Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Le cupole di Kiev

di Francesco Florit
già Head of prosecution/judiciary Unit, European Union Advisory Mission in Ukraine

Nella capitale dell’Ucraina è in corso un profondo processo di riforma del sistema giudiziario nel suo complesso, con il doppio fine di eradicare la corruzione sistemica e di traghettare il Paese verso strutture più moderne e di stile occidentale

Kiev  è una città molto bella, pulita ed ordinata. E’ difficile trovare costruzioni più vecchie di un secolo e mezzo, ad eccezione di poche meravigliose chiese ortodosse, con le loro cupole a cipolla, dorate e riflettenti, visibili a grande distanza. Ciò non di meno, le linee architettoniche dei palazzi e la disposizione urbanistica della città colpiscono e sorprendono il visitatore.

I larghi boulevards del centro si aprono su piazze grandiose, il momumentale domina ovunque. Un diffuso ecclettismo fa sì che sulle facciate dei palazzi del centro e dei quartieri residenziali, elementi eterogenei si affollino per fondersi in una inaspettata armonia. È così che si possono riconoscere su una stessa facciata stilemi classici (le colonne abbondano, di solito coronate da capitelli ionici) assieme ad elementi dell’Art Nouveau o addirittura arabeggianti (nei quartieri circostanti il mercato della Bessarabia). Palazzi che per eleganza non sfigurerebbero a Parigi si alternano ad una architettura centroeuropea severa e imponente. 

Questa efficace "confusione di stili" non è immotivata né occasionale. Rifacendosi alla lezione di Lévi-Strauss (Tristi tropici), secondo cui nelle forme predilette da un gruppo sociale si esprimono esigenze profonde dell’animo umano o dell’inconscio collettivo, è facile comprendere che l’ecclettismo di Kiev non sia altro che la manifestazione esteriore, sul piano architettonico, di quel soul searching che è una nota fondamentale dell’animo ucraino, alla ricerca di un’identità nazionale per alcuni aspetti ancora in divenire. In altre parole, l’espressione di una originale idea di “ucrainicità” che non poteva manifestarsi liberamente a livello politico. 

Ma l’elemento architettonico più sorprendente, se si vuole inaspettato, è un tipo di cupola che si trova a coronamento e copertura di edifici pubblici realizzati o rifatti a partire dagli anni ’50. È una cupola ‘piatta’, coronata da un corto pennone, ben diversa dalla "semisfera" delle grandi cattedrali o basiliche cattoliche ("Er Cupolone" per eccellenza, a Roma, ma anche Santa Maria in Fiore a Firenze o quella di Santa Maria della Salute a Venezia) o dall’audace dome che Norman Foster ha collocato sul Reichstag di Berlino. Sembra quasi un disco volante di un film degli anni 60 o un coperchio di quelle pentole di alluminio popolari anche da noi nella stessa epoca.

Anche in questo caso, il linguaggio architettonico si rifà ad un precedente illustre e contiene un messaggio implicito: il modello è verosimilmente Santa Sofia, a Istanbul, ed il messaggio è quello del centralismo democratico, nelle forme dell’imperialismo di Mosca (la Terza Roma). Su questo aspetto ritornerò nelle conclusioni.

Perché la lunga premessa non sia scambiata per una esibizione di erudizione fine a se stessa, occorre sottolineare che le due caratteristiche sopra indicate (ecclettismo e centralismo) e le due cause di esse (ricerca dell’identità; imperialismo), lungi dall’essere limitate all’ambito architettonico, connotano altresì il sistema giudiziario ucraino e ne condizionano i tentativi di riforma che oramai da anni si susseguono senza grossi risultati. In particolare, il centralismo è la peculiarità fondamentale della Procura Generale mentre l’ecclettismo e la ricerca delle forme caratterizzano la struttura del giudiziario. E’ necessario precisare peraltro che tra Procuratori e Giudici c’è una separazione radicale, non solo ordinamentale ma anche culturale. Ironicamente, e tristemente, l’unica cosa che accomuna le due carriere è lo scarso credito che esse godono presso la pubblica opinione, unificate nell’accusa di essere tra le strutture più corrotte del Paese.

