Il sovraindebitamento, alcune riflessioni su cause, effetti e possibili rimedi
1. Introduzione
Il sovraindebitamento è una piaga sociale che negli ultimi anni ha assunto dimensioni catastrofiche. Basti pensare che, già qualche anno fa, Carlo Milani[1] metteva in evidenza un dato preoccupante: i nuclei familiari sovraindebitati erano passati dai circa 200.000 del 2000 ai circa 1.200.000 del 2012. Una crescita esponenziale del fenomeno, che ha registrato una forte impennata durante la crisi iniziata nel 2008, ma che ha di certo origini più profonde dell’esplodere di quella crisi finanziaria che, dall’America, si è riversata su molta parte del mondo. Il sovra indebitamento, quindi, richiede di essere analizzato al di là di una congiuntura economico-finanziaria sfavorevole perché la sua dinamica presenta aspetti strutturali che vanno compresi e interpretati – se si vogliono dare risposte valide – anche andando al di là della necessità di mettere in campo strumenti specifici per rispondere a emergenze congiunturali.
In questo breve scritto si proporranno alcune semplici riflessioni sulle caratteristiche del fenomeno (par. 2) e sulle possibili cause di esso (par. 3), riservando alle conclusioni (par. 4) qualche breve considerazione sulla logica che, a parere di chi scrive, dovrebbe ispirare gli interventi di policy in coerenza con lo stato attuale delle conoscenze e nella prospettiva di incidere davvero sul fenomeno.
2. Caratteristiche principali del sovraindebitamento delle famiglie
A conferma di quanto detto nell’introduzione, possono essere ricordati i dati di cui si è detto poco sopra[2]. La questione necessiterebbe di ulteriori studi e approfondimenti quantitativi[3] per rispondere con maggior precisione di quanto non si possa fare oggi, grazie agli studi di Maurizio Fiasco e altri, a domande del tipo: quale identikit ha la famiglia sovraindebitata? Quanto grave è la situazione di indebitamento? Chi, all’interno dei nuclei familiari, è più “responsabile” dell’accaduto? E chi il più debole e il più danneggiato?
Nonostante l’impegno e la dedizione al tema di alcuni studiosi e di alcune realtà associative, mancano, ad oggi – anche all’indomani di interessanti innovazioni legislative –, una riflessione più articolata e un quadro più chiaro della situazione concreta e delle proposte da mettere in campo; inoltre, mancano sia un dibattito pubblico sia l’interesse della politica.
È giusto, all’inizio dei nostri brevi ragionamenti, precisare che, da un punto di vista squisitamente economico, l’indebitamento non va considerato in sé come un male; esso, anzi, è stato (e resta) uno strumento fondamentale per rendere possibili processi di sviluppo volti ad apportare miglioramenti in campo sociale ed economico a vantaggio dei privati cittadini, delle imprese e di nazioni intere, così come gli si può riconoscere il merito di favorire il superamento di situazioni contingenti di squilibrio tra entrate e uscite. Infatti, è il sistema del prestito che consente di investire in macchinari, impianti ed altre forme di capitale fisico, in istruzione, aggiornamento, professionalizzazione, in infrastrutture civili materiali o immateriali, accelerando gli aumenti di produttività di imprese, persone e intere comunità. L’indebitamento diviene un male solo quando si trasforma in sovraindebitamento e, quindi, in un fenomeno che prende ad assumere caratteristiche tali per cui vi è uno squilibrio strutturale tra le obbligazioni assunte da un individuo, da un imprenditore, da uno Stato (ma per lo Stato il discorso è diverso, e non se ne parlerà in questa sede) e le pretese del/i creditore/i; in altre parole, quando per il debitore diventa impossibile l’adempimento non solo nel breve periodo, ma anche nel medio-lungo periodo. Negli anni più recenti, nel nostro Paese questo scivolamento verso il sovraindebitamento è stato anche la conseguenza, per tanti piccoli imprenditori, di scelte ancorate alla memoria di un passato nel quale le performance economiche erano diverse e si riusciva a restituire quanto si prendeva in prestito. In periodi di crisi non si riesce a restituire e il sistema, se non ti aiuta alle prime difficoltà, lascia alle istituzioni finanziarie – e non solo – il potere far lievitare i debiti molto rapidamente. Per le famiglie, almeno qualche anno fa, ha giocato un ruolo analogo il meccanismo dei mutui a tasso variabile, innescando circoli viziosi interessi-debito che, se si interveniva per tempo, potevano essere interrotti abbastanza agevolmente.
