Dignità della donna, qualità delle relazioni familiari e identità personale del bambino
1. Introduzione
La gravidanza per altre o per altri[1] (da ora, GPA) merita attenzione come peculiare vicenda umana, del tutto marginale da un punto di vista statistico, ma a suo modo straordinaria. Si tratta di un fenomeno sociale e di una fattispecie giuridica unica sotto vari profili, che consente di mettere al mondo bambini che altrimenti non potrebbero nascere e che vive, al contempo, di scelte individuali che possono comportare rischi e, a volte, minacce per l’integrità fisica e morale delle donne coinvolte, le quali richiedono la massima considerazione e richiedono, innanzitutto, ascolto.
Nell’esaminare questa realtà non possiamo ignorare, ad esempio, le condizioni di sfruttamento che hanno caratterizzato, anche se non sempre, i primi mercati per la gestazione per altre, quali l’India, la Thailandia e il Nepal, sino alle recenti leggi che hanno chiuso questi Paesi alla surrogacy per i cittadini stranieri (l’uso del termine “mercato” è intenzionale, posto che l’apertura agli stranieri era frutto di una scelta deliberata nell’ambito di politiche di promozione del cd. “turismo sanitario e procreativo”)[2], mentre poco sappiamo ancora di cosa realmente accade in Ucraina e in Russia, da un punto di vista giuridico e, soprattutto, delle condizioni materiali e umane, nonostante gli stessi Paesi rappresentino a tutt’oggi le prime destinazioni delle coppie eterosessuali italiane.
In questa relazione introduttiva, tuttavia, senza pretesa di fornire un quadro completo dei vari sistemi, vorrei prendere le mosse dall’analisi di quel che chiamerei il modello forte di GPA, con ciò indicando quello stabilitosi da oltre venticinque anni negli Stati Uniti, in particolare in California, così come ricostruito dalla Corte suprema californiana a partire dal caso Johnson c. Calvert (1993)[3] sino a essere recepito dallo stesso legislatore. L’ho definito modello forte, in quanto mi pare obiettivamente quello più radicale, poiché, a differenza di altri modelli giuridici di GPA, non ammette deroghe al principio generale della incedibilità dello status di figlio. È, peraltro, un modello forte anche per avere retto nel tempo, non dando luogo a conflittualità, posto che sorprendentemente si ha notizia ad oggi di una sola, recente, controversia arrivata nelle aule giudiziarie (nonostante ogni anno centinaia di bambini nascano in California grazie alla GPA).
L’analisi di tale modello sarà spunto per una valutazione in parallelo, diretta a evidenziarne pure alcuni profili critici (nel par. 6), al fine di trarne alcuni spunti utili per il nostro ordinamento, che è lo scopo ultimo di questa relazione introduttiva (a cui sono dedicati i parr. da 7 a 11). Nonostante le opposte scelte californiana e italiana (con la legittimità della GPA affermata dalla sua Corte suprema, in un caso, e l’illiceità penale affermata dal legislatore, nell’altro), i due sistemi presentano infatti alcune analogie (incedibilità dello status filiationis; imputazione dello status, in caso di PMA, sulla base del principio del consenso) che consentono di muovere dal primo per ipotizzare qualche soluzione anche per il nostro sistema.
Ulteriore ragione di interesse risiede nella circostanza che la California, insieme al Canada, rappresenta l’ordinamento al quale si rivolge, fatti salvi casi eccezionali, la totalità delle coppie italiane dello stesso sesso. Dunque, è di questi modelli giuridici che si parla quando nei nostri tribunali si pone il tema della trascrizione di atti di nascita con due padri e ci si interroga sulla loro compatibilità col (nostro) ordine pubblico internazionale. Se tale giudizio involge una valutazione in concreto della compatibilità degli effetti della legge straniera con la nostra concezione dei diritti fondamentali, un’approfondita conoscenza di tale legge e dei suoi presupposti mi pare dunque imprescindibile.
Prima di affrontare l’esame di questo modello, paiono tuttavia opportune alcune brevi premesse di ordine generale e sistematico sulla questione, che in questa materia è così rilevante, della scissione fra le diverse figure di “madre”.
2. La rivoluzione degli anni settanta: la fecondazione in vitro e la scissione delle figure materne
La fecondazione in vitro è unatecnica riproduttivainventata nel Regno Unito esattamente quarant’anni fa (con la prima bambina, Louise Brown, venuta al mondo il 25 luglio 1978) che ha permesso da allora la nascita di circa otto milioni di bambini[4] e ha consentito, per la prima volta nella storia dell’umanità, la scissione delle figure della gestante e della madre genetica. La fattispecie, da un punto di vista medico e tecnico, è ben nota: la fecondazione in vitro consente la formazione di un embrione con gamete femminile proveniente da una donna e il suo trasferimento nel grembo di un’altra donna, che lo farà nascere. Ma alla stessa realtà fattuale, allo stesso procedimento tecnico, corrispondono trattamenti giuridici completamente diversi, a seconda della volontà espressa dalle due donne.
Tresono, infatti, le fattispecie giuridiche conseguenti a una fecondazione in vitro.
Se la donna gestante vuole essere madre del bambino e la madre genetica non vuole essere madre, abbiamo una PMA eterologa ex latere matris, che come noto è legittima anche nel nostro ordinamento, da quando la Corte costituzionale, con sentenza n. 162 del 2014[5], ha rimosso il divieto di fecondazione eterologa[6].
Nell’ipotesi opposta, in cui la donna gestante non vuole essere madre del bambino, mentre la madre genetica vuole essere madre, abbiamo la GPA cd. “gestazionale”, che a differenza della GPA tradizionale consiste, appunto, nel trasferimento nella gestante di un embrione già formato con gameti provenienti dalla coppia di genitori[7]. Come noto, il boom della GPA negli Stati Uniti consegue alla possibilità di GPA gestazionale. Come sappiamo, questa pratica è consentita, con varia regolamentazione, in buona parte dei Paesi di common law, mentre è interdetta[8] in gran parte dei Paesi di civil law (ad esclusione di Grecia, Portogallo, Israele e pochi altri, che la consentono seppure entro certi limiti), mentre in molti altri è del tutto ignorata dalla legge. In Italia, come noto, la maternità surrogata è punita dall’art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, con l’avvertenza che la giurisprudenza di merito ha escluso, tuttavia, che la sanzione colpisca le due donne (gestante e madre), assumendo che nella fattispecie le stesse non siano soggetti attivi del reato[9], e la giurisprudenza di legittimità ha comunque escluso la punibilità delle condotte poste in essere all’estero[10].
La fecondazione in vitro consente, infine, anche una terza ipotesi di scissione fra dato gestazionale e dato genetico, che possiamo definire intermedia e di cui si è occupata la nostra Corte di cassazione nel 2016[11]: la cd. “ROPA”[12], dove entrambe le donne vogliono essere madri. In questo caso, la Cassazione ha ammesso la trascrizione dell’atto di nascita con le due mamme, ma la tecnica non potrebbe essere realizzata nel nostro Paese, in quanto incorre nella sanzione amministrativa (che colpisce solo gli operatori sanitari, ma non la coppia) prevista dall’art. 12, comma 2, l. n. 40/2004. Divieto invero previsto non per questo caso specifico, ma per ogni ipotesi di PMA fatta da una coppia di donne (o da una donna single) e sul quale pende attualmente una eccezione di illegittimità costituzionale[13].
Come detto, dunque, si ha sempre la stessa vicenda da un punto di vista fattuale, ma a seconda di come si atteggi la volontà delle due donne, nel primo caso la fattispecie è perfettamente legittima per l’ordinamento, nel secondo caso è penalmente sanzionata, nel terzo caso è sanzionata in via amministrativa.
Per il nostro ordinamento, dunque, il giudizio sulla scissione delle figure materne muta radicalmente a seconda della loro intenzione, a sottolineare l’importanza cruciale che in questa materia assume la volontà delle donne coinvolte.
3. La creazione giurisprudenziale del modello forte di GPA
Tornando ora alla situazione oltreoceano, ad appena dieci anni dall’invenzione della fecondazione in vitro, avvenuta come detto nel 1978, la letteratura americana riferiva già di migliaia di bambine e bambini nati negli Stati Uniti grazie alla surrogacy gestazionale[14]. Per contro, la surrogacy cd. tradizionale (che aveva avuto sin dall’inizio una diffusione assai contenuta e aveva generato in alcuni Stati una certa conflittualità) passava in secondo piano e tendeva quasi a scomparire.
Sul finire degli anni ottanta, inoltre, venivano diffusi i primi dati delle ricerche sul benessere psico-fisico delle gestanti e dei bambini nati con tale pratica[15], che come è noto sarebbero stati confermati nei decenni a venire, sino alle ricerche dei nostri giorni[16].
In questo clima, giunge dunque davanti a un giudice californiano il primo caso di surrogacy gestazionale[17]: Johnson c. Calvert, che si concluderà nel 1993 con la decisione della Corte suprema della California, destinata a esercitare una forte influenza in questa materia[18].
Nella motivazione, la Corte assume, innanzitutto, che non possa ravvisarsi nella pratica de qua una lesione della dignità della donna quando la stessa sia frutto di una sua libera scelta. La Corte esclude infatti che, nel caso sottoposto al suo esame, vi fosse stata «coercizione, sfruttamento o disumanizzazione» della gestante, ritenendo raggiunta la prova della sua libera e consapevole autodeterminazione[19]. Secondo la Corte, l’argomento per cui una donna non potrebbe portare avanti una gravidanza per altre donne sarebbe «retaggio di quella impostazione giuridica e culturale che per secoli ha impedito alle donne di esercitare gli stessi diritti economici e di assumere gli stessi status degli uomini»[20]. I giudici della Corte suprema escludono in particolare che, nel percorso della surrogacy, si produca una compressione dei diritti costituzionali della gestante, chiarendo come la stessa resti pienamente titolare, fra l’altro, del diritto fondamentale di interrompere la gravidanza[21], riconosciuto in due storiche sentenze della Corte suprema degli Stati Uniti[22].
In secondo luogo, la Corte nega che la surrogacy configuri una forma di mercificazione dei bambini, in quanto nega che nella stessa avvenga alcuna cessione della genitorialità, trattandosi semmai di una pratica che consente a una coppia sterile di mettere al mondo figli propri, il che esclude altresì una violazione del divieto penale di pagamento di corrispettivi in caso di adozione[23].
Ciò posto, la Corte suprema osserva come in linea di principio entrambe le donne (la gestante e la madre genetica) potrebbero essere riconosciute come «madre» secondo lo Uniform Parentage Act, in quanto lo stesso prevede entrambi i criteri di accertamento della maternità (parto e legame genetico), concludendo tuttavia che in caso di surrogacy sia necessario accertare in concreto quale delle due donne abbia manifestato, sin dal concepimento, l’effettiva intenzione di assumere il ruolo genitoriale, dovendo essere riconosciuta soltanto questa come la «madre naturale» del nato («the natural mother»). Al riguardo, la Corte osserva come nella specie non solo la gestante non avesse manifestato la volontà di divenire madre del nascituro, esprimendo semmai la volontà contraria, ma anche che, se la stessa avesse manifestato in origine la volontà di divenirne madre, il bambino «non sarebbe mai venuto al mondo».
Con la seconda, fondamentale, sentenza del 3 marzo 1998, In re Marriage of Buzzanca[24], la Corte suprema ha completato il quadro affermando l’irrevocabilità del consenso manifestato nell’ambito di una surrogacy. In questo caso, entrambi i membri della coppia di genitori intenzionali, marito e moglie, erano privi di legame genetico col bambino (sicché il padre, avendo divorziato dalla moglie durante la gravidanza, aveva tentato di sottrarsi alla responsabilità genitoriale facendo leva proprio sulla circostanza di non avere alcun legame di sangue col nato) e il giudice di primo grado, preso atto di tale carenza di nesso genetico anche con la madre intenzionale, aveva ritenuto che, in base al codice civile californiano, dovesse assumersi che madre fosse la partoriente, traendone la conclusione che, visto che quest’ultima non aveva voluto riconoscerlo, il bambino non avesse alcun genitore. La Corte suprema, richiamato quanto già sancito in Johnson c. Calvert, ha osservato invece il carattere vincolante della volontà dei genitori, espressa già prima del concepimento, ritenendo che la stessa fosse valida anche a prescindere da qualsiasi legame genetico in forza dei principi già affermati da tempo in materia di genitorialità intenzionale[25].
