Magistratura democratica

Imparzialità del giudice e fiducia nella magistratura nella prospettiva costituzionale europea

di Barbara Randazzo

Il contributo ricostruisce la portata del principio di imparzialità del giudice in una prospettiva costituzionale europea integrata e indugia sulla sua connessione con il principio di precostituzione, saggiando in particolare la compatibilità dei criteri di assegnazione degli affari giudiziari rispetto agli orientamenti giurisprudenziali illustrati. 

1. Premessa / 2. Diritto a un equo processo, rule of law e principio di separazione dei poteri / 3. I “requirements” del giudice, l’imparzialità e gli strumenti per il suo accertamento / 4. Apparenza di imparzialità, precostituzione del giudice per legge e criteri di assegnazione degli affari giudiziari / 4.1. Il cd. sistema tabellare e la sua derogabilità / 4.2. Il criterio dell’abbinamento pm-sezione: lo screening dell’objective test / 5. Apparenza di imparzialità, diritti del cittadino-magistrato e soggezione del giudice al diritto. Nuovi paradigmi per l’etica giudiziaria

 

1. Premessa 

La riflessione scientifica ha esaminato, talora anticipato e propiziato, l’evoluzione delle diverse stagioni della magistratura, prima e dopo l’avvento della Costituzione repubblicana[1]. Organizzazione e garanzie del giudiziario risentono, infatti, inevitabilmente dei contesti storici e istituzionali di riferimento; è giocoforza, pertanto, chiarire preliminarmente la prospettiva da cui si muove.

Se la dimensione multilivello della tutela dei diritti è ormai da tempo indagata e sembra (per lo più) pacificamente acquisita nella cultura giuridica dei diversi operatori del diritto, assai meno convergenti paiono gli esiti delle ricerche condotte sulle ricadute che una siffatta tutela ha sul versante della separazione dei poteri e, in particolare, sul rapporto tra legislatori e giudici. I commenti alle decisioni adottate dalla Corte costituzionale nel caso Cappato[2] (e il relativo seguito giudiziario), come pure quelli alle sentenze del giudice di legittimità sullo status dei figli nati da maternità surrogata[3], ne forniscono una plastica ed emblematica rappresentazione. Ma per quanto ancora controversi possano ritenersi siffatti rapporti, non pare potersi dubitare degli inestricabili intrecci (verticali e orizzontali) tra la dottrina dei diritti e quella dei poteri anche nella dimensione multilivello[4]

Ciò conduce a interrogarsi sulla natura di tale sistema, se possa o meno ritenersi “costituzionale” (integrata)[5]. Invero, la riflessione dottrinale più avveduta e appassionata ne offre ora una compiuta costruzione teorica, che affonda le sue radici sul singolare collettivo “società” cui si riferisce l’art. 2 del Trattato sull’Unione europea[6]. Nella seconda parte della disposizione, infatti, si ha cura di precisare che i valori menzionati nella prima parte[7] sono «comuni» agli Stati membri «in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». L’edificio costituzionale europeo risulterebbe in tal guisa fondato sulle medesime basi indicate nella celebre definizione di «Costituzione» recata dall’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che si riferisce, come è noto, a ogni «società» in cui i diritti sono garantiti ed è prevista la separazione dei poteri[8]

Tale dottrina sottolinea altresì che la società evocata dall’articolo 2 TUE non può che essere democratica, facendo riferimento a principi e valori che richiedono mediazioni e compromessi connaturati al pluralismo dell’ordinamento europeo (e, sebbene ad altri fini, è interessante notare che a «una società democratica» si riferiscono anche la Cedu e la Corte Edu). 

Considerato che il termine «società» di cui all’art. 2 TUE comprende tutte le forme di organizzazione sociale, e che nella concezione hegeliana – cui attinge la menzionata dottrina – non può non ritenersi ricompreso anche lo Stato, ad essa deve riferirsi (e rispondere) il giudiziario europeo del quale i giudici nazionali sono parte ed elemento costitutivo fondamentale[9]

In quest’ottica, la ridefinizione del volto e delle garanzie del giudiziario nazionale non può dunque avvenire prescindendo da una effettiva integrazione, lungi dal potersi risolvere con una semplicistica giustapposizione del livello europeo e nazionale. La definizione delle garanzie europee, infatti, ha luogo mediante la comparazione degli ordinamenti nazionali, estraendone le tradizioni costituzionali comuni in ambito UE, e saggiando l’esistenza del cd. consensus in riferimento alla Cedu. 

Del resto, sebbene l’influenza europea sui giudici nazionali risalga all’introduzione del rinvio pregiudiziale con l’art. 177 TCE, soltanto di recente – anche a seguito delle accresciute competenze dell’Unione – la Corte di giustizia ha delineato i tratti costituzionali del giudiziario europeo, non a caso proprio in occasione di procedimenti in cui venivano messi in discussione interventi normativi incidenti sulle prerogative della giurisdizione (in Polonia). Attraverso una innovativa interpretazione del par. 1 dell’art. 19 TUE[10], in combinato disposto con gli artt. 2 e 49 TUE, il giudice di Lussemburgo ha riaffermato il principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti garantiti ai singoli dal diritto dell’Unione[11]. In virtù dell’art. 19 TUE, la tutela dello Stato di diritto è affidata ai giudici nazionali e alla Corte di giustizia (tramite lo strumento del rinvio pregiudiziale)[12], e a presidio di tutte le giurisdizioni preposte all’applicazione e all’interpretazione del diritto europeo, in forza del medesimo articolo, debbono essere assicurate dagli Stati membri garanzie di indipendenza e di imparzialità. Quanto alla portata di tali garanzie, la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, come si vedrà, trae ampia ispirazione dagli orientamenti elaborati dalla Corte di Strasburgo, considerato l’analogo tenore letterale dell’art. 47 CDFUE rispetto all’art. 6, § 1, Cedu. 

