Il richiamo di altre fonti internazionali nelle sentenze Cedu
1. Premessa
La competenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’art. 32 Cedu, riguarda «l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli». La Corte Edu interpreta la Convenzione, ma in molti casi fa anche uso di altre fonti internazionali[1]. Anzi, la Convenzione è considerata uno strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo. Spesso, la Corte sottolinea che la Convenzione non può essere interpretata isolatamente, ma prendendo in considerazione il diritto pubblico internazionale e in coerenza con esso[2]. L’efficacia del uso del diritto internazionale è spesso posta in dubbio, prima di tutto perché tante volte non è chiaro se al diritto internazionale si ricorra considerandolo un attributo supplementare alla Convenzione o un obbligo positivo in se[3]. Diversi strumenti del diritto internazionale sono menzionati nelle sentenze della Corte di Strasburgo: trattati, patti, raccomandazioni, rapporti, giurisprudenza delle corti internazionali, un arsenale di hard law e soft law[4], cioè norme giuridiche – rispettivamente – provviste o meno di efficacia vincolante diretta.
2. La Convenzione di Vienna e le regole d’interpretazione
Il più importante testo internazionale utilizzato dalla Corte Edu è la Convenzione di Vienna, che opera quale strumento di interpretazione della stessa Cedu.
Per determinare il significato dei termini della Cedu, la Corte si ispira agli artt. da 31 a 33 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, secondo un metodo già stabilito in Golder c. Regno Unito[5]. Come indicato dalla Corte stessa nella sentenza Saadi c. Regno Unito: «In base alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, la Corte è chiamata a stabilire il senso ordinario da attribuire ai termini nel loro contesto e alla luce dell’oggetto e dello scopo delle disposizioni da cui sono estratti (vedi Golder, § 29; Johnston, § 51, e art. 31, § 1, della Convenzione di Vienna). La Corte deve tenere conto del fatto che il contesto della disposizione risiede in un trattato per la protezione effettiva dei diritti umani individuali e che la Convenzione deve essere letta come un tutt’uno, ed interpretata in modo da promuovere la coerenza interna e l’armonia tra le sue diverse disposizioni (Stec et al. c. Regno Unito (decisione) [GC], nn. 65731/01 e 65900/01, § 48, ECHR 2005-X)»[6].
L’art. 31 della Convenzione di Vienna definisce la regola generale per l’interpretazione dei trattati internazionali: «Un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo». Lo stesso articolo precisa, poi, che nell’interpretazione «verrá tenuto conto (…) di ogni norma pertinente di diritto internazionale, applicabile alle relazioni fra le parti».
Quest’ultima regola, prevista dall’art. 31, par. 3, lett. (c), della Convenzione di Vienna, promuove la considerazione delle fonti esterne di diritto internazionale. I riferimenti alle fonti esterne hanno aperto alla Corte Edu la strada verso un’interpretazione evolutiva e creativa dei diritti enunciati nella Convenzione, pervenendo a una vera trasformazione costituzionale[7].
Nel caso Saadi è stato ricordato dalla Corte che la Cedu dev’essere interpretata in modo armonico con le altre regole di diritto internazionale di cui è parte, in particolare nel caso in cui tali regole siano contenute in trattati sui diritti umani che gli Stati parti della Cedu hanno ratificato e sono, quindi, disposti ad accettare. Inoltre, la Cedu deve essere interpretata in modo da garantire che i diritti ricevano un’interpretazione ampia e che le limitazioni a tali diritti siano interpretate restrittivamente, in modo da assicurare una protezione concreta ed effettiva dei diritti umani. Una lettura della Cedu come strumento vivente, alla luce delle attuali condizioni e conformemente agli sviluppi del diritto internazionale, consentirà di riflettere i sempre più alti standard richiesti in materia di protezione dei diritti umani[8].
3. La Cedu e gli sviluppi a livello internazionale
Come dimostra il caso Saadi, gli sviluppi del diritto internazionale offrono alla Corte di Strasburgo uno standard da implementare in materia di protezione dei diritti umani.
