Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di maggio 2021

Le più interessanti pronunce emesse dalla Corte di Strasburgo a maggio 2021

Le sentenze di maggio della Corte europea dei diritti dell’uomo qui selezionate sono accomunate dalla rilevanza per definire lo status di vittima, dunque il diritto di ricevere in concreto tutela nell’ambito della Convenzione. 

Nella causa Penati c. Italia, introdotta dal ricorso di una madre per l’infanticidio del figlio ad opera dell’ex compagno, la Corte ricollega al risarcimento ottenuto dalla ricorrente in via transattiva la perdita della qualità di vittima quanto all’aspetto sostanziale del diritto alla vita, permanendo viceversa tale qualità quanto all’aspetto procedurale e agli obblighi di tutela derivanti, in capo all’autorità nazionali, in sede penale. Poiché l’infanticidio è stato perpetrato durante un incontro padre-figlio gestito dai servizi sociali locali, lo Stato assume una posizione di garanzia peculiare, analoga a quella che la Corte disegna in ipotesi di suicidi in carcere o di morte durante il servizio militare.

A seguire, la Grande Camera, nelle cause Big Brother Watch e altri c. Regno Unito e Centrum för rättvisa c. Svezia, affronta il tema della sorveglianza segreta, delle intercettazioni di massa e della condivisione transnazionale dei dati di intelligence. Si tratta di temi nuovi, entro cui la Corte si orienta mediante il raffronto con la giurisprudenza sulle intercettazioni mirate, ossia le intercettazioni operanti in singoli procedimenti penali. Il connotato peculiare è la necessaria segretezza, di cui la Corte tiene conto già sotto il profilo dell’ammissibilità del ricorso: eccezionalmente, i singoli potranno censurare in abstracto una legge interna, poiché, diversamente opinando, la segretezza renderebbe le misure di sorveglianza incontestabili, sottratte al controllo delle autorità giudiziarie nazionali e della Corte. 

 

Sentenza della Corte Edu (Prima Sezione) 11 maggio 2021, ric. n. 44166/15, Penati c. Italia

Oggetto: articolo 2 della Convenzione (diritto alla vita), aspetto procedurale, infanticidio commesso durante un incontro padre-figlio organizzato dai servizi sociali, effettività delle indagini penali. Articolo 34 (ricorsi individuali), status di vittima della madre per quanto concerne l’aspetto procedurale dell’articolo 2, nonostante l’ottenimento di una somma a titolo di risarcimento civile in via stragiudiziale.

La ricorrente, cittadina italiana, intratteneva una relazione con Y.B., cittadino egiziano, da cui nasceva F. Col deteriorarsi della relazione, Y.B. lasciava la casa familiare e, un mese dopo l’abbandono, pretendeva di vedere il bambino da solo. 

Nel 2005 la ricorrente denunciava alla polizia la condotta vessatoria posta in essere dall’ex compagno: dichiarava di non volersi opporre agli incontri tra padre e figlio, purché i medesimi si svolgessero in un ambiente protetto, temendo un rapimento; chiedeva inoltre alla polizia di adottare le misure necessarie per permetterle di vivere in pace col figlio.

La polizia trasmetteva le informazioni raccolte sia alla procura del tribunale ordinario che alla procura del tribunale dei minori. 

Nel corso del procedimento penale avviato nei confronti di Y.B., la madre della ricorrente, interrogata, descriveva la trascuratezza e l’aggressività dell’indagato, rendeva note le minacce e gli insulti rivolti alla figlia, nonché la paura che il nipote nutriva nei confronti del padre. Di tale procedimento, la prima udienza si sarebbe dovuta svolgere nel 2009.

Nel 2006, la ricorrente presentava una denuncia a carico dell’ex compagno per lesioni, subite in occasione di un incontro per concordare le modalità di visita col figlio; il relativo procedimento veniva però chiuso per rimessione di querela. Nel 2008, ella denunciava il danneggiamento alla porta di ingresso, formalmente da parte di ignoti. Nel 2009, a fronte delle persistenti minacce, la ricorrente reiterava la richiesta all’autorità di adottare le misure necessarie per porre fine alle molestie e tutelare l’incolumità propria e del bambino.

Sotto il profilo civilistico, nel 2005, la ricorrente domandava la cessazione della potestà genitoriale in capo a Y.B. Due anni dopo, la medesima ritirava tale richiesta alla luce del desiderio del bambino di incontrare il padre; in ogni caso, sottolineava la minaccia del rapimento in Egitto nonché i rischi associati ai problemi di dipendenza di Y.B. e alle attività illecite da questi commesse. 

