Magistratura democratica

La famiglia nella Convenzione europea dei diritti umani: gli artt. 8 e 14 Cedu

di Laura Tomasi
L’articolo esamina la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani formatasi sugli artt. 8, 12 e 14 Cedu e relativa ai diritti dei partner e dei minori all’interno della famiglia, e in caso di scioglimento del legame di coppia, nonché nel contesto della gestione dei flussi migratori da parte degli Stati, per verificare il grado di riconoscimento, nel sistema della Cedu, dell’odierno pluralismo dei modelli familiari.

1. La famiglia nella Cedu: norme, principi ispiratori e metodi di tutela

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), firmata a Roma il 4 novembre 1955, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, dedica alla famiglia gli artt. 8[1] e 12[2], che rispettivamente sanciscono il diritto al rispetto della vita privata e familiare (oltre che del domicilio e della corrispondenza) e il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia.

L’assenza, nelle due disposizioni, di richiami alla rilevanza sociale della compagine familiare e l’accostamento della «vita familiare» alla sfera dell’autonomia e autodeterminazione della persona, accanto al diritto al rispetto della vita privata, del domicilio e della corrispondenza, segnalano immediatamente la peculiarità della visione convenzionale della famiglia, incentrata sulla protezione dei suoi componenti, più che della cellula familiare in quanto tale[3].

In ciò la Cedu si differenzia dalle norme di tutela della famiglia contenute nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (artt. 12 e 16), nel Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, nella Convenzione americana sui diritti dell’uomo (art. 11 e 17) e nella Carta araba dei diritti dell’uomo (art. 21 e 33), ove la prospettiva individualista, incentrata sul diritto del singolo alla protezione della propria vita privata e familiare da arbitrarie interferenze, coesiste e convive con quella comunitarista, che enfatizza il ruolo della famiglia quale formazione sociale[4]. La differenza è ancora più marcata rispetto alle più risalenti carte elaborate nel contesto culturale africano e arabo (Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981 e Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam del 1990) – che non menzionano il diritto dell’individuo al rispetto della propria vita familiare e abbracciano una visione spiccatamente comunitarista della famiglia[5] – e alla prospettiva assunta dall’art. 10 Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966, tutta incentrata sulla rilevanza sociale e meritevolezza di protezione e promozione della famiglia.

Come noto, i diritti sanciti dagli artt. 8 e 12 Cedu non sono assoluti: gli Stati contraenti, da un lato, possono limitare l’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare, in base alla legge e per quanto «necessario in una società democratica» a perseguire le finalità d’interesse generale enumerate dall’art. 8, par. 2, Cedu; dall’altro lato, sono competenti a disciplinare il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. 12 Cedu)[6]. La Corte europea dei diritti umani (Corte Edu) ha concentrato il proprio sindacato sulla conformità delle misure statali di «ingerenza» in tali diritti ai principi di legalità, necessità e proporzionalità, elaborando peraltro in parallelo (con particolare riferimento all’art. 8 Cedu) una serie di «obblighi positivi» a carico degli Stati, tenuti ad adottare misure di promozione della vita privata e familiare e a proteggere tale sfera da aggressioni da parte di soggetti privati.

Per riempire di contenuto le clausole generali di cui agli artt. 8 e 12 Cedu, i giudici di Strasburgo hanno utilizzato strumenti esegetici propri del sistema della Convenzione, tra cui anzitutto la «dottrina del margine di apprezzamento», che accorda agli Stati una misura di discrezionalità nell’applicare gli standard convenzionali, per tenere conto delle peculiarità di ciascun contesto nazionale, e il principio di proporzionalità, correttivo di tale dottrina, che impone agli Stati di perseguire i propri obiettivi di interesse generale in maniera adeguata al fine e, il più possibile, rispettosa delle prerogative dei singoli[7].

Nell’intento di creare uno standard europeo di tutela della famiglia, rispondente alla realtà socioculturale e giuridica, la Corte ha poi operato un’interpretazione autonoma ed evolutiva[8] delle nozioni utilizzate nella Cedu, subordinando tuttavia l’inclusione in via giurisprudenziale di «nuovi diritti» nel testo convenzionale all’esistenza di un consensus europeo in materia, desunto dall’analisi comparata degli ordinamenti degli Stati contraenti.

Ove, infine, la Corte abbia ritenuto di non poter derivare un determinato diritto – ad esempio, il diritto di adottare – dalla lettera della Convenzione, nemmeno interpretandola evolutivamente, essa ha utilizzato, in maniera più o meno esplicita, la teoria dei «diritti addizionali» per obbligare gli Stati che autonomamente scelgano di riconoscere questo o quel diritto, a garantirne il godimento senza restrizioni irragionevoli o discriminatorie. A tal fine, la Corte ha spesso utilizzato il divieto di discriminazione nel godimento dei diritti garantiti dalla Convenzione (art. 14 Cedu)[9], estendendo l’ambito applicativo di questa disposizione ai diritti che, senza essere garantiti dalle disposizioni convenzionali, nondimeno ricadano nell’ambito di influenza («tombent sous l’empire») delle stesse[10].

Attraverso tali molteplici strumenti interpretativi, la Corte si costantemente cimentata in un esercizio di bilanciamento tra la tutela di diritti e aspirazioni dell’individuo, da un lato, e la salvaguardia, dall’altro lato, delle competenze statali in materia di diritto e politiche familiari, previdenza e assistenza sociale, gestione dei fenomeni migratori, nonché delle concorrenti prerogative degli altri soggetti privati a vario titolo coinvolti nelle relazioni familiari[11].

2. Il diritto al riconoscimento giuridico del legame con il partner

L’odierno pluralismo dei modelli familiari ha trovato un’eco e, al tempo stesso, uno strumento di promozione nella giurisprudenza della Corte Edu, che, tuttavia, non ha ancora portato a compimento il percorso di parificazione di status e diritti dei conviventi o partner di unioni civili rispetto al coniuge.

I giudici di Strasburgo hanno, sì, interpretato evolutivamente la nozione di «vita familiare» di cui all’art. 8 Cedu, includendovi, oltre al rapporto di coniugio[12], la relazione di fatto tra partner di sesso diverso[13], la relazione tra due persone unite in matrimonio religioso[14] e, in tempi più recenti, la relazione tra partner dello stesso sesso, sia di fatto[15] sia sotto forma di unione civile[16]. La Corte ha, tuttavia, costantemente riconosciuto agli Stati contraenti la facoltà di accordare una «tutela privilegiata» alle coppie unite in matrimonio, affermando che l’art. 8 Cedu non obbliga ad attribuire alle coppie di fatto uno statuto giuridico analogo a quello delle coppie coniugate e ritenendo ammissibili differenze di trattamento in materia di benefici previdenziali[17], di diritto di abitazione della casa familiare dopo la rottura del rapporto di coppia[18], di diritto alla pensione per superstiti[19]. Correlativamente, la Corte ha affermato che l’art. 12 Cedu, pur garantendo la libertà negativa di non sposarsi, non assicura alle coppie che compiano tale scelta il diritto a fruire degli stessi benefici accordati alle coppie coniugate[20].

Rispetto alle coppie di persone dello stesso sesso – per le quali non sposarsi risulta sovente non il frutto di una libera scelta, ma la conseguenza dell’impossibilità di accedere all’istituto matrimoniale –, la giurisprudenza europea, pur non affermando la piena equiparazione rispetto alle coppie unite in matrimonio, ha registrato un’evoluzione. In un primo tempo, infatti, la Corte aveva ritenuto contrarie all’art. 8 Cedu le (sole) differenze di trattamento (ad esempio, in tema di successione nel contratto di locazione[21] o di copertura assicurativa per i familiari di dipendenti pubblici[22]) tra coppie di fatto rispettivamente etero e omosessuali, senza censurare eventuali disparità tra lo status delle coppie same-sex e quello delle coppie (eterosessuali) sposate e senza ravvisare alcuna contrarietà agli artt. 8 e 12 Cedu nell’impossibilità, per le persone omosessuali, di accedere al matrimonio[23] o all’unione civile.[24]

 Successivamente la Corte, pur ribadendo come né l’apertura del matrimonio alle coppie same-sex, né il riconoscimento del matrimonio omosessuale celebrato all’estero costituiscano obblighi convenzionali, ha ritenuto contraria all’art. 8 Cedu la totale assenza di riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale. L’Italia è stata, così, condannata, nel 2015 e nel 2017, per non avere predisposto – prima dell’entrata in vigore della legge di disciplina delle unioni civili 20 maggio 2016, n. 76 – alcun quadro di tutela giuridica in favore delle coppie di persone dello stesso sesso, inibendo, di conseguenza, anche il riconoscimento delle relazioni costituite all’estero (sentenze Oliari e altri c. Italia e Olivieri e altri c. Italia).[25]

Secondo la più recente giurisprudenza relativa all’art. 8 Cedu, pertanto, i componenti della coppia same-sex godono di un diritto al riconoscimento giuridico – sia pur non necessariamente nella forma del matrimonio – della propria unione.

Il diritto a vedere riconosciuto il proprio legame di coppia è stato affermato anche in relazione alle persone transessuali, che debbono poter godere non solo dell’accesso a interventi chirurgici per il mutamento dei caratteri sessuali[26], ma anche del riconoscimento giuridico della nuova identità, del matrimonio in conformità con il sesso acquisito[27] e dei benefici previdenziali previsti in favore delle persone del sesso acquisito[28]. Anche in questo caso, tuttavia, il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione non è integrale, poiché la Corte ha ritenuto legittimo condizionare il riconoscimento del sesso acquisito alla previa dissoluzione del matrimonio precedentemente contratto con persona di sesso biologicamente opposto[29] o alla trasformazione del matrimonio in unione civile[30].

