Magistratura democratica
Magistratura e società

Etica e diritto: il valore ambiente nell’enciclica Laudato si’ e nella normativa italiana *

di Gianfranco Amendola
già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia
Una riflessione sull'importanza del valore “ambiente” a partire da alcuni passi particolarmente significativi del messaggio di Papa Francesco, per verificare se e quanto essi risultino recepiti nelle nostre leggi e nella nostra giurisprudenza

1. Premessa

Le leggi sono lo specchio di un Paese e dei suoi valori.

Da questa premessa prende le mosse la riflessione che segue sulla rilevanza del valore “ambiente” così come desumibile dalla normativa italiana e dalla sua applicazione giurisprudenziale.

A tal fine, si rende necessario delineare contestualmente l’ambito di questo valore con le sue tante implicazioni, specie con riferimento a quelle di tipo economico oggi imperanti.

In proposito, appare del tutto condivisibile il completo approfondimento di tutte le tematiche ambientali operato dalla recente Enciclica Laudato si’, la quale, al di là delle motivazioni e dei richiami strettamente religiosi, evidenzia che l’ambiente non è un valore a sé ma si collega direttamente ed indissolubilmente agli altri valori fondamentali della nostra società, quali la libertà, l’eguaglianza, la giustizia sociale e il diritto alla vita.

E pertanto sembra interessante scegliere alcuni passi dell’Enciclica particolarmente significativi per la nostra analisi − collocati, con formato diverso, all’inizio di ogni paragrafo − e verificare se e quanto essi risultino recepiti nelle nostre leggi e nella nostra giurisprudenza.

 

2. Ambiente e mercato 

 

La protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente. Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni?

La Costituzione non prevede l’ambiente ma tutela il paesaggio (art. 9) e la salute come «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (art. 32).

Soprattutto, stabilisce che l’iniziativa economica privata (che è «libera») «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art. 41).

La Corte costituzionale, quindi, leggendo insieme questi articoli, ne ha concluso che essi, in sostanza, configurano l’ambiente come «bene unitario» e «valore trasversale idoneo ad incidere anche su materie di competenza di altri enti nella forma degli standards minimi di tutela, già ricavabile dagli artt. 9 e 32 della Costituzione» [1].

Quanto ai rapporti con l’economia, più volte la Corte ha sancito la prevalenza del diritto alla salute (connesso con il diritto all’ambiente salubre), come, quando, ad esempio, nel 1990, dovendosi occupare della definizione di «migliore tecnologia disponibile» subordinata alla condizione che essa non comporti «costi eccessivi», aveva concluso, senza alcuna esitazione, che essa «va interpretata nell’assoluto rispetto del principio fondamentale del diritto alla salute sancito dell’art. 32 della Costituzione. Conseguentemente il condizionamento al costo non eccessivo dell’uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di livelli inferiori a quelli compatibili con la tutela della salute umana» [2].

Ed ancor prima, nello stesso senso, la Cassazione a sezioni unite aveva scritto, in una sentenza storica, che «il bene della salute… è assicurato all’uomo come uno ed anzi il primo dei diritti fondamentali anche nei confronti dell’Autorità pubblica, cui è negato in tal modo il potere di disporre di esso... Nessun organo di collettività neppure di quella generale e del resto neppure l’intera collettività generale con unanimità di voti potrebbe validamente disporre per qualsiasi motivo di pubblico interesse della vita o della salute di un uomo o di un gruppo minore…» [3].

Più recentemente, tuttavia, questo orientamento ha presentato qualche cedimento in relazione alla drammatica vicenda Ilva [4].

In proposito, infatti, la Corte costituzionale, in un primo tempo tentava di conciliare il diritto all’ambiente e alla salute con il diritto al lavoro, parlando di «un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso»; aggiungendo, subito dopo, che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» [5].

