Giudici e populismo.
Uno sguardo all’America (e non solo)
1. Populismo e potere giudiziario
Si pensa di solito ai giudici come alle prime vittime del populismo ed anzi si costruisce il concetto di populismo proprio a partire dall’atteggiamento che i regimi populisti mostrano nei confronti del potere giudiziario. Secondo questo modo di procedere un sistema politico è populista se il potere politico, ma più correttamente il potere esecutivo, agisce facendo appello ad un popolo ritenuto omogeneo e tende a sconfinare sugli altri poteri. Seguendo questo modo di ragionare il carattere distintivo del populismo è il sostanziale rifiuto del principio della separazione dei poteri e soprattutto dell’indipendenza della funzione giudiziaria[1].
Di norma tale lettura del populismo si associa ad un’altra che colloca il nocciolo ideologico del fenomeno nell’idea che la politica debba essere espressione diretta ed immediata della volontà di un popolo che si esprime all’unisono. In questa concezione, che può essere definita rousseauiana, i controlimiti al potere populista vengono rifiutati con tre argomenti. Innanzitutto, poiché la volontà generale è una, essa può essere autenticamente rappresentata da una sola istituzione (tipicamente il gruppo politico populista o addirittura il leader populista). In secondo luogo, poiché la volontà generale è per definizione corretta non ha bisogno di standard a cui essere ancorata. Ne segue il rifiuto dei parametri costituzionali. In terzo luogo, poiché la volontà generale è trasparente, e cioè immediatamente traducibile in qualche atto di governo, le forme in cui essa viene resa palese diventano irrilevanti. Un comunicato sui social network può svolgere la funzione della legge, un messaggio televisivo sostituire il Parlamento.
C’è del vero in questa ricostruzione. Eppure, questo approccio, che può essere definito istituzionale, non solo non spiega in cosa l’autoritarismo di stampo populista differisca da altre forme di autoritarismo, ma trascura anche un aspetto essenziale del populismo, e cioè l’antielitismo, e dunque non consente di cogliere la dimensione difensiva del populismo che discende da una profonda diffidenza nei confronti dei poteri tradizionali.
Vi è poi un’ultima ragione dell’insufficienza dell’approccio istituzionale. Se si accoglie la possibilità che il populismo sia qualcosa di più che uno stile politico diretto e promosso dai nuovi media[2] o una forma di strategia politica che premia gli outsiders[3] o la prepotenza di una maggioranza al potere e se ne riconosce la dimensione ideologica, allora è opportuno porsi le domande necessarie di fronte a qualsiasi ideologia politica. Occorre cioè chiedersi da dove derivi il successo dell’ideologia populista, quali elementi ne abbiano propiziato la nascita e poi la diffusione, se essa non lambisca settori della società ben più ampi dei partiti che si professano populisti, e se non condizioni perfino il modo di intendere la funzione giudiziaria.
In queste pagine non si avanza naturalmente la pretesa di rispondere a tutte le domande. Si proverà piuttosto a buttare giù qualche considerazione neanche troppo organizzata. Non si può sfuggire però ad una pure approssimativa descrizione dei tratti salienti dell’ideologia populista. Ed è da qui che bisogna partire.
2. Populismo come ideologia che esalta il common man. Uno sguardo alla letteratura nordamericana
L’idea centrale del populismo è normativa. Non descrive uno stato di cose ma prescrive un corso d’azione. L’idea è: la società politica va distinta in due gruppi antagonisti, l’élite e il popolo, e tale contrapposizione è preordinata a consentire che il popolo possa dire la sua su questioni pubbliche per opporsi al potere della élite. Si tratta di un’ideologia a tal punto generica che è possibile che finisca accoppiata o addirittura fagocitata da ideologie più dense e opposte come il nazionalismo, il razzismo ma anche il socialismo. Non è un caso che gli autori che riconoscono il carattere ideologico del populismo tengano a specificare che si tratta di un’ideologia sottile[4].
Due sono gli ingredienti dell’ideologia populista, l’antielitismo e un’idea di popolo tendenzialmente omogenea[5]. Sebbene gran parte della letteratura sul populismo ponga maggiore (se non esclusiva) enfasi su questo secondo ingrediente, vale la pena segnalare come spesso il popolo dei populisti sia definito in negativo, in contrasto alla élite. Come afferma Ernesto Laclau il popolo è un significante vuoto, colmabile con qualsiasi contenuto[6].