I medesimi fatti venivano denunciati ai servizi sociali. Gli assistenti interessatisi al caso relazionavano, in un primo rapporto, il fallimento del tentativo di trovare un “terreno comune” tra la ricorrente e Y.B., in ragione della totale mancanza di collaborazione di quest’ultimo; richiedevano inoltre l’emissione per il bambino di un divieto di allontanamento e la necessità di eseguire ulteriori indagini sul padre. In rapporti supplementari, i medesimi davano atto che la ricorrente aveva rinvenuto sul cellulare di Y.B., durante un ricovero di quest’ultimo, dei fotomontaggi raffiguranti il bambino in contesti sessuali; in una valutazione psicologica di Y.B., rilevavano disturbo della personalità con nevrosi isterica. Nel 2006, la ricorrente riferiva di una lettera minatoria per cui, se non avesse ritirato le denunce, lui avrebbe commesso un atto folle.

Nel 2007, il Tribunale per minori, prendendo atto delle risultanze dei servizi sociali, affidava F. alle cure dei servizi di assistenza pubblica e ne stabiliva la residenza presso la madre. Quest’ultima impugnava la decisione ai fini, in particolare, di ottenere l’affidamento esclusivo del minore. Tuttavia, i giudici di appello confermavano la decisione di primo grado, valorizzando la necessità di garantire al bambino un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori.

Durante le sedute della ricorrente con gli psicologi, ella riferiva le molestie dell’ex compagno e l’apprensione all’idea di incontri “liberi” tra questo e il bambino. Nell’ultima seduta, del 25 febbraio 2009, la ricorrente riferiva l’appostamento dell’uomo intorno alla casa, durante la notte.

Lo stesso giorno, si svolgeva l’incontro in ambiente protetto tra Y.B. e F. Era presente un unico educatore. Il primo, con una scusa che allontanasse l’educatore, ne profittava per sparare al bambino; nonostante i tentativi dell’educatore di salvare il bambino, Y.B. poneva brutalmente fine alla vita del figlio e alla propria.

Nel 2009, la ricorrente denunciava per omicidio colposo i tre assistenti sociali incaricati degli incontri. Il pubblico ministero presentava richiesta di archiviazione del procedimento, ma, a fronte dell’opposizione della ricorrente, il GIP rigettava la richiesta, disponendo la formulazione dell’imputazione di concorso colposo in omicidio doloso. Tuttavia il Gup, in sede di rito abbreviato, assolveva i ricorrenti, cui non spettava impedire l’evento effettivamente realizzatosi: l’assistenza pubblica si giustificava alla luce della necessità di garantire un adeguato sviluppo del bambino in presenza dei genitori, non invece l’incolumità del medesimo.

I giudici di appello, invece, condannavano uno dei tre educatori sotto processo, in quanto responsabile delle decisioni riguardanti le modalità di controllo degli incontri, assolvendo gli altri, meri esecutori delle sue direttive. Da ultimo la Cassazione annullava tale decisione senza rinvio, recuperando l’interpretazione adottata dal giudice di prime cure quanto alla posizione di garanzia degli imputati.

Nel 2011, la ricorrente avviava un procedimento civile contro i medesimi educatori nonché nei confronti della relativa cooperativa sociale. Il procedimento si chiudeva per rinuncia e accordo transattivo.

La ricorrente lamenta dinanzi alla Corte di Strasburgo la violazione, da parte dello Stato italiano, dell’obbligo positivo derivante dall’articolo 2 della Convenzione di adottare le misure necessarie per proteggere la vita del figlio nonché di porre in essere indagini effettive sulla morte del medesimo.

Sotto il profilo dell’ammissibilità del ricorso, la Corte rileva l’assenza dello status di vittima quanto all’aspetto sostanziale dell’articolo 2 della Convenzione, in relazione alla negligenza imputabile allo Stato, poiché la ricorrente, grazie ai rimedi interni disponibili, aveva ottenuto una somma considerevole a titolo di risarcimento. Viceversa, quanto all’aspetto procedurale, la Corte riconduce il caso in esame alle ipotesi di vittime sotto la responsabilità delle autorità nazionali (tra cui rilevano i suicidi in prigione o i decessi in servizio militare), poiché il figlio della ricorrente era affidato a un ente statale col compito di organizzare gli incontri padre-figlio. Ebbene, la ricorrente non ha perso lo status di vittima in relazione alla risposta giudiziaria di natura penale.

Tuttavia, nel merito, il procedimento penale sull’infanticidio è stato condotto con rapidità, completezza di esami tecnici e perizie, nonché audizione di molteplici testimoni.

Ne consegue l’assenza di una violazione dell’aspetto procedurale dell’articolo 2 della Convenzione.