Ma cinque anni dopo, sempre sull’Ilva, rettificava questa singolare tesi del «bilanciamento», confermando la sua precedente giurisprudenza secondo cui «l’art. 41 Cost. deve essere interpretato nel senso che esso “limita espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la ‘sicurezza’ del lavoratore” (sentenza n. 405 del 1999)» [6].

È, peraltro, significativo notare che, nello stesso arco di tempo, analoghe oscillazioni si devono registrare con riferimento al principio di precauzione, sancito dall’art. 174, comma 2, del Trattato di Amsterdam, il quale, come evidenziato concordemente dalla Corte UE [7] e dal Consiglio di Stato [8], impone che «quando sussistono incertezze o un ragionevole dubbio riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi». E pertanto esso «impone alle autorità interessate di adottare, nel preciso ambito dell’esercizio delle competenze loro attribuite dalla normativa pertinente, misure appropriate al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la salute, la sicurezza e l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici» [9].

Ma più recentemente, trattando dei rifiuti con codici a specchio, la Corte UE, − adottando, peraltro, la stessa terminologia della nostra Corte costituzionale −, ha aggiunto che «il legislatore dell’Unione, nel settore specifico della gestione dei rifiuti, ha inteso operare un bilanciamento tra, da un lato, il principio di precauzione e, dall’altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica...» [10].

 

3. Ambiente e legalità

 

La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale. Le leggi possono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono come lettera morta. Sappiamo, per esempio, che Paesi dotati di una legislazione chiara per la protezione delle foreste, continuano a rimanere testimoni muti della sua frequente violazione Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana. All’interno di ciascun livello sociale e tra di essi, si sviluppano le istituzioni che regolano le relazioni umane. Tutto ciò che le danneggia comporta effetti nocivi, come la perdita della libertà, l’ingiustizia e la violenza.

Attualmente la normativa di tutela ambientale italiana (d.lgs 152/06 e legge n. 68/2015) si incentra nella tutela dalle più gravi forme di inquinamento (aria, acque, rifiuti) attraverso strumenti preventivi, repressivi e ripristinatori.

Essa presenta numerosi difetti che, ovviamente, riducono notevolmente la sua applicazione.

In particolare, il TUA (d.lgs 152/06) consiste in un testo non coordinato e complicato, originariamente di 318 articoli e 45 allegati, che in dodici anni ha subito 762 modifiche (72 ogni anno) e attualmente consta di 397 articoli con 105 nuovi (bis, ter etc.) articoli e 26 articoli abrogati, oltre a numerosi nuovi commi (bis, ter, etc.), presidiato da sanzioni amministrative o reati contravvenzionali molto spesso a carattere formale che prescindono dal reale pericolo o danno per l’ambiente, e tesi quasi sempre a garantire l’applicazione della normativa di regolamentazione amministrativa.

La sua pessima qualità emerge in modo chiaro se si legge l’art. 101 (e successivi) per evitare l’inquinamento da scarichi dove la regola del primo comma viene vanificata dalle eccezioni del secondo e del decimo comma nonché, se si tratta di scarichi in fognatura, da quelle ulteriori di cui all’art. 107, comma 1 e nota 2 della tabella 5 dell’Allegato 5 [11].

La legge n. 68/2015 (“sugli ecoreati”) introduce finalmente nel codice penale alcuni delitti contro l’ambiente (in particolare inquinamento e disastro ambientale) ma lo fa con formulazioni spesso generiche la cui interpretazione viene lasciata alla magistratura [12] e addirittura ipotizzando, nell’art. 452-quater cp, un disastro ambientale legittimo (non «abusivo») [13].

In sostanza, da un punto di vista generale, si tratta di normativa che considera l’ambiente in senso settoriale e parziale (inquinamenti) nell’ambito del modello di sviluppo esistente, per cui la tutela ambientale può, al massimo, limitare alcuni squilibri e punire alcuni eccessi, senza mai incidere sulle scelte economiche che li provocano.

