delle garanzie dei giudicabili, prima tra tutte quella del «giudice naturale precostituito» (art.25 Cost.) attraverso il sistema delle «tabelle di composizione degli uffici». "Chi si occupa di cosa?", nella tradizione, lo decideva il presidente del Tribunale a suo arbitrio; peggio ancora attribuire oggi questo ruolo a un «court manager». Per la Procura l’attività di indagine è inestricabilmente connessa e condizionate dalle scelte procedurali e gestionali del singolo magistrato nel quadro stabilito dal Procuratore nel Progetto organizzativo.
Piuttosto che pensare a un court manager (selezionato da chi?) occorre un forte impegno del Ministero per la formazione e riqualificazione del personale amministrativo, per recuperare il disastro di venti anni di mancato turn over. La Scuola Superiore della magistratura oltre a proseguire nei corsi di gestione degli uffici per gli aspiranti dirigenti deve già nel tirocinio iniziale proporre questa tematica ai neomagistrati.
6. Accountability e trasparenza
Condivido appieno il rilievo da più parti attribuito a trasparenza e accountability per i giudici e forse ancor più per i pubblici ministeri. L’obbligatorietà dell’azione penale, principio costituzionale posto a garanzia della eguaglianza di fronte alla legge, non deve consentire al pm di celarsi dietro la categoria dell’”atto dovuto”, a fronte dei numerosi passaggi della sua attività che comportano scelte discrezionali non solo nella organizzazione delle risorse umane e materiali dell’ufficio, ma anche nell’attività di indagine e di definizione del procedimento.
Interessanti esperienze in tema di accountability sono i Bilanci di responsabilità sociale che, dopo l’esperienza pionieristica del Procuratore di Bolzano Cuno Tarfusser, sono stati adottati in diversi uffici giudiziari. Un particolare impegno nella redazione di questi BRS ha caratterizzato a partire dal 2010, la Procura della Repubblica di Milano (i BRS sono reperibili sul sito www.procura.milano.giustizia.it ).
L’impegno per il BRS segna un passaggio fondamentale ancor prima che sul versante esterno "accountabilty/ rendere conto", sul versante interno. I magistrati della Procura sono coinvolti e accettando la fatica supplementare di fornire dati e report sulla loro attività si devono misurar con una autoanalisi non occasionale del loro lavoro. Nella esperienza della Procura di Milano il gruppo ristretto di magistrati (variato negli anni) istituito per costruire il BRS ha dovuto per mesi lavorare insieme con il personale amministrativo e insieme con gli esperti di organizzazione del Progetto Innovagiustizia, gestito sia dalla Procura che dal Tribunale.
Anche in tema di trasparenza e accountability degli uffici giudiziari opera la suggestione del trapianto di esperienze delle aziende private. Nel già citato documento presentato all’ultimo Forum Ambrosetti si propone:
«Creazione di una piattaforma telematica, liberamente accessibile on line dai cittadini secondo criteri di massima trasparenza e semplicità, che riporti i profili dei magistrati secondo una serie di parametri (KPI Key Performance Indicators) professionali (es. numero di sentenze, eventuali sanzioni disciplinari, ecc.) e organizzativi» (p. 202).
Questi dati dovrebbero essere già presenti nei fascicoli personali dei magistrati, ma spesso lo sono come dati non organizzati o con formule generiche; molto vi è da lavorare sul punto e le esperienze di valutazione delle aziende private possono fornire indicazioni utili di metodo. Non pochi di questi dati sono già liberamente accessibili, ma la traduzione in veri e propri parametri quantitativi accessibili a tutti i cittadini non è né agevole né, a mio avviso, auspicabile.
7. La comunicazione delle Procure
Edith van den Broek, già direttrice dell’Istituto di formazione giudiziaria del Belgio, in un intervento alla nostra Scuola Superiore della Magistratura, ha indicato le tre competenze chiave del magistrato manager:
1) Competenza tecnico-giuridica
2) Abilità amministrative ed organizzative
3) Competenze comunicative
La questione della comunicazione, sotto il duplice profilo del dovere di comunicare in una logica di trasparenza e accountability e del dovere di rispettare nella comunicazione il principio di innocenza, investe in modo particolare la Procura.
