Il ruolo dei giuristi distaccati
1. La messa a disposizione di national lawyers presso il Registry della Corte europea dei diritti dell’uomo
La concomitanza tra un sempre crescente numero di ricorsi e le carenze di risorse economiche affrontate dal Consiglio d’Europa (CdE) nell’ultimo decennio ha indotto la Corte europea dei diritti dell’uomo a cercare assistenza, tentando di aggirare i limiti di bilancio.
In risposta al suo richiamo, molti governi hanno offerto alla Corte il loro sostegno anche attraverso il distacco di “giuristi” nazionali, soprattutto magistrati. Per la Corte potersi giovare dell’esperienza di giuristi nazionali costituisce un innegabile e prezioso beneficio. D’altra parte una full immersion nella “casa” della Convenzione dei diritti umani consente ai magistrati prescelti di farsi veicolo privilegiato per la conoscenza e la diffusione del diritto convenzionale e, dunque, di promuovere – una volta rientrati – la sua effettiva attuazione nell’ordinamento interno dello Stato membro.
Già in un documento del CdE, sottoposto all’attenzione del Comitato direttivo per i diritti umani, era contenuta la proposta di agevolare i secondment di funzionari alla Cancelleria della Corte, valorizzandone gli aspetti positivi nei termini anzidetti[1]. Il primo forte monito agli Stati a favorire l’invio di giudici e giuristi indipendenti presso la Corte si rinviene, tuttavia, nella Dichiarazione di Interlaken (19 febbraio 2010 - Conferenza di alto livello sul futuro della Corte europea), considerandolo uno strumento essenziale per accrescere, da parte delle autorità nazionali, la conoscenza degli standard di protezione dei diritti umani della Convenzione e implementarne la realizzazione a livello interno. Ciò è ribadito nella Dichiarazione di Izmir (27 aprile 2011), in quella di Brighton (19-20 aprile 2012) e, infine, nella recente Dichiarazione di Copenaghen (13 aprile 2018) dove, al punto 53, è ampiamente incoraggiato il distacco di giudici, pubblici ministeri e di «highly qualified legal experts».
In tutte le dichiarazioni citate, l’invito a inviare esperti nazionali si trova sempre inserito nei capitoli dedicati alle “politiche” di smaltimento del carico di lavoro costituito dall’ingente numero di ricorsi («processing of applications»,«caseload challenge» et similia), a intendere che l’aiuto “esterno” si inquadra necessariamente nella realizzazione della più ampia forma di collaborazione tra Corte e Stati membri e, secondo un’idea sviluppatasi in tempi più recenti, anche quale espressione concreta del dialogo fra le Corti.
Peraltro, la Corte Edu ha, da parte sua, sempre dimostrato massimo apprezzamento e apertura verso tale “pratica”. Per fornire qualche dato, circa dal 2007 ha avuto inizio un certo flusso di magistrati distaccati da diversi Stati membri alla Cancelleria della Corte. In particolare, Germania, Svezia, Francia (dal 2009) e, dal 2010/2011, anche Turchia, Montenegro, Estonia e Irlanda hanno inviato rispettivamente giudici e alti funzionari. Nel 2011, la Russia ha distaccato 30 funzionari per fronteggiare l’enorme numero di ricorsi pendenti presso la divisione nazionale. Nel corso del 2012, anche la Romania, la Moldavia, la Svizzera e l’Italia hanno inaugurato il corso dei secondment presso la Cancelleria, distaccando giudici e pubblici ministeri (in particolare l’Italia, tra ottobre 2012 e marzo 2013, ha inviato tre magistrati, compresa la scrivente). In seguito, dal 2013 anche Finlandia, Bulgaria, Polonia, Ungheria, Georgia e Lettonia hanno proseguito il ciclo delle mise à disposition. Altri Stati, di anno in anno, hanno aderito all’invito.
Per quanto riguarda la loro fonte regolamentare, si tratta della risoluzione CM/Res(2012)2, che disciplina la materia in termini generali. I funzionari distaccati non percepiscono alcun salario aggiuntivo da parte della Corte né alcuna indennità di trasferimento (basandosi la Corte sulle disposizioni nn. 7 e 23 della risoluzione). Tuttavia, è loro garantita una somma forfettaria per anno, pari al costo di circa sei viaggi di andata e ritorno tra il luogo di residenza e Strasburgo. Il periodo di distacco non potrebbe essere di durata inferiore a un anno, in virtù del dual aim che si intende realizzare (formazione/impiego del funzionario nei termini di una mutua collaborazione). È evidente che per la Corte beneficiare per il periodo più lungo possibile (il massimo è tre anni, salvo proroghe concesse in situazioni eccezionali) dell’esperto nazionale, competente e di esperienza, costituisca l’obiettivo maggiormente auspicabile.