È su questo aspetto che il contrasto fra la letteratura americana e quella europea è più stridente. Se in Europa si tende ad associare il populismo ad ideologie più dense – come il nazionalismo, il sovranismo, il razzismo etc. –[7], in America l’approccio al populismo è radicato su un’idea, per così dire, plurale del popolo (e non è un caso che people sia un termine plurale). Secondo buona parte della storiografia americana, della scienza politica e perfino della scienza giuridica, il popolo dei populisti è composto da common people, da ordinary men che, proprio in ragione della loro ordinarietà, interpretata ora come senso di realtà, ora come capacità di andare al nocciolo delle questioni e dunque di semplificare, ora come onestà, se non altro per la asserita distanza dal potere corruttivo, vengono ritenuti più capaci di risolvere le questioni pubbliche rispetto a politici di professione, giuristi, economisti. La prospettiva del repubblicanesimo civico viene ribaltata. Sono il buon padre di famiglia, il consumatore truffato, il contribuente vessato e magari anche in ritardo con i pagamenti, l’utente insoddisfatto della pubblica amministrazione, il giurato che non legge mai i giornali e perfino il cittadino che tiene una pistola in tasca la migliore garanzia contro gli abusi di potere.
Secondo questo modo di ragionare è l’idea dell’uomo comune a cui i populisti fanno riferimento che consente di distinguere le gradazioni e le differenze fra un populismo ed un altro. Se Michael Kazin definisce il populismo (o almeno un certo populismo) la rivolta del common man, descritto come laborioso, serio e religioso, contro élite ciniche diventate sorde alle richieste della società a causa dell’opulenza in cui vivono[8], lo storico Richard Hofstadter vede le cose diversamente. Collocando la radice del populismo nello spirito riottoso e belligerante dei cittadini americani, Hofstadter segnala la spinta vendicativa e risentita dell’uomo comune e soprattutto lo spirito manicheo e paranoico che domina la contrapposizione fra popolo ed élite[9].
L’antielitismo getta luce su un’ulteriore caratteristica del populismo. Il populismo nasce come idea prevalentemente difensiva pervasa da una profonda sfiducia nel potere. Non è un caso che il populismo dilaga proprio in quelle società in cui è maggiore la sfiducia nei confronti del potere politico.
3. I giudici in una società populista
Si è già anticipato come il populismo spesso finisca fagocitato da ideologie più dense come il nazionalismo, il razzismo, lo sciovinismo. È naturale che quando ciò accade i giudici degli Stati costituzionali siano chiamati a vigilare sull’osservanza dei principi fondamentali anche a costo di ingaggiare una lotta frontale con i Governi populisti.
In questa sede però non si discuterà del ruolo della magistratura di fronte a politiche palesemente in contrasto con i diritti costituzionali e discriminatorie. Piuttosto si proverà a ricostruire la posizione della magistratura di fronte all’elemento, a mio avviso, più insidioso (se non altro perché in apparenza più neutro) del populismo e cioè l’antielitismo.
Che sorta tocca al magistrato in una società pervasa dall’antielitismo?
Sebbene l’antielitismo possa avere esiti illiberali, esso però spesso nasce e cresce all’interno della cultura costituzionale. Come il costituzionalismo, l’antielitismo è animato dalla preoccupazione di limitare il potere, e non deve dunque stupire se non pochi costituzionalisti americani, sulla base dell’equiparazione fra antielitismo e populismo, invochino un’interpretazione della costituzione in chiave populista[10]. La contrapposizione fra popolo ed élite si sovrappone ai due principali meccanismi utilizzati per vincolare le istituzioni al rispetto dei principi costituzionali e cioè la separazione dei poteri ed il controllo giudiziario di costituzionalità. Il controllo sull’attività di Governo è affidato alla società vigile, all’occhio implacabile del cittadino sull’attività di Governo, e soprattutto ad una sistematica attività di ricerca di oligarchie da neutralizzare o addirittura annientare.