Una volta espressa la volontà di mettere al mondo un figlio e una volta iniziato il percorso di procreazione artificiale o di GPA, i genitori intenzionali sono dunque ab initio i genitori legali del bambino e tale status, ovviamente, è indisponibile.
4. Il modello forte alla prova dei fatti
Come detto, anni dopo le due pronunce della Suprema corte, la surrogacy ha fatto ingresso nel Family Code californiano, con legge entrata in vigore il 1° gennaio 2013[26].
Secondo la disciplina codicistica, la manifestazione della volontà della gestante e dei genitori (anche dello stesso sesso; anche singoli) è raccolta in un accordo («Written Assisted Reproduction Agreement For Gestational Carriers») che deve avere forma solenne e deve essere redatto con l’assistenza necessaria di un avvocato indipendente per parte(sec. 7962, lett. b); tale atto deve prevedere la copertura di tutte le spese mediche a cura dei genitori intenzionali, mentre nulla viene detto nella legge in ordine all’eventuale previsione di un ulteriore compenso, sicché in mancanza di un espresso divieto lo stesso deve intendersi lecito. Secondo la sec. 7962, lett. i, tale accordo non può essere risolto («rescinded or revoked») dalle parti, potendo essere dichiarato inefficace soltanto in forza di un provvedimento giurisdizionale.
Sulla base di tale manifestazione di volontà della gestante di realizzare una gravidanza per un’altra donna (o per altri), e dei genitori di mantenere la responsabilità genitoriale sul nascituro, la sec. 7962, lett. e, prevede quindi che il giudice emetta un provvedimento giurisdizionale con cui, previo controllo della validità dell’accordo, accerta, anche già nel corso della gravidanza, che la gestante non è la madre, mentre i due genitori intenzionali sono i genitori del bambino[27], dando dunque atto, come espressamente disposto dalla sec. 7962, lett. f, sub 1, che sono superate le presunzioni di concepimento, maternità e paternità. Alla nascita del bambino, infine, l’ufficiale di stato civile formerà il certificato di nascita conformemente alla verità della filiazione accertata nel provvedimento giurisdizionale. La sec. 7962, lett. g, dispone quindi che tutti gli atti siano rigorosamente riservati e possano essere visionati solo dalle parti e dai loro avvocati, salvo provvedimento giurisdizionale adottato «in casi eccezionali e se strettamente necessario».
L’ordinamento californiano ravvisa dunque nella surrogacy unapratica di PMA diretta a far nascere bambini che sono ab origine figli non della gestante (gestational carrier), ma dei suoi genitori intenzionali (intended parents). Nella ricostruzione giuridica affermata in California, infatti, il parental order che l’autorità giudiziaria può emettere già nel corso della gestazione non “trasferisce” lo status genitoriale, ma accerta che genitori del nascituro sono coloro che hanno espresso già prima del concepimento la volontà di assumerne la responsabilità genitoriale, e non la gestante che ha espresso volontà contraria[28]. Il modello californiano, così, non ammette deroghe rispetto al principio generale dell’ordinamento della incedibilità dello status filiationis. A tale ricostruzione giuridica corrisponde, d’altra parte, anche una costruzione sociale e culturale del fenomeno, che spiega la ragione per cui la surrogacy sia socialmente accettata da buona parte dell’opinione pubblica: la surrogacy è intesa infatti come pratica diretta a far nascere i bambini di una coppia impossibilitata a una gravidanza, e certamente non come “cessione” di bambini da parte delle proprie madri.
La sezione 7962 regola, peraltro, soltanto la surrogacy cd. “gestazionale”, dove la gestante non ha dunque alcuna correlazione genetica col nascituro e dove, dunque, viene trasferito alla gestante un embrione già formato. Pur non essendo vietata, la cd. “GPA tradizionale” (dove, come visto, la donna partorisce invece un figlio a lei legato geneticamente) è dunque esclusa dalla protezione offerta dal codice civile californiano (in ciò differenziandosi da quanto accade, ad esempio, nel Regno Unito).
Per contro, allontanatosi dagli esiti cui sembrano giunte tanto la nostra Corte di cassazione nella nota sentenza n. 24001 del 2014[29] che la Grand Chambre della Corte di Strasburgo nella soluzione del caso Paradiso e Campanelli c. Italia[30], ma in tutta coerenza con i principi dell’intention, in California, non è invece escluso che entrambi i genitori intenzionali siano privi di legame genetico col figlio, in tal modo assicurando (come si è visto nel caso Buzzanca) che i genitori, neppure in tal caso, risultino sciolti dalla responsabilità genitoriale nei confronti del bambino che hanno voluto mettere al mondo[31].
Come si è già accennato, nella lunga storia dell’applicazione di tali principi, e nonostante le migliaia di bambini nati grazie alla surrogacy, non risultano casi editi o controversie giudiziarie in atto[32], salvo il recente caso Melissa Kay Cook (2016-2018)[33].
Nel caso Melissa Cook, il padre intenzionale, avuta notizia che si trattava di gravidanza trigemellare, aveva chiesto alla gestante di interrompere la gravidanza di uno dei tre, adducendo preoccupazioni per il loro stato di salute e, soprattutto, ragioni di natura economica con riguardo alla propria capacità di mantenere tre figli. Opposto dalla gestante il rifiuto di abortire, e nati i tre bambini, la stessa chiedeva di trattenerne uno con sé, osservando come proprio la teoria della volontà avrebbe dovuto condurre a tenere conto della volontà espressa dal padre di assumere la responsabilità genitoriale soltanto per due di essi. La difesa della stessa contestava, inoltre, la stessa legittimità costituzionale della legislazione californiana in materia di surrogacy. La Corte d’appello di Los Angeles ha ritenuto, tuttavia, che lo status si fosse costituito già prima del concepimento, affermando per un verso che lo stesso non potesse essere rinunziato dal padre ed escludendo, per altro verso, di poter esprimere in questa sede giudizi sulla capacità genitoriale del padre, richiamando al riguardo l’impostazione tradizionale per cui lo Stato non può sindacare su chi possa divenire genitore (con metodi naturali o con procreazione medicalmente assistita)[34]. La Corte d’appello ha rifiutato, inoltre, di considerare i profili di pretesa illegittimità costituzionale della surrogacy, sul rilievo che la disciplina legislativa ha recepito i principi già enunciati dalla stessa Corte suprema nei precedenti Calvert e Buzzanca.
5. GPA e dignità
Come si è visto, la Corte suprema della California, in Johnson c. Calvert, ha ritenuto che la surrogacy non comporti una lesione della dignità della donna quando la stessa sia il frutto di una sua libera scelta. In un infelice obiter della nostra Corte costituzionale (peraltro in una sentenza che, per molti altri versi, è del tutto condivisibile), la maternità surrogata, invece, «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane»[35].
Se, tuttavia, la dignità della donna e se la qualità delle relazioni umane segnano i parametri e il perimetro del giudizio, come pare sottolineare la nostra Corte costituzionale, allora non può non osservarsi come il tema della dignità incontri necessariamente quello dell’autodeterminazione della donna. Come sottolineato dai giudici californiani, l’argomento per cui una donna non potrebbe mai essere in grado di decidere in modo consapevole di portare in grembo e far nascere un bambino di altri risente, invero, di un evidente quanto antico pregiudizio[36]. Negare ogni possibilità di autodeterminazione, anche ove sia assicurata la libertà e spontaneità della scelta, appare frutto di «una costruzione inferiorizzante della capacità femminile»[37], risultando, in fin dei conti, pregiudizievole proprio della dignità della donna.
La questione, accennata solo incidentalmente nella decisione della corte italiana, è stata affrontata più recentemente in «una vera e propria sentenza-trattato»[38] dal Tribunal constitucional portoghese, in occasione del vaglio di costituzionalità della legge lusitana sulla gestação de substituição, che è stata ritenuta legittima salvo che per alcuni suoi, non trascurabili aspetti[39]. Per la Corte portoghese, l’argomento per cui la GPA configurerebbe sempre una mercificazione della donna o, addirittura, una sua riduzione in schiavitù, a prescindere da una attenta analisi delle condizioni sociali, culturali ed economiche in cui la medesima si è determinata a contribuire alla nascita di un bambino altrui, condurrebbe per un verso a mortificare la sua stessa capacità di autodeterminazione, il suo ruolo attivo e le sue motivazioni, e per altro verso ignorerebbe che la donna, anche nel corso della gravidanza, mantiene pur sempre – seppure in una condizione di vulnerabilità – la pienezza delle proprie relazioni sociali[40]. Per il Tribunal constitucional, la gestante attua, nel caso di GPA altruistica, «un proprio progetto personale» ed «esprime la propria personalità», sicché la pratica «è l’opposto della sua degradazione», dovendosi rinvenire nella stessa «l’esercizio della sua autonomia individuale e della sua libertà personale»[41]. Per conseguenza, secondo i giudici portoghesi, «non vi è violazione della sua dignità umana, ma, al contrario, la sua partecipazione alla gestazione di sostituzione afferma una libertà che, in ultima analisi, si fonda proprio su tale dignità»[42].
Per i giudici portoghesi non può assumersi, inoltre, che nella specie risulti lesa la dignità personale del nascituro, posto che il bambino non è oggetto di una mercificazione né è strumento per il perseguimento di interessi degli adulti. Il figlio, infatti, gode sia nel corso della gravidanza che dopo il parto di una condizione identica agli altri bambini[43] e, secondo le ricerche unanimi, non subisce alcun pregiudizio di ordine psicologico[44]. Il medesimo, infine, non è “oggetto” di un contratto (posto che accordi, anche di natura contrattuale, sono comunque presenti in ogni occasione di nascita, anche con procreazione naturale)[45], ma è qui il fine – e non il mezzo – della pratica, esattamente come avviene per ogni ipotesi di procreazione naturale o artificiale (il Tribunal menziona, al riguardo, gli autori che hanno osservato come «il bambino generato con GPA avrà la certezza d’essere stato molto desiderato dai suoi geniori intenzionali, forzati a oltrepassare i propri limiti fisiologici e biologici per portarlo al mondo, sicchè non potrà mai soffrire il trauma d’essere un figlio “accidentale”»[46]).
La corte portoghese rivela, allora, come la GPA, quando sia gratuita, assuma una «relevância constitucional positiva», essendo diretta a perseguire interessi giuridici fondamentali come quello di creare una famiglia e avere figli[47].
D’altra parte, anche la nostra Corte costituzionale, nella più volte menzionata sentenza n. 162 del 2014, ha osservato come la libertà di scelta «di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli», «riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione, poiché concerne la sfera privata e familiare», «concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali» (corsivo aggiunto)[48].
Se, dunque, come affermato nella sentenza n. 272 del 2017, tali valori costituzionali attengono alla dignità della donna e alla qualità delle relazioni umane, il tema si sposta necessariamente su una valutazione in concreto delle condizioni che assicurano un’adeguata prevenzione del rischio di compressione della sua libertà di scelta e un’adeguata protezione delle relazioni che si intrecciano fra i soggetti coinvolti[49].
6. Discussione del modello californiano (con alcuni spunti de iure condendo)
Come si è detto, alla base della GPA vi è un accordo. A differenza di quanto accade nella comune fecondazione eterologa, non bastano infatti meri atti unilaterali, dei donatori e dei genitori, essendo necessario che la volontà dei genitori e della gestante sia raccolta in un unico atto che sia il risultato di un complessivo accordo.
Tale forma giuridica rispecchia la consapevolezza che la GPA trova fondamento in una relazione fra le parti coinvolte. Com’è stato osservato, la volontà della gestante si forma infatti entro «una relazione di reciproco riconoscimento ed affidamento» con i genitori intenzionali, distinguendosi nettamente dal contributo di una donatrice o donatore di gameti, il quale non richiede riconoscimento come relazione umana interpersonale[50].
Già il percorso attraverso il quale le parti si scelgono è assai delicato, poiché evidentemente un cammino così straordinario che prevede, da un lato, la consegna a una persona esterna alla coppia di ogni speranza di avere un proprio figlio e, dall’altro lato, la gestazione nel proprio grembo di un bambino altrui e la sua riconsegna nel giorno del parto, necessita di reciproca conoscenza e, soprattutto, di grande, reciproca fiducia. I soggetti di tale relazione, in particolare le due donne che la costruiscono, hanno innanzitutto necessità di chiarire molteplici aspetti connessi alla gravidanza e di trovare una condivisione anche con riguardo a scelte che implicano non solo coinvolgimento emotivo, ma anche precise opzioni etiche. Già prima dell’inizio del percorso è indispensabile che le parti si conoscano, non solo per costruire una relazione di conoscenza ed empatia reciproca, ma anche per verificare la condivisione di valori comuni. A prescindere, ad esempio, dalla titolarità esclusiva della donna in gravidanza del diritto di abortire, una gestante tendenzialmente pro-life cercherà genitori con analoghi punti di vista in materia di aborto, così come si cercheranno gestanti e genitori tendenzialmente pro-choice.
