In occasione della crisi costituzionale che flagella la Polonia[1], la Corte di Giustizia dell’Unione europea continua a costruire ed affinare le caratteristiche di un ordinamento giudiziario europeo, indipendente ed imparziale, prefigurato nelle sue linee generali dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali e dagli artt. 2 e 19 Tue.
Con la sentenza del 19 novembre 2019[2] (nei procedimenti riuniti C-585/18, C-624/18, C-625/18) la Cgue si pronuncia sulle questioni pregiudiziali sollevate dalla Sezione per il lavoro e la previdenza sociale della Corte Suprema polacca, in controversie in cui viene prospettata violazione del divieto di discriminazione per ragioni di età in relazione al pensionamento anticipato di alcuni giudici della stessa Corte Suprema e della Corte Suprema amministrativa. E, compiuta un’accurata esegesi delle norme sul giusto processo e sul diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo contenute nella Carta e nella Cedu, che presuppongono “un giudice indipendente e imparziale” in una democrazia fondata sullo Stato di diritto, sviluppa gli aspetti teorici e concreti dai quali ricavare, e sulla base dei quali valutare, i requisiti di indipendenza ed imparzialità degli organi giurisdizionali in Europa.
La Corte di Giustizia afferma che le recenti riforme in materia di nomina dei componenti del Consiglio nazionale della Magistratura polacco (Krs) e di istituzione di una Sezione disciplinare della Corte Suprema, per “le condizioni oggettive nelle quali è stato creato l’organo … e le caratteristiche del medesimo nonché il modo in cui i suoi membri sono stati nominati”, possono essere idonei “a generare dubbi legittimi, nei singoli, quanto all’impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni, in particolare rispetto a influenze dirette o indirette dei poteri legislativo ed esecutivo, e quanto alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti e, pertanto, possano portare a una mancanza di apparenza di indipendenza o di imparzialità di detto organo, tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare a detti singoli in una società democratica”.
La crisi costituzionale polacca si è realizzata a partire dal 2015 mediante una serie di riforme promosse dal partito di governo che hanno stravolto il principio di separazione dei poteri e sottoposto a continue pressioni ed indebolimento l’indipendenza del potere giudiziario polacco.
Tra i dati più notevoli di tale involuzione si può ricordare che: il Ministro della Giustizia ha cumulato la carica e le funzioni di Procuratore generale dello Stato, con poteri di intervento nei singoli casi; è stato modificato il sistema di elezione dei Consigli superiori di giudici e pubblici ministeri; è stato alterato il meccanismo di nomina dei giudici della Corte Costituzionale; è stata riformata la Corte Suprema, mediante abbassamento dell’età pensionabile dei suoi componenti ed eventuale trattenimento in servizio a discrezione del Presidente della Repubblica.
Queste riforme hanno portato all’apertura, da parte della Commissione, di una procedura ex art. 7 Tue per l’esistenza di un “evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia”, ed a due precedenti pronunce della Corte di Giustizia, originate rispettivamente dalla richiesta di esecuzione in Irlanda di un mandato di arresto europeo emesso da autorità giudiziarie polacche (sentenza 25 luglio 2018 in causa C-216/18 PPU, LM) e da un ricorso per inadempimento ex art. 258 Tfue sempre promosso dalla Commissione (sentenza 24 giugno 2019 nella causa C‑619/18, Commissione europea contro Repubblica di Polonia, preceduta da ordinanze del 19 ottobre 2018 e del 17 dicembre 2018)[3].
