Assegnazione a formazioni giudiziarie nei procedimenti dinanzi alla Corte Edu
1. Regole di assegnazione del ricorso alle diverse formazioni giudiziarie
Per i ricorsi individuali, introdotti da una persona fisica o giuridica nei confronti di uno Stato parte della Convenzione, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e le Regole di procedura della Corte (Reg. proc.) dettano regole specifiche per l’assegnazione alle diverse formazioni giudiziarie: giudice unico, comitato, camera, Grande Camera. Solo per i ricorsi interstatali, infatti, è prevista la competenza funzionale della camera (artt. 29, par. 2, e 33 Cedu).
1.1. Assegnazione del ricorso al giudice unico
Il giudice unico è chiamato ad adottare le decisioni di inammissibilità che possono essere assunte de plano, senza ulteriore esame, quando è evidente che il ricorso non rispetti le condizioni di ricevibilità di cui all’art. 35 della Convenzione (art. 27 Cedu).
I giudici unici sono designati dal presidente della Corte, secondo la procedura descritta dall’art. 27A Reg. proc. e in applicazione degli artt. 26, par. 1, e 27 della Convenzione. Essi sono affiancati dai relatori non giudiziari, che sono giuristi della Cancelleria incaricati dal presidente della Corte su proposta del cancelliere (art. 18A Reg. proc.). L’art. 52A, par. 2, Reg. proc., conformemente a quanto previsto dall’art. 26, par. 3 Cedu, stabilisce che il giudice eletto per lo Stato convenuto non può essere designato giudice unico.
I ricorsi irricevibili sono attribuiti a un giudice unico, a meno che non vi siano specifiche ragioni per assegnarlo ad una formazione collegiale (comitato o camera). Il giudice unico – al quale il caso è stato assegnato perché, a un primo esame, ritenuto inammissibile – può, ad esempio, non condividere tale impostazione e ritenere che il ricorso debba essere esaminato dal comitato o dalla camera. Non è escluso dalle Regole di procedura che il giudice unico che ha trasmesso gli atti al comitato o alla camera possa comporre il collegio giudicante incaricato di esaminare il ricorso.
In particolare, l’art. 49, par. 1, Reg. proc. consente che anche un ricorso verosimilmente inammissibile possa essere esaminato da una camera o da un comitato (si veda anche l’art. 54, par. 1, Reg. proc.). Ad esempio, vi possono essere casi in cui il ricorso, sia pure verosimilmente inammissibile, è trattato da una camera quando è necessario pronunciarsi sull’effettività di un rimedio di diritto interno e dalla decisione della Corte dipende l’esito di altri ricorsi pendenti. In questo caso, la camera emette una leading decision alla quale fanno seguito le pronunce di inammissibilità del giudice unico in tutti i ricorsi che riguardano la medesima questione di effettività del rimedio di diritto interno.
In altri casi, può essere lo stesso giudice unico a trasmettere gli atti a un comitato, qualora ritenga di non poter decidere de plano sull’inammissibilità e che sia necessario il vaglio di una decisione collegiale.
In generale, i ricorsi che hanno ad oggetto questioni “sensibili”, che possono avere un notevole impatto sull’opinione pubblica dello Stato interessato, possono rendere opportuno l’esame da parte di una camera o di un comitato e la conseguente esposizione dei motivi di inammissibilità in una decisione dettagliata e pubblica.
In linea di principio, quindi, sono trattati dal giudice unico i ricorsi manifestamente inammissibili che non richiedono un ulteriore esame o una decisione pubblica. In questi casi, come previsto dall’art. 52A, par. 1, Reg. proc., il ricorrente è informato dell’esito della procedura mediante una lettera.
In proposito, è utile evidenziare che, all’esito della Conferenza di Bruxelles del 2015, che ha chiesto alla Corte una maggiore trasparenza nelle decisioni di giudice unico[1], la Corte dal 2017 ha mantenuto l’impegno assunto mediante l’invio ai ricorrenti del testo di una decisione nella quale, sia pure in maniera standardizzata, sono indicati i motivi di irricevibilità.