La decisione della Corte è unanime ma rilevano tre opinioni (parzialmente dissenziente, parzialmente dissenziente e parzialmente concorde, separata) in punto di ammissibilità del ricorso quanto all’aspetto procedurale dell’articolo 2, non potendosi equiparare il coinvolgimento dei servizi sociali locali alle ipotesi di reclusione e di servizio militare obbligatorio; non potendo residuare neanche sotto il profilo penale lo status di vittima alla luce dell’accordo transattivo.

 

Sentenza della Corte Edu (Grande Camera) 25 maggio 2021, ric. n. 58170/13, Big Brother Watch e altri c. Regno Unito

Oggetto: articolo 8 della Convezione (diritto al rispetto della vita privata), regime di sorveglianza segreta, differenze tra intercettazione mirata e intercettazione di massa, “garanzie end-to-end” sul  grado di intrusione nella privacy, carenze nel regime di intercettazione in massa (in punto di autorizzazione indipendente, inclusione di categorie di selettori dei dati nella richiesta di mandato, assoggettamento dei selettori a un’autorizzazione preventiva), ricezione di informazioni dai servizi segreti stranieri. Articolo 10 della Convenzione (libertà d’espressione), protezione insufficiente del materiale confidenziale dei giornalisti nei sistemi di sorveglianza elettronica.

La Corte accerta all’unanimità la violazione degli articoli 8 e 10 della Convenzione in relazione al regime inglese sull’intercettazione di massa; con cinque voti contrari su dodici, esclude la violazione dei medesimi articoli in relazione alla ricezione di materiale intercettato dai servizi segreti stranieri (nello specifico, statunitensi).

I ricorrenti lamentano la portata e l’ampiezza dei programmi di sorveglianza elettronica gestiti dal Governo del Regno Unito. 

Nel 2013 Edward Snowden rivelava che il Government Communications Headquarters (GCHQ), uno dei servizi segreti del Regno Unito, stava conducendo un’operazione, nome in codice Tempora, che gli permetteva di intercettare e conservare enormi volumi di dati. Tale circostanza non fu mai confermata né smentita dalle autorità nazionali. Nel 2015, tuttavia, il Comitato per l’Intelligence e la Sicurezza del Parlamento rendeva noto il funzionamento di due grandi sistemi di elaborazione per l’intercettazione in massa delle comunicazioni. Al contempo, per gli Stati Uniti, la National Security Agency (NSA) ha riconosciuto l’esistenza di due operazioni chiamate PRISM e Upstream.

Il quadro giuridico britannico di riferimento era il Regulation of Investigatory Powers Act 2000 (RIPA), il quale istituiva un tribunale specializzato (IPT) per esaminare le denunce dei cittadini per interferenze illecite con le loro comunicazioni.

Gli odierni ricorsi sono confluiti in tre cause riunite. Solo entro la terza delle cause riunite, i ricorrenti (dieci organizzazioni per i diritti umani) hanno presentato opportuna denuncia all’IPT, sostenendo che i servizi segreti (l’Home Secretary e il Foreign Secretary) avevano agito in violazione degli articoli 8, 10 e 14 della Convenzione: (i) accedendo o ricevendo in altro modo comunicazioni e dati di comunicazione intercettati dal governo degli Stati Uniti nell’ambito dei programmi PRISM e Upstream; e (ii) intercettando, ispezionando e conservando comunicazioni e dati nell’ambito del programma TEMPORA. Nell’udienza a porte chiuse, l’IPT esaminava le disposizioni interne regolanti la condotta e la pratica dei servizi di intelligence.

La denuncia, pervenuta prima alla Camera, ora alla Grande Camera, è dunque esaminata alla luce tanto del diritto al rispetto della vita privata e familiare che alla libertà di comunicazione o espressione, e riguarda sia l’intercettazione in massa da parte dei servizi di intelligence inglesi che la ricezione di materiale intercettato dai servizi di intelligence stranieri. 

Nel tempo la Corte ha avuto modo di esprimersi prevalentemente sulle intercettazioni mirate, nell’ambito di indagini penali; minore è la giurisprudenza sulle intercettazioni di massa, utilizzate per la raccolta di informazioni estere e l’identificazione di nuove minacce, anche da parte di attori sconosciuti. In questo campo, gli Stati contraenti hanno un bisogno legittimo di segretezza, sicché le informazioni disponibili possono essere espresse in una terminologia oscura.

Anche agli occhi del Governo inglese, è pacifica l’esistenza di un’interferenza nei diritti di cui all’articolo 8 della Convenzione. La Corte ritiene che la medesima abbia un’intensità graduale a seconda delle fasi della procedura di intercettazione di massa, descritte come segue: a) intercettazione e conservazione iniziale delle comunicazioni e dei relativi dati di comunicazione (cioè i dati sul traffico appartenenti alle comunicazioni intercettate); b) applicazione di selettori specifici alle comunicazioni conservate; c) esame da parte degli analisti di dati selezionati sulle comunicazioni; d) successiva conservazione dei dati e uso del prodotto finale, compresa la condivisione con terzi.