La prospettiva di analisi prescelta – che muove dal diritto al giudice e a un processo equo – privilegia uno sguardo dall’esterno sulla magistratura, e affonda le sue radici, come si è precisato, nella natura democratica della funzione giurisdizionale, di cui l’art. 101, primo comma, Cost. è limpida espressione, e alla quale si riferisce la giurisprudenza europea nei termini poc’anzi richiamati. Naturalmente, ciò non implica alcuna rinunzia a rivolgere uno sguardo all’interno, là dove sarà opportuno[13].

 

2. Diritto a un equo processo, rule of law e principio di separazione dei poteri

Chiara evidenza del ponderoso impegno che implica la rilettura in chiave costituzionale europea (integrata) delle garanzie della magistratura è restituita dalla tradizionale distinzione tra sistemi di civil law – ai quali si riconducono quello italiano e molti altri ordinamenti dei Paesi europei – e sistemi di common law, sul cui modello sono costruiti sia il sistema di tutela dei diritti del Consiglio d’Europa (Cedu e Corte Edu) che l’ordinamento UE. Profonda, non a caso, è l’influenza che la giurisprudenza delle corti inglesi[14] ha avuto nella elaborazione degli orientamenti della Corte Edu. 

Ai fini che qui interessano, basti rievocare la celeberrima affermazione di Lord Hewart, secondo cui «[it] is of fundamental importance that justice should not only be done, but should manifestly and undoubtedly be seen to be done»[15]. Negli orientamenti europei, infatti, l’apparenza di giustizia assume una rilevanza decisiva, riflettendosi sia sul principio di indipendenza che sul principio di imparzialità. L’approccio sostanzialistico che ne discende ha messo e mette alla prova la tenuta degli istituti domestici, o meglio, la loro tradizionale interpretazione e applicazione. Si pensi alla nozione di riserva della legge in rapporto a quella europea di base legale, rilevante tra l’altro nella definizione della portata della garanzia di precostituzione per legge del giudice, strettamente connessa alla garanzia di imparzialità.

Istruire nell’ottica della giurisprudenza europea le problematiche connesse alla imparzialità del giudice impone, quindi, anzitutto di chiarire la portata del diritto a un equo processo, in modo da evidenziare in quali termini essa incida anche sul modo di essere della giurisdizione in sé e nei rapporti con gli altri poteri, inclusa la stampa. A quest’ultimo riguardo, merita di essere ricordato che, proprio in un caso in cui due giornalisti lamentavano la violazione della libertà di espressione per essere stati condannati per diffamazione (avendo criticato l’operato di alcuni giudici), la Corte di Strasburgo si premurò di chiarire in generale che il giudiziario deve godere della fiducia del pubblico, stante il ruolo fondamentale che esso svolge in uno Stato basato sul principio di legalità[16]. La Corte pervenne di conseguenza a una dichiarazione di non violazione, ribadendo che i giudici debbono essere protetti da attacchi distruttivi e infondati in ragione dei doveri di riservatezza che impongono loro di non rispondere alle critiche.

Già in risalenti sentenze, la Corte europea ebbe a riconoscere il «ruolo preminente» che il diritto a una buona amministrazione della giustizia riveste in una «società democratica» nella sua accezione convenzionale[17]

Ancora con riferimento ai rapporti tra i poteri, più di recente, la medesima Corte ha segnalato altresì la crescente importanza nella sua giurisprudenza del principio di separazione dei poteri, in particolare tra esecutivo e giudiziario[18], avendo cura di precisare, tuttavia, che «neither Article 6 nor any other provision of the Convention requires States to comply with any theoretical constitutional concepts regarding the permissible limits of the powers’ interaction»[19]

Le drammatiche vicende connesse alle riforme del sistema giudiziario in Polonia, cui si è già fatto cenno, viste da Strasburgo restituiscono cristallina evidenza degli intrecci tra la dottrina della protezione dei diritti e quella della separazione dei poteri. La Corte europea, infatti, ha rilevato come l’intera sequenza delle vicende polacche dimostri che con una serie di riforme si è perseguito lo scopo di indebolire il potere giudiziario: «the judiciary – an autonomous branch of State power – has been exposed to interference by the executive and legislative powers and thus substantially weakened. (…) on account of the lack of judicial review in this case the respondent State impaired the very essence of the applicant’s right of access to a court»[20]

La Corte di giustizia UE, come si dirà, ha evidenziato analoghi intrecci. 

Naturalmente, siffatte connessioni non sono sfuggite neppure al giudice costituzionale, che è anche una Corte dei poteri (ex art. 134 Cost.), il quale ha fornito una lettura sistematica del dettato costituzionale “congiungendo” la parte I, dedicata ai diritti, con le disposizioni del titolo IV della parte II, dedicata alla organizzazione dei poteri, e in particolare con l’art. 111 Cost. Nella storica sentenza n. 497 del 2000, infatti, è stato sottolineato come il regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie, il prestigio della magistratura e l’applicazione imparziale e indipendente della legge, rappresentino «beni i quali (…) non riguardano soltanto l’ordine giudiziario, riduttivamente inteso come corporazione professionale, ma appartengono alla generalità dei soggetti e, come del resto la stessa indipendenza della magistratura, costituiscono presidio dei diritti dei cittadini»[21].

Nell’economia del presente contributo è senza dubbio il punto di vista della Corte europea dei diritti a fornire gli elementi di maggiore interesse, dato che la sua giurisprudenza è “abilitata” a conformare tanto l’interpretazione delle analoghe garanzie costituzionali (in virtù del noto sistema delle “sentenze gemelle”) quanto l’interpretazione delle garanzie europee (comunitarie), sia in virtù dell’art. 52, § 3 della CDFUE, sia, più in generale, in virtù dell’art. 6, § 3, TUE.

