Articoli di Questione Giustizia su riforma della giustizia - pagina 3
A partire da quando si applica la norma entrata in vigore il 30 dicembre 2022? Interrogativi legittimi e soluzioni razionali
Il legislatore, con il decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della l. n. 134 del 2021, c.d. "Cartabia", è intervenuto sul tema del procedimento penale, stravolgendo il campo dei rapporti tra giudice e pubblico ministero. In relazione ad alcuni degli istituti introdotti, su tutti l’iscrizione coatta prevista dal nuovo art. 335 ter c.p. e il nuovo ambito applicativo dell’art. 408 c.p.p., pare che il legislatore abbia fatto confusione facendo del giudice un pubblico ministero e del pubblico ministero un giudice. Il tutto è avvenuto in nome di principi di efficienza aziendalistica e in sacrificio del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. La riforma c.d. "Cartabia" in tema di procedimento penale, dunque, rischia di rappresentare una pericolosa eterogenesi dei fini dove gli scopi diventano mezzi e i mezzi diventano scopi.
Il salto di qualità come cultura e governance che il raggiungimento degli ambiziosissimi obiettivi previsti dal PNRR sulla giustizia avrebbe dovuto imporre è ancora lontano. - L’Ufficio per il processo, la riforma più significativa e efficace attuata, in troppi casi si è risolto nell’affiancare al magistrato un assistente personale, senza cogliere questa grande occasione di rinnovamento delle modalità organizzative. E’ mancato uno stabile coordinamento e scambio di esperienze tra gli uffici giudiziari, che sono stati lasciati soli. – L’Ufficio per il processo si scontra con la sempre crescente scopertura degli organici del personale amministrativo e rischia di assorbire i nuovi funzionari UPP nelle Cancellerie per sopperire alle mancanze. - Errori cui si può deve rimediare. - La digitalizzazione è un asse strategico di intervento, non una mera questione tecnica. Dovrebbe partire e rispondere alle esigenze degli utenti in quanto è oggi formante della giurisdizione che incide sulle modalità quotidiane di lavoro. Invece oggi l’attività del Ministero è lontana e non si confronta con uffici giudiziari e avvocati. Il rischio è di avere un contesto lavorativo plasmato dalle esigenze delle tecnologie e non, come sarebbe auspicabile, delle tecnologie plasmate sulle nostre esigenze lavorative. –L’Ufficio per il processo, la digitalizzazione e l’impatto che sta avendo ed avrà l’intelligenza artificiale anche nella giustizia danno la possibilità e sono l’occasione per ripensare l’organizzazione degli uffici e le modalità di lavoro. L’innovazione, la capacità di cambiare e di avere una visione generale dovrebbero essere la nostra prospettiva, nel contempo sognatori e pragmatici.
Con la legge delega n. 206/2021, ed il successivo d.lgs. di attuazione n. 1456/2922, è stata abolita la "sezione filtro" della Corte di cassazione, introdotta , con una modifica dell'art. 376 c.p.c., dalla legge 18 giugno 2009 n. 69. Questione Giustizia ripropone la relazione, sinora mai pubblicata, svolta nel 2009 dal prof. Giorgio Costantino nella quale viene tracciata la storia dell'istituto e le critiche che ne accompagnarono la faticosa gestazione.
L'introduzione di Ezia Maccora al fascicolo 2-3/2022 di Questione Giustizia trimestrale, dedicata alle riforme dell'ordinamento giudiziario
Con il decreto legislativo in attuazione della legge delega 27 settembre 2021 n. 134 è stata definitivamente approvata la "disciplina organica" della giustizia riparativa.
L’idea di una giustizia della riparazione, nella sua contrapposizione alla tradizionale giustizia punitiva, ha un che di indubitabilmente rivoluzionario, in quanto modello di giustizia fondato essenzialmente sull’ascolto e sul riconoscimento dell’altro. Il tempo era ormai maturo per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, già presenti nell’ordinamento in forma sperimentale e che stavano mostrando esiti fecondi. La giustizia della riparazione introduce nel sistema una dialettica "tripolare": non c’è più solo lo Stato che punisce e l’autore del reato che subisce la pena, c’è anche la vittima che è sparita dal processo a causa della tradizione del garantismo, ispirato allo scopo di impedire la vendetta privata e che vede la vittima sostituita dallo Stato ma neutralizzata nel processo, spettatrice e spesso vittima due volte. Il paradigma riparativo permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se entrambi vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.