Partiamo dall’ufficio della Procura Generale, ufficio fortemente gerarchizzato, dal quale dipendono tutti gli uffici della procura e tutti i procuratori del Paese. In Ucraina, secondo un modello comune a diversi Paesi dell’ex Unione Sovietica, la nomina del Procuratore Generale è prerogativa del Presidente della Repubblica (o del Governo), con una scelta spiccatamente politica che deve ottenere il placet del Parlamento, la Verkhovna Rada. Con poche e non sempre felici eccezioni, i Procuratori Generali dell’ultimo ventennio sono stati politici di carriera, destinati a restare in carica (di solito, meno di un anno) fintanto che siano utili al potere che li ha nominati. Da ciò il rischio che iniziative giudiziarie contro gli avversari siano bollate come "selective justice", con conseguenti espressioni di preoccupazione da parte delle autorità europee per iniziative investigative nei confronti di ex Presidenti della Repubblica o Primi Ministri (è successo per la Tymoshenko in passato e, nei mesi scorsi, per Poroshenko). Anche la commissione GRECO del Consiglio d’Europa, nel suo report Paese, ha indicato che il sistema di selezione e nomina del Procuratore Generale è aperto al rischio di influenza politica –anche se poi, nell’ultima valutazione, ha, forse con eccessiva generosità, riconosciuto che una recente riforma ha portato maggiori garanzie di indipendenza. 

L’ufficio della Procura Generale e delle procure regionali e locali, che dalla prima dipendono, costituiscono una istituzione dalle dimensioni assai ragguardevoli (tra i vari livelli, locale, regionale e centrale, i procuratori in Ucraina sono oltre 10.000!), retaggio tanto per gli Ucraini che per gli esperti internazionali del regime sovietico (all’epoca dell’Urss, il Procuratore Generale di Kiev dipendeva gerarchicamente da quello di Mosca), ed ancora incapace di liberarsi di una mentalità accentratrice e –si sostiene da molte parti- di una visione fortemente politica (in passato il Procuratore Generale era anche Ministro della Giustizia). 

Su questo tipo di ufficio si è abbattuto da un anno il programma riformista del Presidente Zelensky. Comico di professione e fondatore di un movimento populista che trae ispirazione da una serie televisiva in cui egli era l’interprete principale (Servant of the People), Zelensky ha imposto, grazie alla schiacciante vittoria elettorale (oltre il 70%), un processo di riforma che è stato definito turbo regime. 

Nel settore della Procura, esso si è materializzato nella ulteriore concentrazione di poteri nelle mani del Procuratore (dalla nomina dei capi degli uffici giudiziari alla elaborazione di regolamenti e procedimenti) e, soprattutto, nel varo di un programma volto al riesame e rivalutazione di tutti i procuratori, ad ogni livello (Attestation).

Sotto quest’ultimo profilo, con il sostegno di diverse agenzie e progetti internazionali, riconducibili all’amministrazione USA ed all’Unione Europea, l’ufficio del Procuratore Generale è da un anno impegnato nella organizzazione di sessioni di esami tecnici (che includono una prova teorica, un esame di intelligenza –definito adaptive ability test- ed un colloquio con prova pratica) preceduti dallo scrutinio di ciascun candidato sotto il profilo della moralità e della trasparenza finanziaria. In caso di esito negativo, non è prevista la possibilità di ‘esami di riparazione’ o di un piano personalizzato di recupero, ma solamente il licenziamento.

Come detto, l’Attestation riguarda tutti i procuratori dell’Ucraina, a qualunque livello essi appartengano. Un esercizio complesso, quindi, che ha provocato molti malumori tra i procuratori, con diversi casi di abbandono della professione, nonché un ricorso avanti alla Corte Costituzionale per contestare la riforma alla radice. Naturalmente, ne è seguito un notevole contenzioso che è destinato ad aumentare con l’avanzare delle selezioni.

Sottopagato e scarsamente qualificato, ma altresì temuto per essere espressione di una delle organizzazioni che ancora rappresentano un potere visto come distante e pronto a servire il politico di turno, il procuratore ucraino non gode certo della stima della popolazione ed è additato come una delle prime cause di corruzione istituzionale. Da qui, la leva politica che ha condotto al varo della riforma palingenetica (o che tale pretende di essere) da parte del Presidente. La riforma è sostanzialmente a metà del guado, poiché è attualmente in corso la Attestation dei procuratori locali (il livello inferiore e maggiormente diffuso sul territorio, composto da oltre 6.000 procuratori). Afflitta da difficoltà di ogni tipo (dalla pandemia ai ritardi nella fornitura del software necessario per la "prova di intelligenza" da parte di una organizzazione internazionale, alla ripetuta "fuga di notizie" con pubblicazione su Facebook delle tracce dell’esame), la procedura di rivalutazione dei procuratori va avanti grazie alla determinazione del Procuratore Generale (Iryna Venediktova) di realizzare, sotto questo aspetto, il programma elettorale del Presidente dell’Ucraina. 

L’esito, per il momento, è di un ‘alleggerimento’ dell’enorme istituzione (oltre 10.000 procuratori, come detto) di circa il 20%.

