Con una serie di sentenze, emesse tra l’inizio dell’estate e la fine di Ottobre, la Corte Costituzionale dell’Ucraina ha progressivamente smantellato alcune delle riforme attraverso le quali il precedente e l’attuale Presidente della Repubblica (Poroschenko e Zelenskyi) avevano cercato di ammodernare il Paese, avviandolo sulla strada dell’integrazione nell’Unione Europea e dell’allontanamento definitivo dalla Russia, considerata fino a pochi anni fa una sorta di ‘fratello maggiore’. Occorre ricordare che la Rivoluzione della Dignità del 2014 aveva sancito la sconfitta della élite oligarchica legata a Mosca, facendo emergere la volontà del Paese di guardare ai modelli di democrazia liberale dell’Unione. Centrale in questo sforzo di ammodernamento era la lotta alla corruzione, endemica nella Pubblica Amministrazione e particolarmente odiosa e radicata nel giudiziario.
Con l’aiuto dell’Unione Europea e di altri donors internazionali (USA, Consiglio d’Europa, Fondo Monetario Internazionale ed altri ancora) è stato creato nel tempo un sistema di controlli anticorruzione, affidati ad autorità indipendenti; alcuni settori sono stati liberalizzati (distribuzione del gas, sistema creditizio, da ultimo la proprietà terriera) e sono stati introdotti elementi di libera concorrenza per diminuire lo strapotere degli oligarchi emersi negli anni “selvaggi” seguiti all’indipendenza dell’inizio degli anni ’90.
Ora tutto questo è minacciato dalla Corte Costituzionale.
Che cosa è successo e, soprattutto, come è potuto accadere?
Il processo di alienazione della Corte Costituzionale dalla pubblica opinione e dalle istituzioni democratiche ucraine ha preso avvio con la pronuncia di due sentenze che avevano smantellato parti fondamentali della riforma del sistema giudiziario che aveva inteso ammodernare le Corti e liberarle dalla corruzione.
In luglio, poi, sono state pronunciate due decisioni clamorose. La prima ha dichiarato la non conformità alla Costituzione della nomina del Capo della Polizia Anticorruzione mentre la seconda ha demolito parti rilevanti della stessa istituzione.
Infine, la decisione destinata a far deflagrare il conflitto istituzionale è intervenuta il 27 Ottobre.
Con la sentenza n.13-r/2020[1], la Corte Costituzionale dell’Ucraina ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’attività di controllo svolta dalla Autorità Nazionale per la Prevenzione della Corruzione (NAPC) sulle dichiarazioni fiscali dei pubblici dipendenti nonché l’incostituzionalità della norma incriminatrice delle false o omesse dichiarazioni fiscali da parte di dipendenti pubblici o soggetti esercenti una pubblica funzione (art.366-1 del Codice Penale Ucraino). Si tratta del cuore delle riforme che, sull’onda della Rivoluzione della Dignità, la società civile aveva ottenuto e la Unione Europea aveva sostenuto. Lo sforzo espresso dall’Ucraina tra il 2014 ed il 2017 aveva fruttato al grande Paese “di mezzo” la sospensione del regime dei visti e l’apertura dei mercati europei.
La pronuncia ha provocato reazioni assai decise, tanto a livello internazionale che nazionale. Unione Europea e Stati Uniti hanno immediatamente lanciato l’allarme per le conseguenze della decisione, paventando il ritorno del regime del visto per l’ingresso dei cittadini ucraini nell’Unione Europea ed il raffreddamento delle linee di credito, essenziali per il mantenimento dell’equilibrio finanziario delle sofferenti casse ucraine. A livello nazionale, vi sono state manifestazioni spontanee all’esterno dell’edificio della Corte Costituzionale, mentre la reazione del fronte politico è stata compatta. Nessuna voce ha espresso plauso per la sentenza, coralmente interpretata come un tradimento della scelta fatta dalla Rivoluzione della Dignità. Addirittura, la forza politica che aveva proposto la questione di costituzionalità si è guardata dall’esultare per una pronuncia che andava al di là del petitum.