Un’altra caratteristica della procedura del giudice unico è che le sue decisioni di dichiarare il ricorso irricevibile o di cancellarlo dal ruolo, oltre che non pubbliche, sono definitive.
1.2. Assegnazione al comitato di tre giudici
Il comitato, collegio composto di tre giudici, può assumere decisioni d’inammissibilità o di cancellazione dal ruolo, o pronunciare sentenze nelle procedure che riguardano questioni in cui la Corte ha una giurisprudenza consolidata (well established case law).
Il comitato può essere investito dell’esame del ricorso a seguito di trasmissione degli atti da parte del giudice unico o, in prima assegnazione, nei casi in cui la Corte abbia una giurisprudenza consolidata.
Il comitato non è vincolato dalla decisione del giudice unico di non dichiarare il ricorso inammissibile e invero, all’unanimità, può rigettare il ricorso perché inammissibile o decidere la cancellazione dal ruolo anche quando gli atti sono stati trasmessi da quest’ultimo – art. 28, par. 1, lett. a), Cedu.
Il comitato, inoltre, può dichiarare il ricorso ricevibile e pronunciare congiuntamente una sentenza nel merito, quando la questione concernente l’interpretazione o l’applicazione della Convenzione o dei sui protocolli è oggetto di una giurisprudenza consolidata.
Anche le decisioni del comitato sono definitive e non possono essere rimesse alla Grande Camera.
Il giudice dello Stato parte in causa non fa automaticamente parte del comitato. Nondimeno, l’art. 53, par. 3, Reg. proc. prevede che egli possa, a seguito di voto unanime, essere invitato a prendere il posto di uno dei suoi componenti, tenuto conto di diversi elementi quali, ad esempio, la contestazione da parte del governo della procedura di cui all’art. 28, par. 1, lett. b), Cedu (vale a dire a seguito di contestazione dell’applicazione al ricorso della procedura prevista per i casi nei quali vengano in rilievo questioni su cui la Corte ha una giurisprudenza consolidata).
Qualora il comitato non raggiunga una deliberazione all’unanimità, il caso è trasmesso alla camera per un ulteriore esame.
1.3. Esame del ricorso da parte della camera
La camera, collegio giudicante composto da sette giudici, di cui all’art. 26, par. 1, Cedu è costituita dal presidente della sezione, secondo i criteri indicati dall’art. 26, par. 1, Reg. proc. In attesa della costituzione di una camera, il presidente della sezione esercita i poteri propri del presidente della camera.
La camera può essere investita della decisone di un ricorso direttamente o a seguito di rimessione da parte del giudice unico (art. 27 Cedu) o del comitato (art. 29 Cedu). Infatti, quando non è stata adottata alcuna decisione ai sensi degli artt. 27 e 28 della Convenzione (rispettivamente: ricorso irricevibile o cancellazione dal ruolo) o non è stata pronunciata alcuna sentenza ai sensi dell’art. 28 (ricorso ricevibile e pronuncia della sentenza nel merito da parte di un comitato), il ricorso è assegnato in decisione a una camera.
L’art. 54, par. 1, Reg. proc., come già visto, prevede che la camera possa comunque dichiarare il ricorso irricevibile, in tutto o in parte, o cancellarlo dal ruolo.
La camera può, inoltre, in ogni momento chiedere informazioni relative ai fatti, la produzione di documenti o altri elementi necessari ai fini della decisione. Quando il ricorso è ricevibile, la camera lo porta a conoscenza del governo convenuto e lo invita a presentare le proprie osservazioni per iscritto sull’ammissibilità e sul merito; una volta ricevute le osservazioni scritte da parte del governo, la camera invita il ricorrente a presentare le sue osservazioni. Il ricorrente, in questa fase, deve replicare a tutte le considerazioni fatte dal governo sulle questioni di ammissibilità e di merito: ad esempio, presentando le proprie osservazioni sulle questioni in tema di inammissibilità, non esaurimento dei ricorsi interni, rispetto del termine dei sei mesi o manifesta infondatezza eventualmente sollevate dal governo.
La camera potrà rigettare parte del ricorso come inammissibile e, in parte, dichiararlo ammissibile. È importante rilevare che solo la decisione di inammissibilità può essere presa de plano, cioè senza instaurare il contraddittorio scritto con il governo convenuto (art. 54, par. 1, Reg. proc.).