Ciò posto è necessario stabilire se l’interferenza possa dirsi giustificata, dunque conforme ad una legge accessibile e prevedibile, volta ad uno o più scopi legittimi e necessaria in una società democratica (alla luce del suddetto scopo).

Quanto alla prevedibilità della legge, nel contesto delle misure segrete di sorveglianza, tale concetto non può significare che gli individui debbano essere in grado di prevedere quando le autorità ricorreranno probabilmente a tali misure in modo da poter adattare la loro condotta di conseguenza; piuttosto è essenziale avere regole chiare e dettagliate sulle misure di sorveglianza, sul loro uso, sulla portata della discrezionalità conferita.

Per stabilire se l’ingerenza sia necessaria, con riguardo alle intercettazioni penali mirate, la Corte ha elaborato i seguenti requisiti minimi per evitare abusi di potere: (i) natura dei reati che possono dar luogo a intercettazione; (ii) definizione delle categorie di persone sottoponibili a intercettazione; (iii) limite alla durata; (iv) procedura da seguire per l’esame, l’uso e la conservazione dei dati ottenuti; (v) precauzioni nella comunicazione dei dati ad altre parti; (vi) circostanze in cui i dati intercettati possono o devono essere cancellati o distrutti.

Sebbene la Corte abbia applicato tali garanzie anche in ipotesi di intercettazioni di massa, si tratta di casi (Weber e Saravia e Liberty e altri) con più di dieci anni, inidonei a rispecchiare gli sviluppi tecnologici più recenti, né pertanto l’attuale differenza con le intercettazioni mirate. L’intercettazione di massa è generalmente diretta a comunicazioni internazionali, non solo per indagare su reati gravi, ma per raccogliere informazioni estere per anticipare attacchi informatici, per controspionaggio o antiterrorismo. Inoltre, l’intercettazione in blocco non riguarda individui specifici ma interessa individui che rispondono a “selettori forti”.

In mancanza di una giurisprudenza convenzionale in materia, la Corte ha preso in considerazione una gamma più ampia di criteri rispetto alle sei suddette garanzie. In particolare, il quadro giuridico interno dovrà aver chiaramente definito: 1. i motivi per cui l’intercettazione in blocco può essere autorizzata; 2. le circostanze in cui le comunicazioni di un individuo possono essere intercettate; 3. la procedura da seguire per la concessione dell’autorizzazione; 4. le procedure da seguire per selezionare, esaminare e utilizzare il materiale di intercettazione; 5. le precauzioni da prendere quando si comunica il materiale ad altre parti; 6. i limiti della durata dell’intercettazione, la conservazione del materiale di intercettazione e le circostanze in cui tale materiale deve essere cancellato e distrutto; 7. le procedure e le modalità di supervisione da parte di un’autorità indipendente del rispetto delle suddette salvaguardie e i suoi poteri per affrontare il mancato rispetto; 8. le procedure di revisione indipendente ex post facto di tale conformità e i poteri conferiti all’organismo competente nell’affrontare i casi di non conformità.

Infine, la trasmissione da parte di uno Stato contraente a Stati stranieri o a organizzazioni internazionali di materiale ottenuto da intercettazioni di massa deve essere limitata a quel materiale che è stato raccolto e conservato in modo conforme alla Convenzione.

Nell’applicare siffatti principi al caso in esame, la Corte conferma l’esistenza dello scopo legittimo di proteggere la sicurezza nazionale e l’accessibilità del diritto inglese sul regime di sorveglianza segreta, in particolare in ordine ai motivi per cui l’intercettazione in blocco può essere autorizzata; alle circostanze in cui le comunicazioni di un individuo possono essere intercettate; alle procedure da seguire per selezionare, esaminare e utilizzare il materiale di intercettazione; alle precauzioni da prendere nella comunicazione di materiale ad altre parti; alla durata dell’intercettazione, della conservazione del relativo materiale e alle circostanze in cui tale materiale deve essere cancellato o distrutto (nonostante l’auspicio di periodi di conservazione più brevi e di misure adeguate per rendere noti i periodi di conservazione); alla supervisione su richieste e operazioni, ritenuta dalla Corte indipendente ed efficace; al rimedio di revisione ex post, per sospetti di intercettazione. 

La Corte ha invece ritenuto la violazione dell’articolo 8 della Convenzione quanto alla sussistenza di un’autorizzazione indipendente, poiché attualmente spettante ad un organo dell’esecutivo, per la mancata inclusione delle categorie di selettori nella domanda di mandato, nonché per la mancata subordinazione dei selettori legati a un individuo ad un’autorizzazione interna preventiva.

