Il contratto nell’operazione (o procedimento) di ristrutturazione dei debiti
1. L’accordo di ristrutturazione dei debiti come procedura concorsuale nell’attuale impianto normativo
Il codice della crisi d’impresa segna una nuova tappa nel percorso di ricerca di nuovi equilibri tra la gestione “privatizzata” della crisi e dell’insolvenza, favorita dalle riforme dell’ultimo decennio (espressive di un chiaro favor per il modello contrattuale), e il controllo pubblicistico della stessa, nel quadro delle indicazioni comunitarie espresse dalla raccomandazione Ue n. 135/2014 (2014/135/UE) e sviluppate dalla proposta di direttiva n. 723/2016 [COM(2016)723].
Figura emblematica di tale percorso è quella dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, introdotta nel 2005 (con il dl 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla l. 14 maggio 2005, n. 8, che ha introdotto l’art. 182-bis) e oggetto di plurimi interventi nel decennio successivo (prima con il d.lgs 12 settembre 2007, n. 169, che ha introdotto alcune novità riguardanti la classificazione dei creditori e la loro suddivisione in classi; poi con il dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, che ha previsto misure protettive del patrimonio del debitore; successivamente, con il dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, che ha esteso l’ambito di operatività della disciplina tributaria in tema di sopravvenienze attive e di deducibilità delle perdite; infine, con il dl 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132, che ha introdotto l’art. 182-septies, disciplinante gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria).
Questo istituto, infatti, ha offerto di recente alla Suprema corte l’occasione di fare il punto sulla nozione di “procedura concorsuale” (sempre caratterizzata dal controllo giudiziale, anche se ridotto) e sulla sua differenza con gli accordi negoziali per la composizione o risoluzione della crisi di impresa.
In passato, a fronte della persistente mancanza nell’ordinamento di una definizione di “procedura concorsuale” (nozione pur considerata dal legislatore come categoria a diversi fini, primo tra tutti il riconoscimento della prededuzione prevista dall’art. 111, comma 2, l.fall.), si era affermata la tendenza a distinguere, tra gli istituti di diritto concorsuale, le procedure in senso stretto e gli accordi di diritto privato, individuando quali caratteristiche tipiche solo delle prime: 1) un intervento giudiziale nella fase iniziale, con un provvedimento di nomina di un giudice delegato e di un organo (curatore o commissario) a cui sia rimessa la gestione della procedura; 2) l’universalità degli effetti sul patrimonio del debitore (coinvolto per l’intero) e verso i creditori (tutti indistintamente); 3) l’apertura del concorso tra i creditori e il blocco del decorso degli interessi sui crediti chirografari; 4) il principio della par condicio creditorum, quanto meno tendenziale. Sulla base di questa impostazione gli accordi di ristrutturazione dei debiti, al pari dei piani attestati di risanamento ex art. 67 l.fall., erano stati qualificati come accordi di diritto privato.
Negli ultimi due anni invece la Corte di cassazione, dopo alcuni passaggi incidentali (nelle sentenze nn. 2311/14 e 16950/16), ha riaffrontato il tema della qualificazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti in modo sistematico, alla luce della più recente evoluzione normativa, ed è pervenuta a una nuova definizione (minimalista) della categoria delle procedure concorsuali. In particolare, la Suprema corte (con ben 9 sentenze nell’arco di poco più di un anno: nn. 1182/18, 1895/18, 1896/18, 9087/18, 12965/18, 16161/18, 16347/18, 12064/19, 13850/19), anche sulla base di una ricostruzione basata sul diritto concorsuale dell’Unione europea sotto il profilo del diritto uniforme (raccomandazione n. 135/2014 e proposta di direttiva n. 723/2016) e degli effetti dell’insolvenza transfrontaliera (regolamento Ue n. 848/2015), è giunta alla conclusione che nell’attuale sistema normativo i requisiti minimi affinché si possa parlare di procedura concorsuale sono: «(i) una qualsivoglia forma di interlocuzione con l’autorità giudiziaria, con finalità quantomeno “protettive” (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori, quantomeno a livello informativo e forse anche solo per attribuire ad alcuni di essi un ruolo di “estranei”, da cui scaturiscono conseguenze giuridicamente predeterminate; (iii) una qualche forma di pubblicità» (in questi termini, in particolare, la sentenza n. 9087/18).