Lo storico francese Pierre Rosanvallon afferma che nelle moderne democrazie esiste sia una dimensione istituzionale (regole elettorali, istituzioni rappresentative, controllo di un potere su un altro) ma anche una dimensione sociale a cui è assegnato il compito di vigilare contro gli abusi di potere. La dimensione sociale, che Rosanvallon chiama “contro democrazia”, include il potere di sorvegliare, di interdire e di giudicare[11] e tutti e tre poteri sono propri dei cittadini comuni. L’autore spiega la genesi dei populismi di oggi con un eccesso di contro democrazia, a suo dire fonte di un clima sociale in cui il potere di sorvegliare assume tratti ossessivi, il potere di interdire diventa paradossale ed il potere di giudicare cresce a dismisura (da qui la riduzione della politica alla sua funzione repressiva). Secondo Rosanvallon l’antielitismo oggi non può essere letto senza considerare il carattere esasperato assunto dalla contro democrazia anche per effetto delle nuove tecnologie. I meccanismi contro democratici, a dire dell’autore, hanno perso il compito di conferire legittimità alle istituzioni e sono sfociati in una critica radicale e permanente di qualsiasi assetto istituzionale.
Questo spiega perché i populisti ritengano le Costituzioni degli strumenti insufficienti a mettere al riparo la società dalle oligarchie. Il populismo è animato dal sospetto che i poteri tenderanno a coalizzarsi a dispetto di qualsiasi disegno costituzionale e contiene una chiamata generale alla lotta contro le oligarchie con tutti i mezzi (e soprattutto col diritto penale) per finire il compito che il costituzionalismo non può portare al termine[12]. La chiamata è diretta a tutti coloro che possono parlare a nome dei cittadini comuni: non solo ai politici populisti che si professano i più fedeli interpreti dei loro elettori, ma anche a giudici che si dichiarano pronti a sposare la lotta contro le oligarchie.
4. Élite dei giudici: uno sguardo all’America
Sebbene i populisti possano immaginare un’alleanza con i giudici nella battaglia contro le oligarchie non può essere negato che i regimi populisti spesso nutrano poche simpatie per la magistratura.
La scienza giuridica americana da più di un secolo descrive l’acrimonia dei populisti nei confronti dei giudici. I giudici che cadono sotto la scure dei populisti sono investiti dalle stesse accuse che colpiscono l’élite. Da un punto di vista populista i giudici agiscono come una élite in quattro sensi distinti: o perché sono compiacenti nei confronti di élite economiche, o perché fanno gli interessi di qualche élite politica, o perché agiscono al servizio di qualche minoranza a cui i populisti ritengono si attribuisca una voce eccessiva, ovvero perché smettono di capire la società che cambia.
4.1. Giudici e plutocrazia
La prima accusa populista alla magistratura è quella di essere compiacente nei confronti del potere finanziario. Basti dare uno sguardo agli anatemi lanciati dai leader del Partito del Popolo americano (un partito che ha molte affinità con i partiti populisti di oggi), già alla fine dell’Ottocento, per avere idea di questo stato di cose. Nel 1906 un polemista scriveva che la plutocrazia «può fare affidamento durevole su [...] uomini abituati a vedere le cose non dal punto di vista della gente, e nemmeno con una visione ampia ed imparziale, ma dall’angolazione di chi gode di una posizione di vantaggio ed ha il privilegio della ricchezza»[13]. Perfino Oliver Wendell Holmes aderì alla tesi della contiguità fra il ceto dei giudici e quello degli avvocati della grande industria. Questa tesi ha goduto di ampi consensi anche in tempi molto più recenti. Ad esempio, Lucas Powe osserva che «i giudici sono soggetti alle stesse correnti economiche, sociali ed intellettuali di altre élite professionali appartenenti alle classi medio alte»[14]. Nel 2010 la sentenza Citizens United[15], con cui la Corte Suprema ha cassato i limiti alle contribuzioni private ai partiti, è stata recepita da una parte dell’opinione pubblica americana come il tributo pagato dai giudici costituzionali alla grande industria.
4.2. Giudici e politici
Immensa poi è la letteratura americana sulla contiguità fra ceto giudiziario e ceto politico. Da una prospettiva populista lo sconfinamento del potere giudiziario su questioni politiche (e viceversa) non desta preoccupazione in quanto tale. Il populismo infatti non fa particolare affidamento sul principio della separazione dei poteri. Giudici non eletti e tuttavia percepiti come coinvolti in battaglie contro qualche oligarchia suscitano le simpatie dei populisti. Ciò che suscita lo sdegno populista è semmai l’alleanza fra élite: fra alcune élite politiche ed alcune élite giudiziarie. Poco importa che questo sdegno possa essere finalizzato anche a reprimere il dissenso politico: nel linguaggio populista una Corte che cassa provvedimenti emessi da Governi populisti è una Corte al servizio dell’opposizione politica, verosimilmente già squalificata come una élite di cui arginare il potere.