 

3. I “requirements” del giudice, l’imparzialità e gli strumenti per il suo accertamento

Le pronunce rese dalla Corte Edu sull’art. 6, § 1, Cedu forniscono gli orientamenti atti a ricostruire (o comunque a incidere su) la struttura e l’organizzazione del giudiziario, restituendo chiara evidenza di come le obbligazioni positive e negative che gravano sugli Stati in vista della tutela dei diritti possano incidere (anche) sull’organizzazione dei poteri[22].

Significativa al riguardo è la distinzione fra «institutional requirements» e «procedural requirements», mediante la quale si suole leggere la giurisprudenza europea concernente le garanzie convenzionali dell’equo processo[23]. Tra i primi, si riconducono gli approdi connotanti la nozione autonoma di “tribunal” o “court”, e in particolare la precostituzione per legge e i principi di indipendenza e imparzialità; tra i requisiti procedurali, invece, gli approdi sulla “fairness” del procedimento, sul diritto al contraddittorio, sulla parità delle armi e sulla ragionevole durata dello stesso. 

Naturalmente, come si può intuire, alla necessaria distinzione tra i requisiti corrisponde una loro intima connessione.

La Corte Edu, ricondotte le garanzie di indipendenza e di imparzialità tra i requisiti istituzionali del tribunal, definisce gli standard richiesti dalla Convenzione[24], onde apprezzarne le ricadute sulla effettività del godimento del diritto al giudice. 

Con il termine «indipendente», intende connotare sia i rapporti con gli altri poteri (esecutivo e legislativo)[25] e quelli all’interno della magistratura[26], sia i rapporti con le parti del giudizio[27]; da ciò la stretta interrelazione, quasi con-fusione, con i requisiti di imparzialità e di precostituzione[28]

A salvaguardia dell’autonomia del giudiziario, la Corte ha elaborato una serie di principi[29] che si applicano non solo a tutti coloro che esercitano funzioni giudicanti (a prescindere dalla loro appartenenza al tradizionale sistema giudiziario), ma anche a chi esercita funzioni connesse al sistema giudiziario, come i componenti degli organi di autogoverno[30]

Il rispetto dell’indipendenza viene valutato tenendo conto di una molteplicità di criteri, e in particolare delle modalità di nomina dei giudici, della durata del loro mandato, dell’esistenza di sufficienti garanzie a presidio della loro libera determinazione, contro il rischio di pressioni esterne[31] (e interne)[32], e della sussistenza di elementi volti ad assicurare altresì l’apparenza di indipendenza[33]

Per la giurisprudenza europea i concetti di indipendenza e di imparzialità sono strettamente legati e, a seconda delle circostanze del caso, possono pertanto richiedere un esame congiunto[34]. Entrambe le garanzie, come si è già osservato, interagiscono altresì con il requisito di precostituzione del giudice per legge[35]

Quanto al contenuto proprio dell’imparzialità, la Corte dei diritti ha chiarito che essa implica l’assenza di pregiudizi o di parzialità e che la sua sussistenza può essere verificata in vari modi, avvalendosi cioè di un subjective test e di un objective test[36]

Con riferimento al primo, assumono rilievo le convinzioni personali e il comportamento tenuto dal giudice; deve verificarsi quindi se il giudice sia stato condizionato da pregiudizi o da inclinazioni o interessi personali. Con riguardo al test oggettivo, invece, la Corte verifica se il giudice e tutti gli aspetti connessi alla composizione del collegio offrano garanzie sufficienti a escludere ogni legittimo dubbio sulla sua imparzialità.

In coerenza con l’approccio sostanzialistico che caratterizza la giurisprudenza europea, i due profili dell’imparzialità, soggettivo e oggettivo, non sono tenuti rigidamente separati[37], dato che il comportamento di un giudice può far sorgere dubbi, dal punto di vista di un osservatore esterno, sia sulla sussistenza di sufficienti garanzie di imparzialità del tribunale nel suo complesso (objective test), sia sui pregiudizi del singolo giudice (subjective test)[38]. Pertanto, nei casi in cui può risultare assai difficile rinvenire prove con cui confutare la presunzione di imparzialità soggettiva del giudice, il requisito dell’imparzialità oggettiva può fungere da decisiva garanzia[39]. E, in effetti, nella maggioranza dei casi che sollevano questioni di imparzialità, la Corte europea si è concentrata sull’objective test[40]. Al riguardo, il giudice di Strasburgo reputa dunque essenziale accertare se il rischio di imparzialità possa ritenersi «objectively justified», accertando in genere l’esistenza di rapporti gerarchici o legami di altra natura tra il giudice e gli altri soggetti coinvolti nel procedimento, legami in grado di giustificare preoccupazioni circa la imparzialità del giudice[41]. A tal fine, tuttavia, il mero punto di vista dell’imputato o della parte, per quanto importante, non è mai ritenuto decisivo[42]. I dubbi sulla imparzialità debbono trovare una giustificazione obiettiva, emergere dal punto di vista dell’«objective observer», che non ha ragioni di preoccupazione nel caso concreto[43]

Naturalmente anche la Corte costituzionale ha sottolineato in generale come l’imparzialità debba considerarsi un elemento costitutivo del processo, il quale «può dirsi giusto in quanto, tra l’altro, sia assicurata l’esigenza di imparzialità del giudice: imparzialità che non è che un aspetto di quel carattere di “terzietà” che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio»[44]. Sempre secondo il giudice costituzionale, l’imparzialità è «connaturata all’essenza della giurisdizione e richiede che la funzione del giudicare sia assegnata a un soggetto terzo»[45]. E l’imparzialità implica che il giudice sia anche riconoscibile e dunque appaia imparziale[46], poiché tale obiettiva apparenza è condizione necessaria «di quella fiducia nella giustizia da cui dipende un ordinato vivere civile», come ha avuto modo di sottolineare anche la Suprema corte di cassazione[47], in piena sintonia con gli insegnamenti della Corte Edu.

