L’ordine pubblico internazionale tra identità e condivisione
1.La recente evoluzione del concetto di ordine pubblico internazionale costituisce un interessante angolo prospettico dal quale osservare il riemergere delle pulsioni identitarie in ambito giuridico.
Secondo la prospettiva classica, che possiamo definire chiusa e difensiva, l’ordine pubblico internazionale costituisce un argine alla penetrazione del diritto straniero e rappresenta il contraltare dell’ordine pubblico interno, quale limite all’autonomia privata.
Questa concezione ha accompagnato la costruzione dello Stato moderno e ne è anzi divenuta coessenziale. Assieme ad altri principi, come ad esempio quello di irretroattività della legge, l’ordine pubblico occupava, prima dell’avvento delle costituzioni rigide del Novecento, uno spazio materialmente costituzionale, non a caso inserito in quel complesso di norme sovraordinate che era dato dalle disposizioni sulla legge in generale, che precedevano sia il codice civile del 1865 sia quello del 1942 (rispettivamente articoli 12 e 31). Nel descrivere quello che considera il processo di stravolgimento del diritto, nel suo passaggio dal ruolo di «ordinamento del sociale» a quello di «apparecchio ortopedico del potere politico, di controllo sociale», dietro «l’inserimento – avvenuto nel corso della modernità – del diritto nell’apparato di potere più perfezionato, ossia nello Stato», Paolo Grossi intravede proprio «l’incubo parossistico dell’ordine pubblico»[1].
Il culmine è stato raggiunto da chi, di fronte all’affacciarsi nella dottrina straniera di una nozione dell’ordine pubblico internazionale come strumento di protezione di valori di portata universale, la rifiutava o la considerava equivoca, giungendo così a far coincidere l’ordine pubblico internazionale con quello interno: «anche quando interviene per la tutela di esigenze che possono definirsi di portata universale, l’ordine pubblico protegge queste esigenze solo in quanto siano entrate a far parte dei princìpi fondamentali della comunità statale a cui esso inerisce»[2].
Ordine pubblico e sovranità erano così legati indissolubilmente. Ancora nel 1982, in una sentenza peraltro di grande spessore in tema di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio canonico trascritti agli effetti civili, la Corte costituzionale affermava che «la inderogabile tutela dell’ordine pubblico, e cioè delle regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società, è imposta soprattutto a presidio della sovranità dello Stato»[3].
In obbedienza al suo carattere di clausola generale, l’ordine pubblico internazionale è stato anche però il veicolo attraverso il quale sono state riproposte nel diritto moderno teorie universalistiche e giusnaturalistiche.
Dapprima, ciò è avvenuto in un’ottica che potremmo definire “colonialista”, per la tendenza di alcuni ordinamenti ad ammantare di universalità princìpi propri dell’ordinamento di appartenenza, allo scopo di negare l’applicazione di diritti locali, considerati inferiori[4].
Successivamente, l’ordine pubblico ha intercettato e assorbito alcune delle teoriche fondamentali della seconda metà del ‘900 in materia di diritti fondamentali e diritto sovranazionale, penetrando nei sistemi regionali più o meno strutturati (Cedu e Unione europea) e più in generale ancorandosi alla progressiva crescita dei diritti fondamentali in seno alla comunità internazionale[5]. Si è fatta così strada in dottrina e giurisprudenza l’identificazione dell’ordine pubblico internazionale «nei principi fondamentali della nostra costituzione, o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, o che informano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale»[6].
L’ordine pubblico ha così iniziato a disancorarsi dalla sovranità, restando però all’interno di una concezione ancora passiva, in base alla quale il giudice nazionale è tenuto ad attendere la maturazione, in seno alla comunità internazionale, di un consenso sufficientemente ampio intorno ad alcuni valori, prima di poterli utilizzare nello scrutinio del diritto straniero; e inoltre deve sempre verificare che tali valori trovino nell’ordinamento interno se non una piena affermazione, almeno un sicuro addentellato. Sulla categoria continuavano dunque a gravare le avvertenze della dottrina più esperta, la quale non ha mai mancato di sottolinearne l’ambiguità di fondo, anche nella sua versione più avanzata: da un lato, si è osservato che l’ordine pubblico internazionale «risente più di ogni altra degli umori nazionalisti e universalistici, laicistici o confessionali e così pure dei complessi cui vanno soggetti i giudici e gli ambienti nei quali essi operano»[7]; dall’altro, si è fatto notare come le corti statali non sempre riescano a liberarsi della propria “appartenenza”, sicché il giudizio sul livello di civiltà o inciviltà di una norma straniera è sempre filtrato dalla sensibilità di parte verso il superiore comune sentire, traducendosi in «un universalismo qual è sentito da una particolare comunità e che, proprio per questa sua caratterizzazione, può dissolversi, al limite, in un particolarismo»[8].