Una siffatta definizione della nozione di procedura concorsuale (riduttiva rispetto al passato) e la ricostruzione della disciplina attuale degli accordi di ristrutturazione dei debiti ricavabile dall’art. 182-bis e dall’art. 182-septies l.fall. (caratterizzata, tra l’altro, da una progressiva procedimentalizzazione, con la previsione della possibilità di beneficiare di misure protettive anticipate, dalla previsione di una “passerella” con il concordato preventivo e dal divieto per i creditori di acquisire titoli di prelazione) hanno consentito alla Corte di attribuire piena natura concorsuale agli accordi (nonostante l’opinione contraria della parte prevalente della dottrina).
È significativa la definizione della cifra della concorsualità contenuta nella sentenza n. 9087/18: «la sfera della concorsualità può essere oggi ipostaticamente rappresentata come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione dei debiti), passando attraverso le altre procedure di livello intermedio, quali la liquidazione degli imprenditori non fallibili, le amministrazioni straordinarie, le liquidazioni coatte amministrative, il concordato fallimentare, il concordato preventivo, gli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento degli imprenditori non fallibili, gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria… Restano all’esterno di questo perimetro immaginario solo gli atti interni di autonoma riorganizzazione dell’impresa, come i piani attestati di risanamento e gli accordi di natura esclusivamente stragiudiziale che non richiedono nemmeno un intervento giudiziale di tipo omologatorio».
Ovviamente, questa conclusione non risponde solo a una mera esigenza classificatoria, poiché è destinata a giustificare l’applicazione analogica delle norme generali in materia di procedure concorsuali o comunque l’applicazione diretta dei principi generali che governano le stesse agli accordi di ristrutturazione dei debiti (così come agli altri istituti di diritto concorsuale caratterizzati da una disciplina lacunosa o minimalista, come attualmente le procedure di sovraindebitamento previste dalla legge n. 3/2012). Pur nella difficoltà a individuare le une e gli altri, il riferimento più immediato riguarda l’applicabilità della disciplina delle prededuzioni ricavabile dall’art. 111 l.fall., la possibilità di riconoscere la consecutio tra procedure in caso di fallimento, con conseguente retrodatazione del periodo sospetto, e la stessa applicabilità del regolamento Ue n. 848/2015. In questa prospettiva, la Corte di cassazione, con le sentenze su richiamate, ha affermato, ad esempio, la prededucibilità dei compensi dei professionisti che hanno coadiuvato l’imprenditore nella presentazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (sentenza n. 1182/18), l’applicabilità dell’art. 162, comma 1, l.fall. laddove il tribunale ravvisi la necessità di integrazioni della proposta di accordo (sentenza n. 9087/18), la prededucibilità dei finanziamenti funzionali all’accordo di ristrutturazione dei debiti (sentenza n. 16347/18), la sovrapponibilità del controllo di legalità formale e sostanziale del tribunale in sede di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti a quello effettuato in sede di omologa del concordato preventivo (sentenza n. 12064/19) e la possibilità di richiedere il fallimento in corso di esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti negli stessi termini in cui è riconosciuta la possibilità di richiedere il fallimento omisso medio durante la fase esecutiva del concordato preventivo omologato.
2. La conferma dell’accordo come procedura concorsuale nel codice della crisi di impresa
Occorre, a questo punto, chiedersi se il codice della crisi d’impresa si ponga in continuità o discontinuità con l’orientamento evidenziato.
La legge delega n. 155/2017 non offre significativi spunti, essendosi limitata a prevedere (art. 5, titolato «Accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati di risanamento») che, nell’esercizio della delega, il Governo dovesse attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi: a) estendere la procedura di cui all’art. 182-septies del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, all’accordo di ristrutturazione non liquidatorio o alla convenzione di moratoria conclusi con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75 per cento dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee; b) eliminare o ridurre il limite del 60 per cento dei crediti previsto nell’art. 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ove il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei, di cui al primo comma del citato articolo 182-bis, né richieda le misure protettive previste dal sesto comma del medesimo articolo; c) assimilare la disciplina delle misure protettive degli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella prevista per la procedura di concordato preventivo, in quanto compatibile; d) estendere gli effetti dell’accordo ai soci illimitatamente responsabili, alle medesime condizioni previste nella disciplina del concordato preventivo.