Non saranno mai abbastanza sottolineati i danni che provocano alla complessiva credibilità della giustizia le esternazioni lesive del principio di innocenza e in contrasto con i criteri dell’equilibrio e della misura di alcuni magistrati, soprattutto pubblici ministeri.
La presunzione di innocenza trova la sua essenziale tutela nelle norme del processo sulle garanzie del diritto di difesa. La pretesa di intervenire sul terreno della comunicazione con normative apparentemente stringenti si rivela insieme problematica e potenzialmente lesiva degli altrettanto rilevanti valori dell’informazione, della cronaca e della critica.
Il problema, a mio avviso, non è se, ma come la Procura, deve comunicare nella fase coperta dal segreto investigativo. Naturalmente è compito del Procuratore, cui è affidata la responsabilità della gestione dell’ufficio e della comunicazione, governare le spinte al “protagonismo” dei magistrati dell’ufficio, ma dal “protagonismo” non sono esenti anche alcuni degli stessi Procuratori.
E’ un difficile esercizio di equilibrio, ma spesso la conferenza stampa ufficiale, attuata in urgenza (per rispetto ai tempi dei media e per evitare la diffusione di notizie parziali o distorte), è l’unico strumento per veicolare informazioni, garantendo parità di accesso a tutti i giornalisti.
E’ vano proporre una casistica per questo tipo di conferenze stampa, tanto disparate sono le situazioni: necessità di correggere informazioni errate, contributo ad una informazione puntuale su aspetti che non danneggiano il segreto investigativo, appelli a fornire notizie. Qualunque normativa adotterà il nostro legislatore per la comunicazione delle Procure rimane essenziale l’assunzione di responsabilità e la deontologia degli operatori di giustizia e degli operatori dell’informazione. Ciascun caso, ciascuna vicenda presenta aspetti particolari ma il concetto di rispetto della dignità della persona offre un orientamento chiaro.
APPENDICE
Due cose da fare, dimenticate dal PNRR
1. Geografia giudiziaria
Il Tribunale "sotto casa" non ce lo possiamo più permettere. La riforma Severino è rimasta incompiuta. Per le Corti di Appello il principio è quello di una per regione. Ma la Sicilia ne ha quattro: Palermo, Caltanissetta, Messina e Catania; la Puglia ne ha tre: Bari, Lecce e Taranto. Se due Corti sono sufficienti per macroregioni come Lombardia e Campania altrettante dovrebbero bastarne per Sicilia e Puglia. È stato insensato mantenere un Tribunale in ogni capoluogo di provincia, tanto sono diversificate le situazioni. Per la revisione non si partirebbe da zero. Vi è la proposta della Commissione Vietti del 2016 e il ministero della Giustizia dispone di tutti i dati aggiornati necessari. Vi è almeno una ventina di piccoli, troppo piccoli, tribunali in Italia che per le loro ridotte dimensioni non sono in grado di garantire efficienza, ed entrano in crisi quando sopravvengono emergenze. L'occasione è unica: fondi europei da utilizzare nel PNRR Piano nazionale di ripresa e resilienza, concorsi per nuovi magistrati, assunzione di personale amministrativo e ufficio per il processo. Bruxelles vigilerà giustamente su come saranno gestiti i fondi europei. In mancanza di un incisivo e preventivo intervento sulla revisione della geografia giudiziaria sarà inevitabile un gigantesco spreco di risorse.
2. Struttura della Scuola Superiore della Magistratura per la formazione iniziale
Una proposta per la riforma della formazione iniziale dei MOT (vedi per una trattazione dettagliata M.G. Civinini, E. Bruti Liberati, La formazione iniziale dei magistrati. Analisi di una esperienza e una proposta, in Questione Giustizia, 28 maggio 2021)
L’auspicato ritorno al concorso di primo grado per l’accesso in magistratura, insieme alla risposta alla richiesta di professionalità adeguata dei magistrati rende urgente una riforma.