Quanto alla Corte di giustizia, per le ragioni già illustrate, anch’essa ha valorizzato i principi di indipendenza e di imparzialità secondo gli orientamenti di Strasburgo, distinguendo i due aspetti. Il primo, di carattere esterno, richiede che l’organo investito di funzioni giudicanti goda di piena autonomia, senza essere soggetto cioè ad alcun vincolo gerarchico o di subordinazione nei confronti di altri, e senza ricevere ordini o istruzioni da fonti idonee a influenzare la sua decisione. Il secondo aspetto, di carattere interno, si ricollega alla nozione di imparzialità e implica l’equidistanza del giudice dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi[48]

 

4. Apparenza di imparzialità, precostituzione del giudice per legge e criteri di assegnazione degli affari giudiziari 

Si è sottolineata poc’anzi l’intima connessione tra i diversi “requirements” elaborati dalla giurisprudenza europea, e in particolare tra il principio di imparzialità e il principio di precostituzione del giudice per legge, assunto quest’ultimo alla stregua di un riflesso del principio di legalità, fondamento del sistema di tutela europeo[49].

 Tale connessione emerge sotto diversi profili, uno dei quali attiene ai criteri prescelti per l’assegnazione degli affari giudiziari, meritevole di essere esaminato in questa prospettiva.

A tal fine, va precisato anzitutto che la Corte dei diritti adotta una nozione ampia di «law», riconducendovi non solo la disciplina normativa volta a delineare la competenza del giudice[50], ma anche ogni altra previsione interna la cui violazione sia idonea a determinare la illegittimità della partecipazione di uno o più giudici al collegio decidente[51]. Per il giudice europeo, quindi, l’espressione «established by law» non implica soltanto una base legale «for the very existence of a tribunal, but also compliance by the tribunal with the particular rules that govern it (...), and the composition of the bench in each case»[52].

Di recente anche la Corte costituzionale ha riconosciuto che, in virtù del peculiare ruolo ricoperto dal giudice nell’architettura costituzionale, non si può escludere a priori che «norme, pur non immediatamente applicabili nel processo, vadano ad incidere in maniera evidente ed attuale sulle garanzie costituzionali della funzione giurisdizionale, così condizionando l’esercizio della relativa attività»[53]. Secondo il giudice delle leggi, è necessario di volta in volta verificare se «tale incidenza – per qualità, intensità, univocità ed evidenza della sua direzione, immediatezza ed estensione dei suoi effetti – sia tale da determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere»[54]. Ed è la medesima giurisprudenza costituzionale a riconoscere espressamente la rilevanza a tali fini dei criteri di assegnazione degli affari giudiziari[55]. Secondo la Corte, infatti, l’individuazione dell’organo giudicante deve rispondere a «regole e criteri che escludano la possibilità di arbitrio anche nella specificazione dell’articolazione interna dell’ufficio cui sia rimesso il giudizio, giacché pure nell’organizzazione della giurisdizione deve essere manifesta la garanzia di imparzialità»[56].

Inevitabile, dunque, saggiare la tenuta della disciplina interna rispetto a siffatti orientamenti.

 

4.1. Il cd. sistema tabellare e la sua derogabilità 

L’istruzione della questione impone di ripercorrere, seppur sinteticamente, il quadro normativo concernente l’organizzazione degli uffici giudicanti, e in particolar modo la disciplina relativa all’assegnazione degli affari giudiziari. 

Nella materia, come è noto, opera il cd. sistema tabellare, disciplinato dagli artt. 7-bis e 7-ter del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario – o.g.), introdotti dall’art. 3, comma 1, dPR 22 settembre 1988, n. 449[57].

L’art. 7-bis o.g. riguarda, in via generale, le tabelle degli uffici giudicanti, ossia l’organizzazione dei singoli uffici e i compiti ad essi attribuiti, e prevede che la ripartizione degli uffici giudiziari[58] in sezioni, e la destinazione dei singoli magistrati ad esse, avvenga ogni triennio con decreto del Ministero di grazia e giustizia, su proposta dei presidenti delle corti d’appello, in conformità alle deliberazioni del Csm.

L’assegnazione degli affari giudiziari alle singole sezioni e ai singoli collegi o giudici, così organizzati, viene disciplinata dall’art. 7-ter o.g., che la attribuisce rispettivamente al dirigente dell’ufficio e al presidente della sezione, o al magistrato che la dirige, «secondo criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura» (cfr. art. cit., primo comma).

Assume centrale rilievo la «Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti adottata per ciascun triennio»[59].

Sulla base di detta circolare, le proposte tabellari si compongono di due parti (art. 5): (i) il «Documento Organizzativo Generale» (DOG), in cui vengono illustrate schematicamente le variazioni nelle scelte organizzative rispetto alle tabelle precedenti e in cui vengono espresse le relative ragioni (artt. 6-7); (ii) il progetto tabellare, in cui si concreta la proposta di organizzazione dell’ufficio (art. 11). L’approvazione delle tabelle avviene, in relazione a ciascun ufficio giudiziario, con la procedura prevista dall’art. 7-bis o.g. e vede una scansione temporale definita con la partecipazione e il coinvolgimento di diversi soggetti (artt. 12-24). Per quanto concerne, in particolare, la disciplina dei criteri per l’assegnazione degli affari (capo V della circolare), essa si limita a ribadire che i relativi criteri debbono essere «oggettivi e predeterminati nella proposta tabellare», senza disporre altro al riguardo (art. 158, comma 1). Si prevede inoltre che, in caso di materia assegnata a più sezioni (o, in caso di sezione unica, a più giudici), siano indicati criteri di ripartizione degli affari della materia tra le diverse sezioni e tra i diversi magistrati (art. 158, comma 2). L’articolazione dei criteri spetta al dirigente dell’ufficio e la relativa attuazione è demandata al presidente della sezione o al magistrato che la dirige (art. 157). Sono ammesse deroghe ai criteri predeterminati di assegnazione «in caso di comprovate esigenze di servizio» che dovranno essere «adeguatamente e specificamente motivate e (…) comunicate al magistrato che sarebbe stato competente sulla base dei criteri oggettivi e predeterminati» (art. 162).

