1. Il palazzo si apre «come non aveva mai fatto prima»
Giuliano Amato e Donatella Stasio raccontano, in un lavoro a due voci, storie di diritti e di democrazia, ripercorrendo un periodo – il quinquennio che va dal 2017 al 2022 - nel quale la Corte costituzionale «apre come non aveva mai fatto prima, porte e finestre del settecentesco palazzo che la ospita e mette in circolo la sua esperienza di giudice per costruire un linguaggio comune e una mentalità costituzionale» (p. 10).
E’ fino in fondo vera questa orgogliosa affermazione di esordio, secondo cui la Corte, negli anni narrati dal libro, si apre «come non aveva mai fatto prima»?
Nella storia della Corte non sono mancate le testimonianze di giudici che, al termine della loro esperienza, hanno voluto aprire uno squarcio sulla vita e sulle dinamiche interne del giudice costituzionale, consentendo agli osservatori di gettare lo sguardo all’interno delle spesse mura del palazzo della Consulta.
Lo ha fatto, da ultimo, Sabino Cassese, dando alle stampe, nel 2015, il libro Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale. E prima di lui ne avevano scritto, nel 2005, Gustavo Zagrebelsky Principi e voti. La Corte costituzionale e la politica e Ugo Spagnoli, indimenticato giudice giunto alla Corte dalla politica, nel volume I problemi della Corte: appunti di giustizia costituzionale del 1996.
Si è trattato però di singole “voci di dentro”, di testimonianze individuali, interessanti e pregevoli ma essenzialmente destinate ad informare ed illuminare quanti già “sapevano”, quanti già conoscevano funzione e ruolo della Corte e dalla lettura di quei libri potevano ricavare un “di più” di informazione e di orientamento.
2. Il dovere di “spiegare” e di “spiegarsi” ai cittadini
L’apertura di porte e finestre descritta nel libro di Amato e Stasio è stata, per più ragioni, profondamente diversa rispetto ad ogni precedente.
Innanzitutto perché si è tradotta in una iniziativa corale che ha coinvolto l’intera istituzione ed è cresciuta grazie all’impegno di sei presidenti della Corte - Paolo Grossi, Giorgio Lattanzi, Marta Cartabia, Mario Morelli, Giancarlo Coraggio e lo stesso Giuliano Amato - che si sono passati il testimone, concorrendo, ciascuno con la sua personalità e la sua cultura, alla realizzazione del progetto comune di mettere la Corte in una più stretta relazione con la società civile.
Inoltre l’“apertura” descritta nel libro è stata una operazione complessa, segnata dalla tenace volontà della Corte di “spiegare” e di “spiegarsi”, con l’intento di consentire ai cittadini di ricevere una informazione il più possibile tempestiva, chiara e comprensibile sui contenuti delle sue decisioni e permettere loro di conoscere le ragioni delle scelte interpretative di volta in volta compiute, con le quali consentire o dalle quali dissentire con cognizione di causa.
Finalità perseguita in primo luogo affiancando alle motivazioni delle sentenze - nelle quali resta spesso indispensabile avvalersi del linguaggio tecnico - i “comunicati” della Corte, cioè sintetiche illustrazioni dei contenuti delle decisioni, scritte, come direbbero gli inglesi, in plain english e cioè nella viva, ricca e colta lingua italiana.
Per far sì - come scrive Giuliano Amato - che il maggior numero possibile di cittadini conoscano e capiscano “ la motivazione” delle sentenze del giudice costituzionale «che è fatta per loro e non per i chierici» (p. 140) e che non percepiscano il giudice costituzionale come il detentore di un potere calato dall’alto, che si esprime in un linguaggio astruso e inaccessibile, ma lo ascoltino come una voce impegnata ad esporre, con il linguaggio più chiaro possibile, il perché di ogni decisione adottata, legittimando in questo modo il suo potere.
3. I viaggi fisici ed intellettuali compiuti dalla Corte
Ultima ragione di assoluta novità dell’esperienza ripercorsa nel libro sta nel fatto che la Corte, una volta aperti i battenti del massiccio portone del palazzo, ha deciso che occorreva anche varcarne la soglia, muoversi verso l’esterno e intraprendere viaggi di diversa natura e con diverse destinazioni.