Da qui, tuttavia, anche uno degli aspetti più critici del “modello californiano”, atteso che in tale sistema la preselezione e l’incontro fra le parti (gestante e genitori), così come la supervisione e la verifica di tutto il loro percorso, è rimessa interamente a soggetti privati, quali le stesse parti, gli avvocati, i medici e (quando vi sono, dunque non sempre) le agenzie[51]. Tale scelta è invero coerente con l’impianto giuridico, culturale ed economico d’oltreoceano, per cui l’intervento di autorità pubbliche è visto come intrusivo rispetto al diritto fondamentale alla privacy. A tale impostazione si contrappongono, evidentemente, i modelli di surrogacy dei Paesi di civil law che rimettono a un giudice, o ad agenzie pubbliche il controllo di tutta la fase prodromica della GPA, della formazione dell’accordo e del suo compimento (ad esempio: Israele, Portogallo e Grecia) e, anzi, vietano espressamente ogni intermediazione privata. Né pare che la scelta preferibile limiti l’intervento pubblico al solo provvedimento “autorizzativo” emesso da un ente pubblico o dall’autorità giudiziaria, posto che la specifica natura della relazione e gli interessi e i diritti coinvolti consigliano che le parti siano accompagnate nel percorso prima, durante e dopo la gravidanza. Non dunque solo esigenze di controllo, ma anche di ausilio.
Altro aspetto critico attiene all’effettiva protezione giuridica della donna nel corso della gravidanza. È impregiudicato, come detto, il diritto costituzionale di autodeterminazione della donna in materia di interruzione della gravidanza, sicché si deve assumere – pur in assenza di precedenti – che, in ipotesi di eventuali clausole in materia di aborto comunque inserite nell’accordo, l’esercizio di un diritto fondamentale non possa mai consentire pretese risarcitorie. Inoltre, può ben dubitarsi che abbiano qualsiasi efficacia giuridica eventuali restrizioni relative alla condotta della donna che siano prive di una evidente giustificazione medica. Tuttavia, non può escludersi che clausole contrattuali, seppure inefficaci e incoercibili, esercitino una sorta di pressione psicologica sulla donna in gravidanza. Da questo punto di vista, ben più pregnante sarebbe l’espressa previsione legislativa della radicale nullità di ogni clausola o accordo limitativo della piena autonomia e libertà della donna in gravidanza. Parimenti, ben più efficace sarebbe l’espressa previsione legislativa della necessaria assunzione da parte dei genitori di tutti i costi della gravidanza (comprese tutte le spese sanitarie o di mantenimento, anche in termini di mancato guadagno), anche per l’ipotesi di esito infausto e per quella in cui la donna decidesse di interrompere volontariamente il percorso.
Infine, una delle questioni più discusse (non tanto in California, ma nel dibattito pubblico italiano ed europeo) attiene, com’è risaputo, alla previsione di un compenso, il quale è vietato nell’ordinamento inglese o canadese, mentre non è visto con alcun pregiudizio in California (pur non essendo espressamente previsto dalla legge). Nel nostro dibattito pubblico, il passaggio di danaro evoca, per un verso, il fantasma del corrispettivo per la stessa cessione del bambino e, per altro verso, giustamente preoccupa rispetto all’effettiva libertà di scelta della donna che dovesse prestarsi a una gravidanza in ragione delle proprie condizioni di indigenza.
La Corte suprema californiana ha escluso, al riguardo, che il passaggio di danaro configuri il compenso per una pretesa “cessione di genitorialità” o per una “rinuncia” alla genitorialità, rilevando come lo stesso vada inteso quale «compenso per la gestazione e il parto del nascituro»[52]. D’altra parte, il rischio di una indebita pressione economica può essere ridotto, se non eliminato, attraverso pregnanti controlli diretti a verificare le condizioni di indipendenza economica della donna, ad esempio escludendo chi versi in condizioni economiche legittimanti l’accesso all’assistenza pubblica (pensioni per ragioni di indigenza, indennità di disoccupazione, specifiche agevolazioni assistenziali, etc.). La migliore dottrina ha osservato in proposito come l’esistenza o meno di un corrispettivo «non esclud[a] la libera autodeterminazione della portatrice, al pari del contratto di baliatico»[53] e anche il pensiero di chi assume una rigorosa prospettiva di genere è sul punto in cammino, sino ad affermare che «il divieto totale in nome dell’altruismo è anch’esso una forma di sfruttamento delle donne»[54] e che potrebbe ammettersi «l’apertura ad una ragionevole remunerazione»[55]. Peraltro, persino negli ordinamenti in cui il corrispettivo è vietato, come quello inglese, le corti autorizzano, di fatto, ex post la corresponsione di somme anche ingenti[56].
In buona sostanza, non persuade l’impostazione che esclude del tutto ogni remunerazione (che è seguita anche dal Tribunal lusitano, seppure la questione del compenso non fosse oggetto della decisione, posto che la legge già ammetteva la sola GPA a titolo gratuito), atteso che ove sia ragionevolmente escluso che condizioni di bisogno concretino una costrizione e dunque una limitazione alla possibilità di scelta, tenuto conto che anche le attività umane più eminentemente altruistiche tollerano una qualche forma di remunerazione, non si vede in effetti in che modo in uno Stato di diritto possa vietarsi ad una donna, in piena autonomia e libera da pressioni sociali o economiche, di realizzare una gravidanza per un’altra donna, non in grado di mettere al mondo il proprio bambino, richiedendole un qualche compenso.
7. La natura giuridica della fattispecie
La questione della natura giuridica della fattispecie risente di un vizio di fondo, indotto dall’erroneo rinvio alla categoria del «contratto». È invero frequente il richiamo, spesso in termini denigratori, alle figure della locazione, della compravendita o, nella migliore delle ipotesi, della donazione. Tale rimando a categorie contrattualistiche risente verosimilmente anche dell’uso in inglese del termine “agreement”, pigramente tradotto come “contratto”, senza tenere conto che i termini agreement o contract non hanno quella connotazione strettamente patrimoniale che contraddistingue il contratto nel nostro codice civile, caratterizzato dalla stretta patrimonialità dei rapporti obbligatori ex art. 1174 cc. Il richiamo, nella nostra lingua, alla categoria del contratto è evidentemente fuorviante: le categorie giuridiche derivate dal diritto del contratto e delle obbligazioni non rendono infatti conto della specifica esperienza relazionale, unica nel mondo del diritto, compiuta nell’arco dei mesi di gravidanza, la quale si proietta anche dopo il parto.
Sarebbe invero più opportuno considerare che la fattispecie della gravidanza per altre o altri è, invece, istituto giuridico del diritto di famiglia e dovrebbe essere riguardato nel suo ambito, respingendo ogni impiego di categorie contrattualistiche. Come altri istituti del diritto di famiglia, anche la GPA regola eminentemente rapporti di natura personale, pur tollerando, come altri istituti del diritto di famiglia, regole attinenti a oneri di natura patrimoniale. Con riguardo ai reciproci obblighi e diritti soggettivi, pur dovendosi escludere che la situazione soggettiva della gestante attenga a un atto di disposizione del proprio corpo che comporti una qualche diminuzione dell’integrità fisica[57], la fattispecie non potrebbe essere inquadrata, allora, come una mera prestazione di un servizio. La dottrina anglosassone più attenta ha proposto al riguardo la qualificazione come attività di «cura prenatale del bambino» («pre-birth childcare»[58]), ma, in verità, anche tale qualificazione non dà pienamente conto di come tale attività inevitabilmente si proietti anche oltre il parto, sicché appare invece convincente la proposta di «una figura giuridica nuova», la gravidanza per altre o altri, appunto, volta a dare pieno conto del fascio di relazioni umane che precedono, accompagnano e perfino seguono il parto[59]. Le nozioni di contratto o accordo evocano peraltro l’intesa raggiunta fra parti contrapposte al fine del perseguimento di propri interessi (anche non patrimoniali), mentre nella specie dovrebbe prevalere l’accento sull’interesse comune, posto che le parti mettono in essere una complessa rete di relazioni che inevitabilmente li accompagnerà per tutta la vita, in modo del tutto originale, ma in fondo analogo a quanto accade ogni volta in cui si creano, modificano o estinguono relazioni familiari. Tale qualificazione, come si vedrà (vds. infra, parr. 10 e 11), comporta anche conseguenze sul piano della sua regolamentazione giuridica.
8. Quale regola per lo status filiationis: art. 269 cc o legge n. 40/2004?
Nonostante i decenni trascorsi dall’inizio della pratica de qua, non si è affermata ancora, nel nostro ordinamento giuridico, una stabile ricostruzione delle sue conseguenze sullo status dei minori, nell’ipotesi in cui la stessa sia stata posta in essere (illecitamente) in Italia o (in genere, lecitamente) all’estero. Nonostante la prima ipotesi sia sostanzialmente di scuola (non vi sono stati casi noti dopo l’entrata in vigore del divieto) e la seconda ipotesi postuli in genere l’applicazione del diritto straniero, la ricostruzione sistematica secondo la nostra legge interna appare comunque indispensabile, non solo per il caso che i criteri di collegamento impongano di applicare il diritto italiano, ma anche al fine di ricostruire i principi generali dell’ordinamento influenti sui canoni rilevanti per l’ordine pubblico internazionale (sforzo che appare vieppiù utile ove, ad esito dell’attuale discussione sull’effettiva latitudine dell’ordine pubblico internazionale, si dovesse ritenere che lo stesso trascenda i principi accolti nella Carta costituzionale e accolga anche i principi generali dell’ordinamento nella disponibilità del legislatore ordinario).
Una parte prevalente della dottrina ricerca tuttora fra le norme del nostro codice civile la soluzione per l’identificazione dei criteri di riconoscimento della “madre” secondo il nostro ordinamento giuridico. Come noto, si è voluto desumere un preteso principio di prevalenza della madre gestazionale dalla previsione di cui all’art. 269, comma 3, cc, per cui «la maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre». È, tuttavia, evidente che tale norma fu pensata dal legislatore quando la possibilità di attuare una fecondazione in vitro non era neppure immaginabile, sicché appare un’evidente forzatura trarne un principio diretto a dirimere la questione di chi sia la madre giuridicamente riconosciuta in caso di scissione fra maternità gestazionale e maternità genetica.
Già prima dell’entrata in vigore della legge n. 40 del 2004, che ha disciplinato tutta la materia della PMA, la Corte di cassazione, nella celebre sentenza sul disconoscimento del figlio da parte del padre che aveva prestato il consenso a una PMA eterologa, aveva osservato come il codice civile presupponga e rispecchi la procreazione naturale, affermando che, in caso di PMA, i principi vadano rinvenuti altrove (in mancanza di una norma, come accadeva allora, il giudice doveva dunque trarre la regola dai principi costituzionali e generali dell’ordinamento)[60]. La stessa Corte di cassazione di recente, seguendo un’attenta dottrina[61], ha quindi suggerito che il terzo comma dell’art. 269 sia in verità una disposizione in materia di prova (come suggerito già dall’incipit della norma, per cui «la maternità è dimostrata provando (…)»)[62].
Nel mondo della procreazione naturale, dato per presupposto dal legislatore degli anni quaranta, non vi è scissione possibile fra la donna che metta al mondo un bambino e la donna che ne è madre genetica: l’art. 269 cc non contempla, né poteva contemplare, una norma sul conflitto fra dato gestazionale e dato genetico, poiché, regolando la maternità naturale, dice, banalmente, che è madre colei che è necessariamente sia madre genetica (comma secondo) che madre gestante, sicché la maternità si prova mediante il parto (comma terzo).
Chi voglia cercare, invece, la norma che regoli nel nostro ordinamento le fattispecie della procreazione artificiale, dovrà rivolgersi alla legge in materia di procreazione medicalmente assistita, la n. 40 del 2004, che all’art. 8 (che introduce le «Disposizioni concernenti la tutela del nascituro») stabilisce che «i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6» (corsivi aggiunti).