In tempi più recenti, si è tuttavia assistito a uno sviluppo ulteriore. L’ordine pubblico internazionale sembra proporsi come strumento di emancipazione dell’ordinamento interno dai propri stessi limiti nazionalistici.
Alcuni esempi, tratti dalla giurisprudenza chiamata ad affrontare i casi più delicati, possono aiutare a comprendere questa traiettoria.
In una delle tappe fondamentali del noto contenzioso con la Germania sul risarcimento dei danni derivanti dalla commissione di crimini contro l’umanità nel corso della II guerra mondiale, la Corte di cassazione italiana ha operato una scrupolosa ricostruzione delle evoluzioni del diritto internazionale e, dopo aver sottolineato come «una nuova cultura giuridica e sociale ha alimentato la nascita e la affermazione di nuovi diritti fondamentali e il rafforzamento di quelli tradizionali con la redazione di nuove carte costituzionali e l’istituzione di Corti costituzionali nazionali a tutela del loro rispetto», ha così concluso: «tutte queste conquiste civili dell’umanità, e del nostro continente in particolare, configurano un nuovo ordine pubblico internazionale ed europeo alla cui realizzazione il nostro Paese, insieme alla Germania e alla Grecia, ha pienamente contribuito. Rispetto a questa nuova configurazione dell’ordine pubblico internazionale il dettato costituzionale italiano è non solo coerente, ma è anche diretto alla sua piena attuazione nel territorio nazionale. Il richiamo è ovviamente all’articolo 10, primo comma, della Costituzione, secondo cui l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, e all’articolo 11, secondo cui l’Italia, oltre a ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni. Deve quindi escludersi, alla luce dei principi costituzionali italiani e dei principi generali del diritto internazionale, che l’esecuzione in Italia di una sentenza di uno Stato estero con la quale si impone a un altro Stato estero, nella specie entrambi aderenti alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’Unione europea, di risarcire le vittime (e per loro gli eredi) di gravissimi crimini di guerra, che hanno negato i loro diritti personali inviolabili e in primo luogo quello alla vita, possa porsi in contrasto con il rispetto dell’ordine pubblico italiano richiamato dalla legge n. 218 del 1995, articolo 64, comma 1, lett. g)»[9].
Su un terreno diverso, ma altrettanto delicato, qual è quello del riconoscimento di sentenze straniere attributive dello status filiationis derivante da maternità surrogata (o, meglio, gestazione per altri), la Cassazione ha affermato che la moderna concezione dell’ordine pubblico internazionale «si fonda su una maggiore partecipazione dei singoli Stati alla vita della comunità internazionale, la quale sempre meglio è capace di esprimere principi generalmente condivisi e non necessariamente tradotti in norme interne, così da sottrarre la nozione di ordine pubblico internazionale sia ad un’eccessiva indeterminatezza sia ad un legame troppo rigido con i mutevoli contenuti delle legislazioni vigenti nei singoli ordinamenti nazionali»[10]. Ne è scaturita la conclusione che in materia di diritti fondamentali l’ordine pubblico internazionale possa essere incarnato soltanto dai princìpi e dai valori della Costituzione, non essendovi spazio per leggi ordinarie, che costituiscano esercizio di discrezionalità legislativa.
L’ordine pubblico internazionale è chiamato così a svolgere un ruolo promozionale, di ambasciatore delle più avanzate conquiste del diritto su scala globale[11]. Ogni Corte statale chiamata a valutare la conformità all’ordine pubblico di una norma straniera gioca un ruolo di avamposto nella difesa attiva e nella ricostruzione dello stesso ordine pubblico internazionale.
Tale nuova concezione non porta necessariamente a spalancare le frontiere all’ingresso nell’ordinamento di qualsiasi norma straniera. Quando quest’ultima sia “arretrata”, l’ordine pubblico ritrova apparentemente la sua funzione di argine, ma ciò solo perché adempie al suo (nuovo) ruolo di vigilanza sui progressi della civiltà giuridica; l’applicazione del diritto interno non è qui il frutto di una sua primazia formale, ma di una sua maggiore evoluzione rispetto al diritto straniero, al quale viene rivolta una sorta di implicito rimprovero per la sua inadeguatezza.