3. L’uguaglianza tra i partner

Il singolo, una volta instaurato il legame di coppia, gode del diritto all’uguaglianza con il partner, tutelato non tanto in base all’art. 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione sulla parità tra i coniugi[31] – norma di ristretto ambito applicativo e di limitata applicazione giurisprudenziale[32] –,quanto sul fondamento degli artt. 8 e 14 Cedu.

Un aspetto significativo dell’eguaglianza tra partner è quello relativo al diritto alla scelta del cognome familiare, che si connette con il diritto all’autodeterminazione in ordine alla propria identità. Sono state, così, ritenute contrarie agli artt. 8 e 14 Cedu normative nazionali che impedissero alla coppia di scegliere il cognome della moglie come cognome familiare, precludendo al marito[33] o ai figli[34] l’acquisizione del cognome della madre, oppure che vietassero alla donna di mantenere il cognome di nubile dopo il matrimonio, pur in presenza della concorde volontà dei coniugi[35]. La Corte ha evidenziato che l’obiettivo di tutela dell’unità familiare non deve necessariamente essere salvaguardato imponendo l’applicazione del cognome maritale come cognome familiare, ma può essere perseguito accordando ai coniugi la facoltà di scegliere il cognome[36].

Sotto diverso profilo, merita ricordare come la parità tra i partner della coppia sia stata salvaguardata anche attraverso la ferma condanna, da parte della Corte europea, della violenza di genere, qualificata – anche in base alla prassi del Comitato della Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw) del 1979 e alla giurisprudenza della Commissione interamericana dei diritti dell’uomo – come discriminazione in base al sesso, vietata dalla Convenzione[37]. Tale qualificazione implica l’insorgere di una responsabilità par ricochet, per violazione dell’art. 14 Cedu, in combinato disposto con gli artt. 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti) Cedu,degli Stati che omettano, intenzionalmente o per negligenza, di proteggere le donne dalla perpetrazione della violenza, e dunque della discriminazione, da parte di soggetti privati[38].

4. I «diritti riproduttivi» dei partner

La Corte tutela i diritti riproduttivi del singolo, anzitutto, come espressione della «vita privata» di cui all’art. 8 Cedu. Ricorrente è l’affermazione secondo cui la nozione di «vita privata» include il diritto all’autonomia e allo sviluppo della persona, il diritto di intrecciare e coltivare relazioni con altri e il diritto al rispetto per la decisione di avere o non avere figli[39]. I medesimi principi sono rilevanti anche ove venga in considerazione la «vita familiare» degli individui.

La Corte ne trae anzitutto un assoluto divieto di praticare sterilizzazioni forzate, in assenza di consenso della persona interessata[40]. Più problematico risulta affermare la sussistenza, in ambito Cedu, di un pieno diritto a realizzare la genitorialità – in caso di infertilità medica o sociale – mediante adozione, o procreazione medicalmente assistita, o surrogazione di maternità.

Per quanto attiene all’adozione, costante è l’affermazione della giurisprudenza europea secondo cui il diritto di adottare non è in sé garantito dalla Cedu[41]. In applicazione di tale principio, in passato la Commissione europea dei diritti dell’uomo[42] aveva affermato la propria incompetenza a esercitare un sindacato sulle condizioni per l’adozione previste dal diritto nazionale, quali, ad esempio, la concessione del diritto di adottare alle sole coppie, con conseguente esclusione dei celibi[43].

La giurisprudenza della Corte Edu sembra orientata in senso più estensivo. Pur ribadendo l’impossibilità di dedurre della Convenzione il diritto di adottare, la Corte ha ricondotto alla sfera della «vita privata» il «diritto al rispetto in relazione alla decisione di avere o non avere figli»[44] e utilizzato la cd. tecnica dei diritti addizionali, per affermare che, ove gli Stati contraenti liberamente si determinino a consentire l’adozione, la Corte è competente a verificare che il quadro normativo di attuazione di detto diritto non presenti profili di discriminatorietà, contrari all’art. 14 Cedu.

Così, ad esempio, la Corte ha affermato la sussistenza, negli Stati che consentano l’adozione, di un diritto all’esame equo e non discriminatorio della relativa domanda (sentenza A.H. e altri c. Russia)[45]. Ancora, ove la legislazione nazionale consenta l’adozione da parte di persone single, è stato ritenuto contrario agli artt. 8 e 14 Cedu il diniego di autorizzazione all’adozione opposto a una donna – convivente con una partner dello stesso sesso – a motivo dell’assenza di una figura paterna nel nucleo familiare (sentenza E.B. c. Francia)[46]. La Corte ha altresì affermato che gli Stati contraenti non sono obbligati né a consentire l’adozione coparentale alle coppie di fatto[47] né a garantire la parità di trattamento tra coppie eterosessuali sposate e coppie omosessuali di fatto in relazione alle condizioni di accesso all’adozione[48]; ove, tuttavia gli Stati stessi abbiano autonomamente ritenuto di aprire l’adozione coparentale alle coppie non sposate, essi debbono rendere l’istituto accessibile alle coppie di fatto sia eterosessuali, sia omosessuali, pena la commissione di una discriminazione in base all’orientamento sessuale, vietata dagli artt. 8 e 14 Cedu (sentenza X e altri c. Austria)[49].

Quanto all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la Corte ha affermato, con crescente enfasi, che la nozione di «rispetto per la vita privata e familiare» include il diritto al rispetto della decisione di diventare genitori in senso genetico[50] e che «il diritto di una coppia di concepire un figlio e di fare uso della procreazione medicalmente assistita a tale scopo è protetto dall’art. 8 Cedu, poichè detta scelta è un’espressione della vita privata e familiare»[51].

Pur muovendo da tale premessa – che sembra affermare la sussistenza di un autentico diritto a realizzare la genitorialità mediante procreazione medicalmente assistita –, la giurisprudenza della Corte ha registrato significative oscillazioni.

Con riferimento allo specifico tema dei diritti riproduttivi dei detenuti, l’affermazione del diritto alla genitorialità è stata piena, con conseguente declaratoria di contrarietà all’art. 8 Cedu del divieto, opposto a un detenuto condannato all’ergastolo e alla compagna, di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita per concepire un bambino in un sistema penitenziario che non prevedeva le visite coniugali. In quel caso, la Corte ha ritenuto l’interesse dei coniugi a diventare genitori prevalente rispetto all’interesse pubblico all’afflittività della pena nonché al rischio, paventato dal Governo convenuto, di un impatto negativo dello stato di detenzione del genitore sul benessere del minore (sentenza Dickson c. Regno Unito)[52].

La Corte ha altresì ravvisato, nella pronuncia Costa e Pavan c. Italia, una violazione dell’art. 8 Cedu nel divieto, risultante dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, di effettuare diagnosi pre-impianto sugli embrioni, al fine di verificare la sussistenza di gravi patologie (in specie, la fibrosi cistica), ritenendo detta proibizione incoerente rispetto alla possibilità offerta dalla legislazione italiana di interrompere la gravidanza, a fronte del riscontro delle medesime patologie nell’embrione in utero[53].

Diversamente, in tema di fecondazione eterologa, la Corte, pur ribadendo l’applicabilità dell’art. 8 Cedu, ha ritenuto – sul rilievo dell’assenza di consensus tra gli Stati contraenti e della conseguente ampiezza del margine di apprezzamento delle autorità nazionali – che realizzasse un’ingerenza non sproporzionata nel diritto al rispetto della vita privata e familiare la legislazione austriaca, la quale permetteva la fecondazione omologa in vitro e la fecondazione eterologa (con sperma di un donatore) in vivo,ma vietava sia la fecondazione eterologa in vitro, sia la donazione di ovuli (sentenza S.H. e altri c. Austria)[54]. La Grande Camera ha così ribaltato una precedente decisione della prima sezione della Corte, che, invece, aveva ritenuto discriminatoria la scelta dell’ordinamento austriaco di vietare tali tecniche, consentendo invece la fecondazione omologa in vitro e la fecondazione eterologa in vivo[55].

Non sono note pronuce della Corte europea dei diritti umani in tema di accesso alla procreazione medicalmente assistita da parte di coppie di persone dello stesso sesso ed è difficile prevedere l’esito di eventuali ricorsi. Da un lato, infatti, la Corte potrebbe seguire l’iter argomentativo già adottato nella sentenza di Grande Camera S.H. e altri c. Austria, e ritenere che la questione rientri nel margine di apprezzamento degli Stati contraenti. A sfavore di questa soluzione militano, tuttavia, gli approdi giurisprudenziali in tema di adozione, ove, utilizzando la cd. tecnica dei diritti addizionali, la Corte ha ritenuto che, una volta che gli Stati contraenti si determinino a consentire l’adozione non solo alle coppie sposate, ma anche alle coppie di fatto, essi debbono garantire l’accesso all’istituto senza discriminazioni in base all’orientamento sessuale e, dunque, sia alle coppie di fatto eterosessuali, sia a quelle omosessuali. Se la Corte seguisse tale orientamento, potrebbe ritenere che gli Stati che consentono l’accesso alla procreazione medicalmente assistita non solo ai coniugi, ma anche ai conviventi, siano tenuti, in base agli artt. 8 e 14 Cedu, a consentirlo sia ai conviventi di sesso opposto, sia a quelli dello stesso sesso.