2. Cenni alla disciplina generale della “messa a disposizione” di funzionari al Consiglio d’Europa
La risoluzione CM/Res(2012)2, adottata dal Comitato dei ministri il 15 febbraio 2012, contiene il regolamento dei funzionari distaccati al Consiglio d’Europa. Nei considerata della stessa è subito riconosciuta l’importanza dei cd. «secondment» o «distacchi» presso il Consiglio di Europa, in quanto essi «comportano vantaggi per l’organismo stesso, per gli Stati membri e per altre organizzazioni internazionali, favorendo un fruttuoso scambio di idee» («cross-fertilization of ideas») «e la presenza di esperti per un determinato periodo di tempo».
Il par. I del regolamento disciplina la materia in termini generali, dettando le condizioni del distacco dei funzionari da parte degli Stati membri al CdE, in accordo con la legislazione nazionale. Al punto 4, è posta una regola essenziale per delineare la figura del funzionario distaccato, ovvero che egli/ella può svolgere la propria attività lavorativa in qualsiasi ambito nel quale le sue competenze siano ritenute necessarie, sempre che non vi sia un conflitto con gli interessi perseguiti dall’organizzazione. D’altro canto, il funzionario durante il suo secondment non può richiedere né ricevere istruzioni in merito ad attività connesse allo svolgimento dei suoi compiti da parte di governi, autorità organizzazioni o persone esterni al Consiglio d’Europa. Si tratta, dunque, di un incarico che viene svolto in maniera autonoma e indipendente.
La durata del distacco (par. III, punto 8) può essere pari a un periodo non inferiore a quattro mesi e non superiore a due anni. Esso può, tuttavia, essere prorogato fino ad un massimo di tre anni (salvo deroghe eccezionalmente accordate dal segretario generale), fermo restando che il distacco terminerà ex officio ogni qual volta il funzionario dovesse interrompere il suo rapporto di lavoro con lo Stato membro.
Sui compiti richiesti al funzionario, il punto 11 del par. IV inquadra il suo ruolo nei termini di un generico impegno di assistenza al segretariato del CdE, impegno che trova una più precisa definizione attraverso la descrizione delle funzioni che gli saranno delegate, che avviene al momento della presa di possesso.
Il funzionario distaccato sarà sottoposto a una periodica valutazione delle sue performance lavorative, trovando applicazione le regole in vigore per i funzionari “interni” al CdE. Il rapporto valutativo adottato dal superiore gerarchico sarà tenuto in considerazione a ogni richiesta di rinnovo o prolungamento dell’incarico.
Il punto 19 del par. VIII impone numerosi doveri in capo al funzionario, a partire dal generico dovere di svolgere il proprio incarico nell’esclusivo interesse del CdE e di astenersi da ogni condotta che possa recare allo stesso pregiudizio materiale o morale, tra i più incisivi quello di riservatezza («utmost discretion») rispetto alle informazioni e ai fatti appresi durante il periodo di distacco, anche se non in relazione diretta con l’esercizio dei compiti affidati. Strettamente connesso a questo vincolo è il dovere di non comunicare, senza l’autorizzazione del segretario generale, alcuna informazione o documento che non siano – già – pubblici. Entrambi questi obblighi devono essere rispettati anche dopo la conclusione del periodo di distacco. L’autorizzazione del segretario occorrerà anche nei casi in cui il funzionario intenda pubblicare testi, partecipare a conferenze o rendere dichiarazioni pubbliche in merito alla sua attività al CdE.
Il funzionario distaccato è altresì sottoposto alle regole che disciplinano – tra le altre materie – i rapporti gerarchici, le regole di etica e i doveri di lealtà, gli orari di lavoro, la prevenzione di corruzione e truffa, la tutela della dignità umana. Esse sono applicabili ai funzionari interni al CdE, comprese quelle concernenti le valutazioni di professionalità (appraisal) e le regole di tipo finanziario.
La violazione di uno dei suddetti precetti comporta la cessazione immediata dell’incarico, comunicata al funzionario con un mese di preavviso.