La Corte ha gradualmente costruito la sua interpretazione evolutiva della Cedu alla luce delle fonti internazionali[9]. Il caso Tyrer c. Regno Unito (ric. n. 5856/72, 25 aprile 1978) ha introdotto, in riferimento alla Cedu, il concetto di «strumento vivente». Nel caso Marckx c. Belgio[10] si sono, per la prima volta, richiamati due documenti di diritto internazionale. La Corte ha sottolineato l’importanza di documenti e prassi internazionali in importanti decisioni, come Soering[11] sulla pena di morte, e Loizidou c. Turchia (ric. n. 15318/89, 23 marzo 1995) sullo scopo territoriale della Convenzione.
Nel caso Demir e Baykara c. Turchia (ric. n. 34503/97, 12 novembre 2008), la Corte ha riassunto, in un capitolo intero, la sua prassi di interpretare la Convenzione alla luce di altri documenti internazionali (parr. 65-86). La Corte ha concluso che, nel determinare il significato dei termini e dei concetti della Convenzione, deve prendere in considerazione anche altri elementi di diritto internazionale, l’interpretazione di tali elementi da parte degli organi competenti, nonché le prassi adottate dagli Stati europei, che riflettono i loro valori comuni (par. 85).
Un altro esempio di riferimento ad altre fonti internazionali si trova in un caso relativo all’obiezione di coscienza, Bayatyan c. Armenia (ric. n. 37334/08, 11 luglio 2011). Questo caso non solo rivela l’importanza di altri strumenti di diritto internazionale, ma anche l’interpretazione innovativa di testi internazionali nel contesto di cambiamenti e sviluppi giuridici e sociali. La Corte Edu non poteva non tener conto della graduale approvazione del diritto all’obiezione di coscienza.
La sentenza, seguendo l’interpretazione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), ribadisce che la Cedu è uno «strumento vivente», interpretato alla luce del contesto e delle idee oggi prevalenti nelle democrazie contemporanee. Essendo il più importante sistema per la protezione di diritti umani, la Corte dev’essere consapevole dei cambiamenti occorsi nei Paesi membri e rispondere al consenso formatosi su determinati standard, definendo termini e nozioni della Cedu mediante l’integrazione di altri elementi di diritto internazionale, in base alla loro interpretazione da parte degli organi competenti[12].
A titolo di esempio, in una causa italiana risalente al 1978, la Commissione europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che, a differenza dell’art. 15, par. 1, del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici (1966), l’art. 7 Cedu non sanciva il diritto di beneficiare dell’applicazione di una pena meno severa prevista da una legge posteriore alla commissione del reato. Questa giurisprudenza è stata, quindi, ripresa dalla Corte, che ha ricordato che l’art. 7 Cedu non contempla il diritto all’applicazione di una legge penale più favorevole. La Corte ha, però, osservato che, «poiché la Convenzione è anzitutto un meccanismo di tutela dei diritti dell’uomo, la Corte deve tenere conto dell’evoluzione della situazione nello Stato convenuto e negli Stati contraenti in generale e reagire, ad esempio, al consenso che potrebbe emergere per quanto riguarda il livello di protezione da raggiungere. È di fondamentale importanza che la Convenzione venga interpretata e applicata in modo tale da renderne le garanzie concrete ed effettive, e non teoriche e illusorie. Se la Corte non adottasse un approccio dinamico ed evolutivo, un tale atteggiamento rischierebbe di ostacolare qualsiasi riforma o miglioramento»[13].
La Corte Edu, sulla base degli importanti sviluppi intervenuti a livello internazionale – quali la Convenzione americana dei diritti dell’uomo, la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e della Corte di cassazione francese, lo statuto della Corte penale internazionale – ha dedotto la progressiva formazione di un consenso, a livello europeo e internazionale, per considerare come l’applicazione della legge penale che, anche posteriormente alla perpetrazione del reato, prevede una pena meno severa sia divenuta un principio fondamentale del diritto penale.