In ogni caso, pur prescindendo da questi difetti “genetici”, l’Italia brilla in Europa per la disapplicazione delle leggi di tutela ambientale dovuta sia a carenze strutturali della P.A. specie a livello tecnico (basta pensare allo stato comatoso di molte Arpa) sia alla soggezione dei valori ambientali rispetto alle esigenze economiche ed occupazionali (basta pensare, da ultimo, alle vicende Ilva, già ricordate, o alla legittimazione dell’utilizzo in agricoltura di fanghi pesantemente contaminati) [14].

4. Ambiente e sviluppo

 

In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale», la qual cosa implica riflettere responsabilmente sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia.

In realtà, guardando alla nostra normativa, specie recente, appare evidente che, per essa, non è lo sviluppo che deve essere sostenibile rispetto alla tutela dell’ambiente ma esattamente il contrario, con una evidente prevalenza delle ragioni dell’economia rispetto al diritto all’ambiente.

Una importante eccezione si rinviene a proposito della «gerarchia dei rifiuti», di derivazione comunitaria, quando la «prevenzione» viene indicata come priorità rispetto al riciclo, al recupero ed allo smaltimento, di modo che sarebbero da privilegiare tutte le iniziative tese ad impedire la formazione di rifiuti; con possibilità, quindi, di esercitare, da parte degli Stati, un sindacato sulle scelte aziendali, oggi effettuate soprattutto in funzione di obiettivi di profitto economico. Potere, tuttavia, mai esercitato salvo un timido, recentissimo accenno a proposito del divieto di plastica monouso.

A questo proposito, la migliore riprova di quanto sopra affermato è costituita dall’art. 35 del cd. decreto sbloccaItalia (decreto-legge 12 settembre 2014, convertito con legge 11 novembre 2014 n. 164) il quale, dettando «misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani...», prescrive che venga programmata (con contestuale adeguamento degli impianti esistenti) una rete di inceneritori con recupero energetico per coprire tutto il fabbisogno nazionale; stabilendo che «tali impianti di termotrattamento costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell'ambiente»; e che «i termini previsti per l'espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1, sono ridotti alla metà. Se tali procedimenti sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono ridotti della metà i termini residui» (comma 8) mentre il comma 9 prevede l’applicazione del potere sostitutivo in caso di mancato rispetto dei termini fissati per la verifica degli impianti e l’adeguamento delle autorizzazioni, nonché dei nuovi termini abbreviati delle procedure autorizzative.

In tal modo, infatti, si impone come strumento prevalente e risolutore il ricorso ai cd. termovalorizzatori, che pure, nella gerarchia dei rifiuti, sono collocati al terzo posto, dopo la prevenzione («il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto») ed il recupero come materia.

Ma soprattutto si propone di risolvere la questione dei rifiuti senza minimamente tentare di collegarla ad un cambiamento del tipo di sviluppo imposto al nostro Paese, oggi basato su una “crescita” quantitativa avulsa dalla qualità della vita dei cittadini. Il ricorso ai termovalorizzatori, infatti, favorisce un aumento della produzione quantitativa di beni e dei consumi perché quanto più si incenerisce tanto più si ricava energia necessaria per produrre nuovi beni di consumo. E quindi quanti più rifiuti si producono tanto più cresce l’economia.

Esattamente l’opposto di quanto propone l’Enciclica la quale evidenzia che «l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca» e che «per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti. (…) La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario. Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri».

In piena sintonia, peraltro, con quanto, molti anni prima aveva sostenuto Enrico Berlinguer parlando della «austerità» [15].

 

5. Le leggi, le istituzioni e la società civile

 

Tanto all’interno dell’amministrazione dello Stato, quanto nelle diverse espressioni della società civile, o nelle relazioni degli abitanti tra loro, si registrano con eccessiva frequenza comportamenti illegali. 

L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale.

La vera carenza di fondo è che manca nelle leggi, nelle istituzioni e nella maggior parte dei cittadini una consapevolezza del valore ambiente e della sua vera dimensione.