Fatte queste premesse[4], è interessante qui sottolineare che la Corte di Giustizia, con la sentenza in commento, in linea di continuità, oltre che con le sentenze appena citate, anche con la sentenza cd. Asjp (del 27 febbraio 2018 in causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses contro Tribunal de Contas), pone in questione sia il nuovo meccanismo di elezione di componenti della Krs, quanto la conseguente composizione della nuova Sezione disciplinare della Corte Suprema, alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali e dell’art. 6 Cedu. E ne trae la conseguenza che il giudice del rinvio (la Sezione lavoro e previdenza della Corte Suprema), in caso di accertamento della non rispondenza del nuovo organismo (la Sezione disciplinare della stessa Corte Suprema) ai parametri di indipendenza e imparzialità europei, per il principio del primato del diritto dell’Unione deve disapplicare le disposizione nazionali che riservino al nuovo organismo la competenza a conoscere delle controversie di cui ai procedimenti principali, di modo che esse possano essere esaminate, invece, da un giudice che soddisfi i requisiti di indipendenza e di imparzialità.
Le questioni pregiudiziali che portano la Corte di Giustizia all’applicazione diretta dell’art. 47 della Carta e degli artt. 2 e 19 Tue nel caso in esame sono state sollevate in collegamento con l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e segnatamente il diritto di accesso a procedure giurisdizionali e/o amministrative finalizzate al rispetto degli obblighi derivanti dalla Direttiva stessa.
La Corte di Giustizia osserva che, nei giudizi riguardanti il collocamento a riposo anticipato di giudici della Corte Suprema, divenuti di competenza della nuova Sezione disciplinare (anziché della sezione con competenza generale in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale, compresa le controversie in materia di discriminazione per età) si pone in dubbio “il fatto che tale sezione e i suoi componenti offriranno garanzie sufficienti di indipendenza e di imparzialità”.
Questo, in primo luogo, perché essi sono nominati su proposta della Krs, organo i cui 15 membri togati non sono più eletti, come in passato, dai giudici stessi (principio della election by peers), ma dal Parlamento, in modo non trasparente.
Inoltre la Krs non difenderebbe l’indipendenza del giudiziario polacco, ma avrebbe pubblicamente criticato i membri del giudiziario per aver rivolto questioni pregiudiziali alla Corte Ue o per aver cooperato con le istituzioni dell’Unione, in particolare con la Commissione europea.
In relazione a queste circostanze di fatto, in risposta all’eccezione del Procuratore generale polacco, intervenuto nella causa, secondo cui le disposizioni del diritto dell’Unione considerate in tali questioni non definiscono la nozione di organo giurisdizionale indipendente e non contengono norme relative alla competenza dei giudici nazionali e ai consigli nazionali della magistratura (aspetti che rientrerebbero, pertanto, nella competenza esclusiva degli Stati membri e sottratti a qualsiasi controllo da parte dell’Unione), la Corte ribadisce che, sebbene l’organizzazione della giustizia negli Stati membri rientri nella competenza di questi ultimi, ciò non toglie che, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri siano tenuti a rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione.
Quanto all’eccezione che, in relazione all’art. 19 Tue ed all’art. 47 della Carta, le disposizioni nazionali discusse nel procedimento principale non attuerebbero il diritto dell’Unione e non potrebbero essere valutate alla luce di tale diritto, la Corte sottolinea che, in materia di divieto di discriminazione fondata sull’età in materia di occupazione, la direttiva 2000/78 riafferma il diritto ad un ricorso effettivo, quindi una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione, nella misura in cui viene fatto valere il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva garantito dall’art.47 della Carta.
Quindi, è proprio il dovere degli Stati membri di assicurare, in ogni caso, il rispetto del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva quale garantito dall’articolo 47 della Carta a radicare la competenza della Corte, pur in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, per così dire, di ordinamento giudiziario, e pur spettando all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti individuali derivanti dal diritto dell’Unione.
Dunque è la Corte di Giustizia, in via pretoria, a riempire di contenuto la nozione di giudice indipendente e imparziale nel territorio dell’Unione.