Passando alle Corti (come detto sopra, tra procuratori e giudici c’è una separazione che va ben al di là delle carriere distinte, essendo anche culturale), i tentativi di riforma sono stati molteplici, fin dai primi anni che hanno fatto seguito alla rivoluzione di Maidan (il movimento spontaneo che tra il 2013 e il 2014 ha portato alla caduta del regime oligarchico e cleptocratico del Presidente Yanukovych, filorusso). 

Si è iniziato nel 2016, con una riforma della Corte Suprema ed il re-vetting[1] del giudiziario. In seguito, con il sostegno dell’Unione Europea e della comunità internazionale in generale, si è proceduto alla creazione di una corte specializzata anticorruzione (High Anti-Corruption Court of Ukraine), i cui giudici sono stati selezionati con l’aiuto di un Public Council of International Experts (un comitato di esperti stranieri al fine di escludere possibili influenze politiche interne).

La riforma ha ripreso ulteriore vigore sotto l’egida della nuova Amministrazione Zelensky che, nella prospettiva di rivoluzionare il sistema di reclutamento dei giudici, ha innanzi dissolto (Legge 193-IX del 7 Novembre 2019) l’attività dell’organo che svolgeva le funzioni della nostra Commissione d’Esame per l’accesso alla Magistratura ma che in Ucraina era costituita come organo permanente (High Judicial Qualification Commission). Con la stessa legge, proposta dal Presidente e passata con massima urgenza da un Parlamento dominato dal partito dallo stesso fondato (Servant of the People) è stata disposta la riduzione della metà dell’organico dei giudici della Nuova Corte Suprema (da 200 a 100) ed il loro re-vetting, anche se ne avevano da poco superato uno specifico; sono stati inoltre costituiti due distinte Commissioni miste (cioè formate da membri locali ed internazionali) con il compito rispettivamente di procedere alla ricostituzione di una nuova Commissione d’Esame, in luogo di quella dissolta, e di procedere alla rivalutazione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, invisi alla pubblica opinione per le accuse di corruzione e partigianeria.

Tuttavia, in mancanza di un approccio olistico (come ora si dice) queste misure sono state adottate dal Parlamento senza il carattere di una riforma generale del settore. Come osservato in una recente Opinione della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa «il risultato dello scarso processo legislativo» è rappresentato da «una pletora di disegni di legge in relazione ad aspetti specifici, spesso in maniera affrettata, un approccio frammentario, l’assenza di una adeguata valutazione dell’impatto prima di proporre ulteriori cambiamenti ed una generale mancanza di chiarezza. Come logica conseguenza alcune leggi sono state successivamente dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale e l’intero processo deve iniziare di nuovo»[2].

In effetti, due sentenze della Corte Costituzionale dei primi mesi di quest’anno hanno dichiarato illegittime parti fondamentali tanto della riforma del 2016 che di quella del 2019. Occorre sottolineare che la Corte Costituzionale ha scoperto, da un anno a questa parte, un attivismo giudiziario che l’ha riscattata dal tradizionale torpore. Ispirandosi ai principi enunciati dalla Venice Commission del Consiglio d’Europa, alla quale spesso si rivolge per chiedere opinioni nella forma di “Amicus Curiae”, la Corte Costituzionale è diventata per i membri del Parlamento (che, in numero minimo di 50, possono adire direttamente la Corte per saggiare la costituzionalità di una legge) un baluardo di legalità. Con la inevitabile conseguenza, tuttavia, che essendo il giudizio di costituzionalità preventivo (e quindi astratto, perché non derivato da un caso concreto), la Corte stessa rischia di essere accusata di decisioni "politiche", che "svuotano" o "smontano" le riforme volute dal Popolo. 

In particolare una delle due pronunce ha prodotto l’effetto di "paralizzare" la riforma del sistema di elezione dei membri della Commissione d’Esame per l’Accesso alla Magistratura, nonché della Commissione per la rivalutazione dei membri del discreditato C.S.M..

La situazione adesso è estremamente caotica, giacché alla sospensione dei lavori della Commissione d’Esame per l’ingresso in Magistratura ha fatto seguito il blocco delle procedure in corso, con il conseguente aggravarsi delle carenze di organico (i giudici sono 5.000 su un organico di 7.000), particolarmente acute in appello. 

A ciò si aggiunge che istituzioni internazionali (Fondo Monetario Internazionale ed Unione Europea) condizionano la erogazione di sostegno economico (si parla di diversi miliardi di Dollari ed Euro) a riforme strutturali che espressamente prevedono la riforma ed il re-vetting del locale CSM.

