Leggi e istituzioni - pagina 9
La relazione finale della Commissione istituita per l’adozione di un codice di crimini internazionali fa leva sul principio di complementarità dello Statuto di Roma per sostenere la necessaria introduzione di specifici international crimes in un apposito codice - o quantomeno nel tessuto codicistico penale già esistente. In caso contrario, infatti, determinandosi un caso di unwillingness/inability, la CPI potrebbe esercitare la propria giurisdizione complementare. Ma è veramente così? In realtà, il c.p. ed il c.p.m.g. già puniscono tali condotte, sia pur qualificandole quali ordinary crimes (comuni e militari). E tanto basta per l’esercizio della giurisdizione primaria italiana.
L’adozione di un codice di crimini internazionali, potrebbe allora piuttosto costituire l’occasione per una rivisitazione organica della materia, che, tuttavia, dovrebbe necessariamente rispettare i principi costituzionali esistenti.
La necessità di rafforzare la funzione custodiale del carcere nei confronti dei soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali di speciale pericolosità ha prodotto uno strumento di estremo rigore che determina una forte compressione di fondamentali diritti della persona, essendo imperniato sulla drastica riduzione dei contatti con il mondo esterno. Vanno pertanto evidenziati gli aspetti di maggiore contrasto tra le antitetiche esigenze preventive e quelle di tutela dei diritti individuali. Il provvedimento sospensivo è disposto, per i delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 4-bis o.p., in relazione ai condannati per i quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica od eversiva: non è sufficiente il mero titolo di reato ma è necessaria la prova della persistenza di collegamenti. Il provvedimento ministeriale comporta la sospensione in tutto o in parte delle regole del trattamento e degli istituti previsti dalla legge penitenziaria che possono porsi in concreto in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza. La disciplina normativa, introdotta nel 1992, ha subito rilevanti modifiche sostanziali con le leggi n. 279/02 e 94/09 ed è specificamente regolata da Circolari amministrative. L’importanza degli interessi coinvolti ha impedito un dibattito sereno sull’utilità di questa misura e sulla sua compatibilità con i principi costituzionali, essendo difficile parlare del regime ex art. 41-bis o.p. senza schierarsi “a favore” o “contro”, ma il punto di partenza non può che essere che tale regime rappresenta un quid pluris rispetto alla detenzione ordinaria che ne modifica in senso sostanziale la natura
Lettera di uno psichiatra, convitato di pietra nel dibattito sulle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS)
Un primo commento alla disciplina delle pene sostitutive. Questioni interpretative, problemi pratici al banco del giudice e riflessioni politiche.
1. Premessa. – 2. Le tesi emerse. 3. – Il principio di effettività quale parametro per individuare la sede della dichiarazione di vessatorietà. – 4. Il principio di effettività nella dimensione eurounitaria. – 5. I profili dell’effettività di maggior rilievo ai fini della questione in esame. – 6. Scissione e concentrazione del rilievo e della dichiarazione di vessatorietà alla luce dei richiamati profili dell’effettività. 7. La dimensione costituzionale. 8. La dimensione convenzionale. 9. Lo strumento mediante il quale realizzare la tutela effettiva dei diritti previsti dalla direttiva 93/13/CEE. 10. Conclusioni.
L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022 rende necessaria una lettura delle norme che tenga conto dei loro effetti processuali immediati, che le collochi in un contesto sistematico, che porti ad attivare da subito tutte le soluzioni organizzative necessarie a far sì che la riforma produca gli effetti positivi a cui è destinata, in particolare sulla durata del procedimento penale attraverso la “nuova” udienza preliminare e una serie di istituti applicabili dal gup.
L’articolo analizza i mutamenti più rilevanti della riforma relativi al procedimento d’appello, mettendo in luce alcune indubbie criticità, taluni profili di dubbia legittimità costituzionale, ma anche le potenzialità della nuova normativa.
Per funzionare appieno, quest’ultima richiederà però, da un lato, un mutamento di approccio da parte del giudice di secondo grado e, dall’altro, un potenziamento di alcune strutture (in particolare dell’Uepe) e un maggiore raccordo operativo tra gli uffici coinvolti.
La riforma del sistema sanzionatorio pone in discussione il “primato del carcere” e prefigura un diverso punto di equilibrio tra istanze retributive e risocializzanti che coesistono nel momento sanzionatorio. Le nuove pene sostitutive potranno riavvicinare il momento dell’esecuzione penale al momento della condanna e decongestionare il carcere. Perché questa svolta modernizzatrice del sistema penale funzioni sono necessarie risorse e soluzioni organizzative; ma, prima ancora, è necessario un nuovo approccio degli operatori giudiziari: anzitutto, da parte di chi – come l’avvocato – si trova istituzionalmente dalla parte della persona che quella pena dovrà espiare.