Sulla questione generale e sui casi particolari, ovviamente, sarebbero moltissimi gli aspetti da approfondire, anche solo a livello definitorio[4], sia per fare maggiore chiarezza sulla gravità del fenomeno e sulle sue determinanti, sia per poter pensare i rimedi adatti alla necessità di arginare il fenomeno colpendone le cause e non limitandosi solamente ad attenuarne gli effetti e i danni nell’immediato. Si consideri che ci troviamo, con ogni probabilità, di fronte a un fenomeno multiforme e multicausa ed è, quindi, ovvio il bisogno di pensare a strumenti diversificati e a un sistema di implementazione efficiente degli stessi – un sistema, cioè, che consenta di trattare in modo differente casi diversi. Qualche considerazione ulteriore sui rimedi verrà proposta nelle conclusioni.
Quanto al tema delle definizioni e delle classificazioni, è chiaro, ad esempio, che è importante distinguere il caso del sovraindebitamento temporaneo da quello permanente. Il primo si riferisce a una situazione di temporanea incapacità di onorare i debiti che, se non curata, può cronicizzarsi in modo da spingere le persone in una situazione di permanente incapacità di soddisfare le pretese dei propri creditori. La seconda si presenta come una situazione assai più grave, che si produce allorché nessun piano di rientro possa essere messo in campo senza un’immissione straordinaria di risorse a vantaggio del debitore o la creazione di una frattura temporale tra un passato con situazioni irrisolvibili e un futuro con una gestione più oculata dei flussi di entrate e di uscite della persona o della famiglia. Tuttavia, anche in questo caso, probabilmente, disporre di uno strumento agile che consenta di intervenire tempestivamente quando bastano alcune migliaia di euro per bloccare la spirale del debito, consentirebbe di evitare lo scivolamento progressivo e inesorabile verso sovraindebitamenti a cinque o sei cifre.
3. Le cause del sovraindebitamento
Vi è, poi, da approfondire – sia pur nei limiti di un breve saggio e senza avere la possibilità di condurre analisi empiriche – il tema delle cause del sovraindebitamento. Qualche considerazione teorica in merito al perché sia cresciuta così tanto questa piaga sociale può essere utile a guidare futuri approfondimenti. Come per la maggior parte dei fenomeni sociali, è sempre difficile identificare i nessi di causalità tra gli eventi ed è, quindi, difficile anche costruire modelli interpretativi in grado di testare la bontà delle ipotesi sulle cause del sovraindebitamento; è difficile, cioè, avere certezze sulle ipotesi che, in questa sede, deduciamo da un’analisi delle dinamiche economiche e sociali connesse alla generazione di redditi, alle scelte di consumo e di investimento di persone e famiglie, al ruolo di istituzioni finanziarie e sociali. Tuttavia, tentare di suffragare le ipotesi teoriche è il contributo che la ricerca scientifica può dare alla soluzione del problema, ma per questo occorrono dati e analisi descrittive.
Leggendo con le lenti dell’economista critico gli eventi della società italiana degli ultimi decenni, caratterizzati, peraltro, da una globalizzazione che ha anche spinto verso una omologazione dei gusti e dei consumi su scala mondiale, ci sembra di poter segnalare almeno quattro possibili fattori – tra loro spesso intrecciati in modo inestricabile – che, singolarmente o congiuntamente, determinano una tendenza al sovraindebitamento più diffusa oggi rispetto a un passato anche non troppo lontano:
- tendenza al sovra-consumo;
- illusione della jackpot economy;
- aumento delle diseguaglianze e, quindi, dell’aspiration gap (del divario delle aspirazioni);
- politiche lassiste di accesso ai prestiti da parte di banche e istituzioni finanziarie.