In quest’ultima sentenza, in chiave contenutistica la Corte ricorda espressamente che:
- i commi primo e secondo dell’art. 47 della Carta corrispondono all’art. 6, paragrafo 1, e all’art. 13 della Cedu;
- essa deve, pertanto, “sincerarsi che l’interpretazione da essa fornita dell’articolo 47, secondo comma, della Carta assicuri un livello di protezione che non conculchi quello garantito all’articolo 6 della Cedu, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”;
- il diritto fondamentale a un ricorso effettivo implica, in particolare, il diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente da un giudice indipendente e imparziale;
- il requisito di indipendenza implica due aspetti: il primo, di carattere esterno, richiede che l’organo interessato eserciti le sue funzioni in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo gerarchico o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, con la conseguenza di essere quindi tutelato dagli interventi o dalle pressioni esterni idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e a influenzare le loro decisioni; il secondo aspetto, di carattere interno, si ricollega alla nozione di imparzialità e concerne l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi riguardo all’oggetto di quest’ultima, imponendo il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica;
- le garanzie di indipendenza e di imparzialità presuppongono l’esistenza di regole, relative alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti.
In sostanza, evidenzia ancora la Corte, l’interpretazione così esplicitata dell’art. 47 della Carta è avvalorata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 6, paragrafo 1, della Cedu, secondo cui tale disposizione richiede che i giudici siano indipendenti tanto dalle parti quanto dall’esecutivo e dal legislatore. E benché né l’art. 6 né altre disposizioni della Cedu impongano agli Stati un determinato modello costituzionale, che disciplini in un modo o in un altro le relazioni e l’interazione tra i diversi poteri statali, né obblighino gli Stati a conformarsi all’una o all’altra nozione costituzionale teorica riguardante i limiti ammissibili a un’interazione del genere, la questione è sempre quella di stabilire se, in una determinata causa, i requisiti della Cedu siano stati rispettati.
Separazione dei poteri e Stato di diritto sono declinati con un certo grado di dettaglio dalla Corte di Giustizia Ue. È un ulteriore mattone nella costruzione dell’integrazione europea ed un’ulteriore guida e protezione per il giudice europeo diffuso nelle Corti nazionali.
[1] L’espressione è tratta dall’Introduzione dei curatori G. Pitruzzella, O. Pollicino, M. Bassini al volume Corti europee e democrazia. Rule of law, indipendenza e accountability, Bocconi Editore, Milano 2019. Nel volume sono, tra l’altro, contenuti i saggi di R. Piotrowski, L’indipendenza della magistratura e la democrazia costituzionale. Rivisitazione dell’esperienza attuale della Polonia, e di G. Halmai, Lo smantellamento del controllo di costituzionalità in Ungheria. Sulla vicenda complessiva si veda anche Judicial Management Versus Independence of the Judiciary“, ed. D. Szumilo-Kulczycka, K. Gajda-Roszczynialska, Wolters Kluwer, Warsaw, 2018.
[2] http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62018CJ0585&lang1=it&type=TXT&ancre= ;
Comunicato stampa n. 145/19
https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2019-11/cp190145it.pdf.
[3] V., in questa rivista, le note Stato di diritto ed integrazione processuale europea. La Corte di giustizia ed il caso Polonia (27 luglio 2018) e Caso Polonia, ancora una pronuncia d’urgenza della Cgue. Il rispetto dello Stato di diritto negli Stati membri riguarda tutti gli europei (26 ottobre 2018). Sull’immediata applicazione della sentenza in commento da parte della Corte Suprema polacca e sulle reazioni del governo cfr. https://notesfrompoland.com/2019/12/05/supreme-court-ruling-deals-blow-to-polish-governments-judicial-reforms/ e http://www.bnnbloomberg.ca/poland-ignores-supreme-court-and-eu-with-new-curbs-on-judges-1.1360902.
[4] La reazione sinergica da parte di varie istituzioni per preservare il rispetto della Rule of Law e dei suoi equilibri tra istituzioni democratiche e magistratura, compito che non può essere svolto singolarmente da una singola istituzione perché investe un problema di natura sistemica, è sottolineata da M. Cartabia, nella prefazione al volume Corti europee e democrazia, cit.