Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

La montagna e il topolino

di Pietro Sommella
giudice onorario di Tribunale
Le premesse e le promesse di una riforma lungamente attesa hanno deluso le aspettative della categoria e in parte mancato l’obiettivo fissato

Come è noto, con la approvazione della Legge 28 aprile 2016, n. 57, è stata conferita la Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace.

Tale legge è stata salutata, principalmente da chi la ha partorita, come una svolta epocale, una risposta attesa un decennio, una opportunità generazionale e perché no, una riforma con impatti positivi nell’amministrazione della Giustizia, in particolare utile allo smaltimento dell’enorme carico giudiziario gravante sulla magistratura intera.

In realtà, per diverse ragioni che brevemente si cercherà di analizzare ed esplicitare, un giudizio completo sull’eventuale impatto della riforma e, prima ancora, sul complessivo impianto del portato normativo, non potrà che essere posposto all’emanazione di tutti i decreti legislativi attuativi della delega.

Tali decreti, si auspica, potranno compiutamente delineare la futura magistratura onoraria, applicando i necessari correttivi ad una disciplina che, purtroppo, è ad oggi monca, lacunosa anche, e soprattutto, per la mancata previsione di un coerente coordinamento, legislativo e regolamentare, con l’Ufficio del Processo[1].

Infatti, attualmente, è stato emanato solo il primo decreto, necessario al fine di scongiurare la cessazione dall’incarico dei magistrati onorari in servizio alla data del 31.05.2016, ultimo termine imposto, dall’interminabile serie di proroghe, alla attuazione della riforma prevista dall’art. 245 D.Lgs. 51/1998.

Del resto, sin dall’esame dell’originario disegno di legge, è stato chiaro che il contenuto della delega potrà essere riempito, dal delegato governo, quasi al limite dell’indeterminabile, come il “mutilato” dibattito parlamentare, frustrato dalla impossibilità pratica di procedere a proposte emendative, ha evidenziato con toni, a volte, anche aspri.

Tanto premesso, passando più propriamente all’oggetto della presente disamina, appare utile, a parere dello scrivente, porre l’attenzione primaria sugli obiettivi immediati della delega e sugli effetti che gli stessi potrebbero avere, nonché provare ad immaginare gli scenari possibili che potrebbero delinearsi quali conseguenze dell’entrata in vigore dei principi direttivi e, soprattutto, del successivo esercizio della delega mediante emanazione dei decreti attuativi.

I contenuti principali della riforma, sia dal punto di vista dell’osservatore interessato in quanto magistrato onorario che da quello, più generale, dell’operatore-utente del “sistema giustizia”, risiedono nei contenuti delegati previsti dall’art. 1 lettere a), b), e), m), e p), in quanto idonei non solo ad incidere sulla disciplina propria del magistrato onorario ma, addirittura, ad introdurre una nuova visione dell’esercizio della giurisdizione.

Va preliminarmente osservato che il prevedere “un'unica figura di giudice onorario, inserito in un solo ufficio giudiziario” e “la figura del magistrato requirente onorario inserito nell'ufficio della procura della Repubblica”[2], non possono essere intese semplicisticamente quali, necessarie, specificazioni etimologiche della (futura) unitaria magistratura onoraria.

Infatti, la istituzione della figura del Giudice Onorario di Pace, attesa la presenza nella stessa della categoria dei Giudici di Pace, esercitanti funzione giurisdizionale esclusiva e la previsione di un futuro aumento della competenza del Giudice Onorario di Pace, competenza quindi non meramente sovrapponibile all’attuale, imporrebbe di ritenere che anche la nuova categoria di onorari sarà titolare di giurisdizione esclusiva. 

Tale assunto è, del resto, cristallizzato nella previsione di cui all’art. 2 - esplicitante i principi e criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere per l’esercizio della delega - ove si legge, al comma 1 lett. a), che i “giudici onorari di pace” dovranno confluire tutti nell'ufficio del giudice di pace, salvo quanto previsto dal comma 5.

La visione di una magistratura onoraria di pace, titolare di competenze “allargate”, pertanto sottraente alla competenza del Tribunale un crescente numero di procedimenti, civili e penali, aventi comunque forte impatto sociale, potendosi ricondurre al cd. giudizio di prossimità, a parere dello scrivente mal si concilia ed addirittura si scontra con i successivi contenuti di cui al comma 5 dell’art. 2.

Il citato comma, esplicitante i principi e criteri direttivi relativi all’esercizio della delega di cui alla lettera e), prevede una articolata disciplina delle “modalità di impiego” del magistrato onorario all’interno del Tribunale e della Procura.

Siffatta espressione, infelice nella terminologia, evoca, già nell’incipit del comma, una subordinazione resa, poi, piena dai successivi principi direttivi. Il citato comma, infatti, demandando al Governo delegato di individuare le specifiche modalità di inserimento dei magistrati onorari all’interno dell’ufficio del processo, precisa i futuri compiti che gli stessi dovranno svolgere.