4. Documenti internazionali richiamati dalla Corte Edu
Il recente caso Alekhina e altri c. Russia (ric. n. 38004/12, 17 luglio 2018) offre un buon esempio come la Corte Edu, nel decidere un caso, tenga conto dei differenti sistemi internazionali della difesa dei diritti umani. Ecco l’elenco delle fonti richiamate, suddivise dalla sentenza in tre gruppi:
a) da parte del Consiglio d’Europa: il rapporto della Commissione di Venezia sulla relazione tra libertà di espressione e libertà religiosa (2008); la raccomandazione di politica generale n. 15 del Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) sul contrasto allo hate speech (2015);
b) da parte delle Nazioni Unite: il già citato Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966); alcuni rapporti del Consiglio per i diritti umani; il Rapporto n. 34 della Commissione dei diritti umani (2011); la raccomandazione n. 35 sull’eliminazione della discriminazione razziale (2011); rapporti speciali del Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani;
c) altre fonti internazionali: la Convenzione di Shanghai sulla lotta al terrorismo, al separatismo e all’estremismo (2001); laDichiarazione congiunta sulla legislazione riguardante la diffamazione delle religioni, l’antiterrorismo e l’antiestremismo (2008); i Princìpi di Camden sulla libertà di espressione e sull’eguglianza (2009).
Senza pretesa di completezza, ecco alcuni esempi degli strumenti di diritto internazionale usati più frequentemente nelle sue sentenze dalla Corte Edu:
- Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966);
- Patto internazionale sui diritti economici e sociali (1966);
- Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1991);
- Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1984);
- Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965);
- Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (1979);
- disciplina internazionale del lavoro promossa, elaborata e adottata nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL);
- Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
5. La responsabilità degli Stati
Il diritto internazionale occupa un posto speciale nella giurisprudenza della Corte Edu in tema di responsabilità dello Stato.
Anche se ha suscitato critiche, questa giurisprudenza può essere difesa dal punto di vista del diritto internazionale generale. Per esempio, già nel 1993 la Corte ordinò al Governo britannico di introdurre una legislazione per moderare le punizioni corporali inflitte agli studenti. Il punto di partenza, nel caso in questione, è l’art. 1 della Convenzione: la Corte ha affermato la responsabilità dello Stato per violazione di uno dei diritti e delle libertà enunciati nella Cedu, laddove lo Stato non abbia rispettato gli obblighi imposti da tale articolo, ossia non abbia garantito, nella legislazione interna, quei diritti e libertà dovuti a ogni persona sottoposta alla sua giurisdizione. Si tratta del caso Costello-Roberts c. Regno Unito (ric. n. 13134/87, 25 marzo 1993), nel quale rilevava la responsabilità dello Stato nel garantire i diritti protetti dagli artt. 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare). La Corte notava che, secondo l’art. 2 del Protocollo addizionale n. 1, lo Stato ha l’obbligo di garantire il diritto all’istruzione. In più, il Regno Unito era obbligato a dotarsi di un adeguato sistema disciplinare nell’amministrazione interna delle scuole, in osservanza della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989).
Nell’evoluzione della giurisprudenza della Corte, il termine “giurisdizione” è uno dei più importanti – e più discussi – concetti della Convenzione. Il metodo applicato dalla Corte per determinarne la portata è riassunto nella decisione Banković e altri c. Belgio (ric. n. 52207/99, 19 dicembre 2001): la Corte deve considerare le regole rilevanti del diritto internazionale quando esamina le questioni della propria giurisdizione e, di conseguenza, determinare la responsabilità dello Stato conformemente ai principi di diritto internazionale (par. 57). Come principio generale, la giurisdizione della Corte è limitata allo spazio (geografico e giuridico) dei Paesi membri. Eccezionalmente, quando uno Stato controlla un terzo Stato o parte di esso, si potrà parlare di applicazione extraterritoriale della Cedu.