Il nostro sistema sociale e la nostra cultura tendono a promuovere consumi di beni e servizi che si acquistano sul mercato favorendo, in mille modi, l’identificazione del benessere con il consumo di merci. Vi è dunque una spinta forte al sovraconsumo, inteso come un consumo di beni e servizi che alimenta uscite superiori alle entrate e, quindi, uno squilibrio di bilancio che, se non viene aggiustato nel periodo successivo con entrate superiori alle uscite, tende a diventare un sistematico eccesso della spesa (alimentata anche dal pagamento degli interessi) sul reddito. È sotto gli occhi di tutti quanto questo processo venga alimentato da mode, gerarchie sociali basate sul consumo in generale e sul consumo di beni considerati status symbol in particolare, pubblicità più o meno ingannevoli che fanno diventare, o apparire, come necessari beni – o accessori di beni – che fino a qualche tempo fa non esistevano o non venivano affatto considerati necessari.
Per quanto riguarda, invece, l’illusione della jackpot economy, essa è certamente causata da una sempre più diffusa idea che i problemi si possano risolvere con una bella vincita: il miraggio che tutti i problemi possano essere superati in modo facile e definitivo attraverso un po’ di fortuna, che prende le vesti ora di numeri sorteggiati ora di partita vinta in qualche stadio di calcio del mondo, ora di altro avvenimento a priori improbabile e, proprio per questo, generatore di vincite esaltanti. Anche su questo punto, sembra di poter citare alcune evidenze assai chiare: gli ultimi anni hanno visto crescere il fatturato delle società che si occupano di gioco in modo esponenziale (da poco più di 88 miliardi nel 2014 a 106,8 miliardi nel 2018[5]; se andassimo indietro nel tempo, la crescita risulterebbe ancora più evidente). Le questioni sulle quali è possibile scommettere sono aumentate in modo incredibile e, da un contesto nel quale lotto, enalotto, totocalcio e corse ippiche erano le uniche realtà di un mondo guardato con preoccupazione da istituzioni, famiglie e cittadini, si è passati a una situazione nella quale si può scommettere tutti i giorni, a qualsiasi ora del giorno e della notte e, praticamente, su qualunque evento sportivo o sua articolazione e su tanti altri eventi futuri il cui esito non sia da considerarsi ex ante certo. I vincitori sono aumentati, ma anche i cosiddetti perdenti, e la ludopatia è un termine nuovo che il vocabolario non conosceva e che dovrà ormai essere inserito rapidamente tra le malattie, così come è stato (e andrà sempre più chiaramente) introdotto il gioco tra le dipendenze.
Si può, poi, affermare, alla luce dei risultati di numerosissimi studi effettuati sul tema della disuguaglianza[6], che viviamo in un mondo in cui, da qualche decennio a questa parte, si assiste a un aumento esponenziale delle distanze economiche e sociali tra individui e classi sociali. Il sistema economico globale tende sempre più a generare disuguaglianze e, proprio perché più disuguaglianza significa necessariamente più concorrenza, più frustrazione, più tendenza a cercare di raggiungere gli altri su una dimensione che è quella del consumo e degli standard di vita, le persone tendono a indebitarsi pur di omologare i propri consumi a quelli di chi sta più in alto nella scala sociale.
In questo, ovviamente – e siamo giunti all’ultima causa della crescita della piaga del sovraindebitamento – il sistema finanziario e il sistema bancario non sempre sono stati alleati di chi ha cercato di contrastare questi fenomeni; molto spesso, anzi, le agenzie finanziarie, pur di impiegare la liquidità disponibile – che, in qualche modo, è frutto della stessa disuguaglianza, dei traffici illeciti della criminalità organizzata e dell’eccesso di ricchezze finanziarie a disposizione di alcuni –, si sono mosse e si muovono nella direzione di offrire un facile accesso al credito anche in presenza di una chiara debolezza delle prospettive di restituzione, spesso sottovalutata sperando in interventi successivi di riparazione dei danni fatti.
4. Conclusioni
Sembra evidente, dai pochi e sintetici cenni proposti in precedenza, che non esistono rimedi facili al fenomeno. Si tratta, infatti, di attivare una pluralità di strumenti in grado di progettare percorsi diversi per le diverse situazioni di difficoltà. Abbiamo già fatto cenno all’utilità di strumenti di intervento tempestivo quando compaiono i primi segnali di squilibrio non giustificato tra entrate e uscite.
