L’iniziativa del Ministro della Giustizia
Ieri, rispondendo alle domande di un intervistatore, il Ministro della giustizia ha esposto le linee essenziali della riforma del Csm, annunciando per oggi 12 luglio, l’invio alla Presidenza del Consiglio del testo predisposto dal suo ufficio legislativo, unitamente agli altri relativi all’ordinamento giudiziario ed al processo penale.
Poiché la proposta destinata a riscrivere le regole sulla composizione e sul funzionamento del Consiglio superiore è ormai a disposizione delle testate giornalistiche, riteniamo utile informare i lettori della Rivista dei suoi contenuti essenziali, facendo seguire all’esposizione alcune primissime osservazioni.
Nella proposta non mancano – è bene dirlo subito – alcune scelte condivisibili, dettate dalle esperienze degli ultimi anni.
Ma a non convincere è il nucleo centrale del progetto governativo, che – introducendo un singolare meccanismo di scelta dei componenti togati del Consiglio fondato sulla combinazione di una votazione preliminare (impropriamente denominata “elezione”) e di un successivo sorteggio – mira a scardinare ogni reale rappresentatività dell’organo di governo autonomo della magistratura.
Come è noto, i meccanismi istituzionali che regolano la vita del Consiglio e le questioni riguardanti le procedure elettorali sono materia tutt’altro che lineare.
Di qui l’esigenza di procedere con ordine individuando le principali innovazioni proposte e riservando, all’esito di questa prima ricognizione, primi giudizi di valore e l’identificazione dei principali problemi istituzionali e giuridici posti dalla normativa che il Ministro vuole introdurre.
Sui numeri si ritorna all’antico: venti membri togati e dieci laici
In singolare controtendenza con le progettate riduzioni del numero dei membri di altri organi collegiali, il Ministro propone di aumentare il numero dei componenti del Consiglio superiore.
Nel nuovo Consiglio, immaginato dall’on. Bonafede e dai suoi uffici, i componenti togati saranno infatti venti (in luogo degli attuali sedici) mentre i componenti eletti dal parlamento saranno dieci, in luogo degli otto che oggi siedono nella sede di Palazzo dei Marescialli.
Parallelamente il quorum di presenze necessario per la validità delle deliberazioni consiliari sale a quattordici togati e a sette laici.
È un ritorno all’antico. Si ritorna cioè alla composizione numerica che il Consiglio aveva prima che l’ultima legge di riforma dell’organismo consiliare, la legge 28 marzo 2002, n. 44, riducesse a ventiquattro (sedici togati e otto laici) il numero dei consiglieri superiori.
Come si vedrà, tale aumento è stato reso necessario dalla scelta di rimodellare la Sezione disciplinare, escludendo i suoi componenti dalla partecipazione alle attività delle numerose Commissioni referenti che hanno il compito di istruire le delibere riguardanti l’amministrazione della giurisdizione.
La Sezione disciplinare cambia volto
Le innovazioni che investono il giudice disciplinare dei magistrati sono radicali.
In primo luogo, come si è già accennato, si separa o almeno si allontana la giustizia disciplinare dalla “amministrazione della giurisdizione”, prevedendo che i componenti eletti in seno al Consiglio come giudici disciplinari non facciano più parte delle Commissioni referenti.
Per altro verso si stabilisce che la Sezione disciplinare possa «deliberare mediante collegi composti da tre membri, dei quali uno eletto dal Parlamento e due eletti dai magistrati», sempre riservando al componente designato dal parlamento il ruolo di presidente del collegio.
Una scelta, quella di ridurre a tre i componenti dei collegi, che porrà più di una questione di conformità al dettato costituzionale nell’inequivoca interpretazione che, sia pure in un lontano passato, ne ha dato la Corte costituzionale.
Inoltre se le parole chiave del nuovo assetto della giustizia disciplinare sono chiare – separazione, riduzione, snellimento – è prevedibile che la loro traduzione in atto nella vita quotidiana del Consiglio non mancherà di suscitare problemi sul piano della efficacia ed operatività dell’azione consiliare.