Esemplare è in tale direzione la giurisprudenza che ha fatto assurgere a principio di ordine pubblico internazionale la risarcibilità dei danni non patrimoniali patiti dai superstiti della vittima di un fatto costituente reato e che ha dunque negato l’applicabilità del diritto straniero, proveniente da Paesi non propriamente esotici (Austria e Serbia), che tale risarcimento non contempla[12].
Siamo in presenza di un processo circolare che innalza a livello costituzionale, rendendoli indefettibili, princìpi che sono il frutto di un’elaborazione giurisprudenziale avanzata, tesa ad adeguare alcuni dei più importanti settori del diritto privato al fondamento personalistico della Costituzione (diritto del lavoro, diritto della responsabilità civile, diritto di famiglia) per poi delimitare in termini corrispondenti l’applicazione del diritto straniero o il giudizio di delibazione delle sentenze e degli atti su di esso fondati: «si tratta di un giudizio (o di un test) simile a quello di costituzionalità, ma preventivo e virtuale, dovendosi ammettere il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui il giudice possa motivatamente ritenere che al legislatore ordinario sarebbe ipoteticamente precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con valori costituzionali primari» [13].
2. Per quanto in modo meno vistoso, anche sul terreno del diritto internazionale privato e dell’ordine pubblico si manifesta dunque quel fenomeno di progressivo abbandono della triade “sovranità, territorio e giurisdizione”, che la dottrina ha collocato all’interno «di una crisi del monopolio statuale della giurisdizione e di una operazione di sganciamento del giudice dallo Stato»[14]. Sganciamento in questo caso da intendersi non come devoluzione ad altri organi giurisdizionali sovranazionali della potestà decisionale tradizionalmente propria dei giudici nazionali, ma come distacco di questi ultimi dal proprio diritto statale ordinario, considerato, sia pure in via provvisoria e in funzione della regola del caso concreto, sub valente rispetto al diritto straniero o prevalente su di esso, ma solo in nome di princìpi che trascendono le regole statali. Il tutto in un contesto fluido, non direttamente governato da istituzioni e Corti sovraordinate, e spesso anche povero di norme regolatrici della materia di volta in volta considerata, ancorché sempre sotto l’egida della Costituzione.
È un fenomeno di grande interesse, soprattutto se collocato nel dibattito sui rapporti tra giudici nazionali e diritto sovranazionale di rango potenzialmente costituzionale. Mentre infatti le spinte più favorevoli a un ruolo attivo dei giudici comuni in sede di applicazione del diritto Ue sembrano segnare il passo sui terreni dove erano stati compiuti i maggiori progressi[15], accade che in un settore poco osservato dell’ordinamento, quasi sottotraccia, quegli stessi giudici comuni si siano ritagliati uno spazio in cui, per il tramite della delibazione del diritto straniero, si esercita di fatto un sindacato diffuso, attraverso quello che, come accennato, è stato definito e rivendicato come un test preventivo di costituzionalità.
È ben vero che un simile test è ancor meno incisivo della disapplicazione, visto che, oltre ad avere valore limitato al singolo giudizio, viene condotto su norme straniere e non interne.
Il significato simbolico e culturale non è però da sottovalutare, poiché determina una significativa ricombinazione dei poteri.
Anzitutto, in un sistema caratterizzato dal riconoscimento automatico delle sentenze straniere come quello delineato nella legge n. 218 del 1995 (e nel diritto convenzionale che lo aveva preceduto), l’adozione di una concezione più o meno ampia di ordine pubblico internazionale si riflette anche sui poteri riconosciuti agli organi amministrativi che, specie in alcune materie, sono i primi (e talvolta unici) interpreti del concetto. Si pensi alla materia, non certo secondaria, dello stato civile delle persone e del ruolo in essa rivestito dall’Amministrazione dell’interno.
In secondo luogo, attribuire al giudice comune il compito di esercitare un simile test di costituzionalità nell’ambito del diritto internazionale privato va oltre il dovere di interpretazione conforme a Costituzione che, con alterne fortune, grava su di lui quando è chiamato ad applicare le norme nazionali[16]. Proprio in quanto le norme straniere non sono soggette al vaglio di costituzionalità, la lettura che il giudice della delibazione offre delle norme costituzionali è una lettura insindacabile e dunque “irresponsabile”, certo dotata di minor autorità, ma che corre parallela rispetto a quella del giudice delle leggi. Il controllo di costituzionalità sulle norme di rinvio del diritto internazionale privato, pur in astratto ammissibile, è molto più limitato e tortuoso di quello che può esercitare la Corte costituzionale nello sconfessare una erronea interpretazione conforme[17].