Tale principio si applica, innanzitutto, anche in caso di fecondazione eterologa, come chiarito dalla Consulta nella menzionata sentenza n. 162/2014, che ha dichiarato l’incostituzionalità del relativo divieto. In questa sentenza, la Corte costituzionale ha posto infatti univocamente al centro del sistema l’art. 8 della legge n. 40/2004, avendo ben chiarito che «in virtù di tale norma, anche i nati da quest’ultima tecnica “hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”», sicché non può più assumersi che la logica della legge resti quella originaria della imitatio naturae, dovendosi dare atto che la l. n. 40/2004, pur mantenendo tuttora diversi aspetti inaccettabili, è comunque trasfigurata rispetto all’assetto iniziale[63].
Inoltre, come rilevato ancora dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 162/2014, la determinazione dei criteri di riconoscimento dello status filiationis non può essere confusa con la questione del diritto alla conoscenza delle proprie origini, che è stato in qualche misura riconosciuto in caso di adozione[64] e dalla stessa Consulta nell’ipotesi di parto anonimo[65]: un tale diritto alla conoscenza di avvenimenti rilevanti per la propria storia personale e per la propria identità non interferisce, infatti, in alcun modo con la determinazione, la certezza e l’irrevocabilità dello status filiationis[66].
Anche grazie a tale decisione, la centralità del principio della volontà nel sistema della procreazione artificiale, in opposizione al principio della derivazione genetica nel sistema della procreazione naturale, è oggi affermata dalla dottrina pressoché unanime[67].
Nel solco di tale indirizzo, ribadito più volte in giurisprudenza[68], si è espressa di recente la Corte d’appello di Napoli, in una fondamentale decisione che ha compiutamente chiarito il quadro, affermando che «deve riconoscersi che la rigida applicazione delle disposizioni codicistiche sulla procreazione naturale anche alle “nuove modalità” di procreazione è ormai, oltre che inadeguata, giuridicamente errata» (corsivo aggiunto)[69]. Mentre la procreazione “naturale” trova la propria regolamentazione nel codice civile, «le fondamenta normative (principali pur se non esclusive) della genitorialità da p.m.a. si rinvengono nella l. 40/04, quale “riscritta” e “costituzionalizzata” dalla giurisprudenza, specie costituzionale, in particolare negli artt. 6, 8 e 9, che esprimono ormai (dopo Corte cost. 162/14) regole di portata generale per tutte le forme di p.m.a.». Come già osservato in dottrina[70], la Corte rileva dunque che «dalla causalità/derivazione biologica, alla base della procreazione naturale, si passa qui ad una causalità umana; se si preferisce, nella p.m.a. la genitorialità (di converso, la filiazione) si fonda sì sulla verità, ma non su quella biologica: la verità è qui data dal consapevole consenso della coppia richiedente, quanto all’assunzione del ruolo genitoriale» (corsivi aggiunti)[71]. Dunque, per i giudici napoletani le nozioni di “verità” e di “favor veritatis” assumono, nel contesto della PMA, una accezione nuova e diversa da quella tipica del codice civile: la verità di questi bambini non coincide col dato biologico e genetico, ma con quello dell’assunzione consapevole della responsabilità genitoriale, espressa già prima del concepimento, atteso che «non casualmente l’art. 6, ultimo comma, l. cit. precisa che ai richiedenti devono essere esplicitate con chiarezza le conseguenze giuridiche di cui agli artt. 8 e 9». Rilevante che per la Corte non appaia ostativo il divieto previsto dalla stessa legge 40 all’accesso a una particolare pratica in Italia (nella specie, si trattava di fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne), poiché «la violazione di norme interne non può comunque portare alla lesione dei diritti del minore a vedersi riconosciuto come figlio delle due mamme che hanno legittimamente manifestato il loro consenso ad assumere la responsabilità genitoriale nei confronti del nascituro».
Ciò detto, è particolarmente illuminante che la Corte napoletana abbia rilevato che la maternità surrogata«è comunque riconducibile» a una forma di PMA, sicché «la configurazione di una genitorialità/filiazione fondata non tanto sulla derivazione biologica (che, come detto, può mancare), quanto sul consenso, può avere ricadute anche con riferimento alla maternità surrogata» (corsivo aggiunto). Dunque, la protezione dei minori offerta dalla legge n. 40/2004 interessa anche i bambini nati in seguito a maternità surrogata[72].
Non persuade, al riguardo – come si dirà meglio più avanti (par. 11) –, la critica per cui tale impostazione priverebbe di rilevanza il ruolo centrale, imprescindibile e insostituibile, svolto dalla donna gestante e la speciale relazione fra la stessa e il nascituro nel corso della gravidanza, che è ritenuta, giustamente, meritevole del più incisivo risalto e della più ampia protezione[73]. Tale rilievo, che si fonda per quanto si dirà su una valorizzazione della relazione di gravidanza pienamente condivisibile, non conduce nondimeno a superare, de iure condito, l’evidente dicotomia fra il sistema codicistico, rivolto alla procreazione naturale, e il sistema della legge n. 40/2004, che governa la procreazione artificiale. È, inoltre, pacifico che nella GPA gestazionale si debbano adottare sempre tecniche di fecondazione eterologa, né può nascondersi che lo stesso legislatore abbia collocato l’unico riferimento alla maternità surrogata proprio nella legge n. 40 del 2004. Non si tratta di enfatizzare gli elementi di contatto fra pratiche (PMA eterologa e GPA) che, in tutta evidenza, hanno anche caratteri specifici, ma di prendere tuttavia atto che nel sistema attuale, de iure condito, quando il nato sia venuto al mondo in seguito a procreazione diversa da quella naturale (come accade nella GPA gestazionale, la quale richiede peraltro anche l’intervento medico), soltanto un’evidente (doppia) forzatura giuridica potrebbe consentire di applicargli le norme codicistiche, che riguardano la procreazione naturale, dove ogni scissione fra le due madri è impossibile, peraltro dando una lettura dell’art. 269 cc eccentrica rispetto allo scopo originario della norma.
Anche a non ritenere, come pare, che i principi siano applicabili in via diretta e ad assumere pertanto che si versi in una lacuna, non pare confutabile la necessaria applicazione in via analogica dei principi di cui alla legge n. 40/2004. Come si dirà, dall’innegabile valore della relazione di gravidanza come principio fondativo della procreazione discendono invece specifiche conseguenze, già de iure condito, che ne sottolineano la centralità nel processo procreativo, senza che vi sia l’indefettibile necessità che la gestante venga considerata «madre» del nato.
Va anche detto che la posizione della donna partoriente che abbia dichiarato la volontà di restare anonima trova regolamentazione nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 30, comma 1, dPR 3 novembre 2000, n. 396, né (come sembra invece suggerito da altra parte della dottrina)[74] assume rilievo il secondo comma dell’art. 9, l. n. 40/2004, il quale stabilisce che la «madre» che abbia avuto un bambino con fecondazione artificiale «non può dichiarare la volontà di non essere nominata». Tale norma, infatti, in tutta evidenza non si rivolge alla donna che, pur avendo partorito, non sia «madre» ai sensi dell’art. 8 della stessa legge. Quando la l. n. 40/2004 usa la parola «madre», lo fa ovviamente nell’accezione propria della stessa legge, che regola il sistema della procreazione artificiale, e non secondo una (pretesa e dubbia) accezione che si vorrebbe desumere dal terzo comma dell’art. 269 cc, che regola – come detto – la procreazione naturale[75].
Il divieto di ricorso al parto anonimo non è dunque previsto genericamente per la donna che abbia fatto ricorso alla fecondazione assistita, ma per colei che abbia espresso il consenso di cui all’art. 6. L’istituto del parto anonimo origina, infatti, dalla volontà legislativa di salvaguardare la nascita anche in caso di gravidanza indesiderata e il divieto di anonimato ha base razionale in quanto concreti un divieto di ripensamento per chi abbia già manifestato l’irrevocabile volontà di divenire genitore (volontà su cui si baserà il successivo riconoscimento o accertamento giudiziale)[76].
In assenza di specifici dati di diritto positivo, non possono trarsi argomenti in favore della pretesa prevalenza del dato gestazionale dalla – corretta – decisione assunta dai nostri giudici nella drammatica vicenda dello scambio di embrioni (il cd. “caso Pertini”[77], spesso evocato quando si discorre di GPA), posto che lì non poteva applicarsi la regola dell’art. 8 l. n. 40/2004, non essendovi stato alcun consenso ai sensi dell’art. 6 (essendo lo scambio frutto di un inescusabile errore).
La decisione, richiamata dai più quale conferma del preteso principio per cui sarebbe sempre “madre” la partoriente, è severamente criticata da quanti assumono invece che la maternità si sarebbe potuta e dovuta accertare «secondo il criterio generale della compatibilità genetica»[78].
Secondo la diversa prospettiva che qui si intende proporre, la (difficile) scelta dei giudici romani di lasciare il bambino alla donna che lo aveva partorito appare invece convincente, non per il dogmatico ossequio all’astratto e tutt’altro che univoco principio di cui all’art. 269, terzo comma, ma perché, in carenza di una specifica regola legislativa, non poteva non tenersi conto della prevalenza del legame di fatto comunque instauratosi nel corso della gravidanza, in funzione del superiore interesse del minore (su tale prospettiva vds. più diffusamente infra, parr. 10 e 11).
Ne consegue, in conclusione, che de iure condito la donna che, in seguito a fecondazione in vitro medicalmente assistita, eseguita in funzione di una GPA gestazionale, abbia portato in grembo e messo al mondo un figlio altrui, non può essere giuridicamente riconosciuta come “madre” dello stesso, in quanto la regola giuridica di cui all’art. 8 della legge n. 40 del 2004 impone che lo status genitoriale sia imposto in capo a chi ha assunto la genitorialità prima del concepimento, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge. In ogni caso, la donna che ha partorito il bambino in seguito a GPA ben può decidere di restare anonima, posto che, per quanto detto, alla stessa non può applicarsi la regola di cui all’art. 9, comma 2.
9. Un’altra madre?
Con riguardo alla qualità delle relazioni umane, indicata dalla Corte costituzionale come ulteriore parametro, oltre a quello della dignità della donna, non si può non considerare che le donne che decidono di mettere al mondo un bambino di un’altra donna non vogliono essere considerate madri di quel bambino, che non è mai stato loro figlio.
Com’è stato sottolineato nella decisione del Tribunale costituzionale del Portogallo, «il consenso della gestante implica una volontà positiva che il bambino che porterà nel proprio grembo e che metterà al mondo non sarà suo figlio, ma sarà figlio dei beneficiari», così esprimendo una «forma di libertà negativa di costituire famiglie e di avere figli», costituzionalmente garantita[79]. La gravidanza per altre o altri non comporta l’assunzione di una relazione materna, ma l’esplicita e consapevole intenzione di contribuire al progetto genitoriale di un’altra donna, la quale sarà, lei, la madre del bambino. Questo è il presupposto psicologico, culturale, sociale della relazione di gravidanza che fonda la gravidanza per altre o altri.
La gestante non racconta ai propri figli che il bambino che porta in grembo potrebbe essere un loro possibile fratello o sorella, che la loro madre, forse, cederà a terzi. La gestante racconta – a sé, alla propria famiglia, ai propri figli – che porta nel proprio grembo il bambino di un’altra donna, sua madre, cui lo restituirà al parto. Senza alcuna possibilità, prima psicologica che giuridica, di tenerlo per sé[80]. Anche l’ascolto di questa narrazione, libera e precisa, dovrebbe condurre, allora, a non definire giuridicamente o socialmente queste donne «madri» di quel bambino[81].
Se vogliamo porci, inoltre, dal punto di vista del nato, non possiamo negare i rischi per l’identità personale del minore che derivano dall’imporre a chi ha già una madre, l’idea di un’altra madre, una madreche avrebbe scelto di non tenerlo con sé. Non possono sfuggire le rovinose conseguenze psicologiche, identitarie, sociali. L’imposizione di un’altra madre introduce il tema di un abbandono, che nella specie invece non c’è e non c’è mai stato. Il rischio è quello di una ricostruzione giuridica non veritiera, in quanto non corrispondente a ciò che effettivamente è accaduto e accade, la quale riorganizza in termini disorientanti la narrazione della propria origine.
È allora necessaria un’operazione di verità. Le parole “madre” e “padre” hanno un significato preciso, netto, nella lingua e lo hanno, soprattutto, nel senso comune. Ogni bambino ha il diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, al rispetto della propria identità personale poiché, come affermato di recente nella bella decisione del Tribunale di Perugia, «l’essere desiderato e poi generato, da quel genitore e/o da quella coppia di genitori, è parte irriducibile dell’identità personale di ogni essere umano»[82].
Questi bambini hanno dunque diritto alla loro verità, la verità della loro nascita, della loro storia personale, della loro famiglia.