I ricorrenti lamentano inoltre che le suddette misure di sorveglianza hanno interferito con le comunicazioni privilegiate tutelate dall’articolo 10 della Convenzione, nella loro qualità di giornalisti e ONG.

La Camera aveva ritenuto che la sorveglianza in esame non fosse finalizzata a monitorare i giornalisti né a scoprirne le fonti, sicché non si sarebbe potuta considerare quale interferenza con la libertà di espressione.

La Grande Camera, nel delineare l’approccio da adottare nel presente caso, distingue l’accesso dei servizi di intelligence al materiale giornalistico riservato in “intenzionale”, ossia condotto attraverso l’uso deliberato di selettori o termini di ricerca collegati ad un giornalista o a un’organizzazione di notizie, o “involontario”, ossia “cattura secondaria” (accessoria o collaterale) dell’intercettazione di massa. Ciò posto, anche ai fini dell’articolo 10 della Convenzione, la Corte ribadisce l’esistenza di un’interferenza e le considerazioni sopra svolte circa la relativa base legale, in termini di prevedibilità e accessibilità. Nonostante l’esistenza di previsioni interne aggiuntive aventi ad oggetto l’intercettazione e il trattamento di materiale giornalistico riservato, queste non compensano i deficit sopra rilevati, quanto ad autorizzazione indipendente e utilizzo dei selettori.

Per gli stessi motivi alla base della violazione dell’articolo 8 della Convenzione, la Corte constata la violazione dell’articolo 10.

Ulteriore profilo di censura concerne la ricezione di informazioni dai servizi segreti stranieri. L’IPT aveva identificato tre categorie di materiale trasmissibili da partner di intelligence stranieri: materiale di intercettazione non richiesto; materiale di intercettazione sollecitato; materiale derivante da strumenti diversi dall’intercettazione. La Camera non ha esaminato la denuncia relativa al materiale «non richiesto», accogliendo l’argomento del Governo secondo cui si tratterebbe di ipotesi «implausibile e rara»; non ha esaminato neanche la ricezione di materiale non intercettato, poiché i ricorrenti non hanno specificato il tipo di materiale che i servizi segreti stranieri potrebbero ottenere con metodi diversi dall’intercettazione. 

I ricorrenti non hanno contestato nessuna di queste conclusioni, sicché la Grande Camera affronta solo la denuncia relativa alla ricezione di materiale di intercettazione sollecitato dalla NSA. 

In primo luogo, viene confermata la qualità di vittime dei ricorrenti alla luce della verosimile intercettazione delle loro comunicazioni in base ai selettori forti usati tanto dal GCHQ che nell’ambito dell’operazione statunitense Upstream.

L’intercettazione di comunicazioni da parte di servizi segreti stranieri non può impegnare la responsabilità di uno Stato ricevente, né rientrare nella giurisdizione di tale Stato ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione, anche se l’intercettazione è stata effettuata su richiesta di tale Stato. Diversa sarebbe la conclusione se i servizi segreti stranieri fossero stati messi a disposizione dello Stato ricevente; se lo Stato ricevente avesse aiutato o assistito i servizi segreti stranieri nell'intercettare le comunicazioni quando ciò equivaleva ad un atto internazionalmente illecito per lo Stato responsabile dei servizi, lo Stato ricevente era a conoscenza delle circostanze dell’atto internazionalmente illecito e l’atto fosse stato internazionalmente illecito se commesso dallo Stato ricevente; se lo Stato ricevente avesse esercitato la direzione o il controllo sul governo straniero. Nessuno di questi elementi era presente nella situazione in esame. Pertanto, qualsiasi interferenza con l’articolo 8 della Convenzione potrebbe risiedere solo nella richiesta iniziale e nella successiva ricezione del materiale di intercettazione, dalla sua successiva conservazione, esame e utilizzo da parte dei servizi di intelligence dello Stato ricevente. La protezione offerta dalla Convenzione sarebbe vanificata se gli Stati potessero aggirare i loro obblighi convenzionali richiedendo l’intercettazione di comunicazioni a Stati non contraenti, o la trasmissione di comunicazioni intercettate da parte di questi ultimi, ovvero ottenendo tali comunicazioni attraverso l’accesso diretto alle banche dati di tali Stati. Pertanto, secondo la Corte, quando viene fatta una richiesta di materiale di intercettazione a uno Stato non contraente, la richiesta deve avere una base nel sistema giuridico interno; tale sistema deve essere accessibile e prevedibile per quanto riguarda gli effetti, nonché deve vantare garanzie efficaci contro l’elusione sia del diritto interno sia degli obblighi derivanti dalla Convenzione. Infine, le garanzie sviluppate dalla Corte sull’intercettazione di massa delle comunicazioni da parte degli Stati contraenti, sono ugualmente applicabili alla ricezione di materiale di intercettazione sollecitato da un servizio segreto straniero.

