Il parere consultivo nel Protocollo n. 16
Il 1° agosto 2018 è entrato in vigore il Protocollo n. 16 addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, accordo già firmato a Strasburgo il 2 ottobre 2013.
Il Protocollo istituisce un nuovo strumento di dialogo tra la Corte di Strasburgo e le corti superiori designate dagli Stati membri, consentendo in particolare alle corti nazionali suddette di trasmettere alla Corte Edu richieste di pareri consultivi in merito a questioni di principio riguardanti l’interpretazione o l’applicazione dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione.
Nell’ottica delle Parti contraenti, l’estensione della competenza della Corte a fornire pareri consultivi migliorerà ulteriormente l’interazione tra la Corte e le autorità nazionali e rafforzerà, in tal modo, l’attuazione della Convenzione, conformemente al principio di sussidiarietà. L’entrata in vigore del Protocollo n. 16 rafforzerà dunque il dialogo tra la Corte Edu e le corti superiori nazionali, le quali (in numero di 67, per 35 Stati) sono legate tra loro già da una rete di interrelazioni telematiche (regolate da appositi protocolli bilaterali sottoscritti nel corso dell’ultimo anno).
Il nuovo istituto viene introdotto in un contesto che, fino a oggi, limitava l’investitura della Corte a un recours individuel (art. 34 Cedu), ossia a domanda dei singoli individui, escludendo dunque il meccanismo del rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali, e alla «previous exhaustion of the domestic remedies», ossia al previo esaurimento delle vie di ricorso interne (si vedano le condizioni di ricevibilità del ricorso previste dall’art. 35 Cedu).
Oggi si aggiunge uno strumento idoneo a sollecitare l’intervento della Corte Edu in corso di causa, sia pure solo in forma consultiva.
L’iniziativa attiva è limitata all’organo giurisdizionale (e, come si dirà oltre, a specifiche figure di organi giurisdizionali), restando escluso il potere diretto delle parti.
Il meccanismo procedurale previsto dal Protocollo prevede:
- che la richiesta possa essere presentata solo dalle più alte giurisdizioni di un’«Alta Parte Contraente» (a tal fine, ogni Alta Parte Contraente della Convenzione, al momento della firma o del deposito del suo strumento di ratifica, accettazione o approvazione, indica, mediante una dichiarazione indirizzata al Segretario generale del Consiglio d’Europa, i tribunali che designa ai fini dell’art. 1, par. 1, del Protocollo; questa dichiarazione può essere modificata in qualsiasi momento successivo e allo stesso modo);
- che il parere debba vertere su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti nella Convenzione o nei suoi protocolli;
- che l’autorità giudiziaria richiedente possa chiedere un parere consultivo solo nel contesto di una causa pendente dinanzi a essa;
- che la richiesta di parere sia motivata e accompagnata dall’indicazione del quadro giuridico e fattuale pertinente del caso pendente.
Un panel di cinque giudici della Grande Camera decide se accettare la richiesta di parere consultivo; l’eventuale rifiuto deve essere motivato (ciò segna una importante differenza con il sistema vigente di impugnazione in Grande Camera delle pronunce di camera, ove il referral è valutato da un panel, ma senza un corrispondente obbligo di motivazione del provvedimento all’esterno).
L’accoglimento della richiesta investe del parere la Grande Chambre (in composizione che, come di regola, prevede la presenza del giudice nazionale della Parte contraente cui appartiene il giudice richiedente): l’atto è solenne (sono chiamati ben diciassette giudici di diversi Paesi) e oneroso sul piano sia economico che organizzativo della Corte e del suo Registry, in ragione delle maggiori risorse usualmente dedicate alle pronunce di questa formazione giudiziaria.
Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e l’Alta Parte Contraente cui appartiene l’autorità giudiziaria richiedente hanno il diritto di presentare osservazioni scritte e di partecipare a qualsiasi eventuale udienza. Il presidente della Corte può, nell’interesse della buona amministrazione della giustizia, invitare qualsiasi altra Alta Parte Contraente o persona a presentare osservazioni scritte o a partecipare all’udienza.
Il parere consultivo è motivato ed è pubblicato.
Al pari delle sentenze di camera o Grande Camera della Corte Edu (e a differenza delle sentenze del comitato), sono previsti atti espressi dei dissenzienti, che possono emettere pareri separati – il che, forse, pone problemi di compatibilità con la natura stessa (diversa da quella della sentenza) del parere, che dovrebbe essere univoco per assolvere alla sua funzione ontologica di indirizzo verso il richiedente.