10. Il diritto al ripensamento
Corollario del “modello forte” nella sua versione californiana è l’impossibilità, reiteratamente affermata dalla Corte suprema, di ripensamento per la gestante. Nell’ipotesi, invero assai rara[83], di conflitto fra la gestante e i genitori intenzionali, seguendo la dottrina dell’intention non si verte in una ipotesi di coercibilità di un vincolo negoziale, ma di accertamento dello status da parte del giudice, che trova il suo presupposto nel consenso espresso dalle parti. Come chiarito in In re Marriage of Buzzanca, «nel caso a noi sottoposto non ci occupiamo di una questione relativa alla coercibilità di un accordo di GPA, scritto o orale; non si tratta di “trasferimento” della genitorialità in forza di tali accordi; dobbiamo occuparci, piuttosto, delle conseguenze di tali accordi quali atti che hanno causato la nascita di un bambino»[84].
La ricostruzione della fattispecie come contributo alla nascita di un figlio altrui esclude l’opinione, nettamente maggioritaria nella dottrina italiana, per cui il pieno riconoscimento della genitorialità dovrebbe avvenire soltanto (qualche mese) dopo la nascita.
Tale prevalente opinione è motivata dalla ravvisata necessità di tutelare il diritto della donna in gravidanza di “ripensarci”, di trattenere con sé il bambino, ed è in effetti possibile che la relazione di gravidanza, per la sua straordinarietà, possa condurre la donna in gravidanza a mutare opinione, a volere revocare il progetto comune intrapreso con la madre (o i genitori) del bambino e a volerlo avere per sé dopo il parto.
A tale riguardo, non sembra da escludere che si possa ammettere una deroga al principio di imputazione della genitorialità secondo le volontà originariamente manifestate, dando prevalenza al rispetto della dignità personale della gestante e all’interesse superiore del minore. La relazione di gravidanza, infatti, per le sue implicazioni psicologiche, sociali, biologiche non può tollerare alcuna costrizione, non essendo ammissibile che una donna sia “costretta” a proseguire una gravidanza pur non aderendo più all’originario progetto[85]. Nel caso in cui la gestante giunga dunque a rimeditare nel corso della gravidanza la propria decisione iniziale, determinandosi a interrompere il percorso diretto a consentire la nascita di un bambino altrui (e tuttavia non intendendo, per ciò solo, interrompere la gravidanza), l’interesse superiore del minore dovrebbe condurre a dare prevalenza alla permanenza della relazione già di fatto instauratasi fra gestante e nascituro, consentendo di trattenere dopo il parto il bambino con sé.
Tale soluzione del possibile conflitto fra le parti, come detto, non pone al centro i contrapposti interessi degli adulti, né fa “rinascere” un preteso principio generale per cui la stessa, in quanto gestante, sarebbe “madre” (in quanto, come si è detto più volte, tale principio è di dubbia sussistenza nel nostro sistema e sarebbe comunque inapplicabile in materia di procreazione artificiale), ma pone al centro la dignità della donna, la relazione di gravidanza e l’interesse superiore del minore, innanzitutto a una serena prosecuzione della gravidanza, quali parametri prevalenti che debbono guidare la decisione[86].
A una soluzione non dissimile è giunto anche il Tribunal consitucional del Portogallo nella decisione più volte menzionata, in cui è sottolineato come la GPA postuli che la volontà della gestante permanga per tutto il percorso e che sia, dunque, sempre revocabile[87]. Meno convincente, quantomeno nel sistema italiano, la notazione del Tribunal per cui a tale revoca seguirebbe l’applicabilità del «criterio generale della filiazione previsto nel codice civile» – della imputazione della maternità in virtù della gestazione[88] –, poiché il ripensamento non può comportare il recupero di improbabili principi codicistici, imponendo nel nostro sistema semmai una deroga ai principi sulla imputazione dello status di cui all’art. 8 della legge n. 40 del 2004[89].
Va detto, infine, che la questione del “ripensamento” non va eccessivamente enfatizzata.
Qualche narrazione letteraria e sociologica poco accurata e/o francamente distorta di “bambini strappati alle loro madri” si scontra, infatti, con la realtà dei fatti. Come visto, nel modello “forte” il riconoscimento della genitorialità basato sul principio del consenso non pare aver dato luogo a elevata conflittualità, posto che in oltre venticinque anni si avrebbe notizia delsolo caso in cui una donna ha chiesto, dopo il parto, di tenere con sé un bambino (solo uno dei tre) che aveva messo al mondo. Si potrebbe obiettare, certo, che il desiderio di ripensamento potrebbe non emergere proprio a causa della sua mancata tutela giuridica. Si deve, tuttavia, rilevare come pure nei sistemi (quello canadese e quello inglese) in cui l’accertamento della genitorialità segue, di qualche settimana, il parto, si ha un’analoga scarsa casistica di gestanti che abbiano chiesto di tenere il nato con sé dopo una gravidanza per altre. Si è segnalato, ad esempio, che nel Regno Unito, dove la gestante ha il diritto di revocare il proprio consenso nelle prime sei settimane di vita (e dove nascono con GPA circa 400 bambini l’anno[90]), si sarebbero avuti, in oltre trentotto anni, soltanto tre casi[91]. Se si considera, peraltro, che il bambino subito dopo la nascita raggiunge, ovviamente, i suoi genitori, la “revoca del consenso” della partoriente si concreta, in termini pratici, nella richiesta di ricollocamento di un bambino anche dopo diverse settimane, o mesi, di affidamento ai genitori. Ciò spiega perché, valutando il suo migliore interesse[92], i giudici abbiano comunque sempre mantenuto la collocazione del bambino presso i genitori cui era stato già affidato (valutando, in buona sostanza, che la relazione di accudimento e di affidamento costituitasi dopo il parto prevalga in ogni caso sulla pregressa relazione intrauterina[93]).
Sarebbe pure utile, su tale questione, un approfondimento in ordine agli effetti delle due regolamentazioni (californiana vs inglese/canadese) sulla stessa percezione che le donne hanno della gravidanza per altre o altri. Salvo i pochi dati statistici qui riferiti, non sappiamo, in effetti, se la previsione di un diritto di revoca muti o meno il modo in cui la stessa viene vissuta dalle sue protagoniste; se, ad esempio, la certezza e indisponibilità dei rapporti giuridici crei un quadro più chiaro e rassicurante. Forse, il tema del diritto di revoca del consenso, così centrale dal punto di vista dogmatico, è nella pratica secondario rispetto alle tante questioni che agitano questo fenomeno sociale, al cui centro si pone invece il tema dell’effettiva protezione della donna e della sua relazione con il nato dopo il parto, la quale non trova una risposta appagante nella dicotomia presenza/assenza di status genitoriale.
11. La tutela giuridica della relazione di gravidanza
La protezione della relazione di gravidanza non risiede nel preteso principio codicistico per cui sarebbe sempre madre chi ha partorito. Tale soluzione finirebbe col sottrarre il minore ai suoi genitori, o privarlo del riconoscimento giuridico di uno di loro, la madre, senza assicurargli peraltro una effettiva relazione con la donna che lo ha messo al mondo, la quale ha dichiarato comunque, secondo la sua legge nazionale, la volontà di non essere nominata.
L’applicazione della regola codicistica dell’accertamento della maternità attraverso il parto non avrebbe, in buona sostanza, il fine di rispondere al concreto interesse né del minore, né della donna che lo ha portato in grembo, ma sarebbe diretto a rendere meno appetibile il ricorso alla GPA all’estero. Si avrebbe, allora, una strumentalizzazione del minore di dubbia compatibilità col principio personalistico che informa la nostra Costituzione, in ultima analisi ammettendo, com’è stato autorevolmente detto, una «misura di dissuasione e non di giustizia»[94].
Come rammentato dal Tribunal constitucional lusitano (citando Günter Dürig), «la dignità umana è ferita quando l’essere umano è degradato in concreto ad oggetto, a un semplice mezzo, a una realtà sostituibile»[95]. Tale definizione della dignità umana non si attaglia alla donna che, in piena coscienza ed autonomia, libera da condizionamenti, operi la scelta di contribuire alla nascita di un bambino altrui anche dietro compenso, mentre tale degradazione si ritrova senz’altro ove lo status del minore sia determinato non in funzione del suo benessere, ma per pretesi scopi di prevenzione generale. Il preteso effetto general-preventivo, d’altra parte, è assai dubbio, posto che certamente il desiderio di genitorialità ha continuato e continuerebbe a muovere le coppie italiane verso i Paesi dove è possibile generare con GPA, nonostante il rischio che uno solo dei due genitori sia poi legalmente riconosciuto in Italia (salvo, peraltro, il ricorso all’adozione ex art. 44, lett. b o d, l. n. 144/1983).
Il rilievo che deve essere assicurato alla relazione di gravidanza, e la tutela che ne dovrebbe conseguire, non impongono di affermare uno stravolgimento dei principi in materia di maternità, iscrivendo più mamme (di pancia, genetica, di intenzione) nell’atto di nascita[96].
Ciò nonostante, muovendo comunque sul piano dell’innovazione legislativa, non è da escludere del tutto che la relazione di gravidanza possa essere annotata nell’atto di nascita. Non come relazione materna, ma come traccia della storia personale del minore (che avrebbe, forse, l’effetto di costringere anche le coppie eterosessuali a disvelare sempre ai propri figli le modalità con cui sono venuti al mondo). L’annotazione nell’atto di nascita delle modalità con cui la persona è nata, magari anche con l’annotazione del nome della donna che ha partorito, certo non come madre, ma come gestante o portatrice, o partoriente, assumerebbe invero un valore simbolico di riconoscimento della relazione di gravidanza come atto fondante, insostituibile e centrale della procreazione. Ne andrebbero tuttavia verificate le compatibilità e gli effetti sotto il profilo di un eccessivo stigma imposto sulla persona, delle modalità di tutela del suo diritto alla riservatezza (eventualmente, con la possibilità per la persona in età adulta di richiederne la cancellazione), della compatibilità con l’esercizio da parte della partoriente del diritto, garantito all’estero, di non essere nominata, delle ricadute in caso di trasferimento in un Paese con legislazione più severa (la Turchia e la Malesia, ad esempio, perseguono penalmente la donna o i genitori che abbiano eseguito una GPA all’estero).
Scontato, comunque, che le varie proposte de iure condendo oggi sul campo hanno allo stato scarse possibilità di successo, resta il tema del riconoscimento, de iure condito, di tale relazione di gravidanza. Posto che tale pratica resiste al divieto, ed è anzi in espansione, in Italia e nel mondo, si pone il tema delle modalità più indicate per affermare la rilevanza del ruolo della donna gestante nella procreazione e della protezione assicurabile, qui e ora, alla relazione fra il bambino e la donna che ha contribuito in modo così essenziale a metterlo al mondo.
Muovendo dalla ricostruzione del patto di gravidanza per altre come istituto di diritto di famiglia volto a creare un insieme complesso di relazioni familiari, alla relazione fra gestante e nato, a ben vedere, non può non riconoscersi natura lato sensu familiare. Non si tratta, invero, di dare efficacia a un accordo negoziale illecito per il nostro ordinamento, ma di riconoscere che la relazione di gravidanza, in quanto relazione di fatto, incontra e verosimilmente merita, anche dopo il parto, la protezione assicurata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani alla vita familiare de facto.
Come si è autorevolmente sostenuto, dato atto della straordinarietà della relazione sottesa alla gravidanza per altre e altri, occorre muoversi nella prospettiva di «una nuova concezione della parentela»[97]. La relazione di gravidanza che lega la gestante al nato non perde di significato e di rilevanza giuridica dopo il parto, ma permane nella realtà del minore come relazione di natura familiare. Tale relazione familiare di fatto, tale parentela (termine giuridicamente atecnico, ma assai significativo), merita dunque di adeguata protezione già de iure condito, non come relazione genitoriale (la quale sarebbe imposta contro la volontà della donna e contro l’interesse superiore del minore), ma come diritto di visita[98], il quale va assicurato, anche contro la volontà dei genitori[99], nell’interesse del minore. Tale diritto di visita e di contatto implicherebbe, inoltre, ildiritto del nato di conoscere l’identità della donna che ha contribuito a metterlo al mondo (come già accade nella prassi californiana), così da poterla contattare, e il diritto della donna ad avere conoscenza del luogo ove vive il minore e a mantenere, se lo vuole, una relazione di visita, secondo le modalità concordemente determinate con i genitori o, in mancanza di accordo, secondo le determinazioni che saranno date dal giudice, nell’esclusivo interesse del minore.