La Corte ha poi rifiutato di riconoscere un diritto del singolo o della coppia a realizzare il progetto genitoriale tramite la surrogazione di maternità.

Nelle sentenze Mennesson c. Francia[56] e Labassee c. Francia[57], relative alla legittimità del rifiuto, opposto dalle autorità francesi, alla trascrizione nei registri di stato civile degli atti di nascita di minori nati negli Stati Uniti tramite gestazione per altri, la Corte ha escluso che il diniego implicasse un’ingerenza sproporzionata nella vita familiare dei genitori intenzionali (pur ravvisando una violazione del diritto al rispetto della vita privata dei minori: vds. infra, par. 5). La Corte ha, in proposito, evidenziato come l’assenza di consensus tra gli Stati contraenti quanto alla legalità della surrogazione di maternità giustificasse un ampio margine di apprezzamento degli Stati stessi sia quanto all’autorizzazione di detta pratica, sia quanto al riconoscimento dei rapporti di filiazione costituiti all’estero mediante la stessa.

Nella pronuncia Paradiso e Campanelli c. Italia, la Grande Camera ha escluso che sussistesse una «vita familiare» tra i genitori intenzionali e un minore nato all’estero mediante surrogazione di maternità, e poi allontanato dalla coppia dalle autorità italiane. La Corte ha ritenuto che l’assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, la breve durata della relazione con il minore e l’incertezza dei legami dal punto di vista giuridico giustificassero l’inquadramento della vicenda in termini di ingerenza nella vita privata – e non familiare – dei genitori intenzionali. I giudici hanno, peraltro, ritenuto che detta ingerenza fosse proporzionata, ritenendo sufficienti i motivi addotti dalle autorità interne per disporre l’allontanamento del bambino dalla coppia, incentrati sulla situazione del minore e sull’illegalità della condotta dei genitori intenzionali, che erano ricorsi a una pratica – la surrogazione di maternità – vietata e penalmente sanzionata nell’ordinamento italiano[58].

Nemmeno rispetto all’interruzione di gravidanza è riconosciuto un pieno e assoluto diritto all’autodeterminazione[59]. Anche in questa materia, la Corte ha finora fatto ricorso, più o meno esplicitamente, alla cd. tecnica dei diritti addizionali. Senza dedurre dalla Convenzione un diritto ad abortire, la Corte ha affermato il principio per cui, ove gli Stati consentano tale pratica, la donna ha diritto al rispetto della propria scelta di sottoporvisi, in conformità alle condizioni previste dalla legislazione vigente, senza subire limitazioni irragionevoli, e beneficiando di adeguate garanzie giurisdizionali a tutela della propria volontà, in caso di conflitto con altri soggetti pubblici o privati.

Ad esempio, la Corte ha ritenuto che la scelta della donna di sottoporsi a un intervento abortivo debba prevalere sul diritto al rispetto della vita privata e familiare del futuro padre, giudicando legittima, sotto il profilo degli artt. 8 e 12 Cedu, la legislazione italiana che non condiziona la possibilità della donna di abortire al consenso del partner[60]. La Corte ha inoltre censurato il comportamento delle autorità sanitarie, in specie polacche, che avevano rifiutato di praticare l’aborto terapeutico, ammesso dalla legislazione nazionale, nei confronti di una donna affetta da grave miopia, nonostante il rischio che questa perdesse la vista, e senza che l’interessata disponesse di garanzie procedurali adeguate per contestare la decisione del personale medico[61]. Ancora, nella sentenza A, B e C c. Irlanda[62], la Corte ha ravvisato una violazione dell’art. 8 Cedu, in ragione dell’impossibilità, per una delle ricorrenti, di praticare in Irlanda l’interruzione di gravidanza per pericolo di vita, nonostante tale possibilità fosse astrattamente prevista dalla Costituzione, a causa dell’oscurità del quadro normativo e dell’assenza di adeguate procedure di consultazione terapeutica e di tutela giurisdizionale.

La Corte non è stata, tuttavia, disposta ad ampliare, oltre quanto previsto dalle legislazioni nazionali, l’ambito di liceità dell’interruzione di gravidanza. Sempre nella sentenza A, B e C c. Irlanda, infatti, la Corte ha giudicato conforme all’art. 8 Cedu la legislazione irlandese che vieta l’aborto per ragioni di tutela della salute psicofisica della donna – salvo che in caso di pericolo per la vita –, pur consentendo ai residenti di recarsi all’estero per interrompere la gravidanza. Ad avviso dei giudici, l’ingerenza nella vita privata della donna, derivante dall’impossibilità di interrompere la gravidanza, poteva dirsi giustificata, ex art. 8 par. 2 Cedu, dall’obiettivo di protezione della morale, «di cui la difesa del diritto alla vita del nascituro costituisce un aspetto in Irlanda», e proporzionata, alla luce del margine di apprezzamento degli Stati in materia di protezione del nascituro e di bilanciamento di quest’ultima con i diritti concorrenti della donna.

5. I diritti del minore nella famiglia

Se i diritti dei singoli adulti, all’interno della famiglia, sono stati affermati dalla Corte in maniera non sempre piena, specie con riferimento alle tematiche politicamente ed eticamente più sensibili (nuove forme di vita di coppia, nuove modalità di procreazione), i diritti dei minori godono di una considerazione centrale, in ossequio al principio della preminenza dell’interesse del minore, non espressamente menzionato dall’art. 8 Cedu, ma ricondotto dalla Corte europea nell’alveo della disposizione, attraverso il richiamo alla Convenzione Onu del 1989 sui diritti del fanciullo[63].

La Corte si è fatta, anzitutto, promotrice dell’eguaglianza tra i rapporti di filiazione costituiti nell’ambito o al di fuori del matrimonio[64], ascrivendo alla nozione di «vita familiare» tanto il rapporto tra genitori e figli concepiti nell’ambito di un’unione coniugale non fittizia[65], quanto la relazione tra il figlio e ciascun genitore naturale, anche in assenza di convivenza tra i genitori[66]. Sono state così censurate, in quanto discriminatorie, la non automatica costituzione della filiazione naturale alla nascita[67] (in presenza della volontà materna di riconoscere detto legame)[68], gli ostacoli frapposti dalle legislazioni nazionali alla ricerca della paternità naturale[69], la mancata costituzione della parentela tra il figlio naturale riconosciuto e i membri della famiglia diversi dai genitori[70], la limitazione dei diritti successori e della capacità di ricevere liberalità dei figli naturali rispetto ai figli legittimi[71], la mancata equiparazione del figlio adottivo al figlio naturale a fini successori[72].

La considerazione del preminente interesse del minore è, poi, alla base dell’orientamento giurisprudenziale favorevole al riconoscimento dello status filiationis acquisito all’estero[73], anche con modalità non conformi al diritto dello Stato di cittadinanza dei genitori (adozione da parte del genitore single, surrogazione di maternità).

Così, in presenza di un’adozione pronunciata in uno Stato terzo, cui era seguita la convivenza tra adottante e adottato in uno Stato contraente, la Corte ha giudicato contrario all’art. 8 Cedu il rifiuto delle autorità di quest’ultimo Stato di accordare l’exequatur (e quindi pieni effetti giuridici) alla decisione di adozione pronunciata in base al diritto dello Stato terzo – in specie, lo Stato di origine del minore – per il solo motivo che il giudice straniero aveva applicato una legge diversa da quella richiamata dalle norme di conflitto dello Stato contraente. In specie, la Corte ha ritenuto un’ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto della vita privata e familiare dell’adottato (oltre che dell’adottante) il rifiuto di riconoscere ed eseguire la decisione di adozione pronunciata dalle autorità peruviane a beneficio di una cittadina lussemburghese non sposata, per non avere il giudice peruviano applicato il diritto lussemburghese, che vieta l’adozione legittimante ai single[74].

Analogamente, i giudici di Strasburgo, pur non accordando tutela al diritto dei genitori ad accedere alla surrogazione di maternità (vds. supra, par. 4), hanno dedotto dall’art. 8 Cedu – sotto il profilo della vita privata – il diritto del figlio nato all’estero mediante tale tecnica procreativa a vedere riconosciuto il legame di filiazione con entrambi i genitori intenzionali nello Stato di cittadinanza di questi ultimi, pur se esso vieti detta procedura (sentenze Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia)[75]. In altra occasione, la Corte ha ricostruito come ingerenza nella vita privata (non familiare) del minore la dichiarazione di adottabilità e l’allontanamento di un bambino che per sei mesi aveva vissuto con una coppia italiana la quale, senza che vi fosse alcun legame genetico, aveva ottenuto il neonato dalla gravidanza di una donna in Russia; la violazione della legge sulle adozioni internazionali e l’interdizione in Italia di pratiche di procreazione come quella adottata all’estero nel caso di specie, hanno indotto la Corte a ritenere adeguata e proporzionata la soluzione adottata dai giudici interni[76].