Alle parti è assegnato un termine per presentare le rispettive memorie scritte, che potrà essere prorogato solo dal presidente della camera (art. 38 Reg. proc.).
Il presidente può, allo stesso tempo, rigettare parte del ricorso come inammissibile, agendo quale giudice unico (art. 54, par. 3, Reg. proc.), laddove rilevi che alcune doglianze sono palesemente inammissibili.
Di norma, la procedura è scritta; come previsto dall’art. 54, par. 5, Reg. proc., la camera può, su istanza di parte o d’ufficio, decidere di celebrare un’udienza pubblica.
La camera può, in ogni momento, rimettere la propria giurisdizione a favore della Grande Camera (art. 30 Cedu) previa consultazione delle parti. Qualora una delle parti si opponga, la camera deve continuare a esaminare il ricorso e non può rimetterlo alla Grande Camera. L’obiezione delle parti, per avere efficacia, deve essere presentata entro il termine di un mese dalla notificazione dell’intenzione della camera di rimettere la giurisdizione a favore della Grande Camera e deve essere ben motivata (art. 72, par. 4, Reg. proc.). Va in proposito segnalato che, alla luce del ruolo centrale svolto dalla Grande Camera nel garantire la coerenza della giurisprudenza della Corte Edu, la Conferenza di Brighton ha concluso che l’art. 30 della Convenzione dovrebbe essere modificato, eliminando la frase «a meno che una delle parti non vi si opponga». In attesa dell’entrata in vigore dello strumento di modifica, la Conferenza ha incoraggiato gli Stati parte ad astenersi dall’opporsi a eventuali proposte di rinuncia alla propria competenza da parte di una camera[2].
1.4. Individuazione del giudice relatore
In tutti i casi in cui la competenza appartiene a una formazione collegiale (comitato o camera), il presidente della sezione designa il giudice relatore, che è colui che ha il compito di esaminare il ricorso (art. 49, par. 2, Reg. proc.). Il giudice relatore propone alla camera la procedura da seguire, le decisione da prendere e il testo da adottare. Prima di presentare il caso al collegio giudicante e di fare le relative proposte, il relatore può chiedere alle parti informazioni e documenti (art. 49, par. 3 Reg. proc.).
1.5. Assegnazione del ricorso alla Grande Camera
La Grande Camera è composta da diciassette giudici, tra i quali, d’ufficio: il presidente, il vicepresidente e i presidenti di sezione, ed è chiamata a esprimersi esclusivamente sui ricorsi che sollevano problemi di interpretazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, o la cui soluzione rischi di dar luogo al contrasto con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte (art. 30 Cedu).
L’art. 28, par. 2, Cedu prevede espressamente che le decisioni e le sentenze del comitato di tre giudici sono definitive. Conformemente, l’art. 43 Cedu, che disciplina la procedura della rimessione di un ricorso alla Grande Camera, non riguarda le pronunce del comitato.
Le sentenze della camera diventano definitive tre mesi dopo la loro emissione, salvo che, prima della scadenza di questo termine, una delle parti non abbia richiesto la rimessione alla Grande Camera ai sensi dell’art. 43, par. 1 Cedu.
La sentenza della camera invece, secondo l’art. 44 Cedu, diventa immediatamente definitiva se le parti dichiarano che non richiederanno il rinvio alla Grande Camera o quando l’apposito collegio di cinque giudici (di cui all’art. 43, par. 2, Cedu) respinge una richiesta di rinvio ai sensi dell’art. 43 della Convenzione.
La richiesta di rimessione alla Grande Camera è esaminata da un collegio di cinque giudici che, ai sensi dell’art. 43, par. 2 Cedu, deciderà di accogliere la richiesta qualora la questione oggetto del ricorso sollevi gravi problemi riguardanti l’interpretazione e applicazione della Convenzione o dei suoi Protocolli o, comunque, un’importante questione d’interesse generale.
Se il collegio accoglie la richiesta, il ricorso sarà esaminato dalla Grande Camera, che decide con sentenza. La sentenza della Grande Camera è definitiva.