La sequenza elezioni-sorteggio dei candidati togati
È però la sequenza “elezioni-sorteggio”, ideata per la provvista dei componenti togati del Consiglio, a segnare la più profonda linea di rottura con il passato.
Proviamo a descriverne schematicamente il funzionamento, distinguendo tra una prima fase cd. “elettorale”, una fase successiva riservata al sorteggio “tra gli “eletti” e una terza fase, solo eventuale, di correzione per categorie, di risultati del sorteggio che si siano rivelati troppo capricciosi e non abbiano consentito spontaneamente la presenza in Consiglio delle tre categorie dei giudici di legittimità, dei pubblici ministeri e dei giudici di merito.
Nella prima fase cd. “elettorale”:
a) il territorio nazionale è diviso in venti collegi, ciascuno dei quali «comprenda un numero di elettori prossimi ad un ventesimo del corpo elettorale»; con l’avvertenza che uno dei collegi è riservato al complesso di uffici che compongono o sono collegati alla Corte di cassazione e un altro ai magistrati fuori ruolo ed al plesso della Corte di appello di Roma;
b) ciascun magistrato, in possesso dei requisiti per l’elettorato passivo, può presentare la sua candidatura, corredata dalla firma di dieci presentatori, nel collegio in cui esercita le funzioni o in quello in cui ha operato nel decennio antecedente;
c) nelle elezioni, che si svolgono nei venti collegi, ciascun magistrato elettore può esprimere un solo voto per un solo candidato;
d) all’esito dello scrutinio, che si svolge separatamente per ciascun collegio, vengono «dichiarati eletti i primi cinque candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti in ciascun collegio e che abbiano ottenuto almeno il cinque per ceto dei voti validi»; anzianità di ruolo e anzianità di età valgono poi ad individuare gli eletti nel caso di parità di voti.
Nella seconda fase, del “sorteggio”, la Commissione elettorale centrale provvede, separatamente per ciascun collegio «alla individuazione mediante sorteggio dei componenti destinati a far parte del Consiglio superiore della Magistratura».
La terza fase (solo eventuale) è destinata alla correzione dei risultati imperfetti di un sistema imperfetto. Se dopo l’elezione e il sorteggio il sistema delle tre quote di categoria (giudici di legittimità, pubblici ministeri e giudici di merito) non risulta rispettato, il più votato della quota esclusa «subentra al magistrato sorteggiato che ha ottenuto la più bassa percentuale di voti nel proprio collegio».
In sostanza la provvista dei componenti togati avverrà tramite il sorteggio e attraverso l’eventuale correzione, diretta a garantire la presenza di consiglieri corrispondenti alle tre categorie che devono sedere nel Consiglio.
Le restrizioni dell’elettorato passivo dei togati
Il sistema è completato dalla introduzione di notevoli restrizioni dell’elettorato passivo, di segno generale o mirato.
Non potranno infatti essere candidati nella fase cd. “elettorale” i magistrati che non abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità.
Inoltre analoga esclusione è prevista per i componenti del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura in carica o in servizio alla Scuola nel quadriennio antecedente le elezioni, nonché per i parlamentari, i componenti del Governo o gli eletti negli enti locali territoriali, con estensione della preclusione al quinquennio precedente le elezioni.
La componente dei laici
I mutamenti riguardano anche la componente laica, giacché la proposta del Ministro mira ad escludere dall’elezione tutti coloro che in varia veste svolgano o abbiano svolto nei cinque anni antecedenti le elezioni consiliari ruoli politici o amministrativi di fonte elettiva (parlamentari, membri del Governo nazionale, consiglieri, assessori o presidenti di Regione, sindaci di grandi e medie città).
Un lavoro di lunga lena e alcune prime osservazioni
Sin qui i tratti essenziali del “nuovo” Consiglio e del sistema immaginato per garantirne la provvista.
L’ampiezza delle modifiche e delle innovazioni proposte rende evidente che occorrerà un lavoro di lunga lena per valutare qualità e tenuta delle soluzioni prospettate.