Tale soluzione esegetica non avrebbe soltanto il vantaggio di una verosimile praticabilità già in via interpretativa, senza necessità di intervento legislativo, ma avrebbe l’indubbio pregio di muoversi non solo nella sfera del simbolico, ma anche del concreto dipanarsi delle relazioni (fra la donna che ha generato il bambino e questi; fra la stessa e suoi genitori; fra questi e il minore), ponendo finalmente al centro la donna che ha generato e assicurando, peraltro, il pieno rispetto della sua autodeterminazione, posto che il concreto esercizio del diritto di visita dipenderebbe comunque dalla donna (e non le sarebbe imposto, come accadrebbe invece se l’annotazione del suo nome nell’atto di nascita potesse essere ordinato anche contro la sua volontà, legittimamente espressa con la richiesta di non essere nominata, secondo le proprie leggi nazionali).
Tale prospettiva ermeneutica, inoltre, avrebbe il non trascurabile effetto di spingere le parti, sin dall’inizio e dunque già al momento della ricerca dei partner con cui intraprendere un percorso di GPA (gestante/genitori), a tenere conto che ha così inizio una relazione che continuerà per tutto il corso della vita del nascituro e dunque della loro stessa famiglia, con l’auspicabile rinuncia alla gravidanza per altre o altri da parte di chi non sia disponibile a consentire la continuatività del rapporto fra il nato e la gestante e a includere tale relazione nella propria rete di relazioni familiari[100].
[*] Il presente contributo è la relazione introduttiva al convegno “Riproduzione e relazioni. La surrogazione di maternità al centro della questione di genere” organizzato dalla Rivista GenIUS, Semestrale di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere e dal CIRSDe, Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere, pubblicato fra gli atti del convegno.
[1] La definizione di«gravidanza per altri» è stata proposta da Barbara Pezzini, riservandola a una pratica condizionata al pieno rispetto della relazione di gravidanza, nei termini di cui si dirà infra; B. Pezzini, Nascere da un corpo di donna: un inquadramento costituzionalmente orientato dall’analisi di genere della gravidanza per altri, in Costituzionalismo, 27 luglio 2017, www.costituzionalismo.it/articoli/619/.
[2] Tutti e tre i Paesi hanno chiuso la GPA agli stranieri nel corso del 2015-2016: la Thailandia era considerata, sino al 2015, la prima meta al mondo per la GPA; l’India, con circa 2000 nati l’anno, era il secondo Paese; in Nepal, secondo le stime, venivano praticate circa 300 GPA l’anno (Thailand bans commercial surrogacy for foreigners, in BBC News, 20 febbraio 2015; As demand for surrogacy soars, more countries are trying to ban it, in The Economist, 13 maggio 2017).
[3] Non esiste un modello americano di GPA, posto che non vi è competenza federale e che le legislazioni dei singoli Stati variano dalla dettagliata regolamentazione all’assenza di qualsiasi regola, alla previsione di divieti, cfr. R.F. Storrow, Surrogacy: American style, in K. O’Byrne e P. Gerber (a cura di), Surrogacy, Law and Human Rights, Routledge, Londra-New York, p. 237.
[4] Sono i dati forniti (sulla base dei registri nazionali, dal 1991 al 2014) dalla «European Society of Human Reproduction and Embryology» (Eshre) al congresso tenuto nel luglio 2018 a Barcellona (fonte: Adnkronos).
[5] Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, su cui vds. A. Baldini, Cade il divieto di pma eterologa: prime riflessioni sulle principali questioni, in Vita notarile, 2014, pp. 617 ss.; G. Ferrando, Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2014, II, pp. 393 ss.; M. Basile, I donatori di gameti, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2015, II, pp. 223 ss.; A. Ruggeri, La sentenza sulla fecondazione «eterologa»: la Consulta chiude al «dialogo» con la Corte Edu, in Quaderni costituzionali, 2014, pp. 659 ss.; G. D’Amico, La Corte e il peccato di Ulisse nella sentenza n. 162 del 2014, ibid., pp. 663 ss.
[6] La Consulta non lo ha detto espressamente, ma la dottrina unanime non dubita che il divieto sia stato rimosso, sia in caso di donazione di seme maschile che di gamete femminile.
[7] In genere, tanto il gamete maschile che quello femminile provengono dai genitori, ma non è escluso che alla GPA si associ la donazione di gameti (quando alla impossibilità di gravidanza per la madre si associ anche la impossibilità di ovulazione o in caso di coppia omogenitoriale) e che, in rari casi, vi sia donazione di entrambi gameti (GPA con “doppia eterologa”).
[8] Non necessariamente con previsione penale: vds. la Germania o l’Austria.
[9] Corte appello Messina, 18 luglio 2016, in Articolo 29, www.articolo29.it/wp-content/uploads/2017/07/c-app-me.pdf.
[10] Cass., sez. V, 10 marzo 2016, n. 13525 (pres. A. Nappi, est. G. De Marzo), in Foro italiano, 2016, 5, 2, c. 286 ss., con nota di G. Casaburi; si veda, inoltre, la nota di A. Madeo, La Cassazione interviene sulla rilevanza penale della surrogazione di maternità, in Diritto penale e processo, n. 8/2016, p. 1085.La Corte ha escluso l’elemento soggettivo sotto il profilo della consapevolezza della penale perseguibilità della condotta (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364) con riguardo all’art. 9 cp (in ragione dell’incertezza interpretativa e dei contrastanti indirizzi sulla necessaria “doppia punibilità” della condotta, in Italia e all’estero), ma non ha affrontato né l’eventuale errore sulla stessa punibilità della condotta ai sensi dell’art. 12 l. n. 40/2004, né la questione della stessa sussistenza dell’elemento oggettivo.
[11] Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599 (pres. S. De Palma, est. A. P. Lamorgese), in Articolo 29, con nota di A. Schillaci, Le vie dell’amore sono infinite. La Corte di cassazione e la trascrizione dell’atto di nascita straniero con due genitori dello stesso sesso, 3 ottobre 2016 (www.articolo29.it/2016/le-vie-dellamore-sono-infinite-la-corte-di-cassazione-e-la-trascrizione-dellatto-di-nascita-straniero-con-due-genitori-dello-stesso-sesso/);G. Palmeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2017, p. 362; G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis, in Il corriere giuridico, n. 2/2017, p. 190.
[12] «Reception of Oocytes from Partner»: gestazione da parte di una donna di un embrione formato col patrimonio genetico della moglie o compagna.
[13] Trib. Pordenone, ordinanza 2 luglio 2018 (est. M.P. Costa), in Articolo 29, con nota di A. Schillaci, Coppie di donne e p.m.a.: la legge n. 40/2004 torna alla Consulta (www.articolo29.it/2018/coppie-donne-p-m-la-legge-n-40-2004-torna-alla-consulta/).
[14] Nel 1991 il Center for Surrogate Parenting di Los Angeles stimava che, dal 1978, fossero nati mediante surrogacy circa 500 bambini in California e 2000 in tutti gli Stati Uniti, cfr. il Minority Report of the Advisory Panel to the Joint Legislative Comm. on Surrogate Parenting (M7-M8), luglio 1990, riportato in D.E. Lawrence, Surrogacy in California: Genetic and Gestational Rights, in Golden Gate University Review, vol. 21, 1991, p. 525.
[15] Ibid. (Minority Report M15, M17), p. 530.
[16] In una recente rassegna condotta su 55 studi scientifici sugli esiti della GPA per la salute psico-fisica delle portatrici, dei genitori intenzionali e dei bambini, non sono emerse differenze significative in aspetti sia medici sia psicologici fra GPA e concepimento naturale o assistito. Cfr. N. Carone, In origine è il dono, Il Saggiatore, Milano, 2016, p. 97, il quale cita V. Söderström-Antila - U.B. Romundstad - C. Bergh, Surrogacy: Outcomes for Surrogate Mothers, Children and the Resulting Families - A Systematic Review, in Human Reproduction Update, n. 2/2016, pp. 260 ss. Con riguardo al benessere psicologico delle persone nate con GPA, in parte già adulte, cfr. anche V. Jadva - L. Blake - P. Casey - S. Golombok, Surrogacy Families 10 Years On: Relationship with the Surrogate, Decisions over Disclosure and Children Understanding of Their Surrogacy Origins, in Human Reproduction, n. 10/2012, p. 3008. Vds. anche, alla nota 44, la letteratura citata dal Tribunal constitucional portoghese.
[17] Prima di allora, le tre o quattro sentenze, compresa quella assai nota sul caso In re Baby M (pubblicata anch’essa sul Foro Italiano), avevano riguardato sempre casi di GPA tradizionale.
[18] Corte suprema della California, Johnson c. Calvert, 20 maggio 1993, in Foro italiano, 1993, IV, c. 337 ss., con nota di G. Ponzanelli, California e “vecchia” Europa: il caso del contratto di maternità surrogata.
[19] Nella motivazione si riferisce che si trattava, nella specie, di una infermiera con buona educazione scolastica e già madre di un figlio, in possesso delle qualità intellettuali e di esperienza di vita necessarie per esprimere una volontà informata.
[20] Corte suprema della California, Johnson c. Calvert, §. 4.
[21] I giudici sottolineano come, nell’accordo fra la gestante e i genitori, fosse evidenziato che «All parties understand that a pregnant woman has the [5 Cal. 4th 97] absolute right to abort or not abort any fetus she is carrying. Any promise to the contrary is unenforceable».
[22] Corte suprema degli Stati Uniti, Roe c. Wade, sentenza del 22 gennaio 1973, e Planned Parenthood of Southeastern Pennsylvania e altri c. Robert P. Casey e altri, 505 U.S. 833 (1992).
[23] L’evidente distanza dall’adozione esclude che si possa sottoporre chi vuol avere figli propri a una verifica della propria attitudine genitoriale (vds. anche infra, nota 34). In California è previsto, in alcuni casi, che tanto la coppia di genitori che la gestante siano sottoposti a preventivi screening psicologici, ma gli stessi sono diretti a verificare l’attitudine di entrambe le parti ad affrontare la complessa vicenda della gravidanza per altre, e non a verificarne la capacità genitoriale.
[24] Corte suprema della California, In re Marriage of Buzzanca, decisione del 3 marzo 1998, in Famiglia e diritto, 1997, p. 405, con nota di V. Carbone, Inseminazione eterologa e disconoscimento di paternità: il caso baby J.
[25] Corte suprema della California, People v. Sorensen, 68 Cal. 2d 280 (1968), per cui «a man could even be criminally liable for failing to pay for the support of a child born to his wife during the marriage as a result of artificial insemination using sperm from an anonymous donor». Principio poi trasfuso nella sez. 7613 del Family Code californiano.
[26] California Family Code, Division XII: Parent And Child Relationship, Part 7. Surrogacy And Donor Facilitators, Assisted Reproduction Agreements For Gestational Carriers, And Oocyte Donations, in: https://leginfo.legislature.ca.gov. Per un approfondimento, vds. P. Gerber e K. O’Byrne, Souls in the House of Tomorrow, The Rights of Children Born via Surrogacy in P. Gerber e K. O’Byrne (a cura di), Surrogacy, op. cit., p. 237. Sulla legislazione californiana vds. anche G. Cardaci, La trascrizione dell’atto di nascita straniero formato a seguito di gestazione per altri, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 5/2017, p. 660.
[27] Sec. 7862 (f) 2: «[t]he judgment or order shall establish the parent-child relationship of the intended parent or intended parents identified in the surrogacy agreement and shall establish that the surrogate, her spouse, or partner is not a parent of, and has no parental rights or duties with respect to, the child or children».
[28] Corte suprema della California, Johnson v. Calvert, § 6.
[29] Cass., sez. I, 11 novembre 2014, n. 24001, in Foro it., 2014, I, c. 3408 ss., con nota critica di G. Casaburi, Sangue e suolo: la Cassazione e il divieto di maternità surrogata; M.C. Venuti, Coppie sterili o infertili e coppie «same-sex». La genitorialità negata come problema giuridico in Rivista critica di diritto privato, 2015, pp. 280 ss.; A. Palazzo, Surrogazione materna e interesse del minore, in Libero Osservatorio del Diritto, n. 1/2015, pp. 1 ss; M. Di Stefano, Maternità surrogata ed interesse superiore del minore: una lettura internazionalprivatistica su un difficile puzzle da ricomporre, in GenIUS, n. 1/2015, pp. 160 ss.; S. Stefanelli, Procreazione e diritti fondamentali, in R. Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Utet, Torino, 2015, p. 119.