In un sistema che rimette in via esclusiva alla Corte costituzionale «la verifica ultima circa l’osservanza dei principi supremi dell’ordinamento nazionale»[18], trasformare il giudizio di delibazione del diritto straniero in un test preventivo di costituzionalità rasenta, nelle materie in cui vengono in rilievo delicate questioni identitarie, il conflitto con il giudice delle leggi.
Infine, è interessante cogliere il rapporto che viene così a instaurarsi con il diritto straniero. Perfino il dibattito sul costituzionalismo universale viene a essere scavalcato[19]: lì si contrappongono una concezione chiusa e “sovranistica”, à la Posner, gelosa delle proprie leggi e dunque diffidente rispetto alle Costituzioni straniere, e una visione aperta, disposta ad accettare i contributi più avanzati provenienti dal diritto degli altri Stati, in un’ottica di collaborazione nella ricerca della verità del diritto[20].
Nella concezione dell’ordine pubblico internazionale che sembra farsi strada, mentre si tende a dare più agevole ingresso nell’ordinamento interno ai “sì” più avanzati detti nelle legislazioni straniere, contemporaneamente si nega ingresso ai “no” di quelle legislazioni, considerate per questo retrive. Anche se il risultato finale è sempre quello di evitare l’ingresso della norma straniera, l’ordine pubblico internazionale non opera come strumento di difesa, attraverso cui l’ordinamento interno si rinchiude in se stesso, ma come strumento di propaganda di valori nuovi, di cui si auspica la diffusione e l’affermazione su scala universale. Il che implica anche un giudizio, che può a volte suonare sgradevole per l’implicito senso di superiorità morale che contiene, nei confronti degli Stati stranieri e delle loro legislazioni. Ogni dottrina dei valori, osservava del resto polemicamente Carl Schmitt, si mantiene «sempre nella posizione di chi rimprovera all’avversario di non vedere valori manifesti, ossia lo squalifica come cieco nei confronti dei valori (wertblind)»[21].
3. La fragilità di questa così avanzata ricostruzione dell’ordine pubblico internazionale può essere agevolmente intuita se si considera che essa è venuta a maturazione in una stagione in cui, come accennato, le conquiste del sistema multilivello sono messe in discussione e i controlimiti sembrano aver trovato, dopo un lungo periodo di esistenza solo virtuale e teorica, un concreto modo di esprimersi a difesa della legalità costituzionale nazionale. In un simile contesto, appare inverosimile che il più tradizionale degli offendicula posti dall’ordinamento a presidio della sovranità nazionale possa reggere a lungo nel ruolo, in un certo senso rovesciato, di strumento promozionale se non irenistico.
Al pari di tutte le ricostruzioni che tendono a sciogliere la sovranità statale in una più ampia sfera sovranazionale, fondata non più sulla legittimazione formale delle fonti, ma sui valori[22], anche la lettura aperta e promozionale dell’ordine pubblico internazionale è esposta al pericolo del “brusco risveglio” di cui ha efficacemente parlato la dottrina costituzionalistica a proposito dell’integrazione europea[23].
Il rischio di rigetto è poi ancor più elevato se si considera che il diritto che bussa alla porta dell’ordinamento nazionale non è neanche un diritto alla cui costruzione contribuisce lo Stato italiano, come invece accade nel diritto prodotto dalle fonti sovranazionali rispetto alle quali opera la pur discussa limitazione di sovranità dell’articolo 11 della Costituzione, e che nei casi più scottanti nemmeno si tratta di un diritto riportabile alle famiglie giuridiche più vicine alla comunità nazionale.
Le critiche rivolte ai fenomeni di costituzionalismo transfrontaliero – arroganza culturale, antidemocraticità, avanguardismo morale – rischiano di attagliarsi ancor meglio al fenomeno che stiamo esaminando[24].
Alcuni segnali di ridimensionamento sono già visibili.