Sommario: 1. L'ordinanza della Corte d'assise d'appello di Torino - 2. La disposizione impugnata - 3. Il processo - 4. I precedenti della Corte costituzionale
Perché un diritto femminile? E in che senso un diritto femminile? La neutralità sessuale della norma non è già in sé una garanzia di eguaglianza e di parità per tutti i consociati, senza distinzione di sesso o di altre condizioni personali? E al contrario, non è rischioso tentare un percorso teorico di sessualizzazione o di “genderizzazione” del diritto? Non significherebbe forse piegarne la tendenziale neutralità all’adesione a istanze politiche di parte?
Con questo numero della Trimestrale cerchiamo di rispondere, come si evidenzia nell’introduzione che segue, a questi comprensibili interrogativi. E di dimostrare come la neutralità sessuale (ma anche razziale e censitaria) del diritto occidentale contemporaneo sia più una tautologia che una realtà. Quando invece un’apertura dei confini del ragionamento giuridico potrebbe consentire l’ingresso a una prospettiva altra, universale, intimamente connessa al concetto di legame e di obbligo incondizionato verso i corpi, tutti i corpi, che abitano questa terra nel qui e ora. Una prospettiva che ritroviamo in una parte significativa (ma sistematicamente ignorata tanto dai giuristi teorici quanto dai pratici) del pensiero filosofico e giuridico maturato nel contesto degli studi di genere. E che può costituire una preziosa occasione per una nuova fondazione dei diritti umani, in modo che essi diventino davvero uno strumento concretamente agibile ed efficace nel contrasto alle crescenti disuguaglianze e alle sfere di vulnerabilità che ne conseguono.
Sommario: 1. Lo stato dell’arte all’alba della riforma; 2. Giustizia riparativa: una riforma nell’interesse della vittima?; 3. Le definizioni; 3.1 Definizione di giustizia riparativa; 3.2 Definizione di vittima; 4. Cosa s’intende per riparazione; 5. L’accesso; 5.1 Il discusso art. 129 bis c.p.p.; 5.2 Il riconoscimento dei fatti; 6. Il diritto all’informazione e l’invio al Centro di giustizia riparativa; 7. I programmi di giustizia riparativa; 8. La vittima surrogata; 9. Lo svolgimento degli incontri; 10. Gli esiti; 11, L’organizzazione.
Il diritto europeo ed il diritto internazionale assumono ruoli determinanti nella tutela dei diritti fondamentali. La sua applicazione ai diritti dei migranti, tuttavia, viene declinata costantemente in modo restrittivo: il recentissimo DL 2 gennaio 2023 n. 1 ed i successivi provvedimenti applicativi contengono, infatti, alcune misure che si pongono in contrasto, anche secondo un’interpretazione letterale, con la normativa contenuta nelle convenzioni sul “soccorso in mare” e nel codice della navigazione.
Il contributo tratta del rapporto fra genere e diritto penale, assumendo la misoginia, fondata sull’odio verso le donne, quale motivo che sta alla base della violenza di genere nella sua specifica – e prioritaria – manifestazione di violenza maschile contro vittime femminili. Ripercorso il processo di affermazione del concetto di genere nelle discipline criminologiche e penalistiche, nonché nello scenario internazionale, il saggio tematizza altresì il femminicidio, affrontando il problema della possibile valorizzazione del motivo d’odio misogino nell’ambito della legislazione penale, sotto forma di gender hate crime, anche alla luce del dato vittimologico.
Il contributo intende trasportare il giurista teorico, ma anche il giurista pratico, dall’usuale contesto del ragionamento tecnico-giuridico alla dimensione universale della riflessione sulla giustizia, sul bene dell’umanità e sulla promessa mai compiutamente realizzata dei diritti umani nati dal Secondo dopoguerra. Una riflessione che ha interamente occupato l’ultima parte della vita di Simone Weil, che si spegne nel 1943 dopo aver contribuito alla resistenza gollista e, soprattutto, dopo aver denunciato, con gli ultimi scritti londinesi, il profondo stato di abbandono in cui versavano l’Europa e le sue istituzioni. Sul finire delle guerra e della sua stessa vita, Weil si interroga incessantemente, in particolare ne L’Enracinement, sulla possibile declinazione dei diritti umani come obblighi eterni che ci legano gli uni agli altri, ricollocando anche il diritto, così come ogni altra espansione delle attività umane, nel contesto di una grande teoria della necessità e del bene universale.
Compatibilità tra la norma dell’art. 127 ter c.p.c. ed il rito del lavoro
Verso il nadir della motivazione d'epoca moderna e contemporanea
Sommario: 1. Premessa. – 2. Sulla legalità costituzionale della pena dell’ergastolo, anche ostativo. – 3. La presunzione di permanenza del vincolo mafioso. – 4. La collaborazione: equo prezzo della libertà. – 5. I nuovi oneri probatori. – 5.1. Segue: la valorizzazione dei motivi del silenzio: un’occasione mancata? – 6. «Both a prospect of release and a possibility of review».