2. Le principali differenze tra le procedure
La procedura del giudice unico è la più semplice, si svolge senza contraddittorio e si conclude con una decisione non pubblica e non impugnabile.
Per quanto riguarda, invece, le procedure delle formazioni giudiziarie collegiali (camera e comitato), le principali differenze si traggono da un esame testuale delle Regole di procedura.
Va preliminarmente rilevato che le Regole di procedura, quando intendono riferirsi – oltre che alla camera – anche al comitato, lo dicono espressamente richiamando esplicitamente il comitato (ad esempio: l’art. 28, par. 5, Reg. proc. estende la procedura di nomina del giudice ad hoc anche al comitato; l’art. 33, par. 4, Reg. proc. prevede esplicitamente che anche le decisioni del comitato sono pubbliche; l’art. 49, par. 2 Reg. proc. prevede anche per il comitato la nomina del giudice relatore) oppure estendendo a quest’ultimo alcune specifiche disposizioni dettate per la camera (ad esempio: l’art. 53, par. 7, Reg. proc. estende al comitato l’applicazione degli artt. 42, par. 1, e 79-81 Reg. proc.).
Pertanto, in linea di principio, fatta salva la possibilità che la Corte di Strasburgo, se del caso e previa consultazione delle parti, deroghi alle Regole di Procedura (come previsto in via generale dall’art. 31 Reg. proc.), si applicano al comitato solo le norme che lo prevedono espressamente.
Alla luce di un’analisi testuale delle Regole di procedura, il procedimento che si svolge dinanzi al comitato appare molto più semplice rispetto a quello relativo alla camera, a discapito di alcune rilevanti garanzie. Ad esempio, per quanto riguarda la pubblicità della procedura, solo per la camera e non anche per il comitato è prevista la possibilità che le parti o altri soggetti portatori di un interesse qualificato possano accedere agli atti del fascicolo (l’art. 33, parr. 1-3, Reg. proc. non contempla, infatti, il comitato).
La possibilità che il ricorrente possa ottenere il permesso di utilizzare la lingua ufficiale di uno Stato parte in luogo di una delle due lingue ufficiali della Corte (inglese o francese) è prevista solo per i casi che pendono dinanzi alla camera (art. 34, Reg. proc.).
L’intervento delle terze parti (Stati terzi, organizzazioni non governative, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa) è previsto solo nei casi di competenza della camera e non anche per quelli di competenza del comitato (art. 44 Reg. proc.).
La possibilità che sia celebrata un’udienza pubblica non è prevista per i casi che pendono dinanzi comitato, ma solo per quelli dinanzi alla camera (art. 54, par. 5 Reg. proc.).
La presenza necessaria del giudice eletto per la Parte contraente interessata è prevista solo per la camera (art. 26, par. 1 a Reg. proc.). Per quanto riguarda il comitato, come già detto (supra, par. 1.3), quest’ultimo può essere invitato a partecipare in luogo di uno dei tre membri a determinate condizioni.
Inoltre, la procedura dinanzi al comitato non prevede, in linea di principio, lo scambio delle osservazioni scritte tra le parti, perciò si svolge senza contraddittorio (l’art. 54 Reg. proc., infatti, prende in considerazione unicamente la camera).
Considerato, infine, che il comitato delibera all’unanimità, non appare in linea di principio possibile l’allegazione di opinioni separate da parte dei giudici.
3. Il processo di riforma della Corte e l’ampliamento della procedura del comitato
È noto che il sistema della Convenzione ha dato così buona prova di sé che è diventato «vittima del suo successo». La Corte, negli ultimi anni, è stata destinataria di un così grande numero di ricorsi da rischiare essa stessa di non garantire il diritto alla durata ragionevole del procedimento.
Per salvaguardare l’efficacia del sistema di garanzia dei diritti fondamentali è stato intrapreso un processo di riforma del sistema della Convenzione e della Corte, finalizzato a risolvere i problemi dell’ingente numero di casi pendenti e della gestione delle sopravvenienze. Tale processo di riforma, iniziato con la firma del Protocollo n. 14[3], è proseguito con le Conferenze intergovernative di Interlaken (2010), Izmir (2011), Brighton (2012), Bruxelles (2015) e, da ultimo, Copenaghen (2018).