Il giorno successivo alla pubblicazione del dispositivo il Presidente della Repubblica ha convocato il Consiglio Supremo di Sicurezza, ordinando alla NAPC la prosecuzione dell’attività che era stata sospesa in via cautelare a seguito della pronuncia. Ancor più rilevante è stata l’iniziativa legislativa adottata, a notte fonda, dall’Ufficio Presidenziale, con la registrazione presso il Parlamento del disegno di legge n.4288 dal contenuto tanto semplice quanto "ivoluzionario".
Il primo articolo dichiara “nulla e invalida” (“null and void”) la sentenza della Corte Costituzionale in quanto adottata da giudici in conflitto d’interesse e in violazione della scelta europea ed euro-atlantica del popolo ucraino. Il secondo articolo ristabilisce la vigenza delle disposizioni dichiarate incostituzionali. Il terzo articolo licenzia i giudici della Corte Costituzionale responsabili della decisione. Infine, il quarto articolo ordina alle autorità preposte (Parlamento e Consiglio dei Giudici, oltre allo stesso Presidente) di procedere alla nomina dei nuovi giudici costituzionali.
Ove adottata, la proposta costituirebbe una colossale violazione del principio di separazione dei poteri e della Rule of Law. Allarmati, i Presidenti della Commissione di Venezia e di GRECO, hanno inviato senza indugio una lettera congiunta al Presidente del Parlamento ammonendolo sulle conseguenze che la adozione del disegno di legge avrebbe comportato per la democrazia ucraina[2].
Occorre riconoscere che la sentenza è una assoluta anomalia.
Sul piano procedurale, per la presenza di un significativo conflitto di interessi da parte di almeno quattro giudici, tra cui il Presidente[3] -conflitto formalmente denunciato dalle parti ma ignorato in motivazione-, per la inusuale rapidità di trattazione, senza pubblica udienza, ed infine per aver ecceduto il petitum dei proponenti.
Nel merito, per la povertà del tessuto argomentativo e la banale formulazione dei concetti, in evidente deviazione dai modelli argomentativi comunemente adottati dalla Corte stessa. In sostanza, la Corte, preso atto che la attività della NAPC è di natura investigativa e che la NAPC è alle dipendenze del Potere esecutivo, ne deduce la violazione del Principio di Separazione dei Poteri, dal momento che anche i giudici, compresi quelli della Corte Costituzionale, in quanto pubblici dipendenti, sono soggetti all’obbligazione di presentare la dichiarazione dei redditi all’Agenzia. Quanto alla pretesa incostituzionalità dell’incriminazione di false o omesse dichiarazioni (art.366-1 c.p.), essa è basata sulla asserita eccessività della sanzione penale per una violazione che dovrebbe essere sanzionata solo in via amministrativa. Anche in questo caso, la decisione colpisce per mancanza di sofisticazione dell’argomentazione, fondata esclusivamente su asserzioni generiche, apodittiche e non convincenti.
Per contro, le dissenting opinions di due dei quattro giudici “di minoranza” illustrano con ampi riferimenti a strumenti internazionali ed a giurisprudenza di istituzioni sovranazionali, l’infondatezza della tesi di maggioranza.
Tutte queste anomalie, ed altre ancora, sono state sottolineate in una opinione estremamente critica, espressa pochi giorni fa dalla Commissione di Venezia su richiesta del Presidente della Repubblica[4].
La situazione è ora in stallo. Il Presidente, dopo aver presentato il disegno di legge, non preme per la sua adozione. In Parlamento, quasi ogni forza politica ha presentato un proprio disegno di legge per superare la crisi istituzionale, ma non vi è una maggioranza che sia disponibile a fare scelte ed a sostenerne uno specifico. La Corte Costituzionale ha dovuto sospendere la propria attività per mancanza di quorum, giacché i quattro giudici che avevano votato contro la decisione contestata hanno dichiarato di astenersi a tempo indeterminato. Peraltro, con decisione degli ultimi giorni (29 Dicembre) il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, ha disposto la sospensione dalle funzioni del Presidente della Corte Costituzionale, Oleksandr Tupytsky, per due mesi per la mancata comparizione in una indagine in cui è accusato di falsa testimonianza e di subornazione di testimoni. Si tratta di un atto assai grave, che rischia di minare irrimediabilmente, oltre alle prerogative della Corte, il principio di separazione dei Poteri.