Il primo aspetto problematico che merita di essere segnalato è l’estrema difficoltà nel reperire le proposte tabellari adottate dalle diverse sedi, e ciò nonostante l’obbligo di pubblicazione previsto dall’art. 30 della citata circolare del Csm.

Il secondo profilo problematico concerne l’esercizio del potere derogatorio dal quale potrebbero insorgere pregiudizi all’imparzialità, con conseguente lesione dei diritti della parte, ma anche del giudice/collegio pretermesso, allorché l’assegnazione abbia o possa avere riflessi sulla carriera. 

 

4.2. Il criterio dell’abbinamento pm-sezione: lo screening dell’objective test 

Se imparzialità e precostituzione del giudice connotano tutti i processi, e l’automatismo del sistema tabellare ne salvaguarda al contempo effettività e apparenza, non v’è chi non veda come nel processo penale siffatte esigenze assumano tratti peculiari, stante la natura e la posizione del pubblico ministero e la sua appartenenza al medesimo ordine giudiziario del collegio giudicante.

Per tale ragione suscita più di qualche preoccupazione l’adozione, rinvenuta in diversi progetti tabellari[60], del criterio del cd. abbinamento pm/collegio, il quale attribuisce un collegamento qualificato come «abbinamento» tra il pubblico ministero e il collegio giudicante, applicato eventualmente (addirittura) «su richiesta del pubblico ministero procedente». In tale ipotesi, il sistema automatico di assegnazione GIADA[61] provvederà ad assegnare direttamente il collegio abbinato al pm. La deroga, in genere, risulta asseritamente preposta a garantire che i pubblici ministeri trattino la stessa materia oggetto della (macro)area di appartenenza. 

Orbene, la indebita interferenza tra scelte organizzative della Procura e criteri di assegnazione degli affari penali alle sezioni e ai collegi giudicanti appare evidente: che il pubblico ministero in dibattimento appartenga a un pool che si occupa dei reati rientranti in una specifica (macro)area è un’esigenza di cui deve farsi carico esclusivamente la Procura stessa, cui la legge affida i relativi compiti organizzativi[62]. Il pm può sempre chiedere di seguire il processo cui ha dato impulso, esercitando l’azione penale, ma quali che siano la sezione e il collegio assegnatari. Quando poi la variabilità del criterio è rimessa esclusivamente a una scelta del pubblico ministero, il vulnus alla stessa obiettività richiesta dalla legge (e dalla circolare del Csm) appare ictu oculi, e ciò tanto più in assenza di una qualunque ragionevole giustificazione della deroga al criterio della specializzazione per materia, questo solo autenticamente oggettivo. 

Sebbene tale criterio appaia già di dubbia conformità alla legge, esso deve “testarsi” anche in base ai principi costituzionali che reggono la materia e, in particolare, tramite i test adottati dal giudice di Strasburgo. 

Come si è detto, anche la Corte costituzionale ritiene necessario verificare se l’incidenza dei criteri di assegnazione «sia tale da determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere»[63]. E che nella specie si versi proprio in un caso che impone una siffatta verifica discende dalla stessa giurisprudenza costituzionale menzionata. L’individuazione dell’organo giudicante deve rispondere, secondo la Corte, a «regole e criteri che escludano la possibilità di arbitrio anche nella specificazione dell’articolazione interna dell’ufficio cui sia rimesso il giudizio, giacché pure nell’organizzazione della giurisdizione deve essere manifesta la garanzia di imparzialità»[64].

Il criterio del cd. abbinamento, nei termini sopra descritti, appare censurabile dal punto di vista costituzionale sia sotto il profilo delle garanzie strutturali della giurisdizione, sia della tutela dei diritti fondamentali. Assecondando un’impropria interferenza del pubblico ministero nell’assegnazione degli affari penali, infatti, esso non sembra tenere nel debito conto né la distinzione funzionale fra uffici giudicanti e requirenti, che costituisce l’asse portante della vigente legislazione processuale penale, né i principi dell’equo processo. 

Se in passato, infatti, la giurisprudenza costituzionale aveva prestato una qualche acquiescenza di fronte alla “confusione” funzionale tra funzione giudicante e funzione requirente che segnava la disciplina processuale previgente[65], tuttavia, a seguito dei mutamenti normativi sopravvenuti, la giurisprudenza costituzionale si è orientata nel senso di «ritenere la separazione funzionale coessenziale alla struttura stessa del processo penale, secondo i principi di parità fra accusa e difesa e di “terzietà” del giudice rispetto all’una e all’altra»[66].

È evidente, pertanto, che la scelta da parte della Procura della sezione o del collegio giudicante cui assegnare il processo getta un’ombra sulla necessaria imparzialità-terzietà dell’ufficio giudicante, che non solo deve essere, ma deve anche apparire imparziale e terzo, secondo l’adagio inglese «justice must not only be done, it must also be seen to be done», come si è detto, di frequente utilizzato anche dalla giurisprudenza europea. 

Viene pregiudicata, infatti, quella equidistanza del giudice dalle parti del singolo processo che è costitutiva della terzietà, facendo correre il rischio al giudice di apparire come un “alleato” di una delle parti, nella specie la Procura[67], e pregiudicando al contempo l’effettività del godimento di quel diritto di accesso al giudice terzo e imparziale garantito al singolo in virtù dell’art. 24 Cost.[68].