4.3. Giudici al servizio di minoranze sovra-rappresentate
Altra accusa mossa ai giudici dai populisti è quella di dare uno spazio eccessivo a minoranze sociali a scapito di quella che viene definita la maggioranza silenziosa. Questa accusa, che segnala la tensione fra populismo e cultura dei diritti, di solito si radica sull’idea che la moralità del common man (che di solito è uomo, bianco, magari bigotto) venga messa a repentaglio da una giurisprudenza pervasa da una moralità astratta, universalistica e secolarizzata. Essa però di frequente si sposa ad un’altra idea: che le minoranze da tutelare non siano affatto tali e che anzi detengano il vero potere (da qui la formulazione di tesi bizzarre come le lobby dei Lgbt o dei gay; le lobby ebraiche; le lobby delle donne che abortiscono, o più recente da noi, le Ong al servizio degli scafisti)[16].
4.4. Miopia giudiziaria e spirito di corpo
L’ultima accusa mossa ai giudici dai populisti è quella di non comprendere la società. Questa accusa può avere varie declinazioni: da quella più sofisticata che imputa alla magistratura un’eccessiva indifferenza nei confronti di alcuni temi (come quelli sociali)[17], a forme più radicali in cui viene insinuato che sia lo spirito di corpo alla base dell’elitismo giudiziario.
Si noti in ogni caso che i populisti cercano di tenersi a distanza da dispute ideologiche. Facendo abbondante uso di argomenti ad hominen preferiscono insinuare il sospetto dell’interesse privato di questo o quel magistrato o di questo o quel gruppo a cui il magistrato accorda tutela.
5. Giudici contro le élite
Poiché si è parlato del populismo come di un’ideologia può capitare che anche la giurisprudenza assuma una tonalità populista. Afferma Bruce Ackerman che una Corte è populista ad esempio se asseconda interpretazioni della Costituzione che godono del gradimento dell’opinione pubblica magari al prezzo di rinnegare precedenti giudiziari consolidati. L’autore avanza la congettura che i giudici siano in genere indotti ad assecondare un’opinione pubblica pervicace per evitare ritorsioni politiche ovvero per non scatenare reazioni sociali, ovvero per non essere investita da una profonda crisi di legittimità nella società, ovvero ancora per competere con il potere politico populista sullo stesso terreno[18].
La giurisprudenza però può assumere un tono populista in un senso più specifico. Questo succede quando i giudici interpretano il proprio ruolo proprio come una battaglia contro le oligarchie e quindi sposano l’idea populista di riformulare i mali sociali (che includono i reati, le crisi economiche, o il malfuzionamento delle istituzioni) nel linguaggio populista della contrapposizione fra popolo ed élite. Si faranno tre esempi ma potrebbero esservene altri.
5.1. Giudici che parlano a nome della gente contro istituzioni corrotte
È noto che la percezione di una corruzione diffusa fra le istituzioni sia fra le cause principali del populismo. La circostanza che i giudici siano in prima linea nella battaglia contro la corruzione di certo non fa di loro dei populisti. Tuttavia, può capitare che la funzione giudiziaria venga percorsa dall’antagonismo ideologico fra popolo ed élite e che dunque il giudizio venga interpretato come un’opportunità di condurre questa battaglia. Qui non si guarderà agli Stati Uniti (sebbene anch’essi possano offrire parecchi esempi) ma al Brasile dove l’espressione populismo giudiziario è diventata frequente fra i costituzionalisti e travalica i confini del processo penale[19]. Senza entrare troppo nel dettaglio, a seguito delle numerose inchieste che dal 2014 hanno colpito leader politici di tutti gli schieramenti, il giudice Sérgio Moro, coinvolto nell’operazione Lava Jato (Macchina Pulita) e oggi ministro nel Governo di Bolsonaro, ha intimato ai rappresentanti eletti di «ascoltare la voce delle strade» e ha ringraziato la gente da una pagina Facebook per il sostegno a Lava Jato. Il giudice della Corte superiore elettorale Gilmar Mendes ha accusato il Partito dei Lavoratori di essersi trasformato in un sindicato de ladrões e di aver istituito una cleptocrazia. Nel 2015, giudicando sulla custodia cautelare di un senatore, la giudice costituzionale Carmen Lùcia si è spinta a scrivere: «nella storia recente della nostra patria, c’è stato un momento in cui la maggior parte di noi brasiliani credevamo che la speranza prevalesse sulla paura […]. I criminali non prevarranno sui giudici. Non prevarranno sulla speranza del popolo brasiliano»[20].