Applicando siffatti principi al caso di specie, la Corte ritiene innanzitutto che il regime di richiesta e ricezione da Stati non contraenti, oltre ad avere una base nel diritto interno chiara e accessibile, persegua scopi legittimi. Quanto alla prevedibilità e alla necessità del regime di condivisione, la Corte ritiene la compatibilità di tale regime con l’articolo 8 della Convenzione poiché esistono regole chiare e dettagliate su circostanze e condizioni che autorizzano le autorità a presentare richieste ai servizi di intelligence stranieri; il diritto inglese contiene garanzie efficaci contro l’uso di tali richieste per eludere il diritto interno e/o gli obblighi del Regno Unito ai sensi della Convenzione; il Regno Unito dispone di garanzie adeguate per l’esame, l’uso, la conservazione, la trasmissione successiva, la cancellazione e la distruzione del materiale; il regime è soggetto a supervisione indipendente e possibilità di revisione ex post facto da parte dell’IPT. 

Alla luce delle medesime considerazioni la Corte esclude la violazione dell’articolo 10 della Convenzione in relazione alla ricezione di materiale da autorità straniere. 

Infine, i ricorrenti lamentano l’acquisizione di dati di comunicazione dai fornitori di servizi di comunicazione. Sul punto la Grande Camera conferma la violazione degli articoli 8 e 10 accertata dalla Camera, anche perché il Governo inglese non ha eccepito alcunché a riguardo, ha anzi ammesso i difetti della legislazione a suo tempo vigente, non a caso in procinto di riforma.

Per tutte queste ragioni, la Corte ritiene all’unanimità violati gli articoli 8 e 10 della Convenzione con riguardo al regime interno di intercettazione in massa; con dodici voti contro cinque, ritiene non violati gli articoli 8 e 10 della Convenzione per quanto concerne la ricezione di informazioni dai servizi segreti stranieri.

 

Sentenza della Corte Edu (Grande Camera), 25 maggio 2021, ric. n. 35252/08, Centrum för rättvisa c. Svezia

Oggetto: articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata), regime di sorveglianza segreta, intercettazione di massa delle comunicazioni, condivisione dell’intelligence, necessità di sviluppare la giurisprudenza alla luce delle importanti differenze tra intercettazione mirata e intercettazione di massa, “garanzie end-to-end” sul crescente grado di intrusione nella privacy in base alle fasi del processo di intercettazione, lacune quanto all’assenza di una regola chiara sulla distruzione del materiale intercettato (quando non contiene dati personali), quanto ai requisiti per la trasmissione di materiale di intelligence a partner stranieri, al doppio ruolo del Foreign Intelligence Inspectorate e all’assenza di decisioni motivate nel controllo ex post facto.

La ricorrente, Centrum för rättvisa, è una fondazione creata nel 2002, con sede a Stoccolma, che rappresenta clienti in procedimenti riguardanti i diritti e le libertà ai sensi della Convenzione o in procedimenti correlati ai sensi del diritto svedese. Essa afferma che gran parte della comunicazione che intrattiene è particolarmente sensibile dal punto di vista della privacy e che, in quanto organizzazione non governativa che esamina le attività degli attori statali, vi sia il rischio che le sue comunicazioni siano state o saranno intercettate ed esaminate attraverso l’intelligence. La ricorrente non ha avviato alcun procedimento interno, sostenendo che non esiste un rimedio efficace per le sue denunce alla Convenzione.

La ricorrente lamenta dunque, dinanzi alla Corte di Strasburgo, che la legislazione e la prassi svedesi in materia di intercettazioni di massa delle comunicazioni (c.d. “intelligence dei segnali”), violano il diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza protetto dall’articolo 8 della Convenzione.

Sotto il profilo dell’ammissibilità del ricorso, la Grande Camera conferma l’approccio seguito dalla Camera secondo cui, nei casi riguardanti misure segrete, i singoli possono contestare anche in abstracto una legge interna. Diversamente opinando, la segretezza renderebbe le misure di sorveglianza effettivamente incontestabili, sottratte al controllo delle autorità giudiziarie nazionali e della Corte. 

Nel merito, la Camera ha ritenuto che il sistema di sorveglianza svedese avesse una base chiara e accessibile nel diritto interno e che fosse giustificato da interessi di sicurezza nazionale, avverso minacce di terrorismo globale e grave criminalità transfrontaliera. Nel valutare l’esercizio del potere discrezionale degli Stati, pur avendo riscontrato alcune aree del sistema di sorveglianza suscettibili di miglioramento, la Camera ha escluso carenze significative di struttura e funzionamento.