Viaggi fisici, che l’hanno portata in luoghi prima mai frequentati dall’istituzione, come le carceri e le scuole e che, proprio per la loro assoluta novità, sono stati talora oggetto di critiche o di aperta contestazione politica.
Ma anche viaggi in nuovi mondi espressivi, alla ricerca di mezzi inediti per favorire incontri, e portare, anche in ambienti normalmente refrattari, le parole e lo spirito della Costituzione.
Anche questi viaggi sono raccontati nel libro, che descrive, in termini vividi ed appassionati, gli ostacoli incontrati, le avversità superate e le mete raggiunte.
Il Viaggio nelle carceri, docufilm destinato a mostrare l’incontro di due mondi – quello dei giudici e quello dei detenuti – «apparentemente distanti e non comunicanti per linguaggio, cultura, sensibilità e molto altro» (p. 138) normalmente invisibili l’uno all’altro e messi in contatto perché ne nascesse uno scambio di «esperienze ed emozioni»(p. 139).
Il viaggio nel web, con la creazione di podcast dei giudici costituzionali, immaginati e realizzati «come i volumi di una libreria virtuale, composta di vari scaffali dedicati alla vita ed all’attività della Corte e a momenti cruciali della nostra storia repubblicana, raccontati attraverso la lente della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale »(p. 204).
Il viaggio in piazza, infine, puntuale descrizione della genesi e della realizzazione, nella fastosa cornice della piazza del Quirinale, del concerto di Nicola Piovani, opera ispirata «sia pure liberamente alle Eumenidi e ai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, due momenti cruciali della storia nei quali il sangue lascia il posto alla parola, la vendetta alla giustizia, la guerra alla pace» (p. 259).
4. Le questioni di frontiera affrontate
Nel libro la narrazione dei viaggi fisici e intellettuali ora richiamati è sapientemente alternata alla rievocazione dei casi più rilevanti e drammatici e delle questioni più nuove e spinose affrontate dalla Consulta negli ultimi anni: il suicidio assistito, l’ergastolo ostativo, i figli arcobaleno, i giudizi sull’ammissibilità referendum pronunciati nel febbraio del 2022.
La lettura di questi capitoli dimostra quanto possa essere coinvolgente la riflessione giuridica su temi di frontiera e quale premio possa spettare agli studenti delle facoltà di legge una volta superata la fase, inevitabilmente assai più arida, dello studio manualistico e dell’apprendimento del lessico giuridico di base.
Impossibile rendere conto qui, anche solo per rapidissimi cenni, della vivacità e della ricchezza di argomentazioni e di spunti racchiusi in questa parte del libro, che il lettore potrà apprezzare solo leggendolo.
Su di un particolare passaggio è però utile soffermarsi.
Quello in cui si ricordano le parole pronunciate da Giuliano Amato nella conferenza stampa sui referendum, con le quali il presidente della Corte spiegava che se il quesito referendario sull’omicidio del consenziente «fosse stato ammesso così com’era….probabilmente tanti cittadini sarebbero andati a votare “si” pensando solo alle persone in stato di sofferenza, senza sapere che nell’area dell’impunità penale sarebbero finiti “tanti altri casi” di cui tutti saremmo stati responsabili» (p. 219).
Con ciò fronteggiando apertamente le tante polemiche sollevate sulla decisione di inammissibilità del quesito referendario che chiedeva l’abrogazione parziale dell'art. 579 del codice penale e la “delusione” di quella parte della stampa e dell’opinione pubblica che continuavano a confondere l’eutanasia con l’indiscriminata “liberalizzazione” dell’omicidio del consenziente derivante dal quesito abrogativo.
Ecco: l’episodio conferma che, per la Corte, “spiegare” e “spiegarsi” non equivale in nessun caso a ricercare il consenso dell’opinione pubblica ma ha il solo scopo di rendere conto della propria attività, mettendo i cittadini nelle migliori condizioni per cogliere significati e valenze delle sentenze e valutare, all’occorrenza anche criticamente, l’operato dei giudici costituzionali.