Tuttavia, ciò che è ancor più grave, agli occhi dell’opinione pubblica, è il tradimento perpetrato da alcuni dei giudici che hanno votato per la dichiarazione di incostituzionalità. Costoro, nominati nel 2013, dall’ex Presidente Yanukovych[5], filo-russo, dimessosi e rifugiatosi in Russia a seguito della rivolta di piazza del 2014, sono accusati di essere agli ordini di Mosca o quanto meno di rappresentare, all’interno della Corte, gli interessi di quella parte della comunità Ucraina che guarda a Mosca piuttosto che a Bruxelles. Si tratta del Presidente Oleksandr Tupytsky e del giudice Oleksandr Kasminin, accusati di essere agenti al servizio del Cremlino per seminare instabilità in territorio nemico nel conflitto a bassa intensità che contrappone dal 2014 i due Paesi slavi (annessione russa della Crimea, guerra in Donbass).
Per raggiungere la maggioranza, ai due giudici appena menzionati si è unito un drappello di altri cinque, nominati dal Congresso dei Giudici[6]. Questa componente, votata in epoche diverse, tra il 2013 ed il 2019, non può essere semplicisticamente accusata di essere espressione dell’ancien régime “yanukovychano”. Non sarebbe “cronologicamente” vero. Piuttosto, nel voto compatto della componente “togata” si riconosce il corporativismo proprio delle istituzioni giudiziarie ucraine, riflesso di una sorta di judicial appropriation tipica di quei giudiziari che per la prima volta nella proprio storia “assaggiano” l’ebbrezza della libertà e dell’indipendenza, rimanendone, per così dire, “ubriacati”.
Infine, a spiegare l’anomalia ucraina, v’è anche la circostanza che per sollevare questioni di costituzionalità delle leggi non vi è un sistema “diffuso”, per via giudiziaria, come in Italia. In Ucraina, la mozione può essere presentata direttamente alla Corte Costituzionale da un decimo dei parlamentari (45), a distanza di anni ed in via “astratta”. Proprio questo è accaduto in tutti i casi menzionati in precedenza, allorché numerosi membri del partito filorusso Piattaforma dell’opposizione/Per la vita hanno sottoscritto en bloc la mozione di costituzionalità. Da ciò, ovviamente, la accusa di politicizzazione della Corte ed il rischio, paventato da più parti, che l’alta istituzione di garanzia, ridotta oramai a strumento di lotta politica se non addirittura a pedone della proxy war del nemico russo, prosegua nel suo piano di demolizione delle riforme e di tutela di interessi occulti.
[1] https://www.venice.coe.int/webforms/documents/?pdf=CDL-REF(2020)078add-e con dissenting opinions in calce.
[2] https://rm.coe.int/joint-greco-venice-commission-letter-speaker-verkhovna-rada/1680a02cfd
[3] Il Presidente, Oleksandr Tupytsky, è accusato per omessa denuncia dell’acquisto di proprietà immobiliari nel territorio occupato della Crimea; accuse analoghe sarebbero pendenti nei confronti di altri giudici della Corte.
[4] https://www.venice.coe.int/webforms/documents/?pdf=CDL-AD(2020)039-e
[5] Yanukovych detiene il poco invidiabile primato di essere l’unico Capo di Stato dimessosi a seguito di due distinte rivoluzioni, quella "arancione" del 2004 e quella definita "Euromaidan" o "rivoluzione della dignità" del 2014.
[6] In Ucraina la legge (ma non la Costituzione!) vieta l’associazionismo sindacale dei giudici, che sono tuttavia "unificati" per legge in un Congresso che si riunisce una volta all’anno per votare rappresentanti in varie istituzioni (Corte Costituzionale, CSM …) o per esprimere pareri consultivi.