Le richieste di parere, come si è anticipato, devono riguardare cause pendenti dinanzi ai tribunali nazionali; viene parzialmente meno, in tal modo, una differenza finora fondamentale tra l’investitura della Corte Edu, possibile solo a processo definito a livello nazionale e, quindi, dopo la formazione del giudicato, e quella della Corte di giustizia dell’Unione europea, che viene operata in sede di richiesta pregiudiziale nel corso del giudizio pendente a livello nazionale. Oggi la Corte Edu potrà essere chiamata anche in corso di causa a esprimere un parere consultivo sulla questione sottoposta dal giudice nazionale.
Non si tratta, però – e qui la differenza con il diritto unionale permane –, di un preliminary ruling, in quanto i pareri consultivi emessi dalla Corte saranno motivati, ma non vincolanti.
L’art. 5 del Protocollo prevede, infatti, espressamente che «i pareri consultivi non sono vincolanti». Ciò vuol dire che i pareri non sono vincolanti non solo nei confronti del richiedente il parere, ma anche nei confronti degli altri giudici nazionali, che restano i giudici che devono applicare la Convenzione nell’ordinamento interno, secondo il principio di sussidiarietà.
Sul piano formale, l’assenza di vincolo, inoltre, sembra riguardi anche la stessa Corte Edu, che, ove fosse adita all’esito del giudicato nazionale, potrebbe formalmente optare per soluzioni interpretative diverse. La prassi chiarirà, peraltro, la portata concreta dell’assenza del vincolo in un sistema giuridico (quello internazionale) in cui, comunque, ampio rilievo è attribuito alla consistency delle pronunce della Corte; tale principio, che finora ha riguardato le sole sentenze della Corte e, di fatto, non anche – ad esempio – le decisioni (rese dal single judge), sembra infatti potersi estendere anche ai pareri, che al pari delle sentenze (e a differenza delle predette decisioni) sono pubblicati, proprio in funzione della necessaria credibilità della Corte e coerenza dei suoi interventi. Ciò sembra, peraltro, ipotizzabile anche in ragione dell’elevato costo economico e organizzativo, già evidenziato, dello strumento.
Quanto all’impatto del parere consultivo sulle decisioni dei giudici nazionali, è bene ricordare che, secondo i principi generali, il giudice nazionale è, da un lato, il dominus del processo e dell’interpretazione delle norme nazionali; dall’altro, riveste il ruolo di «giudice comune della Convenzione» (cfr. Corte cost., sentenze nn. 347 e 348 del 2007) e, come tale, è investito del potere-dovere di applicare le relative norme, sebbene nell’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo.
Per altro verso, sono limitate alle sole sentenze della Corte sia la capacità produttiva di res iudicata (ai sensi dell’art. 46 Cedu), sia la rilevanza quale res interpretata, idonea a incidere anche verso Stati contraenti terzi nel giudizio svoltosi innanzi alla Corte, quando il loro ordinamento giuridico ponga problematiche analoghe. Il valore suddetto non riguarda, invece, il parere consultivo emesso dalla Corte Edu, che non è vincolante.
La prassi chiarirà, allora, anche quale sarà l’opportunità effettiva del nuovo istituto, in un sistema di tutela multilivello in cui, da un lato, il giudice rimane vincolato nell’interpretazione della (sola) Convenzione dalle (sole) sentenze della Corte Edu, e, dall’altro lato, le parti del processo (nazionale e, poi, internazionale) non sono di solito le stesse, potendo tradursi il parere consultivo in un temporaneo diniego di giustizia difficilmente giustificabile alla luce degli interessi delle parti del processo.
Infine, va ricordato che il nuovo istituto del parere consultivo è stato attivato, per la prima volta, dalla Corte di cassazione francese, che ha richiesto un doppio parere in materia del cd. “utero surrogato”, in relazione alla trascrizione di atti dello stato civile formati all’estero e al procedimento di adozione (per approfondimenti sulla questione, si rinvia al mio Gestation pour autrui: la prima richiesta di parere consultivo alla Cedu, in Questione giustizia on line dell’11/10/2018, www.questionegiustizia.it/articolo/gestation-pour-autrui-la-prima-richiesta-di-parere-consultivo-alla-cedu_11-10-2018.php).
Com’è noto, l’Italia ha firmato il Protocollo, ma non ha ancora ratificato lo strumento.
A parte ogni questione sulla possibilità giuridica di richiedere il parere pur in assenza di ratifica (ciò che sembra dubitabile, sul piano interno, per assenza di strumenti che consentano di sospendere il processo e, sul piano internazionale, per la provenienza di una siffatta richiesta da soggetto non ancora legittimato), resta il fatto che il parere, pur non vincolante, che verrà emesso su richiesta della Francia – al pari dei successivi pareri che verranno richiesti attivando lo strumento in discorso – avrà rilievo interpretativo indiretto nei confronti dell’Italia (come di tutti i Paesi del Consiglio d’Europa), fornendo un indirizzo ermeneutico sulla questione ad opera della più alta formazione giudiziaria della Corte Edu.