Sulle riviste giuridiche, sui quotidiani, sulle mailing list dei magistrati è in corso un argomentato confronto sulle modalità e sui limiti di utilizzo del Trojan Horse come strumento di “intercettazione itinerante”, operante in una pluralità di luoghi di privata dimora indeterminabili a priori. Dibattito - è bene sottolinearlo - in larga misura diverso da quello in corso a livello politico che appare dominato, o meglio inquinato, dalle continue e confuse dichiarazioni del Ministro della Giustizia che, da un lato, sembra voler escludere tout court le intercettazioni dalle indagini per reati diversi da quelli di mafia e terrorismo e, dall’altro, manifesta una inquietante propensione verso le c.d. intercettazioni preventive. Nel confronto tecnico sul captatore informatico , che vogliamo aperto a tutti i differenti punti di vista, interviene il professor Luca Marafioti con un articolo che ripercorre attentamente la vicenda giurisprudenziale e normativa del Trojan, analizza le debolezze della sua attuale disciplina e auspica la formulazione di un nuovo apparato normativo dagli orizzonti più vasti, in grado di disciplinare i diversi versanti della materia e cioè sia l’uso del malware quale “microspia” 2.0., sia le altre forme di sorveglianza e controllo occulti esperibili attraverso virus.
Il decreto delegato n. 151/2022 del 17 ottobre 2022, entrato in vigore l’1.11.2022, ha completato la disciplina del nuovo Ufficio per il Processo già tratteggiata dalla legge delega n. 206/2021, e riafferma il valore primario dell’organizzazione nel complessivo disegno riformatore della giustizia. Sono iniziate, fin dalla presa di possesso degli addetti all’Upp nei vari uffici, le prime sperimentazioni del nuovo istituto: di ciò il contributo offre una valutazione, con particolare riferimento agli uffici delle sezioni civili della Corte di Cassazione.
È stata rimessa alle sezioni unite della Corte di cassazione, alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia, la questione del decreto ingiuntivo non opposto e in violazione del diritto dell’Unione europea: il caso offre l’occasione per uno sguardo più approfondito sul tema dell’integrazione degli ordinamenti.
La Corte Costituzionale ha “fischiato un fallo grave” nella normativa sulle REMS, avviando l’inizio dei tempi supplementari entro cui portare a compimento la riforma che ha abolito gli OPG. Bisogna completare questo percorso con uno sforzo di concretezza e mettere al centro la salute mentale nella sua complessità.
A partire da quando si applica la norma entrata in vigore il 30 dicembre 2022? Interrogativi legittimi e soluzioni razionali
Un disegno di legge del Senatore Zanettin - che propone di escludere l’impiego del captatore informatico nei procedimenti per delitti contro la pubblica amministrazione – sta suscitando discussioni e polemiche. Nel dibattito politico e giornalistico sulla giustizia penale - ormai dominato da un meccanico susseguirsi di azioni e reazioni che spesso prescindono dal merito delle questioni sul tappeto per privilegiare ragioni di schieramento – sono scattati riflessi condizionati pregiudizialmente “oppositivi” o giudizi sommari che non esitano a qualificare le intercettazioni (tutte le intercettazioni, con qualunque mezzo effettuate e per qualunque reato adottate) come uno strumento di oppressione. Così la proposta è stata immediatamente “bollata” dagli uni come espressione di volontà di disarmo nel contrasto alla corruzione e come un favore alle organizzazioni criminali (le cui attività delinquenziali non sono peraltro escluse dalla sfera di utilizzo del Trojan) ed “esaltata” dagli altri come uno strumento di liberazione dallo strapotere di pubblici ministeri e giudici che se ne servirebbero “normalmente” per prave finalità di potere, di pressione, di intimidazione e di controllo dei cittadini. Per sottrarsi a queste grottesche semplificazioni polemiche - che sembrano divenute la cifra obbligata del confronto pubblico sulla giustizia- vale la pena di ripercorrere le fasi della vicenda istituzionale del Trojan per trarne indicazioni utili a delimitare correttamente la “desiderabile” sfera di applicazione di questo mezzo di ricerca della prova, tanto efficace quanto insidioso. Non dimenticando che l’estensione dell’utilizzo del Trojan Horse ai procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione - e dunque al di là dell’originario confine dei reati di criminalità organizzata fissato dalla elaborazione giurisprudenziale e dalla riforma Orlando - è stata realizzata da una legge, la c.d. Spazzacorrotti, che costituisce uno dei frutti più discutibili della stagione del governo dei due populismi di Cinque Stelle e della Lega.