Dal 2002 le udienze e perfino le deliberazioni della Corte costituzionale sono trasmesse in TV e dal 2006 su Youtube.
5.2. Giudici e oligarchie economiche
I giudici possono sposare poi la battaglia populista di isolare le scelte pubbliche da influenze eccessive di quelle che vengono ritenute oligarchie economiche. Come scrisse il giudice della Corte Suprema Field, qualora le libertà di rispettabili agricoltori, piccoli imprenditori, commercianti e lavoratori sono calpestate la Repubblica è tale sono di nome[21].
John Fishkin e William Forbath definiscono antioligarchica la costituzione (rectius: l’interpretazione costituzionale) che tutela la classe media[22] e sollecitano un atteggiamento di diffidenza nei confronti della grande impresa. Auspicano inoltre che la politica venga schermata, anche con interventi giudiziari, da gruppi di pressione economici e chiedono dei limiti alle contribuzioni private ai partiti.
Può esserci qualche merito in questa chiamata, ma non vanno sottovalutati gli effetti che essa può produrre in una società populista. La giurisprudenza che anziché limitarsi ad accertare fenomeni collusivi fra qualche imprenditore e qualche politico si avventuri a formulare ipotesi sulla contiguità sistemica fra politica ed impresa (o fra élite economiche ed élite politiche) offre il destro ai populisti di sostenere la tesi della naturale alleanza fra élite e della sostanziale inutilità del principio della separazione dei poteri.
5.3. Giudici e potere finanziario
Un altro tema in cui la giurisprudenza può fare da battistrada al populismo o coltivarne alcune tematiche è quello del rapporto fra amministrazione pubblica e potere finanziario. È noto infatti che i populisti nutrano poche simpatie per il debito, e per quello pubblico in particolare. Ancora una volta la storia costituzionale americana ha qualcosa da dirci. Intorno alla seconda metà dell’Ottocento, parecchi tribunali ritennero nulli i prestiti contratti da varie amministrazioni locali con l’argomento che l’obbligazione eccedeva il tetto fissato per i debiti dalla Costituzione dello Stato e che comunque il debito era stato contratto per spese che facevano gli interessi dei privati. In queste pronunce, che non a caso diedero origine all’espressione “giurisprudenza populista”[23], i tribunali ponevano enfasi sul fatto di agire a tutela dei common people, contro amministratori pubblici sprovveduti e compiacenti nei confronti di qualche potere economico finanziario. Quasi tutte le pronunce furono ribaltate dalla Corte Suprema che espresse sdegno per quella che venne definita come la perdita del public honor[24], e cioè dell’onore, da parte di istituzioni incapaci di tener fede agli impegni assunti.
6. Magistratura indipendente ed assiomi del populismo
La lettura del populismo attraverso le lenti dell’antielitismo, propria anche della scienza giuridica americana, sembra suggerire che il popolo cui i populisti fanno appello assomigli più ai partecipanti ad una class action contro qualche amministrazione pubblica (o qualche altra entità definita oligarchica) che ad una comunità politica che si caratterizza su basi identitarie. Perfino la proposta di rimpiazzare la democrazia rappresentativa con quella diretta va interpretata in questa luce: l’idea di delegare al cittadino il compito di emettere la decisione politica, magari attraverso il filtro di una piattaforma digitale, ha innanzitutto la funzione di scongiurare il rischio che la decisione politica rimanga preda di qualche interesse.
Questo ci porta a formulare tre conclusioni.
Innanzitutto il populismo non ha radici nell’idea romantica di una comunità che si autogoverna ma nell’idea scettica che il Governo finirà preda di oligarchie. Lo storico americano Richard Hofstadter segnala come il populismo sia pervaso da uno spirito paranoico. Una paranoia che scredita il potere pubblico denunciando la contiguità con qualche interesse privato (tipicamente la soggezione alla finanza, ma anche al potere criminale), e scredita l’azione privata denunciando qualche piaggeria nei confronti del potere pubblico[25].