Tuttavia, perché nasca e si strutturi una politica adeguata, nel rispetto ovviamente di quei principi etici e giuridici che non possono essere dimenticati (parità di trattamento, tutela dei diritti dei creditori, etc.), è necessario che si apra un confronto pubblico tra i diversi soggetti che possono contribuire a contrastare il sovraindebitamento e i suoi effetti. Sarebbe, in quest’ottica, molto utile costruire sedi per un dialogo serrato e costruttivo tra i diversi attori del pubblico, del privato, del mondo delle organizzazioni non profit con l’idea – innanzitutto, ma non solo – di promuovere, sin dalla scuola, l’elaborazione di un diverso modello culturale meno centrato sul consumo, inteso solo ed esclusivamente da un punto di vista materiale, e più indirizzato verso scelte di vita e, quindi, di spesa più equilibrate e sostenibili.
Dal punto di vista dell’educazione finanziaria, per giovani e per adulti, un contributo importante andrebbe richiesto al settore bancario e finanziario, chiedendo allo stesso non solo di fare la propria parte per “alfabetizzare” alle questioni finanziarie quote sempre più ampie di popolazione, ma anche un cambiamento nella strategia di concessione di prestiti, con maggiore attenzione a informare adeguatamente persone e imprese e a scoraggiare un accesso eccessivo a strumenti di finanziamento dei consumi, soprattutto quando è evidente il rischio per la stabilità di lungo periodo dei bilanci familiari o d’impresa.
Un cambiamento di rotta, inoltre, dovrebbe essere necessariamente sostenuto con determinazione da azioni di tipo normativo e mediatico, volte a disincentivare certi atteggiamenti e certe scelte che possono condurre a situazioni di grave difficoltà economica. Ne sono un esempio le scommesse che, soprattutto negli ultimi anni, hanno rappresentano una delle cause di sovraindebitamento e di povertà. Oggi, accendendo il televisore o navigando sul web, si ha la chiara percezione che si faccia di tutto per spingere le persone a tentare la sorte attraverso scommesse e gioco, e si prospettano alte probabilità di successo che hanno di certo influenza proprio sulle persone più fragili: sono bombardamenti di impulsi che possono rivelarsi pericolosissimi per chi, trovandosi in difficoltà, spera di poter risolvere i propri problemi economici con una vincita. Sarebbe, quindi, auspicabile un massiccio intervento da parte delle istituzioni pubbliche per mettere in atto misure capaci di disincentivare questo tipo di atteggiamento.
Naturalmente, niente vien detto qui sul grande tema della disuguaglianza, ma è più che mai evidente che un mondo meno diseguale, dove la politica economica collochi nuovamente al centro l’esigenza di ridurre il gap tra ricchi e poveri, sarebbe un mondo con minori problemi… anche sul fronte del sovraindebitamento.
[1] Cfr., ad esempio, C. Milani, Il sovraindebitamento delle famiglie italiane, in Welfare oggi, n. 4/2016, pp. 54-57.
[2] M. Fiasco, Il sovraindebitamento delle famiglie italiane nel decennio 2006-2016. Dimensioni, caratteristiche, proposte, relazione presentata al Convegno della Consulta nazionale antiusura, Assisi, 22-23 giugno 2018 (www.consultantiusura.it/pdf/assemblea-convegno_assisi_2018/RICERCA%202018%20%27Sovraindebitamento%20famiglie%20italiane%20decennio%202006-2016%27%20-%20Maurizio%20Fiasco.pdf).
[3] G. D’Alessio, S. Iezzi, 2016, Over-indebtedness in Italy: how widespread and persistent is it?, in Questioni di Economia e Finanza, n. 319/2016, Banca d’Italia, Roma, marzo 2016.
[4] Si vedano gli studi e i rapporti citati nelle note precedenti e, in particolare, per gli aspetti anche tecnici legati agli indicatori, lo studio della Banca d’Italia.
[5] Cfr. Agenzia delle dogane e dei monopoli, Libro blu, anni vari, che è possibile rinvenire in rete (www.adm.gov.it/portale/).
[6] Si veda, da ultimo, il libro di Chiara Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza, Laterza, Bari, 2019, che offre una interessante lettura nuova del fenomeno.