In una recente e notissima sentenza, con cui è stata ammessa, pur con alcune cautele, la riconoscibilità in Italia dei provvedimenti stranieri di condanna al risarcimento dei danni punitivi, le sezioni unite della Cassazione hanno anche colto l’occasione per una forte puntualizzazione in tema di ordine pubblico: «la sentenza straniera che sia applicativa di un istituto non regolato dall’ordinamento nazionale, quand’anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale. Se con riguardo all’ordine pubblico processuale, ferma la salvaguardia dell’effettività dei diritti fondamentali di difesa, il setaccio si è fatto più largo per rendere più agevole la circolazione dei prodotti giuridici internazionali, con riguardo all’ordine pubblico sostanziale non può dirsi altrettanto. Gli esiti armonizzanti, mediati dalle Carte sovranazionali, potranno agevolare sovente effetti innovativi, ma Costituzioni e tradizioni giuridiche con le loro diversità costituiscono un limite ancora vivo: privato di venature egoistiche, che davano loro "fiato corto", ma reso più complesso dall’intreccio con il contesto internazionale in cui lo Stato si colloca. Non vi potrà essere perciò arretramento del controllo sui principi essenziali della "lex fori" in materie, come per esempio quella del lavoro (v. significativamente Cass. 10070/13) che sono presidiate da un insieme di norme di sistema che attuano il fondamento della Repubblica. Nel contempo non ci si potrà attestare ogni volta dietro la ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri e istituti italiani. … L’interrogativo è solo il seguente: se l’istituto che bussa alla porta sia in aperta contraddizione con l’intreccio di valori e norme che rilevano ai fini della delibazione»[25].
La sentenza resta di respiro universalistico, ma in essa è leggibile anche un sottile monito ad evitare pericolose fughe in avanti, monito che è stato prontamente colto, oltre che dalla dottrina[26], dalla prima sezione della stessa Corte di legittimità nell’ordinanza con cui è stata rimessa alle sezioni unite la questione della trascrivibilità in Italia delle sentenze straniere attributive della paternità rispetto ai nati da gestazione per altri[27].
Con tale ordinanza, ci si è chiesti infatti se anche in materia di status familiari, per dare contenuto all’ordine pubblico internazionale, vada seguito il suggerimento di Cass. n. 16601 del 2017 e si debba fare ricorso anche ai contenuti delle leggi ordinarie, le quali, com’è noto, quando non sanzionano penalmente la maternità surrogata (legge n. 40 del 2004), mantengono un atteggiamento equivoco sulla sorte dei nati da tale pratica. Oltre a ciò, l’ordinanza interlocutoria ha interrogato le sezioni unite su un’altra questione parallela, anch’essa evocativa dell’ordine pubblico, sia pure sotto un diverso profilo: se possa il pubblico ministero impugnare le decisioni sul riconoscimento delle sentenze straniere quando vengano in rilievo “leggi di ordine pubblico” nel senso voluto dall’articolo 73 dell’Ordiamento giudiziario.
Tra le due tematiche non vi è solo un’affinità lessicale, ma una saldatura culturale, che dovrebbe apparire chiara se si considera che le ultime pronunce, risalenti agli anni ’70, in cui il potere d’impugnazione del pubblico ministero era stato fondato sull’articolo 73 dell’ Ordinamento giudiziario, riguardavano proprio la delibazione di sentenze straniere in materia di status personali e familiari (riconoscimento di figlio naturale, rettificazione di sesso ecc.)[28] e che, a proposito di quella giurisprudenza, la dottrina aveva osservato che una simile lettura dell’ordine pubblico era dettata da «esigenze pratiche di varia natura, tentazioni autoritarie e, forse, l’illusione di poter utilizzare uno strumento tipicamente garantista, come il processo civile, per scopi di difesa sociale»[29].
Si assiste dunque, nell’attuale frangente storico, contraddistinto da un ritorno alla sovranità identitaria, non solo alla riemersione di una concezione più chiusa e difensiva dell’ordine pubblico internazionale, ma anche al ritorno di un maggiore attivismo degli organi del pubblico ministero nelle materie riguardanti lo stato e la capacità delle persone. Non sono evidentemente bastate le chiare parole pronunciate dalle sezioni unite della Cassazione nella seconda sentenza sul caso Englaro[30], allorché hanno sottolineato che l’interesse pubblico della cui tutela il pubblico ministero è investito non giustifica una sua contrapposizione, attraverso l’impugnazione, all’esercizio dei diritti personalissimi di spessore costituzionale.