Questo ci porta alla seconda conclusione. È vero che il populismo può finire con l’esaltare il potere politico a scapito di altri poteri e difendere una versione esasperata del principio di maggioranza a detrimento delle minoranze[26]. Tuttavia risolvere la minaccia populista facendo semplicemente affidamento sui meccanismi istituzionali, prima di tutto quello dell’indipendenza della magistratura, può non essere sufficiente. Il populismo è un’ideologia, non soltanto una forma di Governo (o un regime), e come tale va contrastata. Ed eccoci all’ultima conclusione.
Scardinare un’ideologia è opera immane, perché l’ideologia si struttura proprio per schermarsi dalle smentite empiriche. Tuttavia il diritto da tempo immemorabile è attrezzato per smorzare visioni radicali della realtà[27]: sia per i tempi più lenti di riflessione, sia per il legame necessario fra prove e giudizio, sia per la stretta relazione fra scienza giuridica e libertà. Questo è ancor più vero negli Stati costituzionali di diritto.
I giuristi in una società populista sono innanzitutto chiamati a vigilare affinché i principi fondamentali non siano calpestati. Forse però, devono fare qualcos’altro, mettendo in discussione alcuni assiomi su cui il populismo si regge.
In primo luogo va contestato l’assioma della naturale tendenza delle élite a coalizzarsi fino a convergere in un unico blocco (la élite da contrapporre al popolo), perché è proprio questa idea che giustifica politiche liberticide ed eccessivamente repressive. Sotto questo profilo, quando il populismo dilaga, forse sarebbe opportuno astenersi dal formulare con eccessiva frequenza ipotesi di contiguità sistemica fra politica e poteri criminali, o fra politica e potere economico o ideologico.
In secondo luogo, andrebbe contestata quella che Rosanvallon definisce la concezione sicofantesca dell’uomo comune, interessato solo a giudicare gli altri (e ad assolvere sé stesso). Esiste infatti un’altra tradizione, quella del populismo romantico americano, che vede le cose in modo esattamente opposto, tanto che la Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sulla giuria, arriva a stabilire che la presenza dell’uomo comune nei processi penali può far da scudo contro un pubblico ministero persecutorio o troppo zelante ed un giudice eccentrico o prono di fronte alla pubblica accusa[28]. Seguendo questo modo di ragionare, si potrebbe contrapporre alla concezione rancorosa e giudicante del common man, tipica dei populismi contemporanei, quella di un individuo animato dal senso di umanità, con ovvi riflessi sulle politiche in materia di sicurezza ed immigrazione spesso motivate sulla base del buon senso dell’uomo comune.
L’ultimo punto è il più importante. Fra le equazioni dei populisti ve ne sono alcune particolarmente pericolose che attengono alla identificazione fra minoranze ed élite. Si tratta di un modo di procedere tristemente noto, mosso dal desiderio di squalificare le minoranze dipingendole come il vero potere da abbattere. Oggi gli esempi non mancano: l’opposizione politica viene spesso identificata con i potentati economici, i migranti dipinti come emissari di una politica deliberatamente mirata a distruggere l’identità europea[29], le donne separate e magari vittima di violenza come macchinatrici a danno degli ex mariti[30], le associazioni di volontariato come venali sfruttatrici di disgrazie, le Ong identificate con gli scafisti.
Su questo punto ai giuristi è richiesta la massima inflessibilità e sono i giudici che possono offrire il contributo più prezioso[31].
[1] D. Landau, Populist Constitutions, in University of Chicago Law Review, 2017, p. 85; pp. 521-543; L. Corrias, Populism in a Constitutional Key: Constituent Power, Popular and Constitutional Identity, in EuConst, 12/2016, pp. 6-26.
[2] M. Barberis, Dopo Romano. Istituzioni, razionalità, populismo, in Jura Gentium, in corso di stampa.
[3] K. Weyland, Populism: A Political-Strategic Approach, in C. Rovira Kaltwasser, P. Taggart, P. Ochoa Espejo, and P. Ostiguy (eds.), The Oxford Handbook of Populism, Oxford,Oxford University Press, 2017 (d’ora in avanti «The Oxford Handbook of Populism»), pp. 48-72.
[4] C. Mudde, Populism: an Ideational Approach, in C. Rovira Kaltwasser, P. Taggart, P. Ochoa Espejo, and P. Ostiguy (eds.), The Oxford Handbook of Populism (Oxford University Press 2017) p. 6.
[5] J-W. Müller, What is Populism? Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2016.
[6] E. Laclau, La ragione populista, Bari-Roma, Laterza, 2019.