Invece, l’attuazione della delega con il d.lgs n. 14/2019 (che dedica agli accordi gli artt. 57-64) appare idonea a rivelare l’opzione di fondo seguita dal legislatore, pur mancando, anche in esso, una definizione di procedura concorsuale. In particolare, se la considerazione della collocazione sistematica della disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti (nel capo relativo agli «Accordi», insieme agli «Strumenti negoziali stragiudiziali») potrebbe indurre a riqualificare l’istituto in esame come un accordo di diritto privato, la considerazione della disciplina complessiva dettata per esso nel codice sembra sostenere l’opinione contraria e, quindi, il rafforzamento della qualificazione come procedura concorsuale.
In questa prospettiva assumono rilievo: 1) la disciplina della prededuzione dei crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di omologazione dell’accordo, speculare a quella riguardante i professionali sorti in funzione della domanda di concordato preventivo (art. 6); 2) la previsione della soggezione al procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi anche per la domanda di omologa dell’accordo; 3) il condizionamento di tale domanda allo stesso corredo documentale (art. 39) e alla stessa sottoscrizione e approvazione (art. 44) prevista per il concordato preventivo; 4) la previsione di una disciplina comune al concordato preventivo per le misure protettive (art. 54); 5) la previsione della disciplina di accesso all’omologa dell’accordo e dell’omologa stessa unitamente a quella dell’accesso al concordato preventivo e della sua omologa (artt. 44 e 48); 6) la previsione della nomina obbligatoria del commissario giudiziale nel caso di domanda di accesso al giudizio di omologazione dell’accordo di ristrutturazione in presenza di istanze di apertura della procedura di liquidazione giudiziale (art. 44, che, peraltro, sembra comunque ammettere la nomina discrezionale del commissario negli altri casi); 7) l’estensione all’accordo della sospensione dell’operatività delle norme societarie relative alla riduzione o perdita del capitale sociale, attualmente prevista dall’art. 182-sexies solo per il concordato preventivo (artt. 64 e 89); 8) l’estensione all’accordo dell’effetto esdebitatorio per i soci illimitatamente responsabili, attualmente previsto solo per il concordato preventivo dall’art. 184 l.fall. (art. 59).
La valutazione complessiva di questi indici normativi induce a ritenere che il legislatore della riforma abbia voluto considerare gli accordi di ristrutturazione dei debiti come procedure concorsuali, per di più integrando in modo significativo la disciplina attuale e riducendo quindi i margini di applicazione analogica delle norme relative ad altre procedure concorsuali (si pensi, ad esempio, all’aspetto, più rilevante, della prededuzione dei crediti sorti in funzione del procedimento o all’interno di esso: vds. art. 6). Diviene, quindi, irrilevante esaminare la persistente attualità della nozione di procedura concorsuale di recente elaborata dalla giurisprudenza di legittimità (che, peraltro, appare pienamente in linea con il contenuto della proposta di direttiva n. 723/2016).
Del resto, la conclusione sostenuta riguardo alla volontà del legislatore della riforma è già stata anticipata dalla Corte di cassazione nel quadro del tentativo generale (tanto opportuno quanto pericoloso, ove si consideri la possibilità di interventi correttivi del legislatore prima dell’entrata in vigore del codice) di verificare la tenuta degli attuali orientamenti giurisprudenziali alla luce delle novità introdotte dal codice della crisi d’impresa. E infatti, nella sentenza n. 13850/19, ha affermato espressamente che la qualificazione dell’accordo per la ristrutturazione dei debiti come procedura concorsuale trova riscontro nella riforma e, in particolare, nella previsione di un procedimento unitario per l’accesso alla procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza e nella condivisione dei presupposti soggettivi e oggettivi con le altre procedure concorsuali.