Nel tempo la Corte ha avuto modo di esprimersi prevalentemente sulle intercettazioni mirate, nell’ambito di indagini penali; minore è la giurisprudenza sulle intercettazioni di massa, utilizzate per la raccolta di informazioni estere e l’identificazione di nuove minacce, anche da parte di attori sconosciuti. In questo campo, gli Stati contraenti hanno un bisogno legittimo di segretezza, sicché le informazioni disponibili possono essere espresse in una terminologia oscura.

Il Governo ha ritenuto che non vi fosse alcuna interferenza coi diritti dell’articolo 8 della ricorrente, in quanto non appartenente a un gruppo di persone o entità destinatarie della legislazione in materia e in considerazione del fatto che era altamente improbabile che le sue comunicazioni fossero state oggetto di un esame analitico. La Corte considera le intercettazioni in blocco come un processo di interferenza graduale coi diritti degli individui, le cui fasi possono essere descritte come segue: intercettazione e conservazione iniziale delle comunicazioni e dei relativi dati di comunicazione (cioè i dati sul traffico appartenenti alle comunicazioni intercettate); applicazione di selettori specifici alle comunicazioni conservate/ai dati relativi alle comunicazioni; esame da parte degli analisti di dati selezionati sulle comunicazioni; successiva conservazione dei dati e uso del “prodotto finale”, compresa la condivisione dei dati con terzi.

In quella che la Corte ha considerato la prima fase, le comunicazioni intercettate apparterranno a un gran numero di individui, molti dei quali non avranno alcun interesse per i servizi di intelligence. La ricerca iniziale, che è per lo più automatizzata, avviene nella seconda fase, quando diversi tipi di selettori, compresi i “selettori forti” e/o query complesse sono applicate ai pacchetti di comunicazioni conservati e ai relativi dati di comunicazione. 

Nella terza fase, il materiale di intercettazione è esaminato per la prima volta da un analista. Nella fase finale, il materiale intercettato è effettivamente utilizzato dai servizi di intelligence. 

L’interferenza sussiste in tutte le fasi, sebbene con intensità diversa e crescente, sicché si ritiene potenzialmente rilevante anche nel caso di specie.

Ciò posto è necessario stabilire se l’interferenza possa dirsi giustificata, dunque conforme ad una legge accessibile e prevedibile, volta ad uno o più scopi legittimi e necessaria in una società democratica (alla luce del suddetto scopo).

Quanto alla prevedibilità della legge, nel contesto delle misure segrete di sorveglianza, tale concetto non può significare che gli individui debbano essere in grado di prevedere quando le autorità ricorreranno probabilmente a tali misure in modo da poter adattare la loro condotta di conseguenza; piuttosto è essenziale avere regole chiare e dettagliate sulle misure di sorveglianza, sul loro uso, sulla portata della discrezionalità conferita.

Per stabilire se l’ingerenza sia necessaria, con riguardo alle intercettazioni penali mirate, la Corte ha elaborato i seguenti requisiti minimi per evitare abusi di potere: (i) natura dei reati che possono dar luogo a intercettazione; (ii) definizione delle categorie di persone sottoponibili a intercettazione; (iii) limite alla durata; (iv) procedura da seguire per l’esame, l’uso e la conservazione dei dati ottenuti; (v) precauzioni nella comunicazione dei dati ad altre parti; (vi) circostanze in cui i dati intercettati possono o devono essere cancellati o distrutti.

Sebbene la Corte abbia applicato tali garanzie anche in ipotesi di intercettazioni di massa, si tratta di casi (Weber e Saravia e Liberty e altri) con più di dieci anni, inidonei a rispecchiare né gli sviluppi tecnologici più recenti, né pertanto l’attuale differenza con le intercettazioni mirate. L’intercettazione di massa è generalmente diretta alle comunicazioni internazionali, non solo per indagare su reati gravi, ma per raccogliere informazioni estere per anticipare attacchi informatici, per controspionaggio o antiterrorismo. Inoltre, l’intercettazione in blocco non riguarda individui specifici ma interessa individui che rispondono a “selettori forti”.