[7] H.G. Betz, Radical Right-Wing Populism in Western Europe, New York, St. Martin’s Press, 1994.
[8] M. Kazin, The Populist Persuasion: An American History, New York,Basic Books, 1995.
[9] R. Hofstadter, The Age of Reform. From Bryan to F.D.R., New York, Vintage Book, 1955; cfr. Id., The Paranoid Style of American Politics and other Essays, Cambridge, Ma, Harvard University Press, 1966.
[10] M. Tushnet, Taking the Constitution away from the Court, Princeton, Princeton University Press, 1999.
[11] P. Rosanvallon, Counter Democracy. Politics in the Age of Distrust. New York, Columbia University Press, 2007.
[12] Basta dare un’occhiata al testo: G. Casaleggio and B. Grillo, Siamo in guerra. Per una nuova politica, Brossura, 2011.
[13] B.O. Flower, The Courts, the Plutocracy and the People; or the Age-Long Attempt to Bulwark Privilege and Despotism, in Arena, 1906, p. 36, p. 84.
[14] L. Powe, The Supreme Court and the American Elite, 1789-2008. Cambridge, Mass., Harvard University Press, 2011, p. IX.
[15] Citizens United v. Federal Election Commission, 558 U.S. 310 (2010)
[16] https://video.repubblica.it/dossier/scandalo-lega/governo-salvini-ong-amiche-degli-scafisti-italia-non-ha-colpe-per-i-morti-in-mare/309344/309978.
[17] M. Tushnet, In the Balance: Law and Politics in the Roberts Court, New York, W.W. Norton & Co, 2013.
[18] B. Ackerman, We The People: Foundation, vol. I, Cambridge, Ma, Harvard University Press, 1991; cfr. Anche O. Bassok, The Supreme Court at the Bar of Public Opinion Polls. Constellations23, no. 4 (2016), pp. 573-584; cfr, anche, con riferimento alla Corte costituzionale della Colombia, cfr. González Jácome, Jorge, In Defense of Judicial Populism: Lessons from Colombia, VerfBlog, 2017/5/03, https://verfassungsblog.de/in-defense-of-judicial-populism-lessons-from-colombia/, DOI: https://dx.doi.org/10.17176/20170503-112107.
[19] Cfr. fra gli altri, Arguelhes, D. Werneck, Judges Speaking for the People: Judicial Populism beyond Judicial Decisions, VerfBlog, 2017/5/04, https://verfassungsblog.de/judges-speaking-for-the-people-judicial-populism-beyond-judicial-decisions/, DOI: https://dx.doi.org/10.17176/20170504-091531.
[20] Ibidem.
[21] Slaughter-house Cases 83 US 36 110 (1873), Field dissenting.
[22] W.E. Forbath & J. Fishkin, The Anti-Oligarchy Constitution, in Boston Law Review, 94: 671-698, 2014, p. 680.
[23] W. Wiecek, The Lost World of Classical Legal Thought. Law and Ideology in America 1886-1937, Oxford University Press, 1998, p. 79.
[24] Gelpcke v. Dubuque, 68 U.S. 175 (1864); Havemeyer v. Iowa County, 70 U.S. 294 (1866).
[25] B. Grillo, Processi popolari in rete, 21 maggio 2014, www.beppegrillo.it/processi-popolari-in-rete/, dove si chiama alla battaglia contro tre tipi di avversari: «giornalisti che si coprono a vicenda per perpetuare la casta (e i propri introiti); industriali che sostengono l’establishment attraverso favori (o voti garantiti) per ottenere accesso a contratti pubblici e a concessioni; e finalmente i politici, che sono peggio delle prostitute»
[26] N. Urbinati, Populism and the Principle of Majority in The Oxford Handbook of Populism, p. 571 e ss; p. 582.
[27] E. Scoditti, Populismo e diritto. Un’introduzione, in questo fascicolo.
[28] Duncan v. Louisiana, 391 U.S. 145 (1968).
[29]http://blog.ilgiornale.it/rossi/2017/02/02/lo-schema-soros-e-limmigrazione-indotta/
[30] Emblematico è il disegno di legge Pillon per quel che riguarda le norme sull’alienazione parentale.
[31] Va proprio in questa direzione la richiesta di archiviazione accolta dal GIP di Palermo nel procedimento a carico delle ONG, www.questionegiustizia.it/doc/ong_richiesta_archiviazione_palermo.pdf.