3. Il ruolo del contratto nella procedura concorsuale di ristrutturazione dei debiti
Data per acquisita la natura di procedura concorsuale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (e quindi la sua soggezione alla lex concursus), occorre chiedersi quale sia la dimensione assunta dal contratto all’interno di essa (e quindi quali siano i margini di applicazione della lex contractus).
A questo fine, è utile una ricognizione delle novità della disciplina sostanziale dell’accordo introdotte dal codice della crisi di impresa. In particolare, il legislatore, dando piena attuazione ai criteri fissati dall’art. 5 della legge delega su riportati e nel chiaro intento di “rivitalizzare” l’istituto, ha previsto: 1) la possibilità di ricorrere all’accordo per tutti gli imprenditori, anche non commerciali, diversi dall’imprenditore minore (e cioè sotto soglia) e non solo quando via sia una situazione di crisi, ma anche quando vi sia già una situazione di insolvenza (art. 57); 2) la necessità che l’accordo contenga l’indicazione di tutti gli elementi del piano economico-finanziario che ne consente l’esecuzione, al pari dei piani attestati di risanamento (art. 57); 3) la specificazione che il professionista incaricato dell’attestazione prenda posizione sulla fattibilità “economica e giuridica” del piano (art. 57); 4) la riduzione alla metà della percentuale di adesione del 60 per cento, necessaria per l’omologa, nell’ipotesi in cui l’imprenditore non proponga la moratoria dei creditori estranei e non si avvalga delle misure protettive (art. 60); 5) la generalizzazione della possibilità di proporre accordi ad efficacia estesa, vincolanti anche per i creditori non aderenti, ma appartenenti a categorie omogenee, attualmente limitata dall’art. 182-septies l.fall. all’ipotesi in cui almeno la metà del ceto creditorio sia bancario, a condizione: che tutti i creditori appartenenti alla categorie siano coinvolti nelle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi; che l’accordo preveda la continuità dell’attività aziendale anche in forma indiretta (al pari di quanto previsto dall’art. 84, comma 2, per i concordati) e la soddisfazione significativa o prevalente dei creditori con il ricavato dell’attività di impresa; che i crediti dei creditori aderenti corrispondano almeno al 75 per cento dei crediti complessivi dei creditori appartenenti alla categoria omogenea; che i creditori non aderenti siano soddisfatti in misura non inferiore al risultato conseguibile in caso di liquidazione giudiziale, e che l’accordo e la domanda di omologazione siano notificati a tutti i creditori non aderenti (art. 61); 6) la possibilità di modificazioni sostanziali del piano, prima e dopo l’omologazione dell’accordo, con la rinnovazione dell’attestazione e, nel primo caso, con la manifestazione del consenso dei creditori; nel secondo caso, con la semplice comunicazione della pubblicazione della modificazione ai creditori, ai quali è riconosciuta la possibilità di proporre opposizione entro trenta giorni (art. 58); 7) l’applicazione dell’art. 1239 cc ai creditori aderenti e l’estensione all’accordo dell’effetto esdebitatorio per i soci illimitatamente responsabili (art. 59).
L’unica tra queste novità idonea a sorreggere l’affermazione della persistente valorizzazione del modello contrattuale nel procedimento in questione è quella dell’ampliamento della possibilità di stipulare accordi non vincolanti per i creditori estranei, con la riduzione alla metà della percentuale minima degli aderenti (30 per cento), l’esclusione di qualsiasi effetto (in termini di moratoria) per i creditori non aderenti e la riduzione dell’impatto procedimentale attraverso l’esclusione delle misure protettive. Questa novità, infatti, può essere interpretata come un’applicazione rigorosa dell’art. 1372 cc all’accordo. Essa, tuttavia, pur essendo espressiva del riconoscimento del maggior grado di autonomia riconosciuto alle parti rispetto ad altre procedure concorsuali, non può essere sopravvalutata, sia perché in linea con la nozione minimalista di coinvolgimento dei creditori quale presupposto della procedura concorsuale nei termini su evidenziati, sia perché di minore impatto rispetto alle ulteriori novità di segno contrario.