[30] Corte Edu, Grande Camera, Paradiso e Campanelli c. Italia, sentenza del 24 gennaio 2017, in Famiglia e diritto, nn. 8-9/2017, pp. 729-740, con nota di E. Falletti. Sulla sentenza vds. anche R. Baratta, Diritti fondamentali e riconoscimento dello status filii in casi di maternità surrogata: la primazia degli interessi del minore, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 2/2016, spec. pp. 317 ss.; M. Gervasi, Vita familiare e maternità surrogata nella sentenza definitiva della Corte europea dei diritti umani sul caso Paradiso et Campanelli, in Osservatorio costituzionale, n. 1/2017 (https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/vita_familiare_maternita_surrogata.pdf).
[31] Dalle decisioni della Corte di cassazione e della Corte di Strasburgo emerge la preoccupazione dei giudici di segnare il confine fra la GPA e l’istituto dell’adozione legittimante, assumendo che nell’ipotesi di una GPA senza legame genetico con alcuno dei genitori intenzionali possa esservi una sorta di aggiramento delle regole che disciplinano l’adozione internazionale. Tale impostazione, tuttavia, sembra sottovalutare la differenza ontologica fra la genitorialità rivolta a un figlio proprio, frutto del concepimento voluto dai genitori, e l’adozione di un bambino già nato e in stato abbandono, frutto della volontà (non solo di avere un figlio, ma anche) di sostenere un minore in difficoltà, risentendo eccessivamente del paradigma del legame di sangue, che finisce col resuscitare ciò che nel mondo della PMA è invece del tutto irrilevante, come attestato dalla possibilità, del tutto legittima anche nel nostro ordinamento, di “doppia eterologa”.
[32] Anche scorrendo la stampa e ricercando dati sul web, si rinviene soltanto un altro precedente, diremmo mediatico, ma non (a quanto è dato sapere) giudiziario, risalente al 2008. Si trattava, in quel caso, di una gestante che avrebbe voluto revocare il consenso prestato nell’ambito di un accordo con una coppia di San Francisco, eterosessuale, per cui – a quanto è dato sapere – si sarebbe raggiunto un accordo prima di addivenire all’annunciata azione giudiziaria.
[33] Court of Appeal of the State of California, Second Appellate District, Division one, Cook v. Harding, decisione del 26 gennaio 2017, che conferma la precedente decisione della Los Angeles County Superior Court del 6 giugno 2016.
[34] Court of Appeal,Cook v. Harding, cit.: «for purposes of an equal protection analysis, it is more appropriate to compare children born to surrogates with children born in a traditional manner to other parents than it is to compare children born to surrogates with children placed through adoption or family courts. Of course, the state does not regulate who is permitted to give birth».
[35] Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272 (pres. P. Grossi, est. G. Amato), in materia di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 cc; sulla sentenza, vds. A. Schillaci, La Corte costituzionale e la conservazione dello status fliliationis acquisito all’esterno: (molte) luci e (poche) ombre, tra verità biologica e interesse del minore, in Diritti comparati, 18 gennaio 2018; A. Sassi, Gestazione per altri e ruolo delle azioni di stato, in Rivista diritto e processo, 2017, pp. 272-301. (www.rivistadirittoeprocesso.eu/upload/Riviste/Rivista%202017.pdf).
[36] Corte suprema della California, Johnson c. Calvert, cit., § 4: «The argument that a woman cannot knowingly and intelligently agree to gestate and deliver a baby for intending parents carries overtones of the reasoning that for centuries prevented women from attaining equal economic rights and professional status under the law».
[37] B. Pezzini, Riconoscere responsabilità e valore femminile: il “principio del nome della madre” nella gravidanza per altri, in S. Niccolai e E. Olivito (a cura di), Maternità, filiazione, genitorialità. I nodi della maternità surrogata in una prospettiva costituzionale, Jovene, Napoli, 2017, pp. 91 ss. (citazione: p. 95).
[38] A. Schillaci, Il Tribunale Costituzionale portoghese si pronuncia sulla gestazione per altri, in Articolo 29, 25 aprile 2018.
[39] Tribunal constitucional del Portogallo, sentenza del 24 aprile 2018 n. 225, in Articolo 29, con nota di A. Schillaci, Il Tribunale costituzionale portoghese, op. cit.
[40] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., in particolare§§ 25, 26 e28.
[41] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., § 28.
[42] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., § 28.
[43] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., § 32.
[44] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., § 35: «Na verdade, é de realçar que os estudos científicos existentes não indiciam quaisquer diferenças relevantes, no que respeita às relações de parentalidade e ao desenvolvimento psicológico harmonioso, entre crianças nascidas com recurso a gestação de substituição e as restantes, não tendo este fator sido assinalado como causa direta de quaisquer perturbações (veja-se, por exemplo, e para além dos mencionados no aludido relatório do Presidente do CNECV de 2012, Golombok, S., Blake, L., Casey, P., Roman, G. and Jadva, V. (2012), “Children born through reproductive donation: a longitudinal study of psychological adjustment” in Journal of Child Psychology and Psychiatry, 54, 653–660. doi:10.1111/jcpp.12015)».
[45] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., § 32: «O objeto imediato destes contratos nunca é a criança em si mesma considerada. (…) A prévia celebração dos contratos que regulam as técnicas de PMA ou a gestação de substituição, que foram indispensáveis para que tal criança nascesse, em nada afetam a sua dignidade».
[46] Tribunal constitucional del Portogallo,cit. § 33.
[47] Tribunal constitucional del Portogallo,cit. § 28: «A gestação de substituição tem, por isso, uma relevância constitucional positiva, enquanto modo de realização de interesses jurídicos fundamentais dos beneficiários, que, por razões de saúde, ficaram prejudicados. Estão em causa, nomeadamente, o direito de constituir família e o direito de procriar».
[48] Corte cost., n. 162/2014, cit., § 6.
[49] S. Stefanelli, Ripensamento materno, in R. Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Utet, Torino, 2018, p. 141, rileva la necessità di una «verifica in concreto della libera condivisione di una scelta o piuttosto della coercizione alla gestazione ed alla rinuncia al bambino, che caratterizza gli abusi di tale pratica in alcuni Paesi, ma non può confondersi con la pratica stessa, come testimonia l’esperienza degli Stati del Nord America nei quali è da tempo regolamentata, proprio allo scopo di prevenire la coercizione diretta o indiretta». Per B. Pezzini Riconoscere responsabilità, op. cit., p. 95, «evocare la necessità di tutela della donna vale a qualificarla astrattamente come soggetto debole in ragione dell’appartenenza al suo sesso, mentre credo che anche il delicato problema di individuare ed assicurare le condizioni che possono garantire la libertà del consenso della madre biologica, liberandola dalla subordinazione e dallo sfruttamento, debba essere affrontato nello specifico, individuando in concreto rischi e problemi ed agendo coerentemente per tutelarsi dai primi e per risolvere i secondi».
[50] B. Pezzini, op. ult. cit., p. 96.
[51] Generalmente, è richiesto che la gestante abbia già figli propri (sì da assicurare consapevolezza rispetto al percorso che intende intraprendere), che abbia buone condizioni economiche (sì da assicurare che la scelta non sia compiuta per bisogno) e che presenti buone condizioni psico-fisiche; in alcuni casi, ma non sempre, anche i genitori sono sottoposti ad un preventivo screening psichico (vds. nota 22).
[52] Corte suprema della California, Johnson c. Calvert, §. 4, per cui il danaro «is meant to compensate her for her services in gestating the fetus and undergoing labor, rather than for giving up “parental” rights to the child».
[53] S. Stefanelli, Ripensamento materno, op. cit., p. 141.
[54] Per C. Saraceno, Dilemmi intorno alla maternità surrogata, in Giudicedonna, n. 1/2017, «la questione è non solo il rimborso delle spese mediche, dell’abbigliamento, ecc., ma anche del tempo. Dopo tutto, noi prevediamo che l’assenza per maternità sia compensata e non riteniamo che una donna incinta che è pagata per rimanere a casa durante gli ultimi mesi della gravidanza e per un certo tempo anche dopo, abbia un’attitudine “commerciale”. Dovrebbe esserci una certa regolazione dell’ammontare del rimborso e di che cosa dovrebbe essere rimborsato. Ma il divieto totale in nome dell’altruismo è anch’esso una forma di sfruttamento delle donne. La situazione è diversa da quella della donazione di sangue, poiché richiede molto più tempo e coinvolge il corpo della donatrice. Questo – a mio parere – vale anche per le donatrici degli ovuli, che in Italia non possono essere rimborsate per il tempo che spendono nella procedura».
[55] B. Pezzini, Riconoscere responsabilità, op. cit., pp. 114-115, rileva che «la salvaguardia della dignità essenziale di tutti gli esseri umani, presenti e futuri, coinvolti», la quale «pretende la essenziale gratuità della relazione», non sembra incompatibile «persino con l’apertura ad una ragionevole remunerazione della madre biologica».
[56] I. Giannecchini, La genitorialità delle coppie omosessuali nell’ordinamento inglese: diritti e doveri secondo la legge e la common law dopo lo Human Fertilisation And Embryology Act 1990-2008,in GenIUS, n. 1/2018, p. 123, la quale rammenta la decisione nel caso Re L (a minor) [2010] EWHC 3146 (Fam), spesso richiamata da altri giudici, ove è stato ritenuto dirimente che «gli applicants abbiano agito in buona fede e non immoralmente durante le trattative con la madre surrogata e che il pagamento non abbia rappresentato una pressione per condizionare la volontà di quest’ultima».
[57] In questo senso, V. Scalisi, Maternità surrogata: come «far cose con regole» in Rivista di diritto civile, n. 5/2017, p. 1100, e S. Stefanelli, Ripensamento materno, op. cit., p. 141.
[58] M. Walstead, International surrogacy: arduous journey to parenthood, in Journal of Comparative Law, 2014, p. 333.
[59] Così B. Pezzini, Riconoscere responsabilità, op. cit.
[60] Cass., sez. I, 16 marzo 1999, n. 2315, in Diritto della famiglia e delle persone, 1999, pp. 1095 ss., con nota di L. D’Avack, Fecondazione assistita eterologa: il S.C. privilegia per la prima volta il principio volontaristico su quello genetico; S. Patti, Lacune “sopravvenute”, presunzioni e finzioni: la difficile ricerca di una norma per l’inseminazione artificiale eterologa, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2000, pp. 347 ss.; M. Sesta, Venire contra factum proprium, finzione di paternità e consenso nella fecondazione assistita eterologa, ibid., pp. 350 ss.
[61] A. Sassi, Accertamento e titolarità nel sistema della filiazione, in R. Sacco (diretto da), Trattato, 2015, op. cit., p. 20, e S. Stefanelli, Procreazione e diritti fondamentali, ibid., pp. 115 ss. Nella seconda edizione del Trattato, vds. S. Stefanelli, Criterio di attribuzione della maternità, op. cit., p. 156.
[62] Cass., n. 19599 del 2016, cit. In questo senso, anche V. Scalisi, Maternità surrogata, op. cit., p. 1102.
[63] M. D’Amico, L’incostituzionalità del divieto assoluto della c.d. fecondazione eterologa, in BioLaw Journal — Rivista di BioDiritto, n. 2/2014, p. 34, per cui la legge n. 40 «non è più una legge ideologica che si illude di imporre valori astratti ai cittadini incidendo sui loro diritti, fatta di irragionevoli divieti, ma è una legge laica, che bilancia valori, che riconosce la giusta esigenza della procreazione come diritto incoercibile delle persone, e che, soprattutto, pone come principi fondanti quelli di autonomia e di responsabilità delle coppie e del medico».
[64] Art. 28, commi 4 e 5, l. 4 maggio 1983, n. 184, nel testo modificato dall’art. 100, comma 1, lett. p, d.lgs n. 154/2013.
[65] Corte cost., n. 278/2013, in Rivista di diritto civile, 2014, II, 3, con nota di B. Checchini, Anonimato materno e diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini; in Corr. giur., 2014, p. 471, con nota di T. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia. La decisione, come noto, ha fatto seguito alla pronuncia della Corte europea dei diritti umani, Godelli c. Italia, del 25 settembre 2012, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2013, I, pp. 103 ss., con nota di J. Long, La Corte europea dei diritti dell’uomo cenileura l’Italia per la difesa a oltranza dell’anonimato del parto: una condanna annunciata.
[66] Il diritto a conoscere le proprie origini riguarda, peraltro, anche il figlio adulterino nato in costanza di matrimonio, a prescindere dal mantenimento dello status, G. Ferrando La filiazione e la legittimazione, in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, vol. 4, Utet, Torino, 1999 (seconda edizione), p. 148.