3. Il lavoro dei magistrati distaccati presso il Registry della Corte Edu
I magistrati distaccati presso la Cancelleria della Corte di Strasburgo, selezionati secondo criteri e regole che variano da Paese a Paese[2], entrano a far parte della stessa e sono inseriti a pieno titolo nel team di giuristi che compone la divisione dello Stato di provenienza.
La Cancelleria, infatti, supporta e fornisce assistenza legale e amministrativa alla Corte nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie (art. 24 Cedu). La sua funzione principale consiste, in buona sostanza, nella gestione dei ricorsi presentati dagli individui davanti alla Corte e nella predisposizione dei provvedimenti giurisdizionali della Corte. Essa è suddivisa in divisioni composte da giuristi (o lawyers), impiegati amministrativi e traduttori.
Ciò posto in termini generali, i giuristi della Cancelleria – e dunque anche i funzionari distaccati – si occupano precipuamente dell’esame e della trattazione dei ricorsi presentati da soggetti privati contro lo Stato di provenienza. In particolare, i giuristi – che lavorano sotto la supervisione del giurista anziano (cd. non–judicial rapporteur)per i nuovi assunti, o del greffier della Corte – hanno il compito di studiare e definire i ricorsi, di redigere documenti e note analitiche sui vari casi e di tenere la corrispondenza con le parti nel rispetto delle regole della procedura davanti alla Corte. Le funzioni che è chiamato a svolgere il magistrato distaccato, tenuto conto della sua esperienza professionale a livello nazionale e internazionale, sono equivalenti a quelle di un giurista permanente della Corte.
Con ogni evidenza, il vaglio di ricevibilità dei nuovi ricorsi richiede, in primo luogo, la conoscenza dei criteri d’inammissibilità secondo i principi della Convenzione e le questioni a essi connesse come elaborate e interpretate dalla giurisprudenza della Corte. A ogni giurista e magistrato distaccato – dopo un periodo di apprendimento dei rudimenti di base, necessari per ambientarsi nel complesso organismo “Corte” e saper utilizzare la sua avanzata piattaforma informatica – è assegnato un certo numero di ricorsi della cui trattazione diviene responsabile per tutti i diversi passaggi procedurali. A questo proposito, la Corte organizza per i nuovi assunti, compresi i magistrati distaccati, training formativi specificamente dedicati allo studio delle cause d’inammissibilità (raccolte in una guida regolarmente aggiornata e pubblicata sul sito della Corte). Inoltre, è offerta un’ampia e sempre rinnovata proposta di corsi – alcuni obbligatori, altri facoltativi – sui casi più importanti decisi dalla Corte (i cd. leading e landmark cases di Grande Camera), seminari e lecture sulla Convenzione nonché workshop su temi di diritto internazionale. I giuristi e magistrati distaccati dovranno, infatti, in massima parte occuparsi della redazione di note motivate di rigetto (in una delle due lingue di lavoro della Corte: inglese o francese) per infondatezza del ricorso con riferimento alla griglia dei criteri sopra menzionati e al case-law della Corte. Questo sarà richiesto solo per la definizione dei ricorsi che avranno superato il preliminare vaglio formale del rispetto dei requisiti imposti dall’art. 47 del regolamento, altro compito che normalmente spetta al giurista/funzionario distaccato.
I provvedimenti di inammissibilità predisposti dal giurista saranno poi sottoposti a un giudice unico o a un comitato di tre giudici per la loro finale approvazione, una volta condivisa la ricostruzione di fatti, doglianze e conclusioni giuridiche svolte dal giurista[3]. È chiaro che, dopo una prima fase di rodaggio, giuristi e magistrati distaccati saranno coinvolti in attività sempre più complesse, che richiedono un maggiore grado di autonomia nella gestione del dossier, come la redazione di provvedimenti di comunicazione dei ricorsi non manifestamente infondati al governo e la redazione di progetti di sentenze.
Accanto alla funzione principale, altro compito del giurista e del magistrato distaccato – al quale è spesso richiesto di fornire questo tipo di contributo, data la sua rilevante esperienza a livello nazionale – consiste altresì nell’elaborare rapporti di ricerca di diritto comparato, testi che, nei casi più importanti, assistono la Corte nella ricerca di una comune visione o consensus europeo su questioni nuove o molto delicate, che sono di volta in volta sottoposte al suo esame (ad esempio, sulla pena perpetua o in tema di maternità surrogata).