Si consideri al riguardo il ricorso presentato dalla Procura di Roma avverso la decisione del sindaco del Comune di Roma che aveva autorizzato la trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita canadese, attestante la doppia genitorialità maschile di una coppia omosessuale che aveva fatto ricorso alla gestazione per altri all’estero. Dopo aver ripercorso l’evoluzione del concetto di ordine pubblico internazionale che si è sopra sintetizzata, la Procura di Roma ha fortemente criticato le aperture della Cassazione nelle citate sentenze n. 19599 del 2016 e n. 14878 del 2017, sostenendo che «una nozione di ordine pubblico internazionale limitata alle sole disposizioni costituzionali, ovvero addirittura ai valori costituzionali primari, ed a quelle dei trattati internazionali, non ha alcuna base normativa espressa» e comunque finirebbe con lo snaturare il senso di clausola generale dell’ordine pubblico, cristallizzandone il contenuto nei valori costituzionali. Di qui l’accusa alla giurisprudenza di interpretazione normativa o creativa, di invasione del campo riservato al legislatore, con la finale evocazione di una terribile china discendente: poiché non vi è una norma costituzionale o sovranazionale che espressamente lo vieta, nessuno potrebbe impedire in futuro di avallare l’assurdo riconoscimento persino di una filiazione con più di due genitori.
Se dunque si arriva a incoraggiare, da parte di un organo giudiziario, il ricorso alle norme di rango ordinario per frenare un troppo libero affermarsi delle norme costituzionali, in un singolare rovesciamento gerarchico tra di esse, vuol dire che i termini del confronto sono più gravi di quanto ci si potesse aspettare. La legislazione ordinaria non è già più considerata, secondo l’intensa immagine delle sezioni unite nella pronuncia sui danni punitivi, come l’insieme delle norme «che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale», ma come una ridotta della vera identità culturale dell’ordinamento.
4. Le considerazioni sin qui svolte non preparano ad alcuna conclusione, né, tantomeno, a prese di posizione.
In attesa degli sviluppi del prossimo futuro, si conferma certo la necessità di maneggiare con particolare cura l’ordine pubblico internazionale, che continua a trovarsi nel punto d’intersezione di tendenze contraddittorie: clausola generale per eccellenza, naturalmente portata a recepire le evoluzioni socio-culturali, ma anche a inseguire le mode del momento, l’ordine pubblico internazionale non dimentica la propria radice identitaria, che riemerge nei momenti di maggiore disorientamento. Il rischio è quello di interpretare i silenzi della Costituzione come assensi impliciti a valori nebulosi (si pensi al “superiore interesse del minore”) o che non hanno ancora raggiunto un sufficiente grado di maturazione nella civiltà giuridica interna, con pericolose cadute nel soggettivismo giudiziale.
Un completo rifiuto, da parte dei giudici chiamati a dare concretezza all’ordine pubblico internazionale, della prospettiva evolutiva e promozionale sarebbe tuttavia concepibile unicamente nell’ambito di ordinamenti giuridici che non solo hanno attenzione alla conservazione dello spazio sovrano e sono pronti all’attivazione dei controlimiti, ma che guardano con diffidenza schmittiana alla stessa teoria dei valori e dei diritti fondamentali.
In un sistema costituzionale che invece, pur non avendo certamente rotto ogni legame con lo Stato di diritto nella sua accezione moderna[31], ha comunque, «in virtù della validità delle norme dei diritti fondamentali, il carattere di sistema giuridico aperto, qualunque sia la dimensione di quest’apertura»[32], una concezione negativa e difensiva dell’ordine pubblico internazionale non trova più alcuna giustificazione, tanto più che da tempo anche l’ordine pubblico interno ha assunto una dimensione valoriale di ispirazione costituzionale.
La stessa teoria dei controlimiti, pur avendo la propria legittimazione profonda nella sovranità popolare di cui parla l’articolo 1 della Costituzione, non si affida alle determinazioni transeunti delle maggioranze che quest’ultima produce, ma si incarna in quei valori di rango supremo che trovano compiuta espressione nei princìpi inviolabili della Costituzione. Come è stato osservato, in un sistema a costituzione rigida, i controlimiti trovano una giustificazione proprio e soltanto abbandonando «la tradizionale nozione di sovranità e il tradizionale positivismo legalistico»[33].