Come è noto, l’ufficio del processo, era da intendersi, nelle intenzioni del legislatore, “un modello organizzativo con compiti di gestione dei procedimenti assegnati ai magistrati e finalità di incremento dell'efficienza dell'attività giudiziaria”[3].

Il successivo decreto ministeriale del 1.10.2015, disciplinante le misure organizzative necessarie per il funzionamento dell'Ufficio per il Processo, statuisce che l'inserimento dei giudici onorari di tribunale non può comportare lo svolgimento di attività diverse da quelle previste dalle disposizioni vigenti[4].

Nel medesimo D.M., però, non vi è traccia di alcuna altra disposizione relativa alla disciplina dei giudici onorari nell’istituito Ufficio.

In tale ottica, pertanto, la maggior parte degli operatori del settore si attendeva che la riforma della magistratura onoraria, essendo figlia della medesima struttura organizzativa (di matrice ministeriale), prevedesse l’inserimento dei magistrati onorari nell’Ufficio del Processo, luogo in cui avrebbero potuto e dovuto esplicare le loro funzioni giurisdizionali.

Appariva infatti evidente che, se il magistrato onorario attuale esercita attività giurisdizionale piena - nei limiti delle materie consentite dalla legge, dalle direttive del CSM e dalle tabelle organizzative degli uffici, talvolta in sostituzione e affiancamento dei colleghi ordinari, altre con ruolo autonomo - nel futuro Ufficio del Processo avrebbe potuto, rectius, dovuto esercitare le medesime funzioni, sebbene nei limiti delle attività già previste dalle disposizioni vigenti.

Per tali ragioni, la previsione di un magistrato onorario che, inderogabilmente nei primi due anni dalla nomina e, successivamente, salvo i casi eccezionali e tassativi previsti nell’esercizio della delega di cui all’art. 2 comma 5, non possa e debba esercitare attività giurisdizionale piena, appare stridente con una visione dell’Ufficio del Processo orientata verso finalità di incremento dell'efficienza dell'attività giudiziaria.

A parere di chi scrive, in particolare, i compiti di coadiuvare il giudice professionale, compiendo gli atti preparatori necessari o utili per l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quest'ultimo[5], appaiono una sovrapposizione dei compiti demandati agli stagisti espletanti il tirocinio formativo di cui all’art. 73 del “Decreto del Fare”[6].

Anche la previsione del potere del Presidente del Tribunale di individuare le attività delegabili al giudice onorario tra quelle connotate da semplicità delle questioni giuridiche o in considerazione degli interessi coinvolti lascia spazio a notevoli perplessità, così come quello di individuare i provvedimenti decisori delegabili sempre in considerazione della loro semplicità[7].

Tali previsioni, infatti, a parere di chi scrive – ma anche di tutti i primi commentatori della riforma[8] – minano in radice i principi di indipendenza ed autonomia del Giudice, principi ovviamente riferiti e riferibili a tutti i magistrati, anche onorari, in virtù del disposto degli artt. 101 e 104 Cost..

Simili compiti appaiono fortemente limitativi delle professionalità acquisite, soprattutto se riferiti ai magistrati onorari in conferma che, inevitabilmente, comporranno in larga parte la pianta organica dell’ufficio del giudice di pace di cui al primo comma dell’art. 2, e che costituiranno per 16 anni, in caso di successive conferme e fatte salve cessazioni dal servizio, la spina dorsale della categoria.

Né può bastare a mitigare la soggezione del magistrato onorario alle direttive del magistrato professionale, il potere del primo di chiedere che l’attività o il provvedimento siano compiuti dal giudice titolare del procedimento[9].

Il predetto potere appare, infatti, in realtà una facoltà meramente teorica, soprattutto in considerazione del fatto che le attività delegabili e delegate - essendo ancorate a criteri soggettivi quali la valutazione della complessità della fattispecie - potranno essere di fatto lasciate alla discrezionalità dei giudici ordinari che, quindi, avranno un potere enorme nella determinazione della quantità di lavoro delegata al giudice onorario, con ogni consequenziale effetto sul raggiungimento degli obiettivi di risultato che, per previsione normativa[10], daranno diritto alla corresponsione della parte variabile delle indennità.

Assolutamente coerente con l’impianto generale è, invece, la previsione demandante al Presidente del Tribunale, eventualmente con l’ausilio di uno o più giudici, il coordinamento dell’Ufficio del Giudice di Pace, così estendendo al capo dell’ufficio giudiziario i poteri già esercitati. Tale previsione, in un’ottica di inclusione sempre crescente della magistratura ordinaria nell’esercizio della giurisdizione, è conseguenza naturale dell’aumento di competenza e del voler fare confluire tutti i giudici onorari nel nuovo ufficio allargato.

Si giunge invece a conclusioni diverse, in relazione alla quota di magistratura onoraria di pace che confluirà nell’ufficio del Giudice di Pace e che dovrebbe pertanto, non solo esercitare attività giurisdizionale piena, analogamente a quanto oggi accade in tale Ufficio ma, giusta la previsione del comma 15 dell’art. 2, anche vedersi ampliata notevolmente la competenza, soprattutto in materia civile.