Altro aspetto essenziale dell’attività riguarda la gestione delle richieste ex art. 39, che disciplina la procedura che si attiva quando un soggetto chiede alla Corte di provvedere con urgenza, rappresentando circostanze di imminente pericolo per la vita o l’incolumità propria o di propri congiunti.
Con riguardo alla qualità linguistica dei provvedimenti, aspetto essenziale per il mantenimento di un livello sempre elevato di accuratezza dei testi redatti dallo staff della Cancelleria, grande attenzione è dedicata al miglioramento delle competenze linguistiche. A questo proposito, oltre alla possibilità di seguire corsi di lingua al Consiglio d’Europa, sono regolarmente organizzate anche sessioni di breve e lunga durata alla Corte, focalizzate sulle tecniche di drafting di testi e documenti da parte dei giuristi.
Il lavoro svolto dal magistrato distaccato a cadenza annuale è valutato dal capo della divisione e dal giurista supervisore, il quale formula un giudizio di apprezzamento basato su diversi criteri, quali la qualità del suo contributo, l’avere raggiunto obiettivi quantitativi di lavoro fissati all’inizio della sua attività, nonché aspetti comportamentali relativi alla sua attitudine a sapersi relazionare con il gruppo di lavoro. Questo rapporto – dopo la validazione finale, che richiede l’accettazione da parte dell’interessato –, se positivo, costituirà un fondamentale requisito del magistrato distaccato per l’ottenimento della proroga dell’incarico su richiesta del Registry. Esso dovrà, inoltre, essere prodotto a livello nazionale (quantomeno per l’Italia), in sede di valutazione della progressione in carriera, per il periodo di riferimento.
4. Il ruolo del magistrato distaccato
Unitamente ai colleghi Roberto Amorosi ed Elisa Moretti, arrivati qualche mese prima di me, ho intrapreso il mio percorso quale funzionario mis à disposition presso la Divisione italiana della Cancelleria della Corte di Strasburgo, durato dal marzo 2013 al marzo 2016[4]. Essendo noi stati i primi magistrati a essere distaccati alla Cancelleria con decreto del Ministro della giustizia, non era ancora stato introdotto il test di ammissione da parte di una commissione della Corte (come attualmente è) e la “scelta” da parte del Ministero si basò essenzialmente sulla nostra pregressa esperienza internazionale e sulle competenze linguistiche orali e scritte. Rilevo, tuttavia, che anche prima che fosse instaurata la prassi della selezione finale dei funzionari da parte della commissione, l’incarico non è mai stato considerato di tipo “fiduciario”, ma connotato da massima indipendenza e autonomia di giudizio.
In quel periodo, l’Italia era uno degli Stati con il maggior numero di ricorsi pendenti davanti alla Corte; pertanto, l’obiettivo principale della richiesta di distacco di magistrati era supportare i giuristi nello smaltimento dell’arretrato. Mi furono assegnati molti ricorsi “vecchi” al fine di esaminare i fatti, la loro corretta ricostruzione da parte del ricorrente e la fondatezza delle doglianze sollevate dal ricorrente sulla violazione di uno o più diritti contemplati dalla Convenzione. Sottoponevo, poi, a una giurista senior le mie proposte sulla possibile definizione dei casi. All’esito di un articolato – e, a volte, combattuto – scambio di vedute, specialmente nelle vicende di maggiore complessità e delicatezza, sulla “compatibilità” o meno dei provvedimenti nazionali con i principi della Convenzione e della giurisprudenza della Corte, si optava per la declaratoria di inammissibilità del caso o per la sua comunicazione al Governo, al fine di interloquire con lo Stato su alcuni aspetti ritenuti centrali per la decisione. Nella sostanza, mi era richiesto di operare, con la massima onestà intellettuale, un confronto valutativo tra la complessiva correttezza del procedimento interno (normalmente penale o civile) nei suoi tre gradi di giudizio rispetto alle doglianze di violazione di uno o più diritti secondo la Cedu, tenendo conto dei criteri elaborati dalla Corte e delle sue decisioni. Inoltre, per alcune categorie di diritti, l’impegno consisteva anche nel considerare se, nel caso portato di fronte alla Corte, le autorità italiane avessero effettuato un corretto bilanciamento tra diritti confliggenti, tenuto conto del margine di apprezzamento spettante allo Stato.