Nel diritto internazionale privato, certo, è assente una previsione vincolante che possa aiutare i giudici, che si debbano confrontare con legislazioni extracomunitarie, nell’interpretazione del concetto di ordine pubblico, autorizzandoli a ricercarne la nozione nell’ambito di una comunità più ampia di quella nazionale, sul modello delle identità plurali cui allude il Trattato sull’Unione europea negli articoli 4, par. 2, e 6, par. 3.
Manca un equivalente di quello che è stato definito «il fattore decisivo di mitigazione del principio di identità»[34].
L’articolo 6, par. 3, Tue è tuttavia una norma che, con il suo contemporaneo richiamo alla Cedu e alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, esprime ormai un punto di vista imprescindibile per i giudici europei, fino a connotarne il ruolo, qualunque sia il campo applicativo e l’abito che essi sono chiamati a indossare.
[1] P. Grossi, Prima lezione di diritto, Bari, 2008, pp. 31-32.
[2] N. Palaia, L’ordine pubblico «internazionale», Padova, 1974, p. 19.
[3] Corte cost. 2 febbraio 1982, n. 18, in Foro it., 1982, I, c. 934.
[4] Per una ricostruzione storica, con ampia bibliografia, v. R. Quadri, Lezioni di diritto internazionale privato, Napoli, 1961, p. 276, dove si trova l’osservazione per cui l’ordine pubblico internazionale di tipo universalistico è stato spesso invocato «ad pompam».
[5] F. Angelini, Ordine pubblico nel diritto comunitario, inDig. Disc. Pubbl., Aggiornamento, Torino, 2005, pp. 503 ss.
[6] V. ad es. Cass. 26 novembre 2004, n. 22332; C. Campiglio, Ordine pubblico (dir. int. priv.), in Diritto on line, 2013.
[7] R. Quadri, Lezioni di diritto internazionale privato, cit., p. 280.
[8] G. Barile, voce Ordine pubblico, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980.
[9] Cass. 20 maggio 2011, n. 11163.
[10] Cass. 30 settembre 2016, n. 19599. V. anche, sullo stesso tema e sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda, Cass. 15 giugno 2017, n. 14878 e Cass. 31 maggio 2018, n. 14007.
[11] In dottrina v. A. Lamorgese, Luci e ombre nella sentenza delle Sezioni unite sui danni punitivi, in Riv. dir. civ., 2018, p. 317.
[12] V. Cass. 22 agosto 2013, n. 19405, in Foro it., 2014, I, c. 2909, con nota scettica di M. Casoria, «Per aspera sic itur ad astra»: la risarcibilità del danno «parentale» assurge a principio di ordine pubblico internazionale e, più di recente, Cass. 30 aprile 2018, n. 10321.
[13] Cass. 30 settembre 2016, n. 19599.
[14] N. Picardi, La crisi del monopolio statuale della giurisdizione, in Corti europee e giudici nazionali, Atti del XXVII convegno nazionale dell’associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Bologna, 2009, pp. 21-22.
[15] Il riferimento è, da un lato, alla nota vicenda Taricco, su cui v. A. Natale, Le tappe della cd. saga Taricco e alcune riflessioni in ordine sparso, in Questionegiustizia on line, 7 dicembre 2017, www.questionegiustizia.it/articolo/le-tappe-della-cd_saga-taricco-e-alcune-riflessioni-in-ordine-sparso_07-12-2017.php, dall’altro lato ai dubbi sollevati da un passo sulla doppia pregiudizialità, contenuto in Corte cost. 14 dicembre 2017, n. 269, in Foro it., 2018, I, c. 406, con nota di E. Scoditti, Giudice costituzionale e giudice comune di fronte alla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dopo la sentenza costituzionale n. 269 del 2017. In tempi recentissimi, la Corte costituzionale è tornata sul tema, facendo alcune precisazioni con la sentenza 21 febbraio 2019, n. 20, su cui v. A. Ruggeri, La Consulta rimette a punto i rapporti tra diritto eurounitario e diritto interno con una pronunzia in chiaroscuro (a prima lettura di Corte cost. sent. n. 20 del 2019), in www.giurcost.org e O. Pollicino - F. Resta, Trasparenza amministrativa e riservatezza, verso nuovi equilibri: la sentenza della Corte costituzionale, in www.agendadigitale.eu .
[16] Sul tema v. di recente M. Ruotolo, Quando il giudice deve fare da sé, in Questionegiustizia on line, 22 ottobre 2018, www.questionegiustizia.it/articolo/quando-il-giudice-deve-fare-da-se-_22-10-2018.php, e M. Luciani, Interpretazione conforme a Costituzione, in Enc. Dir., Annali IX, Milano, 2016, pp. 391 ss.