L’impiego maggiore e diffuso della magistratura di pace può, quindi, essere salutato con favore ed essere ritenuto strumento di perseguimento dell’obiettivo, dichiarato, di misura efficace a smaltire l’enorme carico giudiziario gravante sulla magistratura intera.

Va da sé che, anche per tale motivo, la previsione di un’unica figura di magistrato onorario può essere ritenuta coerente con l’ampliamento delle competenze del giudice di pace e quindi con la necessità della rivisitazione delle piante organiche di tali uffici, che si troveranno a dover smaltire parte dell’attuale carico dei tribunali in composizione monocratica.

Non convince, invece ed ancora una volta, l’inclusione nella magistratura onoraria di figure - demandate al mero ausilio dei giudici ordinari - senza compiti giurisdizionali o con compiti ancillari, vincolate da stringenti direttive. Figure che ben potrebbero e dovrebbero rimanere confinate nella categoria degli stagisti e tirocinanti.

Tra i contenuti della legge delega più dettagliati, vi sono alcuni aspetti già ampiamente previsti dalla precedente disciplina, quali, ad esempio, quelli riguardanti i criteri di accesso e di conferma, anche se, sicuramente, possono e devono essere salutate con particolare apprezzamento, le previsioni inerenti la valutazione di conferma, immaginata con procedimento simile al giudizio di professionalità dei magistrati onorari e l’obbligatorietà della formazione professionale.

Tale ultima previsione è da intendersi pienamente in linea con la sempre crescente offerta formativa, programmata negli ultimi anni dalla Scuola Superiore della Magistratura e dalle  strutture decentrate.

Fortemente innovativa è, poi, la istituzione delle sezioni autonome del Consiglio giudiziario con la partecipazione di magistrati onorari elettivi, che si innesta in maniera  pregnante nelle più stringenti procedure di nomina e conferma.

Di forte impatto soggettivo per la categoria è, inoltre, la previsione di una procedura di trasferimento del magistrato onorario su domanda dello stesso, sebbene a tale facoltà, allo stato non possibile, sia stata posta come contraltare potenzialmente devastante – se non corretto nell’esercizio della delega – la previsione, evidentemente mutuata dall’istituto della applicazione, di un generico potere di trasferimento di sede per esigenze oggettive di ufficio.

La presente disamina, cercando di rimanere fedele alle premesse, evita volutamente di esaminare le previsioni riguardanti l’aspetto retributivo e previdenziale.

Le stesse, apparentemente disciplinate in maniera dettagliata, in verità necessitano preventivamente, che le due anime della futura magistratura di pace - quella destinata a svolgere funzioni meramente ancillari e quella esercente attività giurisdizionale – siano riempite di contenuti maggiori con i decreti delegati, pertanto potranno essere valutate compiutamente solo alla pubblicazione degli stessi.

I benevolenti lettori perdoneranno al redattore, ovviamente influenzato dalla funzione rivestita, il sorriso nascente dalla previsione di un regime previdenziale ed assistenziale finanziato mediante misure incidenti sull’indennità.

Concludendo brevemente, si ritiene di poter solo in parte condividere l’entusiasmo mostrato dal legislatore - dettato probabilmente dall’aver messo mano in una materia che attendeva una riforma da decenni - atteso che, forse proprio per la smania interventista, si è persa l’occasione di meglio determinare un settore che riveste un ruolo sempre maggiore in un apparato statale enormemente nevralgico.

In particolare, se la figura del “nuovo giudice di pace” si può continuare a ritenere facente parte del genus magistrato, sebbene più connotato, almeno per quanto riguarda i nuovi accessi, da tratti propriamente onorari, principalmente per prendere le distanze e prevenire gli abusi dell’utilizzo degli attuali GOT, altrettanto non si può dire del “giudice di pace del processo” tratteggiato, dalla riforma, senza autonomia e indipendenza, subordinato alle direttive di altro organo, ritenuto unico titolare della funzione giurisdizionale.

Questa ultima figura, a parere di chi scrive, poteva e doveva essere tenuta distinta dalla categoria unitaria creata che, si ribadisce, era e sarebbe dovuta rimanere titolare della funzione giurisdizionale soggetta solo alla legge ed alla sua scienza e coscienza.

 

 


[1] Istituito dall’ l’art. 50 del d.l. 24 giugno 2013, n. 90 convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014,n. 114.

[2] Tali appunto sono le previsioni delle lettere a) e b) dall’art. 1.

[3] Cit. relazione illustrativa governativa.

[4] Così l’art. 1 comma 2 D.M. citato.

[5] Previsione contenuta nell’art. 2 comma 5 lett. a) n. 1.

[6] D.L. n. 69  del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni, dalla L. agosto 2013, n. 98

[7] Previsione contenuta nell’art. 2 comma 5 lett. a n. 2.

[8] Cfr. Amoroso R., Riforma della magistratura onoraria: più ombre che luci; su Altalex dell’11.05.2016

[9] Facoltà prevista sempre dall’art. 2 comma 5 lett. a) n. 2.

[10] Obiettivi previsti dall’art. 2 comma 13 lett. e) ed f). 

 

07/12/2016
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