In particolare, il Protocollo n. 14 è intervenuto allo scopo di razionalizzare l’attività della Corte Edu incidendo sui due tipi di ricorsi individuali più numerosi e che, in maggior misura, gravano sull’arretrato: i ricorsi manifestamente inammissibili e quelli ripetitivi.
Per i ricorsi manifestamente inammissibili la procedura del giudice unico, assistito da un relatore non giudiziario, costituisce ormai il meccanismo ordinario di filtro delle sopravvenienze. Tale procedura, unitamente all’applicazione rigorosa dell’art. 47 delle Regole di procedura, che impone di rigettare in via amministrativa i ricorsi per il mancato rispetto dei requisiti formali del formulario di ricorso o per la mancata produzione dei documenti rilevanti, ha comportato lo smaltimento dell’arretrato dei casi inammissibili e, al tempo stesso, ha consentito di procedere, ormai, con il sistema del one in one out per quanto riguarda le sopravvenienze.
Il dato statistico, in proposito, è evidente[4]. Nel 2012 pendevano circa 150.000 ricorsi e oggi, invece, ne pendono 54.350[5], a fronte di una sopravvenienza che, nel corso degli anni, è stata pressoché costante (65.150 nuovi ricorsi nel 2012; 65.900 nel 2013; 56.250 nel 2014; 40.650 nel 2015; 53.500 nel 2016; 63.350 nel 2017).
I ricorsi definiti da un giudice unico sono stati 81.764 nel 2012, 89.737 nel 2013, 83.675 nel 2014, 43.135 nel 2015, 30.998 nel 2016, 66.156 nel 2017.
I ricorsi rigettati in via amministrativa, dunque non trasmessi ad alcuna formazione giudiziaria, sono stati 18.700 nel 2012, 13.600 nel 2013, 25.100 nel 2014, 32.400 nel 2015, 20.950 nel 2016, 22.650 nel 2017.
L’altra grande innovazione del Protocollo n. 14 è quella che consente di affidare alla procedura semplificata del comitato di tre giudici i ricorsi ripetitivi. Per ricorsi ripetitivi o “seriali” si intendono quelli che hanno alla base delle violazioni sistemiche o strutturali delle norme della Convenzione, causate da norme o da prassi giudiziarie o amministrative che sono in contrasto con la stessa e che, in quanto tali, sono destinate a ripetersi ogniqualvolta la norma viene applicata nel caso concreto. Per questi ricorsi, per i quali esiste una giurisprudenza consolidata, il Protocollo n. 14 ha previsto la possibilità di una trattazione semplificata da parte del comitato di tre giudici.
Smaltito l’arretrato dei casi inammissibili, la nuova sfida che la Corte di Strasburgo sta affrontando è quella della trattazione dei casi non manifestamente inammissibili, quindi potenzialmente fondati, per i quali i ricorrenti sono costretti ad aspettare alcuni anni una decisione della Corte. Tale situazione desta preoccupazione perché investe problematiche di ampio respiro, che riguardano la tenuta dell’intero sistema convenzionale della protezione dei diritti fondamentali nel suo complesso.
La Cancelleria della Corte di Strasburgo è impegnata costantemente nella risoluzione dei problemi di efficienza e di efficacia dell’azione della Corte, la quale rappresenta uno degli strumenti più avanzati per la tutela dei diritti fondamentali, che tuttavia rischia, a causa della carenza di risorse, di restare inefficace. Occorre, infatti, sottolineare che la Corte ha dovuto far fronte a tale aumento esponenziale di ricorsi senza che le risorse materiali ed umane a sua disposizione siano aumentate proporzionalmente.
Nell’ambito della Conferenza di Brighton, la Corte Edu ha evidenziato che, se nella trattazione dei casi seriali, i comitati stavano gradualmente prendendo il posto delle camere, il problema permaneva con riguardo ai ricorsi non manifestamente inammissibili[6]. La Conferenza, quindi, accogliendo le istanze di semplificazione delle procedure della Corte di Strasburgo, proponeva di sfruttare appieno le potenzialità del Protocollo n. 14[7] e invitava la Corte a consultare gli Stati per saggiare la possibilità di ricorrere a una interpretazione più ampia di «giurisprudenza consolidata» ai sensi dell’articolo 28, par. 1, Cedu, al fine di assegnare un maggior numero di cause alla formazione giudiziaria del comitato, da trattare con la relativa procedura semplificata[8].