La scelta italiana è stata quella di un percorso "parallelo" volto alla ricomposizione del conflitto: non una giustizia alternativa alla giustizia tradizionale (con superamento del paradigma punitivo), e nemmeno un modello sussidiario, bensì complementare, volto alla ricomposizione del conflitto poiché compito dello Stato è anche quello di promuovere la pacificazione sociale.
Anche il ruolo del Giudice muta: egli si mette non sopra il conflitto ma dentro di esso per risolverlo, non si limita ad assolvere o a condannare e, senza perdere la sua neutralità, compie il difficile cammino verso una ricomposizione che riqualifica sia il senso di un processo giusto che il senso stesso della pena inflitta.
L'editoriale di Nello Rossi al fascicolo 2-3/2022 di Questione giustizia trimestrale, dedicato alle riforme dell'ordinamento giudiziario
L’innovativa regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione e la conseguente nuova norma che prescrive al giudice dell’udienza preliminare di pronunziare sentenza di non luogo a procedere «anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna» sono destinate ad incidere profondamente sui compiti e sul ruolo del pubblico ministero, del giudice dell’udienza preliminare e del difensore.
L’articolo esamina tali trasformazioni e si sofferma sul tema della capacità dei protagonisti tecnici della giurisdizione, pubblici e privati, di metabolizzare l’importante mutamento di paradigma processuale del quale la riforma in esame si è fatta portatrice e che ha di fatto anticipato il baricentro dell’accertamento giudiziario della responsabilità dell’imputato, dalla fase del dibattimento vero e proprio, a quella, precedente, del controllo sulle risultanze delle indagini.
È giunto il tempo di un modello nuovo, che tenga conto del fatto che il pubblico ministero è una parte pubblica orientata ai principi costituzionali e che il tema della separazione delle carriere non è più attuale.
Il disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario contiene alcune disposizioni che riguardano le tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari. Si tratta di un intervento che, in larga parte, riprende indicazioni venute dalle circolari del Csm e dal dibattito di questi anni. La nuova normativa può essere, tuttavia, l’occasione per una complessiva rivisitazione del sistema tabellare e, più in generale, degli strumenti di organizzazione degli uffici (programmi di gestione, progetti previsti dall’art. 12, comma 3, dl 9 giugno 2021, n. 80) allo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni e delineare un modello di organizzazione più semplice e flessibile che utilizzi al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
Con l'immagine delle porte girevoli è stato affrontato il tema ben più complesso del rapporto tra magistratura e politica. La disciplina per gli incarichi nelle amministrazioni locali risponde ad una esigenza largamente sentita e per troppo tempo elusa dal legislatore. L’impossibilità per i magistrati di tornare alla giurisdizione al termine del mandato elettivo risponde anch’essa ad una esigenza oggi largamente sentita. Sulla destinazione al Ministero della giustizia sono introdotti disincentivi forti per i magistrati. Difficile immaginare dove, per ricoprire i ruoli apicali, saranno individuate figure professionali che assicurino, oltre alle competenze tecnico-giuridiche, la conoscenza (e l’esperienza) del funzionamento pratico della macchina della giustizia. Ma si è sacrificato sull’altare della «demonizzazione dei magistrati fuori ruolo».
Con la legge contenente deleghe per la riforma dell’ordinamento giudiziario, il legislatore si propone di procedere con una normativa di rango primario al riordino della materia del collocamento fuori ruolo dei magistrati e all’introduzione di specifici e più stringenti criteri, così venendo incontro a istanze dell’opinione pubblica e della stessa magistratura.
La legge delega 17 giugno 2022, n. 71 introduce, fra le altre cose, la modifica ai criteri di accesso alle funzioni di legittimità. Le disposizioni introdotte sembrano disegnare una nuova visione della Corte di cassazione e della Procura generale, volta a valorizzare un percorso professionale fondato principalmente sulla permanenza negli uffici di merito, ma contengono anche indicazioni dalle quali trapela una sostanziale sfiducia nell’operato dell’organo di autogoverno, che consentono di formulare dei dubbi di compatibilità costituzionale.