[17] V. G. Barile, Costituzione e rinvio mobile, Padova, 1987, pp. 24 ss., a proposito della complementarietà tra controllo accentrato di costituzionalità e delibazione del giudice ordinario sul diritto straniero, con la conclusione però che “la difesa dell’ordine pubblico internazionale garantita dal giudice ordinario è quella che sola si addice in maniera soddisfacente ai casi di rinvio a valori stranieri operato dal diritto internazionale privato”. La questione può comunque giungere in via indiretta all’attenzione della Corte costituzionale, come accaduto a proposito del citato contenzioso sui danni cagionati dalla Germania durante la II guerra mondiale e sull’immunità degli Stati dalla relativa responsabilità. Tale contenzioso, sviluppatosi prevalentemente sul terreno del diritto internazionale privato, è poi sfociato davanti alla Corte costituzionale a seguito della sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012 (in Foro it., 2013, I, c. 389, con nota di D. Maltese) e della norma (articolo 3 della l. n. 5 del 2013) che aveva imposto ai giudici nazionali di adeguarsi a detta pronuncia: Corte cost. 22 ottobre 2014, n. 238 (in Foro it., 2015, I, c. 1152, con note di A. Palmieri e A. Sandulli) ha dichiarato illegittimo sia l’articolo 3 citato, sia, seppur parzialmente, l’articolo 1 della l. n. 848 del 1957, limitatamente all’esecuzione data all’articolo 94 della carta delle Nazioni Unite. Sul tema v. i contributi apparsi sul fascicolo 1 di questa Rivista nel 2015, sotto il titolo I diritti fondamentali tra obblighi internazionali e Costituzione, www.questionegiustizia.it/rivista/2015-1.php.
[18] V. da ultimo l’ordinanza del 26 gennaio 2017, n. 24 (in Foro it., 2017, I, c. 393), con cui la Corte costituzionale ha operato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo sul caso Taricco.
[19] Sul costituzionalismo universale v. G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, pp. 386 ss.
[20] V. la discussione su www.legalaffairs.org, 2004 e in particolare i saggi, su posizioni contrapposte, di R. Posner, No Thanks, We Already Have Our Own Laws e V. Jackson, Yes Please, I’d Love to Talk With You.
[21] C. Schmitt, La tirannia dei valori, ed. it., Adelphi, Milano, 2008, p. 63.
[22] V. in particolare i saggi raccolti in G. Silvestri, Lo Stato senza principe, La sovranità dei valori nelle democrazie pluraliste, Giappichelli, Torino, 2005.
[23] V. M. Luciani, Il brusco risveglio. I controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale,in ww.rivistaaic.it, 2016, fasc. 2.
[24] Sulle resistenze incontrate da questa corrente specie negli Stati Uniti, v. le pagine di G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, cit. p. 389.
[25] Cass., Sez. Un., 5 luglio 2017, n. 16601, in Foro it., 2018, I, c. 2503, con nota di C. Salvi, Le funzioni della responsabilità civile e il volto italiano dei danni punitivi.
[26] V. criticamente A. Lamorgese, Luci e ombre, cit., p. 317.
[27] Cass. 22 febbraio 2018, n. 4382. Per un commento v. M. Minutillo Turtur, Omogenitorialità, ordine pubblico internazionale e status dei minori nati da gestazione per altri con tecnica di procreazione medicalmente assistita all’ombra dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite n. 4832 del 2018, in www.ilfamiliarista.it , 2018.
[28] Cass. 17 marzo 1970, n. 690, Cass. 3 dicembre 1974, n. 3948, Cass. 7 aprile 1975, n. 1236, Cass. 27 luglio 1978, n. 3769.
[29] F. Morozzo della Rocca, Pubblico ministero (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, § 4.
[30] Cass., Sez. Un., 13 novembre 2008, n. 27145.
[31] Secondo l’opportuna precisazione di M. Luciani, Il brusco risveglio, cit.
[32] R. Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, ed. it., Il Mulino, Bologna, 2012, p. 575.
[33] G. Silvestri, Sovranità vs. diritti fondamentali, in questa Rivista, n. 1, 2015 www.questionegiustizia.it/rivista/2015-1.php..
[34] E. Scoditti, Populismo e diritto. Un’introduzione, in questo fascicolo.