La necessità di consentire alla Corte di adottare procedure più celeri, al fine di gestire l’arretrato di ricorsi potenzialmente fondati, è stata nuovamente sottolineata nell’ambito della Conferenza di Bruxelles del 2015[9] e della Conferenza di Copenaghen del 2018[10].
L’opinione preliminare della Corte di Strasburgo, in preparazione della Conferenza di Copenaghen, è molto chiara in proposito: la Corte afferma di apprezzare in modo particolare l’incoraggiamento, da parte degli Stati, ad adottare le procedure semplificate facendo esplicito riferimento, tra le altre, alla riforma che prevede l’applicazione «ampliata» della procedura del comitato (la cd. broader WECL procedure)[11].
Chiaro è, quindi, il riferimento all’assegnazione di un numero sempre maggiore di casi alla formazione giudiziaria di tre giudici, mediante un’interpretazione più ampia del concetto di «giurisprudenza consolidata» di cui all’art. 28 della Convenzione.
Più cauti appaiono gli esiti della Conferenza di Copenhagen, la quale, preso atto che la Corte si sta impegnando nel trovare soluzioni al fine di riservare il maggior numero di risorse alla trattazione dei ricorsi più delicati e di maggiore impatto mediante una attenta attività di identificazione delle priorità[12], per quanto riguarda le procedure semplificate di trattazione dei ricorsi incoraggia la Corte a esplorare tutte le possibili strade per gestire l’arretrato, ma a farlo in cooperazione con gli Stati parte e nel pieno rispetto dei diritti delle parti coinvolte nei procedimenti[13].
La possibilità di applicare la procedura semplificata del comitato in maniera più ampia risiede, come si è visto, nello stesso Protocollo n. 14, dove è previsto che la nozione di «giurisprudenza consolidata» (well established case law, nella versione inglese, e jurisprudence bien établie nella versione francese) si applica «ai casi ripetitivi» e si stabilisce che questi ultimi sono quelli in cui esiste una «giurisprudenza che è stata costantemente applicata da una camera».
In tal senso, la lettera del Protocollo n. 14 lascerebbe spazio a una nozione più ampia di giurisprudenza consolidata la quale non sarebbe limitata ai “casi seriali”, quali ad esempio quelli in materia di irragionevole durata della procedura o di condizioni di detenzione, ma potrebbe essere ampliata fino a ricomprendere il concetto di «giurisprudenza costante»[14].
La concreta possibilità di ricorrere a tale nozione ampliata di giurisprudenza consolidata si fonda sulla circostanza che la Corte di Strasburgo ha ormai emesso più di 20.000 sentenze e si è ripetutamente pronunciata sulle medesime questioni, le quali, pur non dando adito a casi seriali – essendo le fattispecie concrete parzialmente diverse –, comportano l’applicazione di principi generali ormai consolidati.
In quest’ottica, la procedura della camera diventerebbe residuale rispetto a quella del comitato e del giudice unico, in quanto verrebbe applicata solo quando la questione oggetto del ricorso presenta un interesse dal punto di vista giurisprudenziale perché, ad esempio, è una questione nuova oppure si tratta di una problematica sulla quale la Corte ha necessità di approfondire alcuni aspetti, o ancora nei casi in cui, pur esistendo una giurisprudenza consolidata, vi siano dubbi in merito alla sussistenza di una violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione.
4. Valutazioni conclusive
Non è ancora possibile prevedere gli sviluppi di tale approccio più semplificato nella trattazione dei ricorsi da parte della Corte di Strasburgo. Tra gli aspetti positivi troviamo, certamente, la maggiore celerità della procedura del comitato rispetto a quella della camera e, quindi, la prospettiva per le parti di ottenere una risposta in tempi più brevi, a risorse materiali e umane invariate.
