Magistratura democratica

I vent’anni della nuova Corte

di Guido Raimondi
Il presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo traccia le linee fondamentali dell’attività della Corte negli ultimi venti anni, soffermandosi sulle riforme intraprese e sui risultati ottenuti.

Venti anni fa è nata la Corte europea dei diritti dell’uomo, unica e permanente, come stabilito dal Protocollo n. 11.

Se mi è permesso un riferimento personale, chi vi parla non può ignorare, nel rivolgere il suo sguardo a ciò che alla fine degli anni Novanta chiamavamo la “nuova Corte”, il fatto di essere stato un attore del vecchio sistema e di aver partecipato allo sviluppo dell’attuale meccanismo.

Come co-agente del Governo italiano, ho difeso lo Stato dinanzi alla ex-Commissione europea per i diritti umani e alla Corte Edu prima del 1998. Si trattava di un sistema di notevole rilievo, che rappresentava un eccezionale passo avanti nella protezione dei diritti umani in Europa. Tuttavia, esso non era perfetto e una riforma era essenziale, soprattutto per affrontare l’allargamento del Consiglio d’Europa ai Paesi dell’Europa centrale e orientale.

Ho avuto, poi, l’onore di partecipare ai negoziati che hanno portato all’adozione del Protocollo n. 11. La nostra ambizione era duplice: in primo luogo, porre fine alla natura facoltativa del diritto di ricorso individuale; d’altra parte, abolire il ruolo decisionale del Comitato dei ministri.

Occorreva che la giurisdizione della Corte divenisse obbligatoria ed era essenziale mettere lo Stato e il ricorrente su un piano di parità.

In qualche modo bisognava istituire un sistema più democratico e anche più chiaro, perché il meccanismo allora in vigore era molto complesso.

Al termine di un negoziato durato anni e nel corso del quale si sono confrontate concezioni radicalmente diverse, abbiamo raggiunto un compromesso accettato da tutti: da coloro che preferivano una Corte unica, e da chi preferiva un sistema a due livelli, con impugnabilità delle decisioni della Commissione alla Corte.

Il Protocollo n. 11 è quindi il frutto di questo compromesso, che ha visto la nascita, vent’anni fa, della Corte unica e permanente.

 

Nei suoi vent’anni di esistenza, il nuovo meccanismo europeo per la protezione dei diritti umani ha dovuto presto affrontare molte sfide.

In primo luogo, una sfida quantitativa legata al suo appeal. In effetti, il numero di domande pervenute alla nuova Corte ha raggiunto rapidamente un livello tale che, intorno al 2010, si è detto che la Corte era “vittima del suo successo”.

Abbiamo anche raggiunto, nel 2011, la cifra astronomica di 160.000 domande pendenti, ciò che era fonte di preoccupazione per la stessa tenuta del sistema.

Ovviamente, questo massiccio afflusso di domande impediva alla Corte di dedicarsi, in tempi ragionevoli, ai casi più importanti, a quelli in cui erano denunciate gravi violazioni dei diritti umani o a quelli in cui erano sollevate le più serie questioni d’interpretazione della Convenzione.

Una riforma rapida era essenziale e il processo di Interlaken ha permesso di intervenire sul sistema rendendolo più efficiente, pur preservando – cosa di vitale importanza – il diritto al ricorso individuale, al quale siamo tutti legati e che rimane la pietra angolare del meccanismo europeo per la protezione dei diritti umani.

La procedura del giudice unico risultante dall’attuazione del Protocollo n. 14, l’uso crescente della procedura della “sentenza pilota” e, soprattutto, la razionalizzazione e la modernizzazione dei nostri metodi di lavoro sono stati strumenti indispensabili per far fronte a una valanga di cause nuove: oggi i ricorsi pendenti sono poco più di 58.000.

In sintesi, durante questi vent’anni di esistenza, la nuova Corte si è pronunciata su oltre 800.000 domande, e circa 21.000 sentenze stricto sensu sono state depositate.

L’altra sfida che abbiamo affrontato durante questa fase di crescita, certamente la più importante, è stata quella relativa alla qualità e all’autorevolezza della nostra giurisprudenza. Credo sinceramente che ci siamo riusciti.

Se guardiamo ai cambiamenti che si sono verificati in Europa nell’ultimo ventennio, molte riforme sono state introdotte negli Stati membri a seguito delle sentenze emesse dalla nuova Corte. Un’influenza che non si è limitata ai confini dell’Europa.

Ma questi vent’anni non sono stati decenni facili per il nostro continente. Il mondo del 2018 non è più quello del 1998.

Siamo stati tutti testimoni, spesso impotenti, dell’aumento del terrorismo, della grave crisi economica e del fenomeno della massiccia migrazione. La Corte è stata chiamata a rispondere a varie domande su questi nuovi temi, sempre nell’ottica della tutela dei diritti fondamentali. Allo stesso tempo, sono arrivate domande inedite, spesso legate allo sviluppo della biologia e all’emergere di nuove tecnologie.

Talvolta, alla Corte è stata richiesta un’opera di bilanciamento tra i diversi diritti tutelati dalla Convenzione, sempre nel contesto della griglia interpretativa sviluppata nel tempo.

Durante questi due decenni, molti casi – alcuni dei quali ritenuti particolarmente sensibili – sono stati al centro dell’attenzione delle autorità nazionali, della società civile e dei media. La nostra Corte è consapevole della sua responsabilità.

Devo concludere: che insegnamento trarre da questa Corte, unica e permanente, dopo vent’anni di esistenza?

Ciò che è cambiato rispetto al sistema precedente è proprio questo carattere permanente che, collocandoci in una posizione simile e più prossima a quella delle corti superiori degli Stati membri, ha fatto sì che potessimo costituire con esse una stabile rete di collegamento.

Oggi siamo ben radicati nel panorama giudiziario europeo. Il filo che ci unisce è sempre teso e le relazioni tra di noi sono costanti, regolari e amichevoli.  Il Protocollo n. 16, entrato in vigore il 1° agosto 2018, rappresenta il culmine di questo processo.

Questa Corte permanente è anche la ragione per cui, in tutta Europa, centinaia di milioni di persone sanno che a Strasburgo esiste un organismo che vigila costantemente sul rispetto dei loro diritti.

[*] Il testo è estratto dal discorso reso in qualità di presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo per celebrare il 20° anniversario della nuova Corte Edu, in Strasburgo 26 novembre 2018. Il testo, in lingua originale in francese, è stato tradotto in italiano da Francesco Buffa.