Quanto al principio del giudice naturale, anch’esso concorre a garantire che «la competenza degli organi giudiziari [sia] sottratta ad ogni possibilità di arbitrio», escludendo, proprio al fine di assicurarne l’imparzialità, «che il giudice possa essere designato tanto dal legislatore con norme singolari che deroghino a regole generali quanto da altri soggetti con atti loro rimessi, dopo che la controversia è insorta (…). L’individuazione dell’organo giudicante deve (…) rispondere a regole e criteri che escludano la possibilità di arbitrio anche nella specificazione dell’articolazione interna dell’ufficio cui sia rimesso il giudizio, giacché pure nell’organizzazione della giurisdizione deve essere manifesta la garanzia di imparzialità»[69].

Che la individuazione della sezione o del collegio giudicanti sia fatta dipendere dal pubblico ministero procedente non può certo considerarsi conforme a un siffatto principio, stante il rischio della perdita, in astratto, di quella terzietà-imparzialità alla cui tutela ultima è preposto tale principio[70]. Neppure pare seriamente sostenibile che il ricorso a tale criterio possa essere giustificato da esigenze di efficienza e speditezza dei procedimenti, a salvaguardia del principio, anch’esso di rango costituzionale, della ragionevole durata del procedimento[71].

I criteri di assegnazione degli affari giudiziari assumono rilevanza anche nella giurisprudenza europea, tanto in riferimento alle garanzie di imparzialità e di precostituzione del giudice quanto in riferimento alla garanzia di indipendenza interna al giudiziario[72]

Orbene, alla luce degli orientamenti della Corte di Strasburgo sopra richiamati, il criterio dell’abbinamento deve sottoporsi al cd. objective test, assumendo rilievo il sistematico abbinamento tra quel pubblico ministero e quella sezione/collegio giudicante. Siamo infatti in presenza di un rapporto tra il giudice e una delle altre parti coinvolte nel processo idoneo a giustificare preoccupazioni «objectively justified» circa la imparzialità del giudice, quantomeno sulla sua apparenza di imparzialità[73].

Al medesimo scrutinio dovrebbe sottoporsi il criterio del cd. abbinamento sulla base dei principi affermati in materia dalla Corte di giustizia UE[74], la cui costante giurisprudenza ribadisce che «le garanzie di indipendenza e di imparzialità richieste ai sensi del diritto dell’Unione presuppongono l’esistenza di regole, relative in particolare alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo nei confronti di elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti»[75].

La Corte ha chiarito che dette garanzie costituiscono presidi di tutte le giurisdizioni preposte all’applicazione e all’interpretazione del diritto europeo, e dunque si applicano anche a tutte le giurisdizioni nazionali in veste di giudici europei. 

Una volta acclarato che il criterio del cd. abbinamento pm/sezione collegio suscita dubbi legittimi (oggettive preoccupazioni) in riferimento al principio di imparzialità come declinato dalle giurisprudenze costituzionale ed europee, è giocoforza rilevare l’assenza nell’ordinamento interno di uno strumento a disposizione della parte per farli valere, stante la tassatività delle ipotesi di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, cpp. 

 

5. Apparenza di imparzialità, diritti del cittadino-magistrato e soggezione del giudice al diritto. Nuovi paradigmi per l’etica giudiziaria

Tornando brevemente al contesto in cui si sono svolte le riflessioni sulla imparzialità del giudice, non ci si può esimere, infine, dall’indugiare brevemente sulle ricadute che il difetto di imparzialità (anche soltanto apparente) del giudice ha in termini di fiducia nella magistratura, diretta conseguenza della peculiarità di un potere diffuso[76]

Si tratta, in altre parole, di chiedersi se le profonde trasformazioni del ruolo del giudiziario nel sistema costituzionale europeo (integrato) non concorrano a propiziare un profondo ripensamento dell’etica professionale dei magistrati[77].

Per le ragioni che si sono già segnalate in precedenza[78], particolarmente suggestivo e illuminante al riguardo pare il modello inglese[79], confezionato su misura per un giudice di common law. Ma ora anche un giudice di civil law che non è più soggetto «soltanto alla legge», come recita il secondo comma dell’art. 101 Cost., ma che soggiace al «diritto» in un sistema costituzionale multilivello integrato[80], sembra aver conquistato spazi di discrezionalità enormi, che ne hanno ridefinito il ruolo e i rapporti con gli altri poteri, e specialmente con il legislativo. 

Una siffatta trasformazione non può non richiedere un mutamento di prospettiva anche nell’apprezzamento dei comportamenti del cittadino-magistrato.

Come spiega Lord Bingham: «[a] judge must free himself of prejudice and partiality and so conduct himself, in court and out of it, as to give no ground for doubting his ability and willingness to decide cases before him solely on their legal and factual merits as they appear to him in the exercise of an objective, independent and impartial judgment»[81]

La libertà di espressione (nella società dei media) e la libertà di associazione (nella società frammentata) del cittadino-magistrato rappresentano senza dubbio i terreni più fecondi dai quali muovere per immaginare paradigmi nuovi dell’etica giudiziaria, nella consapevolezza che agire il cambiamento dall’interno è l’unica via per non subirlo dall’esterno.

 La “buona salute” del giudiziario è sintomo e condizione di tenuta dell’intera architettura costituzionale europea (integrata), essa perciò va difesa strenuamente tanto da roboanti tentativi di mutilazione provenienti dall’esterno, quanto da non meno perniciose infezioni interne. 

 

 

1. Vds. V. Onida, L’attuazione della Costituzione tra Magistratura e Corte costituzionale, in Aa.Vv., Scritti in onore di Costantino Mortati, Giuffrè, Milano, 1977, pp. 502-595; da ultimo, vds. F. Saitta, Interprete senza spartito?, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023, part. pp. 13-37; E. Scoditti, Magistrato e cittadino: l’imparzialità dell’interprete in discussione, in Questione giustizia online, 23 novembre 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/magistrato-e-cittadino-l-imparzialita-dell-interprete-in-discussione), e N. Rossi, Il caso Apostolico: essere e apparire imparziali nell’epoca dell’emergenza migratoria, ivi, 10 ottobre 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-caso-apostolico-essere-e-apparire-imparziali-nell-epoca-dell-emergenza-migratoria), ora entrambi in questo fascicolo.