A fronte di una maggiore celerità della procedura vi sono, però, la riduzione delle garanzie procedimentali, il pericolo di un’eccessiva standardizzazione della giurisprudenza, l’impossibilità di un nuovo esame da parte della Grande Camera e l’esame meno approfondito della fattispecie concreta.
L’assegnazione al comitato, inoltre, non può essere contestata dal ricorrente, essendo tale possibilità prevista solo per lo Stato interessato (art. 53, par. 3, Reg. proc.). D’altro canto, poiché l’assegnazione al comitato avviene in base a una giurisprudenza consolidata in casi che si possono definire “manifestamente ammissibili”, verosimilmente il ricorrente non avrebbe nulla di che lamentarsi; invece, per lo Stato parte in causa tale assegnazione significherebbe, in linea di principio, una condanna certa.
Si tratterà di vedere quali saranno le conseguenze dell’implementazione di tale procedura e se, come già accaduto per quella del giudice unico, la Corte di Strasburgo dovrà fare i conti con le preoccupazioni delle parti in merito al rischio di una riduzione delle garanzie procedimentali, in nome di una maggiore efficienza e a discapito dell’approfondimento del caso concreto.
[1] Si veda la Dichiarazione di Bruxelles del 27 marzo 2015. Questo documento e gli altri citati nel testo sono pubblici e possono essere consultati, sul sito internet della Corte Edu, al seguente indirizzo: www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=basictexts/reform&c.
[2] Si veda la Dichiarazione di Brighton del 19-20 aprile 2012, par. 25 d.
[3] Aperto alla firma nel maggio 2004 ed entrato in vigore nel giugno 2010.
[4] Tutti i dati statistici richiamati nel testo sono rinvenibili sul sito web della Corte europea dei diritti dell’uomo: www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=reports&c.
[5] Dato statistico aggiornato al 30 giugno 2018.
[6] Si veda l’opinione preliminare della Corte in preparazione della Conferenza di Brighton (adottata dalla Corte in seduta plenaria il 20 febbraio 2012).
[7] Dichiarazione di Brighton, par. 6.
[8] «Invita la Corte a consultare gli Stati parte laddove valuti di applicare un’interpretazione più ampia del concetto di “giurisprudenza consolidata” ai sensi dell’articolo 28 (1) della Convenzione al fine di assegnare un maggior numero di cause al comitato, senza pregiudizio per il dovuto esame circostanze di specie della causa ed il carattere non vincolante delle sentenze contro un altro Stato Parte» (si veda: Dichiarazione di Brighton, par. 20, lett. f).
[9] Si veda la dichiarazione di Bruxelles del 27 marzo 2015.
[10] Si veda la dichiarazione di Copenaghen del 12 e 13 aprile 2018.
[11] ECHR, Opinion on the draft Copenhagen Declaration - Adopted by the Bureau in light of the discussion in the Plenary Court on 19 February 2018, parr. 20 e 21, dove si fa riferimento, oltre alla «fast-track WECL procedure» (che è una procedura di rapida trattazione dei casi “seriali”) e alla «procedura di comunicazione semplificata» (cd. «Immediate and simplified communication of applications»), anche alla cd. «broader WECL procedure»: www.echr.coe.int/Documents/Opinion_draft_Declaration_Copenhague%20ENG.pdf.
[12] Per quanto riguarda le politiche di priorità della Corte, si può fare riferimento a questo documento: www.echr.coe.int/Documents/Priority_policy_ENG.pdf.
[13] Si veda la Dichiarazione di Copenaghen dell’aprile 2018, parr. 43-54. In particolare, il par. 50 così recita: «[The Conference] Notes the approach taken by the Court in seeking to focus judicial resources on the cases raising the most important issues and having the most impact as regards identifying dysfunction in national human rights protection. Encourages the Court, in co-operation and dialogue with the States Parties, to continue to explore all avenues to manage its caseload, following a clear policy of priority, including through procedures and techniques aimed at processing and adjudicating the more straightforward applications under a simplified procedure, while duly respecting the rights of all parties to the proceedings».
[14] Si veda il Protocollo esplicativo del Protocollo n. 14 (par. 68).