[67] P. Zatti, Tradizione e innovazione nel diritto di famiglia, in Id. (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, vol. I, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 3 ss.; S. Stefanelli, Accertamento di stato nella procreazione assistita e nella gestazione per altri e Discendenza ingenita e filiazione intenzionale, in R. Sacco (diretto da), Trattato, op. cit., 2018, pp. 134 ss. e 171 ss.; C.M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in Id. (a cura di), La riforma della filiazione, Cedam, Padova, 2015, p. 20; V. Baldini, La procreazione medicalmente assistita, in Id. (a cura di), Riflessioni di biodiritto, Cedam, Padova, 2012, p. 32; M.C. Venuti, Procreazione medicalmente assistita: il consenso alle tecniche di pma e la responsabilità genitoriale di single, conviventi e per le parti unite civilmente,in GenIUS, n. 1/2018, p. 85. Sia consentito pure il rimando a M. Gattuso, Il problema del riconoscimento ab origine della genitorialità omosessuale, in G. Buffone - M. Gattuso - M.M. Winkler (a cura di), Unione civile e convivenza, Giuffrè, Milano, 2017; Id., Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 40, in questa Rivista online, 16 gennaio 2018, www.questionegiustizia.it/doc/bambino_e_le_sue_mamme_gattuso.pdf.
[68] Ex multis (oltre alle più recenti citate alla nota 71), vds. Cass., sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878 (pres. S. Di Palma, est. M. Dogliotti) in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 12/2017, p. 1708, con nota di G. Palmeri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex.; Corte appello Milano, 10 agosto 2015, n. 3397 (pres. rel. B. La Monica), in Articolo 29 (www.articolo29.it/wp-content/uploads/2017/06/capp-milano-legittimaz-attiva-impugnaz-difetto-veridicit%C3%A0.pdf); Trib. Perugia, decreto 9 febbraio 2018 (pres. P. De Lisio, est. L. Giglio), in Articolo 29, con nota di S. Stefanelli, Atto di nascita formato all’estero e bigenitorialità omosessuale: da Perugia un passo avanti verso il riconoscimento della filiazione intenzionale, 14 maggio 2018.
[69] Corte appello Napoli, 15 giugno-4 luglio 2018 (pres. A. Cocchiara, est. G. Casaburi), in Articolo29, con nota di M. Gattuso, Corte di appello di Napoli: i bambini arcobaleno sono figli di entrambi i genitori sin dalla nascita, 5 luglio 2018.
[70] V. Baldini, La procreazione medicalmente assistita, in Id. (a cura di), Riflessioni, op. cit., p. 32.
[71] Tale indirizzo ha ricevuto piena conferma anche in due recenti decisioni del Tribunale di Pistoia e del Tribunale di Bologna. Per la corte toscana, il consenso richiamato dall’art. 6 della legge n. 40 «rappresenta l’assunzione consapevole ed irrevocabile della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i componenti della coppia e costituisce il fulcro del riconoscimento dello stato giuridico del nato e del concetto di genitorialità legale, come contrapposta alla genitorialità biologica», Trib. Pistoia, decreto 5 luglio 2018 (pres. F. Amato, est. L. Maione), in Articolo 29 (www.articolo29.it/wp-content/uploads/2018/07/decreto-pistoia-due-mamme-L-40-2004.pdf). Analogamente, il Tribunale di Bologna ha affermato che «nel nostro ordinamento – accanto alla genitorialità naturale e adottiva da adozione piena (ai sensi della L. 184/83) – è riconosciuta quella da procreazione medicalmente assistita, che può prescindere del tutto dal legame genetico fra figlio e genitore, essendo possibile che sia il gamete maschile che l’ovulo femminile siano estranei alla coppia richiedente. In questo caso, la verità su cui si basa la genitorialità non è quella biologica,ma quella data dal consapevole consenso della coppia richiedente» (corsivi aggiunti), Trib. Bologna, decreto 6 luglio 2018 (pres. M. Betti, est. S. Migliori), in Articolo 29, (www.articolo29.it/decreto-trib-bologna-06-07-2018/).
[72] Sull’applicabilità della legge n. 40/2004 ai minori nati con maternità surrogata, sia consentito rimandare a M. Gattuso, La surrogazione di maternità o gestazione per altri (GPA), in G. Buffone - M. Gattuso - M.M. Winkler (a cura di), Unione civile, op. cit., pp. 263 ss., e M. Gattuso, Gestazione per altri: modelli teorici e protezione dei nati in forza dell’articolo 8, legge 40, in Giudicedonna, n. 1/2017, www.giudicedonna.it/2017/numero-uno/articoli/forum/maternit%C3%A0/Gestazione%20per%20altri%20-%20Gattuso.pdf.
[73] B. Pezzini, Riconoscere responsabilità, op. cit.
[74] R. Villani, La procreazione assistita, Giappichelli, Torino, 2004, p. 108; U. Salanitro, La disciplina della filiazione da procreazione medicalmente assistita, in Familia, n. 1/2004, p. 503; F. Caggia, La filiazione da procreazione assistita, in N. Lipari e P. Rescigno (diretto da), Diritto civile, vol. I, Fonti, soggetti, famiglia, Tomo II, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 552-553.
[75] Né può trarsi un argomento dalla circostanza che il menzionato primo comma dell’art. 30 dPR n. 396/2000 parli di «madre», posto che tale norma è collocata fuori dal sistema della legge n. 40/2004, che disciplina la PMA.
[76] In questo senso vds. anche B. Salone, Figli su commissione: profili civilistici della maternità surrogata in Italia dopo la legge 40/2004, in BioLaw Journal — Rivista di biodiritto, n. 2/2014, pp. 158 e 181. Secondo altra opinione, l’art. 9, comma 2, dovrebbe essere riferito esclusivamente all’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, di cui al primo comma, con la conseguenza che la disposizione che nega l’anonimato della partoriente non sarebbe applicabile in caso di gestazione per altri con gameti provenienti dalla coppia, S. Stefanelli, Accertamento della maternità nella gestazione per altri, in BioLaw Journal — Rivista di biodiritto, n. 2/2016, pp. 7 ss. e 22.
[77] Le ordinanza cautelari evocate nel testo sono tre: Trib. Roma, ordinanza 8 agosto 2014, in Famiglia e diritto, 2014, pp. 929 ss., con nota di M.N. Bugetti, Scambio di embrioni e attribuzione della genitorialità, nonché in Giurisprudenza italiana, 2015, p. 319, con nota di A. Mendola, Scambio di embrioni tra verità genetica e genitorialità biologica, e in Diritto di famiglia e delle persone, 2015, p. 186 , con nota di M. Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del Tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni; Trib. Roma, ordinanza 22 aprile 2015, in Giurisprudenza italiana, 2015, p. 319, con nota di A. Mendola, Scambio di embrioni, op. cit., e in Quotidiano giuridico, 25 maggio 2016, con nota di E. Falletti, Scambio di embrioni: la (seconda) ordinanza del Tribunale di Roma; Trib. Roma, ordinanza 10 maggio 2016, in Famiglia e diritto, 2016, p. 677, con nota di M.N. Bugetti, Fecondazione accidentalmente eterologa e tutela dell’interesse del minore.
[78] S. Stefanelli, Scambio colposo di embrioni, in R. Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, op. cit., 2018, p. 215.
[79] Tribunal constitucional del Portogallo, cit. § 8.
[80] È di grande interesse, al riguardo, la collezione di interviste a gestanti per altri in S. Marchi, Mio, tuo, suo, loro, Fandango, Roma, 2017. Di altrettanto interesse, i risultati delle ricerche empiriche svolte all’estero, che attestano i sentimenti e gli atteggiamenti delle donne che portano in grembo un bambino per altri, in N. Carone, In origine è il dono, op. cit. p. 72; in particolare, cfr. V. Jadva - S. Imrie - S. Golombok, Surrogacy Mothers 10 Years On: A Longitudinal Study of Psychological Well-Being and Relationships with the Parents and Child, in Human Reproduction, n. 10/2015, p. 3008.
[81] J.Millbank, Resolving the Dilemma of Legal Parentage for Australians Engaged in International Surrogacy, in Australian Journal of Family Law, n. 27/2013, pp. 138 ss., per cui «a baby created via surrogacy is not the baby of the birth mother, not because of the operation of contracts, or genetic link to intended parent( s) combined with lack of genetic link to the surrogate; rather the baby is not hers because she says so and believes this to be so, before, during and after the pregnancy in which she gestates that child into life».
[82] Trib. Perugia, decreto 9 febbraio 2018, cit.
[83] Vds. infra.
[84] Corte suprema della California, In re Marriage of Buzzanca,cit.
[85] Per V. Scalisi, Maternità surrogata, op. cit., p. 1101, «su snodi così cruciali dell’umana esistenza non possono ammettersi se non scelte assolutamente libere da ogni condizionamento e scelte comunque sempre revocabili».
[86] Ibid., l’Autore sottolinea, in caso di conflitto, «l’unico criterio assiologico-pratico applicabile, ossia quello del prevalente e superiore interesse del minore» (p. 1103).
[87] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., §§ 44-46.
[88] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., § 8.
[89] La ricostruzione della Corte lusitana non è forse del tutto coerente, posto che la stessa Corte, in caso di nullità dell’accordo, ha ritenuto insoddisfacente la riattivazione della regola codicistica, dichiarando l’incostituzionalità della norma nella parte in cui non prevede la necessaria flessibilità in funzione del superiore interesse del minore. Il Tribunal osserva, d’altra parte, una certa incoerenza interna della stessa legge (n. 32/2006, «Lei da Procriação Medicamente Assistida»), atteso che l’art. 8, al primo comma, prevede che la gestante «rinuncia ai poteri e doveri della maternità» («renunciando aos poderes e deveres próprios da maternidade»), in evidente contraddizione col settimo comma, ove è previsto che il nato è figlio dei genitori intenzionali («A criança que nascer através do recurso à gestação de substituição é tida como filha dos respetivos beneficiários»), sicché i giudici rilevano che la legge appare «pelo menos, ambígua: não se pode renunciar a posições jurídicas de que se não é – nem se poderá vir a ser».
[90] As demand for surrogacy soars, in The Economist, op. cit.
[91] M. Walstead, International surrogacy, op. cit., p. 333.
[92] La dottrina evidenzia, al riguardo, che «In the rare cases where a dispute has arisen because the surrogate refused to relinquish the child, courts have not approached surrogacy agreements as contracts of sale, nor engaged in a discussion of specific performance or contractual purpose, nor awarded remedies on those bases. Rather, courts dealing with such situations have made determinations about allocation of responsibility for care of the child based on the best interests of that child»: P. Gerber e K. O’Byrne, Souls in the House of Tomorrow, op. cit., p. 275.
[93] Non rappresenta un’eccezione il recente caso inglese [2017] EWCA Civ 228, in cui il bambino è stato affidato alla gestante (e al marito) come legal parents, posto che i giudici hanno dato prevalenza alla circostanza che lo stesso, dopo il parto, era rimasto di fatto presso la gestante (dato che questa aveva celato la sua nascita, comunicando ai genitori il suo avvenuto decesso), come riferito da I. Giannecchini, La genitorialità, op. cit., p. 124.
[94] P. Zatti, Maternità e surrogazione, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 3/2000, pp. 197 ss.
[95] Tribunal constitucional del Portogallo, cit., § 22.
[96] È questa la proposta, de iure condendo, di B. Pezzini, Riconoscere responsabilità, op. cit., p. 94, per cui «l’esistenza del nome della madre biologica nelle attestazioni della nascita garantisce, ai due soggetti che ne sono stati protagonisti, il riconoscimento essenziale della relazione di gravidanza che li ha uniti ed è stata indispensabile al compimento del progetto riproduttivo».
[97] C. Saraceno, Dilemmi, op. cit.
[98] P. Laufer-Ukeles, Mothering for Money: Regulating Commercial Intimacy, Surrogacy, Adoption, in Indiana Law Journal, n. 4/2013, p. 1254.
[99] Da questo punto di vista, la soluzione esegetica qui proposta va oltre l’idea per cui «l’intensità e i modi di questa relazione possono essere negoziati tra le parti ed evolversi col tempo» (C. Saraceno, Dilemmi, op. cit., p. 6) e la gestante potrebbe solo «concordare con i genitori intenzionali le modalità per essere tenuta presente nella vita del bambino» (B. Pezzini Riconoscere responsabilità, op. cit., p. 111).
[100] In questo senso, R.F. Storrow, Surrogacy, op. cit.