Come detto sopra, nella descritta confusione, con un affastellarsi di misure e la mancanza di un grande disegno, si riflette e si ritrova l’incertezza istituzionale, il non saper dove andare, quanto meno in ambito giudiziario. Ciò non deve affatto meravigliare se si considera il trascorso storico del Paese, emerso progressivamente dalla incerta fusione della due anime, quella centroeuropea e quella cosacca, per poi entrare direttamente nell’orbita zarista e quindi sovietica. Anche solo concentrandosi sull’ultimo periodo storico, è chiaro che la classe dei giudici come quella dei politici si trova a dover gestire una transizione verso concetti giuridici ed istituzioni largamente ignoti nel mondo comunista. Pur non volendo considerare in questa sede il tema delle ricorrenti accuse di pratiche corruttive (che pesano come macigni, tanto da indurre istituzioni di categoria ad invocare la nomina di giudici stranieri), non si può dimenticare che una caratteristica fondamentale di molti giudiziari emersi dal crollo dei regimi socialisti e comunisti è la mancanza di indipendenza intellettuale. Abituati per decenni a rappresentarsi come piccoli funzionari (a cui il capo partito, a tutti i livelli, si sentiva in diritto di telefonare –da qui le espressioni ancora comuni telephone justice o party justice), ancora adesso i giudici non hanno maturato una sufficiente coscienza del proprio ruolo. Alcuni esempi possono essere utili a chiarire il concetto: (i) secondo analisi generalmente condivise, il numero di casi in cui i giudici respingono le istanze del pubblico ministero supera appena l’1%[3]; (ii) non pare esservi interesse per l’associazionismo giudiziario: è vero che la legge vieta ai giudici tanto l’iscrizione a partiti politici (come da noi) quanto ad associazioni di natura sindacale (a differenza che da noi), ma tale doppio limite non c’è nella Costituzione, che si limita a prevedere che la legge possa vietare a determinate categorie l’iscrizione ai partiti, ma non anche ai sindacati; alcuni colleghi interpellati sul punto non hanno manifestato alcun appetito per l’argomento, ritenendolo estraneo al loro approccio alla professione; (iii) vi sono da più parti della società civile accuse di corporativismo del locale Consiglio Superiore della Magistratura, che giungerebbe a proteggere giudici notoriamente corrotti; alcuni osservatori stranieri denunciano il fenomeno come “judicial appropriation” (comune a diversi Paesi in transizione), una sorta di ubriacatura da eccesso di potere, derivante nella migliore delle ipotesi da incomprensione dei limiti dell’indipendenza (che è funzionale al servizio  giustizia e non è fine a se stessa); (iv) in una recente conference call una rappresentante della Venice Commission, dopo aver ricordato di essersi occupata della Giustizia in Ucraina nell’ultimo ventennio, manifestava la propria frustrazione nel constatare l’incapacità delle istituzioni locali a riformarsi e nel dover mettere mano sempre agli stessi nodi, rimasti irrisolti nonostante i molteplici tentativi di riforma.

 

In conclusione, alcune parole per riallacciarsi al tema introduttivo.

L’Ucraina è un Paese di frontiera (questo è il significato del nome Ucraina), un ponte tra il mondo asiatico e quello europeo (sul punto Serhii Plokhy, nel suo libro The Gates of Europe, è estremamente chiaro, fin dalla scelta del titolo). Diverse epoche hanno portato il Paese ora di qua, ora di là del ponte (o del cancello, per usare l’immagine del libro). L’ultima epoca (quella dell’Urss) è un retaggio dal quale la società sta ancora emancipandosi. 

Sul piano dell’organizzazione giudiziaria e della Procura, ne sono testimonianza le considerazioni delle pagine precedenti.

Sul piano architettonico, come detto, la testimonianza, oltre ai monumentali palazzi della meravigliosa strada principale (Kreshatik), è data dalle inusuali cupole ‘piatte’, menzionate all’inizio.

Esse paiono il simbolo (cosciente o meno, non lo so) della centralizzazione che si è espressa con un richiamo alla Romanità, in particolare a quella parte della Romanità che si è manifestata a Costantinopoli, ora Istanbul, e che trova nella basilica di Santa Sofia il suo emblema.

