Di solito si riflette di più, e più a lungo, sulle sconfitte che sulle vittorie.
Nell’immancabile susseguirsi di giustificazioni, critiche ed accuse che fanno seguito ad un risultato negativo, le cause dell’insuccesso sono ricercate con cura minuziosa, individuando gli errori compiuti, analizzando la congiuntura sfavorevole, elencando i fattori avversi che hanno nuociuto ad una causa, ad un partito, ad un candidato.
Il successo, invece, rischia di relegare sullo sfondo tanto la piena identificazione della “chimica” della soluzione vincente, quanto la valutazione degli eventuali dati negativi che si accompagnano al risultato favorevole.
Cerchiamo di evitare questo errore nel leggere l’esito delle ultime elezioni suppletive per il Csm.
L’importante “vittoria” rappresentata dall’elezione al Csm di Elisabetta Chinaglia merita infatti una riflessione che vada al di là del riconoscimento delle indiscutibili qualità personali e professionali della candidata e della bontà della sua scelta.
Intorno a quest’unica candidata, assecondando e non sfidando l’attuale sistema elettorale, si è infatti realizzata la piena unità della magistratura di orientamento democratico e progressista, che ha saputo immettere nel confronto elettorale tutto il peso del suo patrimonio di idee e di esperienze.
Tra i molteplici fattori dell’affermazione elettorale è stata certamente questa unità a giocare un ruolo determinante, contagiando, all’interno della magistratura, quell’area ampia di elettorato che non si riconosce direttamente nei gruppi ma compie le sue scelte sulla base dei valori e delle proposte incarnate in un candidato.
E i valori rappresentati da Elisabetta Chinaglia, esposti in tutte le riunioni organizzate dall’Associazione nazionale magistrati in un confronto aperto con gli altri candidati, sono stati compresi ed apprezzati dall’elettorato.
Ma c’è di più: l’unità di tutti i magistrati che hanno iscritto la parola “democrazia” nella loro ragione sociale è stata ricercata e praticata nella sua dimensione esterna più alta e significativa.
Unità come realizzazione di un bene sociale, di un prezioso “bene collettivo” da offrire ai cittadini, che solo da una magistratura non chiusa in se stessa, aperta e attenta alle istanze dei lavoratori e della società civile possono trarre speranze per una giustizia migliore e solo dalla forte e unitaria presenza di una magistratura progressista nel governo autonomo possono avere garanzie contro le ricorrenti tendenze al ripiegamento corporativo.
Per questa forma alta e vincente di unità occorrerà impiegare, oggi e in futuro, ogni energia ed esercitare ogni cautela.
Rispettando a pieno le identità individuali e collettive che compongono il mondo della magistratura di orientamento democratico ed evitando la tentazione di conformarne o emarginarne per via burocratica le diversità.
Inutile illudersi che il compito sia facile, insensato pensare che non sia necessario.
Almeno se si vogliono affrontare le sfide del futuro prossimo.
Da un lato saper parlare alle magistrate ed ai magistrati che in questa tornata elettorale hanno votato scheda bianca (491) o non si sono recati ai seggi (hanno votato solo 5992 magistrati sul totale degli aventi diritto, e cioè il 66.51% del corpo elettorale).
Dall’altro lato perseguire coerentemente una politica consiliare che segni una chiara inversione di rotta rispetto alle deviazioni emerse dall’inchiesta perugina.
Per riconquistare credibilità ed autorevolezza agli occhi del Paese, il Consiglio Superiore della Magistratura deve tornare ad essere quello che è stato nei momenti più alti della sua storia: una istituzione che, forte della sua effettiva rappresentatività della magistratura, adotta le sue decisioni con lo sguardo rivolto alla società ed ai bisogni di giustizia dei cittadini.