Il mio ruolo – e quello dei colleghi distaccati italiani e di altri Paesi – nella Cancelleria sicuramente non era limitato a fornire assistenza a un giudice della Corte o a un giurista permanente per la parte di diritto interno del caso da decidere, né era quello di stagista “qualificato”. Benché estranea almicro-mondo della Corte dei diritti umani, sono stata pienamente inserita nel suo ingranaggio, potendo lavorare come i suoi giuristi permanenti sui casi concreti introdotti dai ricorrenti con gli strumenti – mano a mano acquisiti – adeguati per assumere decisioni o formulare proposte motivate.
I compiti descritti richiedevano una conoscenza approfondita della procedura da seguire davanti alla Corte e, soprattutto, della giurisprudenza formatasi sugli articoli della Convenzione. Ho potuto pertanto sviluppare una capacità di esaminare questioni giuridiche e sentenze nazionali sotto la lente della loro “tenuta”, quando confrontate coi principi della Convenzione (e fatto salvo il limite del divieto di giudizio di quarta istanza). Nel 2014, nella Divisione italiana è stata creata la “sezione filtro”, al fine di agevolare un più rapido ed efficace smaltimento dei numerosi ricorsi secondo regole più rigide in punto di ricevibilità. Unitamente ai giuristi più giovani, noi magistrati distaccati siamo stati assegnati alla sezione nella quale si esaminavano tutti i ricorsi di nuova presentazione, redigendo soprattutto note sintetiche secondo la regola del one in-one out,che richiedeva una estesa conoscenza delle questioni già trattate dalla Corte per discernere rapidamente quelle rilevanti o rientranti in filoni già avviati, quelle nuove da valutare con maggiore ponderazione, quelle infondate da definire con inammissibilità del ricorso.
Per le ragioni descritte, l’attività svolta ha rappresentato per me un utilissimo strumento di crescita culturale e professionale, avendo avuto l’opportunità di approfittare di un osservatorio privilegiato rispetto a temi d’importanza universale sottoposti all’attenzione dei giudici europei. Questo risultato si unisce alla grande occasione di rapportarsi quotidianamente con i colleghi giuristi, italiani e di ogni parte del mondo, di elevata preparazione e forte slancio ideale, e di confrontarsi con colleghi distaccati da altri Stati, apprendere le diverse problematiche inerenti alla Cedu degli Stati e condividere con loro l’esperienza alla Corte.
Infine, non credo che il ruolo del distaccato si possa contenere in un’unica definizione che valga per tutti. Fatti salvi alcuni fondamentali compiti e funzioni che ne caratterizzano lo status professionale, credo che ognuno lo interpreti e lo realizzi secondo la propria personalità, inclinazione e sensibilità, chi più ottimizzando l’aspetto altamente formativo dell’esperienza, chi quello di consulenza su questioni di diritto interno.
Da parte mia, sento di avere apprezzato soprattutto l’esercizio di necessaria autocritica che il peculiare impegno professionale m’imponeva rispetto al lavoro di magistrato nazionale e, dunque, di stimolo futuro a non tralasciare o sottovalutare aspetti apparentemente poco rilevanti, o questioni addotte dalle parti o rilevabili di ufficio, che invece sono idonee a dare spazio per formulare censure davanti alla Cedu. D’altra parte, è indubitabile che il magistrato distaccato, forte della sua esperienza teorica e sul campo a livello nazionale, non può che fornire un contributo molto importante se non essenziale all’istituzione che lo ospita.
[1] CM (2008)51, 4 aprile 2008.
[2] Per quanto riguarda l’Italia, si fa rinvio al capitolo precedente di D. Cardamone, dal titolo: La selezione dei magistrati distaccati dai Paesi membri.
[3] A questo proposito si rileva che, a partire dal mese di giugno 2017, è stata introdotta una diversa forma di comunicazione al ricorrente delle decisioni di rigetto assunte dal giudice unico: non più attraverso una lettera della Cancelleria, ma mediante la notifica della decisione stessa al ricorrente – che avrà, così, modo di comprendere le ragioni del rigetto – accompagnata da una lettera nella sua madre lingua.
[4] Negli ultimi anni, l’ingresso ufficiale del magistrato distaccato nella Divisione italiana è stato fatto seguire da un memorandum of understanding siglato tra la Rappresentanza permanente italiana, nella persona dell’ambasciatore, e l’istituzione ospitante, nella persona del direttore delle Risorse umane del CdE, recante il richiamo alle norme del regolamento contenuto nella risoluzione del 15 febbraio 2012, specificando le obbligazioni dello stato “donante”, che si fa garante delle competenze dei funzionari a svolgere l’incarico e s’impegna altresì a farsi carico di salario e costi loro corrisposti durante il distacco.