Per questo non sono condivisibili le contestazioni all’offensiva di chiarezza e trasparenza lanciata dal giudice costituzionale, nascenti dal timore che da essa possano derivare la compromissione del rigore giuridico delle decisioni o indebiti cedimenti alle pressioni dell’opinione pubblica.
5. L’iniziativa della Corte costituzionale ed i giudici comuni
Se il libro descrive, con vivacità ed accuratezza, la scelta del giudice costituzionale di immergersi nella società parlando a “tutti” e non solo agli addetti ai lavori, l’iniziativa di apertura e di ricerca di un nuovo e più accessibile linguaggio assume per i giudici comuni un valore ed un significato speciali.
Essa richiama infatti alla mente, nonostante l’esistenza di grandissime differenze, la fase storica nella quale i magistrati italiani sono passati dalla chiusura corporativa e della farisaica “arte del tacere” alla partecipazione alla vita della polis ed alla rivendicazione di una più ampia libertà espressiva.
Allora, l’intimazione del silenzio ed i tentativi di repressione della parola pubblica dei magistrati avevano un bersaglio costante e prediletto: i discorsi o gli scritti, critici o polemici, formulati “in volgare”, nella lingua di tutti e non nel linguaggio o gergo giuridico, astratto, formale e incomprensibile ai più.
Erano sempre le parole del linguaggio comune, così diverse dal “latino” dei chierici, veicolate attraverso canali comunicativi di ampia diffusione come la stampa o la televisione, ad irritare, a scandalizzare, a suscitare reazioni, a determinare il ricorso all’azione disciplinare.
Arma, quest’ultima, destinata a rivelarsi spuntata e perdente, ma solo all’esito di faticosi giudizi della Sezione disciplinare e di sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione chiamata a decidere delle impugnazioni delle decisioni del giudice disciplinare.
Impossibile non percepire, nella meditata evoluzione comunicativa compiuta oggi dalla Corte, una qualche eco, l’influenza sia pure indiretta e mediata, di quella lontana stagione nella quale furono molti giudici comuni a rompere schemi precostituiti, scegliendo di parlare “in volgare” per il desiderio di farsi capire dai cittadini.
Per altro verso l’esperienza della Corte non può che rafforzare l’impegno di tutta la magistratura verso gli obiettivi della sinteticità, della chiarezza espressiva, della semplicità di linguaggio dei provvedimenti giudiziari.
Obiettivi ormai chiaramente enunciati in tutti gli atti ufficiali e che talora possono essere mancati non perché sopravvive la vecchia predilezione per la motivazione lunga, esoterica, ampollosa, ma perché il numero, non di rado elevatissimo, dei provvedimenti da redigere induce gli estensori a rifugiarsi nel gergo giuridico e negli stereotipi che accelerano la scrittura.
Anche sotto un altro profilo poi la Corte invia ai giudici comuni un messaggio particolarmente importante.
In un momento nel quale, sull’onda di polemiche pretestuose sull’imparzialità si vorrebbero indurre i magistrati a restare appartati, chiusi nei loro uffici, separati dalla società, la Corte mostra che dalla partecipazione alla vita della città e dal contatto con realtà sociali anche molto problematiche non può che venire un arricchimento e la consapevolezza indispensabile per svolgere meglio il difficile mestiere di giudicare.
6. C’è un limite alla trasparenza?
Di grande interesse sono i passi del libro nei quali vengono rivelati i percorsi attraverso i quali vengono assunte le decisioni, percorsi spesso più sofisticati della semplice sequenza “discussione collegiale e successiva votazione”.
Così Giuliano Amato illustra la formula, da lui adottata come presidente, di promuovere la decisione “per consenso”, secondo cui «dopo aver ascoltato gli interventi di tutti, si accerta che c’è un largo consenso su una data conclusione e, quindi, non c’è bisogno di votare» (p. 125). Oppure parla della ricerca «di un accordo sulle questioni penultime» in grado di sbloccare - in casi come quello del fine vita - l’impasse che potrebbe essere generato dall’urto frontale di principi e valori opposti e irrinunciabili.