Ma già in sede di prima lettura si impongono alcune considerazioni critiche.
Cominciamo dalla progettata articolazione della Sezione disciplinare in collegi composti da tre componenti (un laico e due togati).
È evidente che questa scelta impedirà che nel collegio disciplinare siano presenti contemporaneamente i rappresentanti delle tre categorie di togati che compongono il Consiglio (giudici di merito, di legittimità e pubblici ministeri). E ciò in palese contrasto con quanto affermato nella sentenza n. 12 del 1971 della Corte costituzionale che difese la legittimità della Sezione disciplinare e negò che essa fosse in contrasto con il dettato dell’art. 105 Cost. (che al Csm attribuisce la funzione disciplinare) in quanto la Sezione costituiva una sorta Consiglio in sedicesimo, in grado di rispecchiare nella sua composizione le componenti laiche e togate e «le categorie di magistrati che concorrono alla formazione del Consiglio».
Se possibile ancor più netto è poi il contrasto dell’ircocervo elezioni-sorteggio con il principio di rappresentatività, con la ragionevolezza e con il dettato costituzionale.
Si tratta, infatti, di un “unicum” nel panorama dei sistemi elettorali, capace di produrre gli effetti più capricciosi e bizzarri e, all’occorrenza, bisogno di correzioni per rimediare all’irrazionalità insita nel meccanismo del sorteggio.
Il punto è che la Costituzione parla di elezioni dei componenti togati da parte di tutti i magistrati con una decisa opzione per una reale rappresentatività e che, proprio per la chiarezza cristallina del suo testo, non si lascia aggirare da espedienti verbali o istituzionali.
È infatti un artificio verbale definire costantemente “elezioni” (in un testo destinato a divenire legge dello Stato!) operazioni destinate solo a selezionare una platea da cui poi estrarre a sorte (magari i candidati meno votati).
Ed è un artificio istituzionale sostituire un congegno bizzarro alle regole antiche e classiche della rappresentanza.
Dopo la cancellazione del sistema rappresentativo puro, varato nel 1975 e dopo due esperimenti legislativi condotti all’insegna della parola d’ordine di limitare il ruolo delle correnti e clamorosamente falliti per l’insipienza del legislatore (che ha prodotto effetti opposti a quelli desiderati) era ed è tempo di mettere mano ad una riforma effettiva, aderente alla lettera ed allo spirito della Costituzione.
Si cerchino allora soluzioni istituzionali che rendano più aperta e vicina alla base elettorale dei magistrati la prima fase del processo elettorale – cioè l’individuazione dei candidati – sottraendola ai condizionamenti impropri di gruppi organizzati.
È significativo che in questa direzione si siano mosse due autorevoli proposte di modifica del sistema elettorale del Consiglio avanzate di recente: quella della Commissione Scotti (su cui si è soffermato in un recente articolo di questa Rivista Valerio Savio) e quella di un maestro del costituzionalismo italiano come Gaetano Silvestri che ha scelto di pubblicarla proprio sulle colonne della Trimestrale di Questione Giustizia [1].
È su questa strada, e non su quella dei sotterfugi, delle vie traverse e degli aggiramenti della carta costituzionale che si potrà rispondere con correttezza ed incisività alla reale esigenza di rinnovamento dell’organo di governo autonomo della magistratura.
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[1] Vds. V. Savio, Come eleggere il Csm, analisi e proposte: il sorteggio è un rimedio peggiore del male, in questa Rivista on-line, 26 giugno 2019, http://questionegiustizia.it/articolo/come-eleggere-il-csm-analisi-e-proposte-il-sorteggio-e-un-rimedio-peggiore-del-male_26-06-2019.php; G. Silvestri, Consiglio superiore della magistratura e sistema costituzionale, in Questione Giustizia trimestrale, n. 4/2017, http://questionegiustizia.it/rivista/2017/4/consiglio-superiore-della-magistratura-e-sistema-costituzionale_489.php.