2. Vds. Corte cost., ord. n. 207/2018 e sent. n. 242/2019. 

3. Da ultimo, vds. Cass. civ., sez. unite, 30 dicembre 2022, n. 38162.

4. Stimolanti, sotto il profilo metodologico, le riflessioni di M. Luciani, Ogni cosa al suo posto. Restaurare l’ordine costituzionale dei poteri, Giuffrè, Milano, 2023, part. pp. 147-179, benché non si misurino con le problematiche poste dalla dimensione sovranazionale del diritto costituzionale. 

5. Il riconoscimento della natura costituzionale non è riferito all’ordinamento europeo, bensì alla integrazione verticale e orizzontale tra i diversi livelli. 

6. Vds. A. von Bogdandy, Strukturwandel des öffentlichen Rechts. Entstehung und Demokratisierung der europäischen Gesellschaft, Suhrkamp, Berlino, 2022.

7. Secondo cui «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze».

8. «Toute société dans laquelle la garantie des droits n’est pas assurée, ni la séparation des pouvoirs déterminée, n’a point de Constitution».

9. R. Bustos Gisbert, Judicial Independence in European Constitutional Law, in European Constitutional Law Review, vol. 18, n. 4/2022, pp. 591-620.

10. Che impone agli Stati membri di stabilire «i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione».

11. Così Cgue, 24 giugno 2019, C-619/18, Commissione c. Polonia, § 49. La Corte ricorda che si tratta di «un principio generale di diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta». Vds., analogamente, sentenza 27 febbraio 2018, C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses c. Tribunal de Contas, § 35.

12. Vds. ancora Cgue, 24 giugno 2019, C-619/18, Commissione c. Polonia, part. §§ 44 e 47. Nello stesso senso: 5 novembre 2019, C-192/18, Commissione c. Polonia; 19 novembre 2019, C-585/18, A.K. c. Krajowa Rada Sądownictwa [GS]; 25 luglio 2018, C-216/18, Minister for Justice and Equality, § 50; 6 marzo 2018, C-284/16, Achmea, § 35; 27 febbraio 2018, C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, cit., § 32.

13. La differente prospettiva di osservazione è stata oggetto di un recente progetto di ricerca (L’organizzazione della Magistratura: uno sguardo all’interno e dall’interno) i cui risultati confluiranno nel volume Accademia e Magistratura tra elaborazione scientifica ed esercizio della giurisdizione, in corso di pubblicazione.

14. Vds. S. Shetreet e S. Turenne, Judges on Trial. The Independence and Accountability of the English judiciary, Cambridge University Press, Cambridge, 2013. 

15. In Rex v. Sussex Justices. Ex parte McCarthy [1924] 1 K.B. 256, part. 259.

16. Corte Edu, De Haes and Gijsels c. Belgio, n. 19983/92, sentenza 24 febbraio 1997, ove si legge: «[t]he courts – the guarantors of justice, whose role is fundamental in a State based on the rule of law – must enjoy public confidence. They must accordingly be protected from destructive attacks that are unfounded, especially in view of the fact that judges are subject to a duty of discretion that precludes them from replying to criticism» (§ 37).

17. Corte Edu, Delcourt c. Belgio, n. 2689/65, sentenza del 17 gennaio 1970: «[i]n a democratic society within the meaning of the Convention, the right to a fair administration of justice holds such a prominent place» (§ 25).

18. Corte Edu, Stafford c. Regno Unito [GC], n. 46295/99, 28 maggio 2002, § 78.

19. Corte Edu, Kleyn e altri c. Paesi Bassi [GC], nn. 39343/98, 39651/98, 43147/98 e 46664/99, 6 maggio 2003, § 193.

20. Corte Edu, Grzęda c. Polonia [GC], n. 43572/18, 15 marzo 2022, §§ 348-349.

21. Così al n. 5 del considerato in diritto.

22. Vds. il quaderno che raccoglie gli orientamenti sull’indipendenza del sistema giudiziario (nelle due lingue ufficiali) sul sito della Corte (versione in lingua inglese: www.echr.coe.int/documents/d/echr/FS_Independence_justice_ENG).

23. Vds. le relative guide (ambito civile e ambito penale) pubblicate nelle due lingue ufficiali sul sito della Corte (https://ks.echr.coe.int/documents/d/echr-ks/guide_art_6_civil_eng e https://ks.echr.coe.int/fr/web/echr-ks/article-6-criminal). 

24. Corte Edu, Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, 15 ottobre 2009, § 97.

25. Corte Edu, Beaumartin c. Francia, n. 15287/89, 24 novembre 1994, § 38.

26. Vds. J. Sillen, The concept of ‘internal judicial independence’ in the case law of the European Court of Human Rights, in European Constitutional Law Review, vol. 15, n. 1/2019, pp. 104-133.

27. Corte Edu, Sramek c. Austria, n. 8790/79, 22 ottobre 1984, § 42.

28. Corte Edu, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC], n. 26374/18, 1° dicembre 2020, § 232.

29. Per una sintesi di tali principi, vds. Corte Edu, Grzęda c. Polonia [GC], cit., §§ 298 e 300-309.

30. Vds. Corte Edu: Grzęda c. Polonia [GC], cit., §§ 303-307; Bilgen c. Turchia, n. 1571/07, 9 marzo 2021, § 58, o, in relazione a un’audizione in un procedimento disciplinare, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13, 57728/13 e 74041/13, 6 novembre 2018, § 196.