Nel recente parere consultivo del 10 aprile 2019[77], reso ai sensi del Protocollo n. 16 alla Cedu (non ratificato dall’Italia), la Corte europea è stata chiamata a esprimersi in via preventiva sulla compatibilità con la Convenzione del recente orientamento della Cour de cassation francese (assunto a seguito della sentenza Mennesson c. Francia), secondo cui, all’esito della surrogazione di maternità praticata all’estero, è possibile la trascrizione del certificato di nascita straniero nella parte in cui designa come padre il padre intenzionale, a condizione che quest’ultimo sia anche il padre biologico del minore, mentre non è possibile la trascrizione del legame di filiazione con la madre intenzionale, che però può adottare il minore con adozione coparentale. La Corte ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata del minore impone il riconoscimento del legame di filiazione, legalmente costituito all’estero, con la madre intenzionale, a prescindere dal fatto che quest’ultima sia anche madre in senso biologico, per avere utilizzato i propri gameti nella procreazione. La Corte ha, però, puntualizzato che tale riconoscimento non deve necessariamente avvenire mediante la trascrizione del certificato estero nei registri di stato civile, ben potendo essere assicurato mediante l’adozione del bambino da parte della madre intenzionale. Ciò a condizione che la procedura di adozione risulti tempestiva ed efficace, sempre a tutela dell’interesse del minore alla stabilità del proprio status filiationis.

6. I diritti dei genitori e dei figli nella crisi della coppia

Anche rispetto alla crisi della coppia, la Corte di Strasburgo risulta propensa a tutelare i diritti dei singoli (genitori e figli) sempre dall’angolo visuale dell’interesse superiore del minore.

Per quanto riguarda i partner, infatti, risalente è l’affermazione secondo cui la Convenzione non garantisce il diritto di divorziare[78], benché la legislazione nazionale debba consentire la separazione coniugale, quantomeno in situazioni di violenza familiare[79] e benché, in presenza di legislazioni che ammettono il divorzio, possa trarsi dall’12 Cedu un diritto di risposarsi senza subire restrizioni irragionevoli, derivanti, ad esempio, dall’eccessiva durata del procedimento divorzile[80] o dalla previsione di un divieto temporaneo di contrarre nuove nozze[81].

La tutela dei diritti dei partner si realizza altresì sotto il profilo delle garanzie dell’equo processo, per quanto riguarda in particolare la ragionevole durata delle procedure in materia di separazione e divorzio[82] e la verifica del rispetto del contraddittorio nei procedimenti di annullamento del matrimonio innanzi alla giurisdizione ecclesiastica, quale condizione per la concessione dell’exequatur alla decisione[83].

Copiosa è, invece, la giurisprudenza in materia di affidamento dei minori a seguito del fallimento del progetto di coppia. L’art. 8 Cedu tutela sia il diritto del genitore affidatario al rispetto delle prerogative genitoriali attribuitegli ai sensi del diritto nazionale, sia il diritto del genitore non affidatario a mantenere adeguati contatti con il minore, esercitando il diritto di visita – diritti da contemperarsi, tuttavia, con il superiore interesse del minore. La Corte ha sottolineato la necessità di operare un congruo bilanciamento tra il diritto del genitore non affidatario a mantenere un rapporto personale con il figlio e il benessere psicofisico di quest’ultimo. Ne deriva l’obbligo, per le autorità nazionali, di supportare con misure adeguate il contatto del genitore non affidatario con la prole[84], pur nella consapevolezza che il diritto di visita non dovrebbe essere attuato contro la volontà dei minori interessati[85].

La Corte ritiene che le autorità nazionali siano, in linea di principio, le meglio attrezzate per gestire situazioni di conflitto familiare e accorda loro un ampio margine di apprezzamento nel perseguire l’interesse superiore del minore[86], limitando il proprio controllo alla compatibilità delle decisioni prese con la Convenzione. In genere, la Corte non entra nel merito delle decisioni relative all’affidamento, ma si sofferma sugli aspetti procedurali, esigendo che le decisioni siano prese all’esito di procedure celeri, ove entrambi i genitori abbiano interloquito su un piede di parità[87].

Unico limite individuato dalla Corte è il rispetto del principio di uguaglianza tra i coniugi nell’affidamento del minore, che non consente di accordare preferenza a un genitore sull’altro unicamente a motivo delle convinzioni religiose o dell’orientamento sessuale di quest’ultimo[88]. Peraltro, gli organi di Strasburgo non hanno dedotto dal principio di uguaglianza tra i coniugi il diritto all’affidamento congiunto della prole in caso di dissoluzione dell’unione coniugale, limitandosi ad affermare che compete alle autorità nazionali adottare le misure più consone all’interesse del minore, spettando all’istanza sovranazionale la sola valutazione della ragionevolezza e non arbitrarietà delle decisioni prese[89].

La Corte ha dedotto dall’esigenza di tutela del rapporto tra minore e genitore affidatario l’obbligo, per gli Stati contraenti, di adottare misure di contrasto del fenomeno della sottrazione internazionale di minori e ha interpretato l’art. 8 Cedu alla luce della Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori.

Nell’esaminare i ricorsi presentati da genitori affidatari, il cui figlio era stato sottratto dall’altro genitore, la Corte ha ritenuto che l’art. 8 Cedu, letto alla luce della predetta Convenzione, imponga agli Stati l’obbligo positivo di adottare ed eseguire, con la massima celerità,[90] decisioni che tendano ad assicurare il ritorno del minore sottratto presso l’affidatario[91] (art. 12 Convenzione dell’Aja), salvo che vi si opponga l’interesse superiore del minore (art. 13 Convenzione cit.)[92]. Pur ribadendo che spetta alle autorità giudiziarie nazionali interpretare e applicare la Convenzione dell’Aja e avocando a sé il solo controllo circa la non arbitrarietà e l’adeguata motivazione delle decisioni prese a livello nazionale, la Corte è viepiù propensa a estendere il proprio sindacato sull’interpretazione data alla Convenzione dell’Aja dalle autorità nazionali, nel dichiarato intento di assicurare la piena attuazione dello scopo dello strumento internazionale, ossia il ritorno immediato del minore sottratto[93].

Nello stesso spirito di aderenza all’obiettivo della Convenzione dell’Aja, il giudice di Strasburgo ha prevalentemente adottato un orientamento restrittivo rispetto ai ricorsi presentati da genitori non affidatari che avessero sottratto il figlio e contestassero la decisione, presa dalle autorità dello Stato di trasferimento del minore, di ordinare il ritorno dello stesso nel Paese di residenza abituale, ai sensi della Convenzione dell’Aja[94]. La Corte ha qualificato le decisioni di ritorno dei minori presso i genitori affidatari come ingerenze nella «vita familiare» esistente tra minori e genitori non affidatari, ma ha solitamente ritenuto tali misure conformi al principio di legalità, poiché basate sulla Convenzione dell’Aja, e giustificate dallo scopo della Convenzione, ossia il ripristino dello status quo ante, finalizzato a evitare il consolidamento di situazioni illecite. La Corte ha, dunque, limitato il proprio sindacato alla verifica circa l’adeguata presa in considerazione, da parte delle autorità giudiziarie nazionali, del superiore interesse del minore e dell’eventualità che il ritorno lo esponga situazioni pregiudizievoli (art. 13, lett. b, Convenzione dell’Aja). Nella sentenza Neulinger e Shuruk c. Svizzera, del 6 luglio 2010, la Grande Camera ha, invece, accolto il ricorso di un genitore autore di una sottrazione internazionale[95], alla luce della progressiva integrazione del minore nello Stato nel quale era stato condotto, delle informazioni fornite circa il disinteresse del genitore affidatario per il minore e del rischio che la madre (autrice della sottrazione), ritornando con il figlio nello Stato di precedente residenza, fosse sottoposta a sanzioni penali, ivi inclusa l’incarcerazione, con conseguente impossibilità di occuparsi del minore. Analogamente, nella pronuncia X c. Lettonia[96], la Grande Camera ha concluso nel senso della violazione dell’art. 8 Cedu nei confronti di una madre autrice di sottrazione internazionale, conferendo preminente rilievo alla circostanza che le autorità dello Stato di trasferimento del minore ne avessero ordinato il ritorno, senza disporre approfondimenti istruttori circa il rischio[97], allegato dalla madre e sostanziato con la produzione di perizie di parte, che il bambino incorresse in un grave trauma da separazione, anche avuto riguardo a precedenti condotte maltrattanti del padre che ne chiedeva il ritorno.

7. Il diritto all’unità familiare

Il diritto del singolo al rispetto della propria vita privata e familiare, sub specie di tutela dell’unità familiare, costituisce un limite alle prerogative statali di gestione dei flussi migratori.

La Corte ha affermato che – conformemente al diritto internazionale generale – rientra in tali prerogative la regolamentazione dell’ingresso, del soggiorno e dell’allontanamento degli stranieri[98]. Essa ha, però, giudicato che, da un lato, le misure di espulsione possono costituire un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e familiare, la cui legittimità deve essere vagliata alla luce del comma 2 della disposizione (legalità, necessità in una società democratica, proporzionalità); dall’altro lato, che il rispetto degli obblighi positivi scaturenti dall’art. 8 Cedu può, in determinate circostanze, imporre agli Stati contraenti di autorizzare il ricongiungimento familiare di cittadini stranieri.