Troppo spesso, cioè, si tende a considerare la questione ambientale in senso riduttivo collegandola, al più, ai propri interessi particolari e immediati senza andare alle vere radici che attengono ai concetti di progresso, di sviluppo e di qualità della vita.

Tanto più quando si versa in periodi di crisi economica e prevale la concezione che la tutela dell’ambiente sia un lusso per i tempi delle vacche grasse e possa, quindi, essere sacrificato sull’altare delle esigenze dell’economia e del profitto.

Non a caso negli ultimi anni si è registrato un aumento marcato della illegalità ambientale in campo aziendale, pubblico e privato, specie nel settore dei rifiuti, evidenziato con chiarezza dal recente proliferare di incendi e roghi tossici “liberatori” finalizzati a coprire pregresse illegalità  [16].

Tanto più, che, come avviene sempre quando si prospettano ingenti profitti, alla normale criminalità economica si è ben presto affiancata la ecomafia, con il ricorso ad intimidazioni, violenze e corruzione nell’ambito della P.A.

E di certo la pessima qualità della nostra normativa ambientale non aiuta la polizia giudiziaria (anche quella specializzata) per la repressione dei reati ambientali.

 

6. Conclusione. Il valore ambiente

 

La partecipazione richiede che tutti siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante. C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione.

Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida.

La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana.

In conclusione, appare evidente che la nostra normativa ambientale può, al massimo, essere considerata «contenitiva» di alcuni effetti ma di certo non intacca in alcun modo il fulcro vero del problema ambientale che è essenzialmente culturale e politico.

Ed appare altrettanto evidente che il valore ambiente, inteso nella sua più completa dimensione, può avere effetti dirompenti rispetto all’attuale assetto socio-economico.

A livello individuale, la riscoperta del valore ambiente richiede una condizione pregiudiziale: che si ricominci a ragionare con la propria testa, adottando i comportamenti conseguenti. Condizione ardua da realizzare in un’epoca in cui le condivisioni, i like e i tweet hanno sostituito il ragionamento e l’approfondimento ed in cui la pubblicità dilagante crea ogni giorno nuovi bisogni artificiali e schiere di consumatori in batteria.

Ma, se si ragiona, è facile rendersi conto che «... chiunque voglia rimanere padrone dei suoi desideri, scoprirà il piacere di non cogliere tutte le occasioni per comprare qualcosa» [17]; e che un valore non deve essere necessariamente “utile” o monetizzabile: la vita, ad esempio, (come un parco, una barriera corallina o un ghiacciaio) ha un valore unico ed immensurabile di per sé, anche se non crea occupazione e non fa “fare soldi”. E così è per un tramonto, per un paesaggio, per una emozione.

Insomma occorre passare dalla quantità alla qualità, dall’ avere all’ essere. Henry David Thoreau lo aveva certamente capito quando scribacchiò sul suo diario. «Un uomo è ricco in proporzione alle cose che può permettersi di lasciar perdere» [18]. Aggiungerei che questo uomo non è solo un uomo “ricco”; è soprattutto un uomo felice. Ma forse è meglio dire, più semplicemente, che è un uomo e basta. 



[*] Rielaborazione dell’intervento svolto il 30 maggio 2019 all’incontro seminariale L’ambiente come valore, organizzato dalla Università degli studi di Padova in occasione dell’uscita del libro di AA.VV. (Ceruti, Di Bari, Fasolato, Malo, Schiesaro, Varliero) Giustizia per l’ambiente: pace per la comunità, Cleup, Padova, 2019.

[1] Corte costituzionale 18-20 dicembre 2002, n. 536.

[2] Corte costituzionale 7-16 marzo 1990, n 127.

[3] Cass. Sez. unite, 6 ottobre 1979 n. 5172 (sentenza cd. Corasaniti).