In mancanza di una giurisprudenza convenzionale in materia, la Corte ha preso in considerazione una gamma più ampia di criteri rispetto alle sei suddette garanzie. In particolare, il quadro giuridico interno dovrà aver chiaramente definito: 1. i motivi per cui l'intercettazione in blocco può essere autorizzata; 2. le circostanze in cui le comunicazioni di un individuo possono essere intercettate; 3. la procedura da seguire per la concessione dell'autorizzazione; 4. le procedure da seguire per selezionare, esaminare e utilizzare il materiale di intercettazione; 5. le precauzioni da prendere quando si comunica il materiale ad altre parti; 6. i limiti della durata dell'intercettazione, la conservazione del materiale di intercettazione e le circostanze in cui tale materiale deve essere cancellato e distrutto; 7. le procedure e le modalità di supervisione da parte di un'autorità indipendente del rispetto delle suddette salvaguardie e i suoi poteri per affrontare il mancato rispetto; 8. le procedure di revisione indipendente ex post facto di tale conformità e i poteri conferiti all’organismo competente nell’affrontare i casi di non conformità.

Nel caso in esame, la Corte indaga, in particolare, la prevedibilità di ciascuno dei suddetti 8 elementi. I motivi per cui l’intercettazione in blocco può essere autorizzata sono puntualmente descritti dal Signals Intelligence Act (minacce militari esterne al paese; condizioni per la partecipazione svedese a missioni internazionali di pace o umanitarie o minacce alla sicurezza degli interessi svedesi nello svolgimento di tali operazioni; circostanze strategiche riguardanti il terrorismo internazionale o altri gravi crimini transfrontalieri che possono minacciare interessi nazionali essenziali; lo sviluppo e la proliferazione di armi di distruzione di massa, attrezzature militari e altri prodotti specifici simili; gravi minacce esterne alle infrastrutture della società; conflitti esteri con conseguenze per la sicurezza internazionale; operazioni di intelligence straniera contro gli interessi svedesi; le azioni o le intenzioni di una potenza straniera che sono di sostanziale importanza per la politica estera, di sicurezza o di difesa svedese), così come le circostanze in base alle quali le comunicazioni possono essere intercettate. Quanto alla procedura da seguire per la concessione dell’autorizzazione, ogni missione di intelligence deve essere autorizzata in anticipo dalla Corte per l’intelligence straniera, istituzione che sembra soddisfare sufficientemente il requisito di indipendenza dall’esecutivo (il suo presidente e i suoi vicepresidenti sono giudici permanenti, mentre tutti gli altri membri sono nominati dal governo ma hanno un mandato di quattro anni). La procedura per il rilascio dell’autorizzazione può variare in base al tipo di autorizzazione. A riguardo, secondo la Corte, rileva l’esistenza di un controllo giudiziario ex ante sulle richieste di autorizzazione, completo (nel senso che lo scopo della missione e i portatori e le categorie di selettori da utilizzare sono soggetti a controllo), sufficientemente dettagliato. La Corte è altresì soddisfatta della legislazione sulla selezione, l’esame e l’utilizzo dei dati intercettati, la quale tiene conto della particolare sensibilità dei dati personali, tramite obblighi speciali di limitazione della conservazione dei medesimi.

Sebbene la Corte individui una lacuna circa le ipotesi di interruzione e/o distruzione delle intercettazioni in massa, quando non più necessarie, anche sotto il profilo della relativa durata, la valutazione risulta positiva.

Grazie al funzionamento dell’Ispettorato per l’intelligence straniera, anche la supervisione di tali operazioni risulta efficace: l’Ispettorato, quando trova prove di raccolta impropria di segnali, ha il potere di decidere, con effetto giuridicamente vincolante, cessazione e/o distruzione della raccolta, delle registrazioni o delle note dei dati raccolti ; su alcune questioni, come la potenziale responsabilità civile dello Stato nei confronti di una persona o di un'organizzazione, ha il dovere di riferire alle autorità competenti; emette rapporti annuali che sono messi a disposizione del pubblico; infine, le sue attività sono state oggetto di audit da parte del National Audit Office

Viceversa, la Grande Camera ritiene la violazione dell’articolo 8 della Convenzione in relazione a due profili: in ordine alle precauzioni da prendere quando si comunica il materiale ad altre parti, in assenza, nella pertinente legislazione, di un requisito giuridico esplicito per valutare la necessità e la proporzionalità della condivisione dell’intelligence per il suo possibile impatto sui diritti dell'articolo 8; in ordine al controllo e alla revisione ex post facto, in mancanza di un coinvolgimento sufficiente dei privati denuncianti e di decisioni motivate sull’operatività dell’Ispettorato.

[**]

Chiara Buffon, esperta giuridica presso l'Ufficio dell'Agente del Governo, PhD Diritto Pubblico ind. Penale Università di Roma Tor Vergata
 
Emilio Bufano, esperto giuridico presso l'Agente del Governo, PhD Diritto Privato Università di Pisa
 
Alessandro Dinisi, esperto giuridico presso l'Agente del Governo, PhD Diritto Privato Università di Pisa

03/11/2021
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