Per quanto riguarda l’espulsione di cittadini stranieri, la Corte ha precisato che le misure adottate dalle autorità nazionali debbono essere conformi al principio di legalità, ossia essere previste da una legge, accompagnate da adeguate garanzie contro l’arbitrarietà e sottoponibili a un pieno controllo giurisdizionale[99]. Inoltre, nella misura in cui incidano sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, le misure di espulsione devono essere «necessarie in una società democratica», cioè giustificate da un bisogno sociale imperioso e proporzionate al legittimo interesse perseguito. In presenza di una decisione di espulsione motivata dalla commissione di reati, la Corte ha ritenuto che il bilanciamento tra esigenze di tutela dell’ordine pubblico nello Stato ospitante e interesse del cittadino straniero a non vedere i propri legami familiari recisi dall’espulsione debba essere operato alla luce dei seguenti criteri: «la natura e la gravità del reato commesso, la durata del soggiorno dello straniero nel Paese da cui dovrebbe essere espulso, il tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta dello straniero nel suddetto periodo, la nazionalità delle persone coinvolte, la situazione familiare (…), per esempio la durata del matrimonio, e altri fattori che rivelino l’attualità e la genuinità del legame familiare, compresa la consapevolezza da parte dei familiari circa il reato commesso, la presenza di figli e la loro età (…), il grado di difficoltà che la famiglia verosimilmente dovrebbe affrontare per ritornare nel Paese di origine»[100] e il superiore interesse del minore, segnatamente la «gravità delle difficoltà che i figli (…) sono suscettibili di incontrare nel Paese verso il quale l’interessato deve essere espulso; e la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il Paese ospite e con il Paese di destinazione»[101]. Un altro elemento rilevante è la consapevolezza delle persone interessate della precarietà della loro condizione rispetto alle leggi sull’immigrazione nel momento di costituzione dei legami familiari[102]. Generalmente, solo la commissione di gravi reati (terrorismo, traffico di stupefacenti, violenza sessuale e sulle persone) può legittimare, ai sensi della Cedu, l’adozione di una misura di espulsione nei confronti di un cittadino straniero regolarmente residente con la propria famiglia nel territorio di uno Stato contraente[103].

Per quanto riguarda il ricongiungimento familiare, esso non costituisce in sé una prerogativa garantita dall’art. 8 Cedu poiché, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, il diritto al rispetto per la vita familiare non comporta per gli Stati contraenti l’obbligo positivo di permettere il ricongiungimento familiare sul proprio territorio[104].

Benché inizialmente fosse propensa a valutare più restrittivamente i casi di ammissione di stranieri, rispetto a quelli di espulsione, applicando quale criterio principale di bilanciamento quello della possibilità, per il migrante e per il suo nucleo familiare, di stabilirsi altrove[105], a partire dalla sentenza Sen c. Paesi Bassi[106] la Corte ha applicato ai casi di ricongiungimento familiare sostanzialmente gli stessi standard utilizzati per dirimere il conflitto tra tutela della vita familiare e gestione dei flussi migratori nei casi di espulsione. Ad esempio, prendendo in considerazione «l’età dei minori interessati, la situazione nel Paese di origine e il grado di dipendenza nei confronti dei genitori», essa ha censurato, per violazione dell’art. 8 Cedu, il rifiuto delle autorità olandesi di ammettere sul territorio una minore di nazionalità turca, al fine di permetterne il ricongiungimento con i genitori, già stabilmente residenti con gli altri figli nel territorio dello Stato ospitante[107]. Essa ha parimenti ritenuto contrario all’art. 8 Cedu il rifiuto delle autorità nazionali di accordare un permesso di soggiorno alla madre non affidataria di una minore in tenera età, conferendo rilievo preponderante alla circostanza che l’eventuale ritorno della ricorrente nel Paese di origine avrebbe implicato l’interruzione dei rapporti familiari con la figlia, affidata al padre e destinata a risiedere nello Stato ospitante[108].

In definitiva, i fattori tenuti in considerazione nel bilanciamento tra diritto al ricongiungimento familiare e prerogative statali nella gestione dei flussi migratori sono la portata del pregiudizio alla vita familiare, l’intensità dei legami del richiedente con lo Stato ospitante, la possibilità di stabilire la residenza familiare nello Stato di origine, la sussistenza di motivi di ordine pubblico (precipuamente la commissione di reati) per negare il ricongiungimento[109]. Non è, invece, ritenuto contrario all’art. 8 Cedu subordinare il ricongiungimento familiare all’autosufficienza economica del nucleo familiare[110]. I procedimenti di ricongiungimento familiare debbono, infine, garantire un adeguato grado di trasparenza e celerità[111].

8. Considerazioni conclusive

Le norme di cui agli artt. 8, 12 e 14 Cedu hanno originato una giurisprudenza ricca di riflessi sul diritto di famiglia degli Stati europei. La Corte europea dei diritti dell’uomo, pur muovendosi nel paradigma casistico insito nel concetto di «diritti umani», ha tracciato i principi di un «diritto europeo della famiglia», imperniato sul bilanciamento tra il principio di autodeterminazione della persona, radice individualista della nozione di «diritti fondamentali», e la tutela di esigenze a rilevanza collettiva e pubblicistica, da modularsi, in una materia legata al tessuto socioculturale di ciascun Paese come il diritto di famiglia, secondo le peculiarità dei differenti contesti nazionali.

A fronte dell’ineludibile dato del pluralismo dei modelli familiari, la Corte europea ha mostrato un atteggiamento di inclusività, riconoscendo l’esistenza di nuovi modelli di relazioni di coppia e parentali. Il pieno riconoscimento di pari diritti è stato, però, affermato in maniera proporzionale al grado di consensus esistente tra Stati contraenti rispetto alle nuove problematiche poste dall’evoluzione del concetto di «famiglia» nel contesto europeo. Così, i principi della tutela della relazione genitoriale, della preminenza dell’interesse del minore e dell’uguaglianza tra figli, sostanzialmente comuni al diritto di famiglia degli Stati europei, sono stati pienamente recepiti e applicati dalla Corte europea. Il riconoscimento di modelli di coppia differenti da quello fondato sul matrimonio eterosessuale e di nuove modalità di costituzione della filiazione, quali l’adozione da parte di coppie same-sex, la procreazione medicalmente assistita e la gestazione per altri, temi controversi nello spazio europeo, è invece avvenuto in maniera parziale, e tanto più facilmente quanto venisse in considerazione la necessità di tutelare i «best interests» del minore.

Se l’interpretazione evolutiva della Convenzione rimane, dunque, subordinata al consensus esistente tra Stati contraenti rispetto a questo o quell’aspetto del diritto di famiglia, la Corte, in materie ove un consensus fosse difficilmente individuabile, ha utilizzato altre tecniche di tutela per adeguare la Cedu, redatta oltre un cinquantennio addietro, all’odierna realtà dei rapporti familiari.

In particolare, quando ha ritenuto di non poter dedurre determinati diritti, pur pertinenti alla sfera familiare – il diritto ad accedere all’adozione, al divorzio, all’aborto, alla procreazione medicalmente assistita – dagli artt. 8 e 12 Cedu, la Corte, servendosi del concetto di «diritti addizionali», ha affermato, con determinazione crescente, la propria competenza a controllare che tali diritti, una volta autonomamente riconosciuti dagli Stati contraenti, possano essere esercitati senza restrizioni irragionevoli o discriminatorie. In altre parole, benché la Convenzione non imponga agli Stati contraenti di garantire il diritto ad adottare, a divorziare, a interrompere una gravidanza o a diventare genitori tramite procreazione assistita, ove uno Stato si determini autonomamente a riconoscere tali diritti, ed essi «ricadano nella sfera d’influenza» di una disposizione della Convenzione, esso è tenuto, ai sensi della Cedu, a garantire l’accesso a tali diritti in maniera effettiva e non discriminatoria. Formalmente, la Corte non fa che garantire che scelte già compiute dagli Stati siano coerenti con i principi di non discriminazione ed esercizio effettivo dei diritti garantiti; sostanzialmente, essa tutela diritti non originariamente inclusi nella sfera di protezione della Cedu, così realizzando un meccanismo pretorio di adeguamento del testo convenzionale alla mutata realtà sociale e giuridica.

[1] L’art. 8 Cedu, rubricato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare», recita: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

[2] L’art. 12 Cedu, rubricato «Diritto al matrimonio», dispone: «A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto».

[3] Cfr. V. Coussirat-Coustère, Famille et Convention européenne des Droits de l’Homme, in P. Mahoney - F. Matscher – H. Petzold – L. Wildhaber (a cura di), Protection des droits de l’homme: la perspective européenne. Mélanges à la mémoire de Rolv Ryssdall, Heymanns, Köln-Berlin-Bonn-Munchen, 2000, pp. 281-307.

[4] L’art. 12 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo protegge l’individuo da interferenze arbitrarie e lesioni della vita privata, della sfera familiare, della casa, della corrispondenza, dell’onore e della reputazione, collegando il rispetto della famiglia alla garanzia dei diritti della personalità, mentre l’art. 16, par. 3, qualifica la famiglia come «nucleo naturale e fondamentale della società», meritevole di protezione da parte dello Stato e della società.

[5]La Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli è l’unico testo internazionale a definire la famiglia non solo «elemento naturale e (…) base della società», ma anche «custode della morale e dei valori tradizionali riconosciuti dalla comunità» meritevole di protezione e assistenza da parte dello Stato (art. 18). Solo la Carta africana, inoltre, menziona i doveri dell’individuo nei confronti della famiglia, segnatamente il dovere di «preservare lo sviluppo armonioso della famiglia e di operare in favore della coesione e del rispetto di questa famiglia» e di «rispettare in ogni momento i (…) genitori, di nutrirli e di assisterli in caso di necessità» (art. 29, n. 1).

[6] Ivi compresa la facoltà di porre limitazioni all’esercizio di tale diritto, pur senza svuotare il contenuto essenziale dello stesso: Corte Edu, 17 ottobre 1986, Rees c. Regno Unito, ric. n. 9532/81.