[4] Per approfondimenti sulla vicenda Ilva si rimanda a Questione Giustizia, n. 2/2014, ed. Franco Angeli, Milano: Obiettivo: Il diritto alla salute alla prova del caso Ilva, con contributi di: B. Deidda-A. Natale, Introduzione: il diritto alla salute alla prova del caso Ilva. Uno sguardo di insieme; S. Palmisano, Del «diritto tiranno». Epitome parziale di un’indagine su cittadini già al di sopra di ogni sospetto; A. Ciervo, Esercizi di neo-liberismo: in margine alla sentenza della Corte costituzionale sul caso Ilva; L. Masera, Dal caso Eternit al caso Ilva: nuovi scenari in ordine al ruolo dell’evidenza epidemiologica nel diritto penale; S. Barone-G. Venturi, Ilva Taranto: una sfida da vincere; G. Assennato, Il caso «Taranto» e il rapporto ambiente-salute nelle autorizzazioni ambientali; P. Bricco, Le logiche della magistratura e del diritto, le ragioni dell’impresa e del lavoro.

Per alcune prime osservazioni cfr. anche il nostro, Ilva, salute, ambiente e Costituzione in www.industrieambiente.it, 2013

[5] Corte costituzionale, 9 aprile-9 maggio 2013, n. 85.

[6] Corte costituzionale 7 febbraio-23 marzo 2018, n. 58. Per approfondimenti, cfr. R. De Vito, La salute, il lavoro, i giudici, in questa Rivista on-line, 24 marzo 2018, http://questionegiustizia.it/articolo/la-salute-il-lavoro-i-giudici_24-03-2018.php; nonché il nostro Ilva e il diritto alla salute. La Corte costituzionale ci ripensa?ivi, 10 aprile 2018, http://questionegiustizia.it/articolo/ilva-e-il-diritto-alla-salute-la-corte-costituzionale-ci-ripensa-_10-04-2018.php.

[7] Cfr. per tutti, Corte UE, 9 settembre 2003, C-198/01, Monsanto; ID, sesta sezione, 10 aprile 2014, C‑269/13 P., Acino.

[8] Cfr. per tutti, Cons. Stato Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6250 e Consiglio di Stato Sez. IV n. 826, 8 febbraio 2018.

[9] Trib. UE, sez. 1, 16 settembre 2013, Animal Trading Company.

[10] Corte UE, decima sezione, 28 marzo 2019 in www.lexambiente.it, 29 Marzo 2019.

[11] Per un esame generale del d.lgs 152/06 e per richiami, si rinvia al nostro Il diritto penale dell’ambiente, EPC, Roma 2017, pp. 81 ss.

[12] Cfrad esempio la formulazione dell’art.452-bis cp (Inquinamento ambientale): «È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna».

[13] In proposito, si rinvia a G. Amendola, Normativa ambientale ed ecoreati. Quanta ipocrisia e demagogia, in questa Rivista on-line, 13 marzo 2017, http://questionegiustizia.it/articolo/normativa-ambientale-ed-ecoreati_quanta-ipocrisia-e-demagogia_12-03-2017.php.

[14] Per approfondimenti, citazioni e richiami, si rinvia a G. Amendola, Art. 41 del decreto Genova. Quel pasticciaccio brutto dei fanghi contaminati ad uso agricolo, in questa Rivista on-line, 21 dicembre 2018, http://questionegiustizia.it/articolo/art-41-del-decreto-genova-quel-pasticciaccio-brutto-dei-fanghi-contaminati-ad-uso-agricolo_21-12-2018.php e in www.lexambiente.it, 4 gennaio 2019.

[15] «L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi. Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi sì manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata»: E. Berlinguer, Discorso al Convegno degli intellettuali del 1977, www.ilpost.it, 27 agosto 2010.

[16] In proposito per approfondimenti, citazioni e richiami, si rinvia al nostro Rifiuti. Incendi di rifiuti. spunti per una indagine di polizia giudiziariawww.lexambiente.it, 25 gennaio 2019.

[17] W. Sachs, Ambiente e giustizia sociale. I limiti della globalizzazione, Editori riuniti, 2002

[18] H.D. Thoreau, Walden ovvero la vita nei boschi, Bur Rizzoli, 1988.

27/06/2019
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