Nell’apprezzare, anche grazie a questi illuminanti squarci sul funzionamento della collegialità, l’ampiezza della operazione trasparenza compiuta dalla Corte è però inevitabile chiedersi perché, nella stagione dell’apertura, non sia stato affrontato il tema risalente ma sempre cruciale dell’opinione dissenziente.
Anche se non è possibile parlarne adeguatamente nell’ambito circoscritto di una recensione vale la pena di richiamare, perché il lettore giudichi se sono persuasive, le parole con le quali Giuliano Amato espone la sua posizione al riguardo.
Dopo aver ricordato la sua posizione favorevole alla introduzione dell’opinione dissenziente e le ragioni di chi ad essa si oppone – il timore che la rivelazione di un dissenso interno al collegio possa minare o intaccare la credibilità, l’autorevolezza e in definitiva la legittimazione della decisione – Giuliano Amato sostiene che questo è l’argomento di una democrazia debole, ancora bisognosa di un’autorità che dall’alto pronunci parole di comando solenni e indiscutibili.
Una democrazia non ancora pronta ad accettare che il potere sia esercitato da persone normali e in forme discorsive, che ha ancora «modelli, regole, principi di funzionamento che sono propri dei regimi autoritari» e che, pur recando in sé molte delle fragilità delle democrazie mature, deve fare ancora molta strada per divenire una democrazia forte (p. 244).
Nonostante la finezza intellettuale con la quale è enunciata la giustificazione non convince fino in fondo.
Sono molte le decisioni coraggiose con le quali la Corte ha mostrato che la via attraverso la quale la democrazia può divenire più forte è quella dell’aperto confronto delle idee e della piena accettazione del pluralismo.
Se così è, appare contraddittorio che la Corte stessa continui ad affidare una parte almeno della forza e dell’autorevolezza delle sentenze pronunciate alla presunta unanimità delle deliberazioni adottate in camera di consiglio, scegliendo di non rendere pienamente visibile all’esterno le dinamiche dei suoi processi decisionali e mantenendo in vita il segreto, cioè un tratto autoritario del potere esercitato.
7. Una grande potenza di fuoco al servizio di una buona causa
L’impressione complessiva e finale che si ricava dalla lettura del libro è che i due autori abbiano messo in campo una potenza di fuoco difficilmente eguagliabile al servizio di una buona causa e della scrittura di un libro di grande qualità per l’interesse dei temi affrontanti e per la limpidezza dello stile.
Né poteva essere altrimenti.
Giuliano Amato è portatore di una esperienza assolutamente unica, maturata in ambiti diversi – scientifico, politico, istituzionale – che si è tradotta nella capacità, propria dei maestri, di rendere concreti, vivi, comprensibili anche i temi e gli argomenti più complessi.
Dal canto suo Donatella Stasio è una studiosa ed una giornalista di lungo corso che per anni ha raccontato con competenza casi e questioni di giustizia sulle pagine del Sole 24 Ore, per passare poi con naturalezza all’incarico di responsabile della comunicazione della Corte costituzionale. Trovando anche il tempo di lasciare, nell’intervallo tra queste due esperienze lavorative, una traccia forte e visibile in questa Rivista nella sua rubrica Controcanto e nella cura di uno dei più ricchi numeri della Trimestrale, il 4 del 2008, intitolato Il dovere della comunicazione.
A questi autori d’eccezione occorre essere grati del comune impegno profuso in questo libro.
Innanzitutto, come si è accennato, per la “buona causa” perseguita: contribuire a far conoscere il giudice e la giustizia costituzionale alla più ampia opinione pubblica ed avvicinare i lettori ad una istituzione fondamentale dello Stato costituzionale, rafforzandola in un momento in cui soffiano forte nel mondo ed anche nel nostro Paese i venti di regressione democratica.
E poi per aver dimostrato che si possono raccontare le istituzioni e le loro vicende in modo appassionato ed appassionante, rendendo i lettori partecipi di una avventura intellettuale nella quale si mescolano e si fondono realtà e teoria, ragione ed emozione, il “sentimento costituzionale “e le argomentazioni giuridiche più approfondite.