[7] Cfr. Y. Arai-Takahashi, The margin of Appreciation Doctrine and the Principle of Proportionality in the Jurisprudence of the ECHR, Intersentia, Antwerp – Oxford – New York, 2002, passim.

[8] Definita «uno strumento vivente da interpretare alla luce delle condizioni della vita attuale»: Corte Edu, 25 aprile 1978, Tyrer c. Regno Unito, ric. n. 5856/72, § 31; in materia di famiglia, 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio, ric. n. 6833/74, § 41.

[9] L’art. 14 Cedu prevede che «il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione».

[10] Vds. Corte Edu, 22 gennaio 2008, E.B. c. Francia [GC], ric. n. 43546/02, § 47, in materia di adozione di minori da parte di coppie dello stesso sesso.

[11] Vds. in materia, ex multis,F. Pesce, La tutela europea dei diritti fondamentali in materia familiare: recenti sviluppi, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 1/2016, pp. 5 ss. nonché, volendo, V. Zagrebelsky - R. Chenal - L. Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Il Mulino, Bologna, 2019, pp. 275 ss.

[12] Corte Edu, 28 maggio 1985, Abdulaziz, Cabales et Balkandali c. Regno Unito, ricc. nn. 9214/80 e altri; 26 marzo 1992, Beldjoudi c. Francia, ric. n. 12083/86.

[13] Sentenza Marckx c. Belgio, cit.; Corte Edu, 27 ottobre 1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi, ric. n. 18535/91; 26 maggio 1994, Keegan c. Irlanda, ric. n. 16969/90.

[14] Corte Edu, 2 novembre 2010, Şerife Yiğit c. Turchia [GC], ric. n. 3976/05.

[15] Corte Edu, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria, ric. n. 30141/04; 7 novembre 2013, Vallianatos c. Grecia [GC], ricc. nn. 29381/09 e altri.

[16] Corte Edu, 14 dicembre 2017, Orlandi e altri c. Italia, ricc. nn. 26431/12 e altri.

[17] Commissione europea dei diritti dell’uomo, 30 agosto 1993, G.A.B. c. Spagna, ric. n. 21173/93; 4 marzo 1998, Quintana Zapata c. Spagna, ric. n. 34615/97.

[18] Corte Edu, 26 gennaio 1999, Saucedo Gómez c. Spagna (dec.), ric. n. 37784/97.

[19] Sentenza Şerife Yiğit c. Turchia, cit.

[20] Sentenza Marckx c. Belgio, cit., § 67; Commissione europea dei diritti dell’uomo, 15 marzo 1984, B, R e J c. Repubblica Federale Tedesca, ric. n. 9639/82.

[21] Corte Edu, 23 luglio 2003, Karner c. Austria,ric. n.. 40016/98; 2 marzo 2010, Kozak c. Polonia, ric. n. 13102/02.

[22] Corte Edu, 22 luglio 2010, P.B. e J.S. c. Austria, ric. n. 18984/02.

[23] Sentenza Shalk e Kopf c. Austria, cit., §§ 58-63; 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia, ric. n. 25951/07, § 66; 16 luglio 2014, Hämäläinen c. Finlandia [GC], ric. n. 37359/09, § 96; 21 luglio 2015, Oliari e altri c. Italia, ricc. nn. 18766/11 e altri, §§ 192-194;9 giugno 2016, Chapin et Charpentier c. Francia, ric. n. 40183/07, §§ 36-40 e 48-52.

[24] Nella citata sentenza Shalk e Kopf, infatti, la Corte, nel rilevare come nell’ordinamento austriaco fosse stato medio tempore introdotta la partnership registrata, ha escluso che al legislatore austriaco potesse essere rimproverato, quale violazione degli artt. 8 e 14 Cedu, di avere previsto tale istituto solamente nel 2010.

[25] Sentenze Oliari e altri c. Italia e Orlandi e altri c. Italia, entrambe citate.

[26] Corte Edu, 10 marzo 2015, Y.Y. c. Turchia, ric. n. 14793/08.

[27] Corte Edu, 11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], ric. n. 28957/95; 11 luglio 2002, I. c. Regno Unito [GC], ric. n. 25680/94. Nella sentenza 11 novembre 2007, L. c. Lituania, ric. n. 27527/03, la Corte ha altresì ravvisato una violazione dell’art. 8 Cedu nella circostanza che la Lituania avesse per legge consentito l’intervento chirurgico di mutamento di sesso e la relativa rettifica delle risultanze di stato civile, ma avesse omesso di adottare idonee misure di attuazione della normativa promulgata, rendendo così il cambiamento di sesso solo parzialmente possibile; la Corte ha ritenuto prematura la doglianza relativa all’art. 12 Cedu, poiché le operazioni di cambiamento di sesso del ricorrente non erano ancora ultimate.

[28] Corte Edu, 23 maggio 2006, Grant c. Regno Unito, ric. n. 32570/03, ove la Corte ha ritenuto contrario all’art. 8 Cedu il rifiuto dell’amministrazione britannica di concedere la pensione a un «male to female transexual» secondo l’età pensionabile prevista per le donne.

[29] Corte Edu, 28 novembre 2006, Parry c. Regno Unito (dec.), ric. n. 42971/05.

[30] Corte Edu, sentenza Hämäläinen c. Finlandia, cit.

[31] L’art. 5 del Protocollo n. 7, rubricato «Parità tra i coniugi», così recita: «I coniugi godono dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i loro figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in caso di suo scioglimento. Il presente articolo non impedisce agli Stati di adottare le misure necessarie nell’interesse dei figli». Il Protocollo n. 7 è stato firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984 ed è entrato internazionalmente in vigore il 1° gennaio 1988.

[32] La norma riguarda unicamente i rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e tra ciascun genitore e la prole, senza estendersi al diritto amministrativo, tributario, penale, ecclesiastico, né alla legislazione sociale o in materia lavoristica: cfr. la relazione esplicativa al Protocollo n. 7, punto 35.

[33] Corte Edu, 22 febbraio 1994, Burghartz c. Svizzera, ric. n. 16213/9.

[34] Corte Edu, 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo c. Italia, ric. n. 77/07.

[35] Corte Edu, 16 novembre 2004, Unal Tekeli c. Turchia, ric. n. 29865/96; 28 marzo 2013, Leventoğlu Abdulkadiroğlu c. Turchia, ric. n. 7971/07.

[36] Peraltro, la Corte ha escluso che violasse l’art. 8 Cedu il rifiuto delle autorità nazionali di dare corso alle domande di registrazione dei figli con il cognome della madre invece che con quello del padre, ove quest’ultimo fosse stato previamente scelto dalla coppia come cognome familiare (Corte Edu, 27 aprile 2000, Bijleveld c. Paesi Bassi (dec.), ric. n. 42973/98; 27 settembre 2001, G.M.B. e K.M. c. Svizzera (dec.), ric. n. 36797/97) o di permettere la registrazione dei figli con un cognome composto, formato da elementi del cognome di entrambi i coniugi (Corte Edu, 6 maggio 2008, Von Rehlingen c. Germania (dec.), ric. n. 33572/02).

[37] Corte Edu, 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia, ric. n. 33401/02; 27 maggio 2014, Rumor c. Italia, ric. n. 72964/10; 2 marzo 2017, Talpis c. Italia, ric. n. 41237/14.

[38] La Corte si è occupata della questione della violenza familiare anche nel contesto della tutela della relazione genitoriale. Essa ha sottolineato che l’allontanamento del minore dal nucleo familiare, la sospensione della potestà genitoriale e l’affidamento extrafamiliare – provvedimenti che possono essere adottati, in caso di urgenza (ad esempio, ove ricorra il sospetto di abusi sessuali), senza previa audizione dei genitori – costituiscono in linea di principio una misura temporanea, il cui fine ultimo è il ricongiungimento del minore con i genitori, salvo che la salvaguardia del benessere psicofisico del primo esiga l’interruzione del contatto con i secondi (13 luglio 2000, Scozzari e Giunta c. Italia [GC], ricc. nn. 39221/98 e 41963/98; 9 maggio 2003, Covezzi e Morselli c. Italia, ric. n. 52763/99; 21 novembre 2003, Roda e Bonfatti c. Italia, ric. n. 10427/02; 21 ottobre 2008, Clemeno e altri c. Italia, ric. n. 19537/03; 24 febbraio 2009, Errico c. Italia, ric. n. 29768/05).

[39] Vds., inter alia,Corte Edu, 10 aprile 2007, Evans c. Regno Unito [GC], ric. n. 6339/05, § 71; E.B. c. Francia, cit., § 43, 22; 8 novembre 2011, V.C. c. Slovacchia, ric. n. 18968/07.

[40] Sentenza V.C. c. Slovacchia, cit.; cfr. altresì 13 novembre 2012, I.G. e altri c. Slovacchia, ric. n. 15966/04.

[41] Commissione europea dei diritti dell’uomo, 10 luglio 1997, Di Lazzaro c. Italia, ric. n. 31924/96; da ultimo, si veda Corte Edu, 17 gennaio 2017, A.H. e altri c. Russia, ricc. nn. 6033/13 e altri.

[42] Organo previsto dalla Cedu prima della riforma attuata con il Protocollo n. 11.