Due linee principali hanno ispirato il disegno riformatore.
La prima: una reazione allo scandalo delle nomine romane e della caduta etica riscontrata nella magistratura e nel suo organo di governo autonomo. Nessuna riforma del sistema di selezione sarà, però, mai sufficiente a superare la crisi che ha coinvolto la magistratura e il rapporto dei magistrati con la “carriera” se non sarà accompagnata da un nuovo patto etico e di responsabilità, che assicuri un vero cambio di rotta rispetto a quanto è emerso dalle chat perugine.
La seconda: l’essere permeato da una non condivisibile impronta aziendalistica e produttivistica, in linea con l’esigenza di raggiungere gli obiettivi del PNRR ma lontana dall’esigenza di rendere “giustizia”, che dovrà essere attentamente considerata in sede di elaborazione dei decreti delegati e di normativa secondaria.
La legge n. 71 del 17 giugno 2022, tra i vari settori di intervento, si occupa anche del procedimento disciplinare dei magistrati (art. 11). Certamente non si tratta del tratto caratterizzante della riforma; tuttavia, alcune modifiche al catalogo degli illeciti disciplinari e l’introduzione dell’istituto della riabilitazione meritano una prima riflessione “a caldo”, nell’attesa che sia la giurisprudenza a chiarire l’esatta portata delle modifiche introdotte.
Per avere piena consapevolezza della vera posta in gioco di un processo di riforma avviato verso il superamento del modello costituzionale che vuole il pm inserito nella giurisdizione, è necessario allargare lo sguardo al di là dei confini nazionali e a ciò che succede nello spazio comune di giustizia che abbiamo contribuito a costruire: dall’elaborazione dei principi sull’indipendenza del pm – quale necessario corollario dell’indipendenza dei sistemi giudiziari –, ai meccanismi di tutela messi in atto per difendere questa indipendenza – come valore chiave dello Stato di diritto –dagli attacchi portati dall’interno dell’Unione, alle scelte istituzionali con la creazione di una Procura sovranazionale “indipendente” (EPPO). L’Europa va in un’altra direzione…
La credibilità e l’efficacia della giurisdizione e la professionalità del magistrato si misurano e sono riconosciuti dalla collettività in base alla capacità di rendere giustizia. Ciò ha poco a che vedere con una performance individuale del magistrato, con parametri di rendimento e di risultato che assumono significato soprattutto nell’ottica della selezione individuale e di progressioni di “carriera”. Tra criticità e opportunità della riforma Cartabia, prospettive sulla valutazione della professionalità dei magistrati.
L’art. 3 della legge delega 17 giugno 2022, n. 71 introduce, nella disciplina delle valutazioni di professionalità, novità – sul piano sia procedurale che dei parametri di riferimento – che suscitano non marginali perplessità.
Il legislatore – animato dall’intento di ovviare alle carenze dell’istituto riscontrate nei quindici anni di sua applicazione – affianca a talune modifiche, opportune e coerenti con la sua collocazione sistematica nel contesto dell’architettura ordinamentale, altre che, invece, sono idonee a incidere sul carattere orizzontale della magistratura, instillando pericolosi germi di carrierismo e gerarchizzazione.
Al cospetto di un dibattito polarizzato, almeno in parte, dalla vexata quaestio della partecipazione degli avvocati ai lavori del Consiglio giudiziario in materia di valutazioni di professionalità – che deve, in linea di principio, essere vista con favore – occorre piuttosto mettere in evidenza, da un canto, la quantomeno discutibile attribuzione di giudizi distinti per valore in ordine alla capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro e, dall’altro, l’assunzione di centralità, nel contesto del procedimento, del rapporto del capo dell’ufficio.
Analogamente, va segnalata, ancora in chiave critica, la singolarità del reiterato accenno alle «gravi anomalie in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudizio» che, al di là della valenza fortemente simbolica dell’espressione, appare difficilmente armonizzabile con il fondamentale principio per cui l’attività interpretativa in diritto del giudice è, per regola costituzionale, libera e quella di valutazione della prova è insindacabile per legge.