Perché questo collegamento non paia arbitrario, occorre ricordare che le civiltà vivono di simboli e che la civiltà moscovita, fin dalla fine del 15° secolo, si è fondata sul mito di Mosca come Terza Roma, assuntasi il compito di tramandare il mito imperiale e la primazia nella fede cristiano-ortodossa dopo la caduta della Seconda Roma (Costantinopoli). Venuta meno, con l’avvento del comunismo, la possibilità di appoggiarsi sul richiamo alla fede ortodossa (che traeva dall’unione spirituale a Costantinopoli la propria forza), ci si è rivolti a simboli civili per mantenere intatta l’idea egemonica di Mosca imperiale. Ma perché la cupola di Santa Sofia, piuttosto che una statua di Cesare o una colonna traiana, per evocare la Romanità? La risposta è ovvia: mentre nel nostro Paese l’immagine della civiltà dell’Urbe abbraccia tutte le stagioni, dalla Monarchia alla Repubblica ed, infine, al Principato, e per noi giuristi in particolare si concentra sulle XII Tavole, sulla figura del Pretore, con l’Editto ed il processo formulare ovvero sulla grande eloquenza di Cicerone, per i popoli dell’Est, soggetti alla conquista e all’Impero Romano d’Oriente, l’unica fase significativa è quella Imperiale, che hanno conosciuto per oltre un millennio. Ecco quindi che si spiega il richiamo al simbolo (dell’architettura) imperiale. D’altronde, nello stendardo ufficiale del Presidente russo non vi è forse l’aquila a due teste, che gli Zar, prima di Putin, avevano preso dai Paleologhi, ultima dinastia regnante a Costantinopoli?

 
[1] Con il termine vetting o re-vetting si definiscono i processi di rivalutazione di tutti i componenti di un corpo giudiziario, al fine di valutarne tanto la competenza tecnica quanto la integrità morale. Si tratta di procedimenti amministrativi che hanno generalmente trovato il sostegno della comunità internazionale, e che sono stati attuati, con risultati alterni, in diversi Paesi Balcanici e dell’Est Europa, dal 2000 in poi.

[2] https://www.venice.coe.int/webforms/documents/?pdf=CDL-AD(2020)022-e

[3] In un recente incontro con il responsabile del Legal Aid, un moderno programma di Gratuito Patrocinio esteso a tutto il Paese, l’interlocutore adduceva a vanto il fatto che gli avvocati pagati dallo Stato avessero performances difensive migliori di quelli privati. Si trattava, comunque, di qualche centinaio di assoluzioni su decine di migliaia di casi!

11/11/2020
Altri articoli di Francesco Florit
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Il caso della consigliera Rosanna Natoli. E’ venuto il momento del diritto?

Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore. 

02/09/2024
L’imparzialità dei giudici e della giustizia in Francia…in un mondo dove gravitano i diritti fondamentali

Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese. 

16/05/2024
L’imparzialità del giudice: il punto di vista di un civilista

Il tema dell’imparzialità del giudice, di cui molto si discute riferendosi soprattutto all’esercizio della giurisdizione penale, presenta spunti di interesse anche dal punto di vista civilistico. Se è ovvio che il giudice debba essere indipendente e imparziale, meno ovvio è cosa per “imparzialità” debba intendersi. Si pongono al riguardo tre domande: se e quanto incidono  sull’imparzialità del giudice le sue convinzioni ideali e politiche e il modo in cui egli eventualmente le manifesti; se  l’imparzialità debba precludere al giudice di intervenire nel processo per riequilibrare le posizioni delle parti quando esse siano in partenza sbilanciate; entro quali limiti la manifestazione di un qualche suo pre-convincimento condizioni  l’imparzialità del giudice all’atto della decisione. Un cenno, infine, all’intelligenza artificiale e il dubbio se la sua applicazione in ambito giurisdizionale possa meglio garantire l’imparzialità della giustizia, ma rischi di privarla di umanità. 

04/05/2024
I test psicoattitudinali: la selezione impersonale dei magistrati

Certamente il lavoro del magistrato è molto impegnativo sul piano fisico, mentale e affettivo e vi sono situazioni - presenti, del resto, in tutte le professioni - in cui una certa vulnerabilità psichica può diventare cedimento e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Esse si risolvono con istituti già presenti nell’ordinamento come la “dispensa dal servizio” o il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Invece il progetto di introdurre test di valutazione psicoattitudinali per l’accesso alla funzione di magistrato è inopportuno sul piano del funzionamento democratico delle Istituzioni e inappropriato sul piano psicologico perché, da un lato, sposta l’attenzione dal funzionamento complessivo della Magistratura come istituzione all’“idoneità” del singolo soggetto e, dall’altra, non prende in considerazione il senso di responsabilità , la principale qualità che deve avere un magistrato e la sola che valorizza appieno la sua competenza e cultura giuridica. 

03/04/2024
Test psicoattitudinali per i magistrati
a cura di Redazione

Ovvero: “ le stesse cose ritornano”, a dispetto delle critiche razionali degli esperti 

25/03/2024