Traendo spunto dalla esperienza francese si possono prospettare le linee fondamentali di una riorganizzazione del tirocinio iniziale dei MOT, con riferimento alla attuale organizzazione della Scuola Superiore della Magistratura.
a. Netta diversificazione tra organizzazione e struttura della formazione iniziale e della formazione permanente.
b. Strutturazione sull’esempio ENM di un corpo insegnante stabile, composto da magistrati con sufficiente esperienza che assicurano con la nomina per tre anni, rinnovabili una volta, non solo una continuità ma anche e soprattutto una capacità di elaborazione di obbiettivi pedagogici, contenuti e metodi. Gli insegnanti sono tutti magistrati, ai quali si aggiunge un funzionario ammnistrativo e un insegnante di lingue. Il numero di 25 insegnanti (23 magistrati + 2) è un punto di riferimento poiché il numero complessivo dei MOT è più o meno equivalente a quello degli auditeurs de justice.
c. La interdisciplinarietà e il rapporto con gli altri operatori del sistema giustizia è assicurata oltre che con interventi esterni in sessione plenaria, essenzialmente con gli stage. Un particolare rilievo, anche per la durata prevista, assume lo stage presso lo studio di un avvocato.
d. Previsione di un coordinamento organizzativo – realizzato attraverso magistrati a ciò dedicati in via permanente - tra struttura centrale della Scuola e coordinatori del tirocinio negli uffici giudiziari e omogenizzazione del metodo di formazione "per imitazione" (negli stage in giurisdizione) con adeguata selezione e formazione dei magistrati affidatari
e. Apertura sin dall'inizio del tirocinio a quelle che i francesi chiamano Humanités judiciaires
Presupposti imprescindibili sono i punti sub a) e b). Il corpo insegnante dei magistrati distaccati fuori ruolo non comporta costi aggiuntivi. La struttura di Scandicci richiederebbe alcuni interventi strutturali e organizzativi.
L’attuale crisi di fiducia nella magistratura esige risposte a molti livelli. Ma essenziale è una adeguata formazione dei magistrati che dall’imprescindibile tecnica giuridica sia apra alla deontologia, alla interdisciplinarietà e al confronto con la società nella quale si inserisce la funzione della magistratura.
Una cosa da non fare. Responsabilità civile diretta dei magistrati
La semplificazione del “chi sbaglia paga” è ricorrentemente proposta, ma rimane fuorviante. «Se in un sondaggio di opinione si chiede se sia opportuno che il giudice sia tenuto a risarcire i danni che abbia cagionato con una decisone colpevolmente errata, i più risponderanno di sì. ‘Chi sbaglia, paga’, sembra ovvio. […] Ma che la responsabilità personale del giudice per i danni (problema, si noti, diverso e indipendente dalla responsabilità dello Stato) costituisca uno strumento efficace e opportuno allo scopo, non è affatto ovvio, anzi». Dieci anni fa scriveva così (Corriere della Sera, 29 marzo 2011) un grande professore di diritto civile, Pietro Trimarchi, non si potrebbe dire meglio. La responsabilità dello Stato per le disfunzioni della giustizia è una cosa ed esiste dovunque in Europa. La responsabilità diretta del magistrato che qualcuno vorrebbe introdurre non esiste da nessuna parte in Europa. In caso di condanna dello Stato, esiste già nel nostro sistema la cosiddetta azione di regresso nei confronti del magistrato, ma i casi sono stati pochissimi e, a mio avviso, giustamente. In Francia, dove è previsto un sistema abbastanza simile al nostro, la azione di regresso action recursoire nei confronti del magistrato di fatto non è mai stata esercitata. Una disciplina “vendicativa” nei confronti del singolo magistrato avrebbe il solo risultato di renderlo più timoroso di fronte a quei casi difficili, che però sono il pane quotidiano della giustizia. Gli eccessi sulla responsabilità professionale dei medici hanno portato alla medicina difensiva. I magistrati professionalmente attrezzati, quale che sia la futura disciplina, continueranno ad assumersi le loro responsabilità.
Contributo alla tavola rotonda PNRR e modernizzazione del settore giudiziario organizzata nell’ambito della Conferenza annuale della SISP Società Italiana di Scienza Politica”, 10 settembre 2021.