[43] Decisione Di Lazzaro c. Italia, cit. La Commissione ha dichiarato inammissibile, per incompatibilità ratione materiae con le disposizioni della Convenzione, il ricorso di una donna nubile italiana che lamentava la violazione degli artt. 8 e 12 Cedu per l’impossibilità, nell’ordinamento italiano, di procedere all’adozione legittimante in qualità di persona single.

[44] Sentenza A.H. e altri c. Russia, cit., § 379.

[45] Ibidem, §§ 412 ss.

[46] Corte Edu, sentenza E.B. c. Francia, cit. Applicando lo stesso iter argomentativo, nella sentenza 10 giugno 2010, Schwizgebel c. Svizzera, ric. n. 25762/07, la Corte ha viceversa ritenuto che una cittadina svizzera nubile di quarantasette anni, la quale, dopo avere adottato un bambino in qualità di persona single, si era vista rifiutare l’autorizzazione ad adottare un altro minore in ragione dell’età frattanto raggiunta, non fosse stata discriminata rispetto a donne single più giovani e legittimate perciò ad adottare. Ad avviso della Corte, in assenza di consensus tra gli Stati contraenti in materia di limiti di età per l’adozione, la decisione delle autorità svizzere, motivata, assunta all’esito di una procedura in contraddittorio con l’interessata e basata sulla considerazione dell’interesse del minore adottando, era da ritenersi conforme al principio di proporzionalità e rispettosa degli artt. 8 e 14 Cedu.

[47] Corte Edu, 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria [GC], ric. n. 19101/07, § 136; Gas and Dubois c. Francia, cit., §§ 66-69; 13 dicembre 2007, Emonet e altri c. Svizzera, ric. n. 39051/03, §§ 79-88.

[48] Sentenza Gas e Dubois c. Francia, cit., § 68.

[49] Corte Edu, sentenza X e altri c. Austria, cit.

[50] Corte Edu, 4 dicembre 2007, Dickson c. Regno Unito [GC], ric. n. 44362/04.

[51] Corte Edu, 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria [GC], ric. n. 57813/00.

[52] Sentenza Dickson c. Regno Unito, cit. La Corte ha adottato un atteggiamento di maggiore cautela ove gli interessi in contrasto fossero quelli dei componenti della coppia, ritenendo che l’aspirazione a diventare genitore possa essere legittimamente compressa al fine di rispettare il volere contrario dell’altro componente della coppia. Così, la Corte ha ritenuto che non violasse l’art. 8 Cedu una legislazione che consentiva al donatore di sperma di ritirare il proprio consenso all’impianto dell’embrione, fecondato in vitro, nell’utero della donna (sentenza Evans c. Regno Unito, cit.).

[53] Corte Edu 28 agosto 2012, Costa e Pavan c. Italia, ric. n. 54270/10.

[54] Sentenza S.H. et altri c. Austria, cit.

[55] Corte Edu, 1° aprile 2010, S.H. e altri c. Austria, ric. n. 57813/00.

[56] Corte Edu, 26 giugno 2014, Mennesson c. Francia, ric. n. 65192/11.

[57] Corte Edu, 26 giugno 2014, Labassee c. Francia, ric. n. 65941/11.

[58] Corte Edu, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli c. Italia [GC], ric. n. 25358/12.

[59] Si veda, in tema, L. Poli, Aborto e diritti umani fondamentali: Corte europea dei diritti umani e "treaty bodies" a confronto, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 1/2017, pp. 189 ss.

[60] Corte Edu, 5 settembre 2002, Boso c. Italia (dec.), ric. n. 50490/99.

[61] Corte Edu, 20 marzo 2007, Tysiąc c. Polonia, ric. n. 5410/03

[62] Corte Edu, A, B e C c. Irlanda [GC], ric. n. 25579/05.

[63] Vds. Corte Edu, 22 aprile 1992, Rieme c. Svezia, ric. n. 12366/86; 23 settembre 1994, Hokkanen c. Finlandia, ric. n. 19823/92; 7 agosto 1996, Johansen c. Norvegia, ric. n. 17383/90.

[64] La nozione di «vita familiare» include, peraltro, anche rapporti ulteriori rispetto a quelli costitutivi della famiglia nucleare, quali la parentela tra nonni e nipoti (Corte Edu, 9 giugno 1998, Bronda c. Italia, ric. n. 22430/93; 13 luglio 2004, Pla et Puncernau c. Andorra, ric. n. 69498/01) e tra fratelli (sentenza Scozzari e Giunta, cit.), sotto condizione di una prova più rigorosa dell’esistenza di legami personali effettivi (ad esempio, la coabitazione).

[65] A prescindere dalla circostanza che, al momento della nascita o successivamente, i coniugi abbiano cessato di convivere: Corte Edu, 21 giugno 1988, Berrehab c. Paesi Bassi, ric. n. 10730/84.

[66] Sentenza Keegan c. Irlanda,cit.

[67] Sentenza Marckx c. Belgio, cit., ove la Corte ha ritenuto contraria agli artt. 8 e 14 Cedu la legislazione belga, che non consentiva la costituzione della filiazione naturale tramite dichiarazione della madre nell’atto di nascita del figlio, costringendo la madre a formare una dichiarazione di riconoscimento posteriore o a esperire un’azione giudiziaria.

[68] In questo ultimo caso, gli Stati contraenti sono tenuti a bilanciare il diritto della madre a serbare l’anonimato con quello del figlio a conoscere le proprie origini, garantendo a quest’ultimo l’accesso a informazioni non identificanti (ad esempio, sull’identità genetica) della madre biologica (Corte Edu, 13 febbraio 2003, Odièvre c. Francia [GC], ric. n. 42326/98; 25 settembre 2012, Godelli c. Italia, ric. n. 33783/09).

[69] Corte Edu, sentenza Kroon, cit.; 7 febbraio 2002, Mikulic c. Croazia, ric. n. 53176/99, §§ 48-73; 20 dicembre 2007, Phinikaridou c. Cipro, ric. n. 23890/02, §§ 47-67; 2 giugno 2015, Canonne c. Francia (dec.), ric. n. 22037/13; 8 dicembre 2016, L.D. e P.K. c. Bulgaria, ricc. nn. 7949/11 e al., §§ 53-76.

[70] Corte Edu, sentenza Marckx c. Belgio, cit., relativa alla legislazione belga che, all’epoca dei fatti di causa, obbligava la madre ad adottare i figli naturali per garantire loro gli stessi diritti successori dei figli legittimi, dal momento che, nell’ordinamento belga, il figlio naturale non era erede e poteva ricevere l’intero asse ereditario solo se la madre non avesse altri successibili.

[71] Corte Edu, 1° febbraio 2000, Mazurek c. Francia, ric. n. 34406/97, relativa alle disposizioni del codice civile francese che attribuivano ai figli «adulterini» il diritto alla metà della quota ereditaria spettante ai figli legittimi, ove la Corte ha constatato una violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Cedu (diritto al rispetto dei beni), in combinato disposto con l’art. 14 Cedu; 22 dicembre 2004, Merger e Cros c. Francia, ric. n. 68864/01, (violazione degli artt. 8 e 14 Cedu), relativa alle disposizioni in materia di incapacità del figlio adulterino di ricevere liberalità dal padre che fosse sposato con altra persona al momento del concepimento e alle disposizioni che sancivano la nullità delle liberalità fatte dal padre alla madre naturale, in quanto donazioni per interposta persona.

[72] Sentenza Pla e Puncernau c. Andorra, cit.

[73] Sul tema vds. R. Baratta, Diritti fondamentali e riconoscimento dello "status filii" in casi di maternità surrogata: la primazia degli interessi del minore, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 2/2016, pp. 309 ss.; G. Rossolillo, Riconoscimento di "status" familiari e adozioni sconosciute all’ordinamento italiano, ivi, pp. 335 ss.; A. Di Blase, Riconoscimento della filiazione da procreazione medicalmente assistita: problemi di diritto internazionale privato, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, n. 4/2018, pp. 839 ss.

[74] Corte Edu, 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, ric. n. 76240/01; cfr. altresì 3 maggio 2011, Negrepontis-Giannisis c. Grecia, ric. n. 56759/08.

[75] Sentenza Mennesson c. Francia, cit., §§ 96-101; 21 luglio 2016, Foulon e Bouvet c. Francia, ricc. nn. 9063/14 e altri, §§ 55-58.

[76] Sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia, cit., §§ 179-216 (in cui il minore non era ricorrente).

[77] Corte Edu, 10 aprile 2019, parere n. P16-2018-001, su cui vds. A. Schuster, GPA: la tutela del minore limite invalicabile, in Articolo 29, 14 aprile 2019, reperibile online (www.articolo29.it/2019/gpa-la-tutela-del-minore-limite-invalicabile/).

[78] Nella sentenza Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, ric. n. 9697/82, relativa all’impossibilità di divorziare in Irlanda, la Corte ha sostenuto che costituisce limitazione, ma non svuotamento del diritto di sposarsi la mancata previsione del divorzio in una società che aderisca al principio della monogamia. La Corte si è basata, tra l’altro, sui lavori preparatori della Convenzione che escludono il diritto al divorzio dall’ambito applicativo dell’art. 12 Cedu. Il riferimento allo scioglimento del matrimonio contenuto all’art. 5 del Protocollo n. 7 non obbliga gli Stati contraenti a prevedere la possibilità del divorzio (relazione esplicativa cit., punto 39).

[79] Corte Edu, 9 ottobre 1979, Airey c. Irlanda, ric. n. 6289/73 (violazione dell’art. 8 Cedu).