Nel caso Al-Dulimi e Montana management Inc. c. Svizzera (ric. n. 5809/08, 26 novembre 2013), la Corte Edu dovette trovare il giusto bilanciamento fra le sanzioni introdotte dal Consiglio di sicurezza dell’Onu contro il regime di Bagdad (che aveva confiscato la proprietà del ricorrente) e il diritto a un equo processo e alle inerenti garanzie. La Corte non ha messo in dubbio le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, ma ha protetto i valori enunciati nella Convenzione, agendo espressamente come garante di quei valori. Così, la Corte ha promosso un’interpretazione armonica e integrata di due sistemi: il sistema Onu e il sistema Cedu. L’esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza è effettuata secondo le norme della Convenzione, attribuendole in tal modo un effetto extraterritoriale, e rinforzando il principio di diritto internazionale in base al quale ogni Stato deve accettare la sua responsabilità internazionale quando agisce violando le norme internazionali[14].
6. Conclusioni
La Corte Edu usa ampiamente le fonti di diritto internazionale, così come è attenta al diritto comparato, un’attitudine che deriva, in sintesi, dal prendere in considerazione tutte le regole e tutti i principi rilevanti di diritto internazionale applicabili nei rapporti tra le Alte Parti Contraenti.
L’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo è basata sulla Convenzione di Vienna, e scopo finale della Corte Edu deve rimanere l’assicurazione dei valori fondamentali dell’ordine pubblico europeo.
[1] J. Merrills, The Development of International Law by the European Court of Human Rights, Manchester University Press, Manchester, 1988; G. Letsas, A Theory of Interpretation of the European Convention of Human Rights, Oxford University Press, Oxford, 2007.
[2] Si veda Al-Adsani c. Regno Unito [GC], ric. n. 35763/97, 21 novembre 2001, par. 55; Bosphorus Hava Yollari Turizm ve Ticaret Anonim Sirket c. Irlanda [GC], ric. n. 45036/98, 30 giugno 2005, par. 150.
[3] Cipro c. Turchia, ric. n. 25781/94, 10 maggio 2001, par. 78.
[4] A. Nuβberger, Hard Law or Soft Law - Does it Matter?, in A. Van Aaken e I. Motoc (a cura di), The European Convention on Human Rights and General International Law, Oxford University Press, Oxford, 2018, pp. 41-60.
[5] Ric. n. 4451/70, 21 febbraio 1975, serie A, n. 18, par. 29.
[6] Saadi c. Regno Unito, ric. n. 13229/03, 29 gennaio 2008, par. 62.
[7] J. Arato, Constitutional Transformation in the ECtHR: Strasbourg’s Expansive Recourse to External Rules of International Law, in Brooklyn journal of international law, vol. 37, n. 2, 2012.
[8] Vds. Saadi, par. 55; vedi anche Al-Adsani c. Regno Unito [GC], cit., par. 55.
[9] G. Ulfstein, Evolutive Interpretation in the Light of Other International Instruments, in A. Van Aaken e I. Motoc, The European Convention (a cura di), op. cit., pp. 83-94.
[10] Marckx c. Belgio, ric. n. 6833/74, 13 giugno 1979, parr. 20 e 41, serie A, n. 31.
[11] Soering c. Regno Unito, ric. n. 14038/88, 7 luglio 1989, par. 102, Serie A, n. 161.
[12] F. Jacobs - R. White - C. Ovey, The European Convention on Human Rights, OUP, Oxford, 2014, p. 77.
[13] Scoppola c. Italia (2) [GC], ric. n. 10249/03, 17 settembre 2009, parr. 103-109.
[14] I. Motoc e J.J.Vasel, The ECHR and Responsibility of the State: Moving Towards Judicial Intergaration, in A. van Aaken e I. Motoc (a cura di), The European Convention, op. cit., pp. 199-211.