Una legge elettorale per tre quarti ad effetti maggioritari, frutto di compromesso tra logiche diverse. Dai possibili effetti in concreto i più diversi, a seconda della “tenuta” delle aggregazioni associative “storiche”. Con rilevanti criticità in particolare in punto di tutela della rappresentanza di genere e di una piena rappresentatività delle diverse sensibilità in Magistratura, ma nel contesto politico positiva espressione da un lato del rifiuto del sorteggio quale criterio base nella selezione dei candidati così come di sistemi maggioritari “puri”, e dall’altro della volontà di garantire comunque la formazione di un Consiglio Superiore sufficientemente pluralista.
Le linee della riforma ordinamentale in tema di valutazioni di professionalità dei magistrati, pur in un quadro generale di avvertita necessità di contenimento dei tempi di trattazione degli affari giudiziari e prevedibilità delle decisioni, rischiano di innescare effetti indesiderati in punto di conformismo giudiziario e riduzione degli spazi di autonomia interpretativa connaturali alla giurisdizione. Quali saranno gli spazi concreti di apprezzamento delle gravi anomalie derivanti dallo sviluppo del procedimento? Quali sono le attuali criticità del ruolo del giudice?
In attesa dell’emanazione dei decreti delegati attuativi della l. 26 novembre 2011 n. 206, si è svolto, fra gli altri, un convegno organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona per un confronto sui principali temi della riforma della giustizia civile. La relazione che segue riguarda, in particolare, le prime attuazioni dell’Ufficio per il Processo.
La difformità delle decisioni giudiziarie non viene quasi mai compresa ed accettata dall’opinione pubblica, ed a volte anche dagli addetti ai lavori. Questo tema è destinato ad acquisire anche un rilievo ordinamentale, perché uno dei parametri delle valutazioni di professionalità introdotto dalla riforma Cartabia ha ad oggetto proprio il destino delle scelte e dei provvedimenti del magistrato nelle fasi successive. L’articolo tratta la questione sotto entrambi i profili, evidenziando come in questa materia la nozione stessa di errore debba tenere conto di tutte le peculiarità della giurisdizione, perché in caso contrario la stessa essenza di quest’ultima rischia di essere pesantemente compromessa.
Indipendenza e responsabilità sono i due riferimenti inscindibili del modello di giurisdizione disegnato dalla Carta Costituzionale. La loro declinazione investe sempre più direttamente l’esercizio della giurisdizione nella contemporaneità. È quindi necessaria una riflessione su come questi principi debbano essere declinati nel delineare una delle figure su cui più si è incentrato il dibattito negli ultimi anni e che più ha visto all’opera distorsioni, forzature e vere e proprie deformazioni del principio costituzionale stabilito dal terzo comma dell’art. 107 della Costituzione. Una figura sotto tensione, tra le sfide del PNRR e il ruolo sempre più incisivo e orientante del Ministero e, per esso, dell’esecutivo, il rapporto con l’autogoverno, la necessaria orizzontalità dell’organizzazione giudiziaria e il rapporto con la collettività nel cui nome la giustizia viene esercitata. Un ruolo che richiede profonda consapevolezza dei profondi mutamenti della giurisdizione, della necessaria dimensione collettiva e orizzontale dell’organizzazione, dei contenuti della legittimazione democratica della giurisdizione, dei contenuti del principio di responsabilità.
La riforma dell’ordinamento giudiziario frutto dei lavori della Commissione Luciani appare non solo incapace di risolvere i profili di criticità del nostro sistema, ma anche figlia di una cultura conservativa che contrasta con la necessità di operare un ripensamento del tradizionale paradigma ordinamentale e di realizzare una sua radicale riforma. L’ostilità dimostrata nel tempo da alcuni settori della magistratura verso l’idea del superamento del mero diritto di tribuna in favore di un più accentuato ruolo partecipativo dell’avvocatura nell’organizzazione e nell’amministrazione della giustizia, costituisce soltanto uno dei sintomi di un pericoloso arroccamento che confligge con le aspirazioni di una giustizia moderna, democratica ed aperta alla società. Il riconoscimento dell’insicurezza e del bisogno di giustizia che attraversano la collettività, impone a tutti noi di dare risposte urgenti e concrete perché se manchiamo questa sfida nella società non resteranno che la paura e l’insicurezza, che cercheranno e troveranno soddisfazione altrove, in un non auspicabile ritorno al passato.