Tra queste ultime, in particolare, meritano di essere evidenziate: 1) la notevole espansione dell’ambito di applicazione degli accordi a efficacia estesa previsti dall’art. 61, con la conseguente esasperazione della deroga all’art. 1372 cc (nei confronti dei creditori non aderenti della categoria omogenea) e, quindi, la sostituzione del meccanismo della deliberazione a maggioranza (proprio del concordato preventivo) a quello dell’accordo quale elemento essenziale del contratto; 2) l’espresso riferimento, nell’art. 57, alla fattibilità economica e giuridica del piano quale contenuto necessario dell’attestazione del professionista indipendente (in misura speculare a quanto previsto per il concordato preventivo), con la conseguente estensione del controllo del tribunale in sede di omologa a questa fattibilità omnicomprensiva (anche in tal caso, in misura corrispondente a quanto avviene per il concordato preventivo, come peraltro già affermato dalla Corte di cassazione nell’attuale impianto normativo: sentenza n. 12064/19) e con la corrispondente riduzione del grado di autonomia negoziale riconosciuto alle parti; 3) la possibilità prevista dall’art. 59 di modifiche dell’accordo dopo l’omologa, senza la necessità del consenso espresso dei creditori aderenti, essendo sufficiente la semplice non opposizione, con la conseguente riduzione al minimo delle modalità di espressione e tutela della loro volontà negoziale.
Queste novità, infatti, rendono evidente come il legislatore della riforma abbia assegnato al modello contrattuale un ruolo recessivo nella procedura di ristrutturazione dei debiti. Può quindi affermarsi per l’istituto in esame la definitiva prevalenza della lex concursus sulla lex contractus.
4. La tutela dei creditori nella fase di esecuzione dell’accordo
La conclusione su esposta consente di ipotizzare la soluzione dei dubbi interpretativi che potranno porsi, al momento dell’entrata in vigore del codice, con riferimento alle modalità di tutela dei creditori aderenti (o vincolati, nell’ipotesi prevista dall’art. 61) nella fase di esecuzione dell’accordo. Il legislatore della riforma, infatti, non ha colmato le lacune dell’attuale normativa riguardo a tale fase, a eccezione dell’introduzione di una specifica disciplina delle modalità di modifica dell’accordo. In particolare, questa scelta, nel contesto di un “mutamento di pelle” dell’istituto, potrebbe rendere ancora più incerta l’individuazione degli strumenti di tutela azionabili dai creditori in caso di inadempimento delle obbligazioni assunte dall’imprenditore con l’accordo (argomento, questo, già oggetto di diversi approcci nel vigore dell’attuale disciplina).
Orbene, la qualificazione e la disciplina dell’accordo come procedura concorsuale, l’equiparazione sotto molteplici profili al concordato preventivo, l’espansione del controllo giudiziale in sede di omologa (finalizzato alla verifica della legalità formale e sostanziale del piano e, quindi, della sua fattibilità economica e giuridica) e, infine, l’evidenziata attribuzione di un ruolo recessivo al modello contrattuale inducono a ritenere ragionevole la tesi secondo cui le azioni esperibili dai creditori aderenti o vincolati sono solo quelle previste in relazione all’esecuzione del concordato preventivo, e quindi l’azione di risoluzione prevista dall’art. 119, sul presupposto di un inadempimento di non scarsa importanza, e l’azione di annullamento prevista dall’art. 120, in caso di atti frode (che, nel caso di specie, vanno rapportati all’obbligo di informazione e, più in generale, di buona fede nella fase delle trattative e di conclusione dell’accordo), in entrambi i casi con il veicolo del procedimento previsto dagli artt. 40 e 41. L’aspetto più problematico dell’applicazione analogica di tali disposizioni potrebbe, però, essere costituito dall’operatività dei ristretti termini di decadenza da esse previsti. La natura eccezionale di tali termini dovrebbe indurre a sostenere la tesi negativa (quindi l’applicabilità del termine ordinario di prescrizione delle corrispondenti azioni contrattuali), anche se la considerazione delle esigenze di certezza e di stabilità della composizione e soluzione della crisi di impresa e l’affermata prevalenza della lex concursus potrebbero giustificare la soluzione opposta.