[80] Corte Edu, 19 luglio 2007, Aresti Charalambous c. Cipro, ric. n. 43151/04.

[81] Corte Edu, 18 dicembre 1987, F. c. Svizzera, ric. n. 11329/85, ove la Corte europea ha ritenuto contrario all’art. 12 Cedu, perché sproporzionato, il divieto di contrarre nuove nozze per un periodo di tre anni, previsto dal codice civile svizzero e applicato a un divorziato nella sentenza relativa al terzo divorzio.

[82] Corte Edu, 18 febbraio 1999, Laino c. Italia [GC], ric. n. 33158/96.

[83] Corte Edu, 20 luglio 2001, Pellegrini c. Italia, ric. n.30882/96, ove la Corte ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 6 Cedu, per avere le autorità italiane garantito l’exequatur di una decisione di annullamento del matrimonio presa della Rota romana all’esito di un procedimento in cui la ricorrente non era stata avvertita del motivo della convocazione innanzi al tribunale ecclesiastico, non era stata assistita da un avvocato e non aveva potuto conoscere e discutere gli elementi probatori addotti dal marito e dai testimoni.

[84] Corte Edu, 19 settembre 2000, Glaser c. Regno Unito, ric. n. 32346/96; per una serie di recenti casi relativi all’ordinamento italiano, vds. Corte Edu, 17 novembre 2015, Bondavalli c. Italia, ric. n. 35532/12; 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia, ric. n. 68884/13;23 giugno 2016, Strumia c. Italia, ric. n. 53377/13;15 settembre 2016, Giorgioni c. Italia, ric. n. 43299/12.

[85] Corte Edu, 8 luglio 2003, Sahin c. Germania [GC], ric. n. 30943/96; 8 luglio 2003, Sommerfeld c. Germania [GC], ric. n. 31871/96.

[86] Sahin c. Germania, cit., § 64.

[87] Vds. Corte Edu, Sahin e Sommerfeld, cit.; 9 maggio 2006, C. c. Finlandia, ric. n. 18249/02, § 52; 29 aprile 2014, Z.J. c. Lituania, ric. n. 60092/12, § 96; 23 ottobre 2018, Petrov e X c. Russia, ric. n. 23608/16.

[88] Corte Edu, 23 giugno 1993, Hoffmann c. Austria, ric. n. 12875/87: viola gli artt. 8 e 14 Cedu il rifiuto delle autorità nazionali di affidare dei minori alla madre unicamente a motivo dell’appartenenza di quest’ultima alla comunità religiosa dei testimoni di Geova; 21 dicembre 1999, Salgueiro da Silva Mouta c. Portogallo, ric. n. 33290/96: viola le medesime disposizioni il diniego dell’affidamento di un minore al padre biologico, esclusivamente motivato dall’orientamento sessuale di quest’ultimo, che convive con un (nuovo) partner dello stesso sesso; tale rifiuto determina, in specie, una discriminazione in base all’orientamento sessuale nel godimento del diritto al rispetto alla «vita familiare» sussistente tra genitore e figlio.

[89] Commissione europea dei diritti umani, 9 settembre 1998, Purtonen c. Finlandia (dec.), resa in relazione all’art. 5 del Protocollo n. 7 alla Cedu.

[90] Corte Edu, 17 luglio 2008, Leschiutta e Fraccaro c. Belgio, ricc. nn. 58081/00 e al.

[91] La Corte ha precisato che occorre che il genitore sia affidatario del minore ai sensi del diritto interno: 2 settembre 2003, Guichard c. Francia (dec.), ric. n. 56838/00.

[92] Corte Edu, 25 gennaio 2000, Ignaccolo-Zenide c. Romania, ric. n. 31679/96; 29 marzo 2003, Iglesias Gil e A.U.I. c. Spagna, ric. n.56673/00; 23 aprile 2003, Sylvester c. Austria, ricc. nn.6812/97 e altri; 26 giugno 2003, Maire c. Portogallo, ric. n.48206/99; 5 aprile 2005, Monory c. Romania e Ungheria, ric. n. 71099/01; 22 giugno 2006, Bianchi c. Svizzera, ric. n. 7548/04; 6 novembre 2008, Carlson c. Svizzera, ric. n. 49492/06.

[93] Cfr. sentenze Monory,cit., § 81, e Carlson,cit., § 73.

[94] Corte Edu, 6 dicembre 2005, Eskinazi e Chelouche c. Turchia (dec.), ric. n. 14600/05; 27 aprile 2000, Tiemann c. Francia e Gemania (dec.), ricc. nn. 47457/99 e altri; 15 maggio 2003, Paradis c. Germania, (dec.), ric. n. 4783/03; 11 dicembre 2006, Mattenklott c. Germania (dec.), ric. n. 41092/06;6 dicembre 2007, Maumousseau e Washington c. Francia, ric. n. 39388/05.

[95] Corte Edu, 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], ric. n. 41615/07.

[96] Corte Edu, 26 novembre 2013, X c. Lettonia [GC], ric. n. 27853/09.

[97] La Corte ha, peraltro, puntualizzato che la nozione di «serio rischio», ai sensi dell’art. 13 lett. B) della Convenzione dell’Aja del 1980, riguarda le sole situazioni che eccedano quanto un minore possa ragionevolmente tollerare (X c. Lettonia, cit.).

[98] Sentenza Abdulaziz, Cabales and Balkandali c. Regno Unito, cit., § 67; 21 ottobre 1997, Boujlifa c. Francia, ric. n. 25404/94, § 42.

[99] La Corte ha specificato che i tribunali devono avere accesso alle informazioni in possesso della polizia, al fine di valutare la legittimità della misura: Corte Edu, 6 dicembre 2007, Liu c. Russia, ric. n. 42086/05.

[100] Corte Edu, 2 agosto 2001, Boultif c. Svizzera, ric. n. 54273/00.

[101] Corte Edu, 5 luglio 2005, Üner c. Paesi Bassi, ric. n. 46410/99; vds. altresì, recentemente, Corte Edu, 18 dicembre 2018, Saber e Boughassal c. Spagna, ricc. nn. 76550/13 e altri.

[102] Corte Edu, 26 gennaio 1999, Sarumi c. Regno Unito (dec.), ric. n. 43279/98; 9 novembre 2000, Shebashov c. Lettonia (dec.), ric. n. 50065/99.

[103] Cfr. le sentenze 7 agosto 1996, C. c. Belgio, ric. n. 21794/93; 24 aprile 1996, Boughanemi c. Francia, ric. n. 22070/93; 22 giugno 2004, Ndangoya c. Svezia, ric. n. 17868/03; 13 dicembre 2005, Pello-Sode c. Svezia, ric. n. 34391/05. Neppure la commissione di gravi infrazioni è sempre sufficiente a legittimare, sotto il profilo della Convenzione, una rottura dell’unità familiare del cittadino straniero: 10 aprile 2004, Mehemi c. Francia, ric. n. 53470/99; 11 luglio 2002, Amrollahi c. Danimarca, ric. n. 56811/00; 13 luglio 1995, Nasri c. Francia, ric. n. 19465/92.

[104] Corte Edu, 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi [GC], ric. n. 12738/10, § 107; Biao c. Danimarca, cit., § 117.

[105] Sentenza Abdulaziz, Cabales et Balkandali,cit.; Corte Edu, 28 novembre 1996, Ahmut c. Paesi Bassi, ric. n. 21702/93; 19 febbraio 1996, Gül c. Svizzera, ric. n. 23218/94.

[106] Corte Edu, 21 dicembre 2001, ric. n. 31465/96.

[107] Cfr. sentenza Sen,cit., ove i giudici hanno ritenuto che violasse l’art. 8 Cedu il rifiuto delle autorità olandesi di consentire il ricongiungimento a una coppia di coniugi turchi, residenti nei Paesi Bassi con due figli, del terzo figlio che si trovava in Turchia con la famiglia di origine. Nella decisione della Corte, ha rivestito un peso preponderante la difficoltà per la famiglia Sen di ristabilirsi in Turchia, dovuta al fatto che due dei tre figli erano cresciuti nei Paesi Bassi e si erano ivi integrati. Cfr. altresì Corte Edu, 1° dicembre 2005, Tuquabo-Tekle e altri c. Paesi Bassi, ric. n.60665/00, ove è stato giudicato contrario all’art. 8 Cedu il diniego del ricongiungimento familiare nei confronti della figlia quindicenne «di primo letto» di una cittadina eritrea residente nei Paesi Bassi e ivi sposata con un cittadino eritreo, dal quale aveva avuto altri due figli. La Corte ha ritenuto che la situazione peculiare della ricorrente, sfollata nel corso della guerra civile eritrea, giustificasse l’accoglimento della richiesta di ricongiungimento, pur presentata diversi anni dopo l’abbandono del Paese d’origine e relativa a una minore integrata nel tessuto sociale di tale Stato.

[108] Corte Edu, 31 gennaio 2006, Rodrigues da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi, ric. n.50435/99.

[109] Sentenza Rodrigues da Silva e Hoogkamer, cit., § 38; 22 giugno 1999, Ajayi e altri c. Regno Unito (dec.), ric. n. 27663/95; 5 settembre 2000, Solomon c. Paesi Bassi (dec.), ric. n. 44328/98.

[110] Corte Edu, 26 aprile 2007, Konstatinov c. Paesi Bassi, ric. n. 16351/03, § 50.

[111] Corte Edu, 10 luglio 2014, Tanda-Muzinga c. Francia, ric. n. 2260/10, § 82.