31. Corte Edu: Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], cit., §§ 153-156; Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC], cit., § 215; Catană c. Repubblica di Moldova, n. 43237/13, 21 febbraio 2023, § 75.

32. Corte Edu: Parlov-Tkalčić c. Croazia, n. 24810/06, 22 dicembre 2009, §§ 78-97; Miracle Europe Kft c. Ungheria, n. 57774/13, 12 gennaio 2016, § 67; Lorenzetti c. Italia, n. 24876/07, 7 luglio 2015; Agrokompleks c. Ucraina, n. 23465/03, 6 ottobre 2011, § 69.

33. Corte Edu: Oleksandr Volkov c. Ucraina, n. 21722/11, 9 gennaio 2013, § 103; Grace Gatt c. Malta, n. 46466/16, 8 ottobre 2019, § 85.

34. Corte Edu: Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], cit., §§ 150 e 152 (si vedano anche, per quanto riguarda la loro stretta interrelazione, §§ 153-156); Sacilor Lormines c. Francia, n. 65411/01, 9 novembre 2006, § 62.

35. Corte Edu, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC], cit., §§ 231 ss.

36. Corte Edu: Micallef c. Malta [GC], cit., §§ 93-101; Wettstein c. Svizzera, n. 33958/96, 21 dicembre 2000, § 43; Nicholas c. Cipro, n. 63246/10, 9 gennaio 2018, § 49; Morice c. Francia [GC], n. 29369/10, 23 aprile 2015, §§ 73-78; Denisov c. Ucraina [GC], n. 76639/11, 25 settembre 2018, §§ 61-65.

37. Vds. Corte Edu: Kyprianou c. Cipro, n. 73797/01, 15 dicembre 2005, §§ 118-121; Piersack c. Belgio, n. 8692/79, 1° ottobre 1982, § 30; Grieves c. Regno Unito [GC], n. 57067/00, 16 dicembre 2003, § 69; Morice c. Francia [GC], cit., § 73.

38. Corte Edu, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], cit., § 145.

39. Corte Edu, Micallef c. Malta [GC], cit., §§ 95 e 101.

40. Corte Edu, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], cit., § 146.

41. Corte Edu: Ferrantelli e Santangelo c. Italia, n. 19874/92, 7 agosto del 1996, § 58; Padovani c. Italia, n. 13396/87, 26 febbraio 1993, § 27; Pullar c. Regno Unito, n. 22399/93, 10 giugno 1996, § 38.

42. Corte Edu, Incal c. Turchia, n. 22678/93, 9 giugno 1998, § 71.

43. Corte Edu, Clarke c. Regno Unito (dec.), n. 23695/02, 25 agosto 2005, § 1.

44. Così Corte cost., n. 134/2002, n. 4.2. del considerato in diritto e, nello stesso senso, già in precedenza, n. 131/1996.

45. Così Corte cost., n. 155/1996, n. 3.1. del considerato in diritto e, nello stesso senso, nn. 75 e 168/2002, n. 177/2010.

46. Corte cost., n. 502/1991, n. 4.1. del considerato in diritto e, nello stesso senso, n. 131/1996, part. n. 3.2. del considerato in diritto.

47. Vds. Cass. pen., sez. unite, 27 gennaio 2011, n. 23122.

48. Vds. ancora Cgue, 27 febbraio 2018, C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, cit., § 44, e giurisprudenza ivi citata.

49. Corte Edu: Jorgic c. Germania, n. 74613/01, 12 luglio 2007, § 64; Richert c. Polonia, n. 54809/07, 25 ottobre 2011, § 41. 

50. Corte Edu: Lavents c. Lettonia, n. 58442/00, 28 novembre 2002, § 114; Richert c. Polonia, cit., § 41; Jorgic c. Germania, cit., § 64.

51. Corte Edu: Pandjikidze e altri c. Georgia, n. 30323/02, 27 ottobre 2009, § 104; Gorgiladze c. Georgia, n. 4313/04, 20 ottobre 2009, § 68.

52. Corte Edu: Posokhov c. Russia, n. 63486/00, 4 marzo 2003, § 39; Fatullayev c. Azerbaijan, n. 40984/07, 22 aprile 2010, § 144; Kontalexis c. Grecia, n. 59000/08, 31 maggio 2011, § 42.

53. Così Corte cost., n. 164/2017, n. 3.6. del considerato in diritto.

54. Ibid.

55. Corte cost., n. 419/1998, n. 5 del considerato in diritto.

56. Ibid. Che tali criteri incidano anche sulle garanzie del singolo si evince altresì dalla giurisprudenza costituzionale sulla portata del principio di precostituzione del giudice ex art. 25, primo comma, Cost., la cui collocazione topografica, nella parte della Costituzione dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, restituisce appieno la prospettiva di tutela individuale della garanzia: vds. Corte cost., n. 272/1998, n. 4.1. del considerato in diritto, proprio in tema di criteri per l’assegnazione degli affari giudiziari.

57. Si ricordi che la delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui alla legge 17 giugno 2022, n. 71 contiene alcune disposizioni che riguardano le tabelle di organizzazione degli uffici, previste dagli artt. 7-bis e 7-ter rd 30 gennaio 1941, n. 12 e che lo scorso 27 novembre 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato il relativo schema di decreto legislativo (www.astrid-online.it/static/upload/ag-1/ag-110_429787.pdf). 

58. Si tratta degli uffici giudiziari indicati all’art. 1 o.g., vale a dire il giudice di pace, il tribunale ordinario, la corte d’appello, la Corte di cassazione, il tribunale per i minorenni, il magistrato di sorveglianza e il tribunale di sorveglianza.

59. Al momento, risulta pubblicata soltanto quella relativa al periodo 2020-2022 (adottata con delibera in data 23 luglio 2020 e successive modifiche, in data 8 aprile 2021, 13 ottobre 2021 e 7 dicembre 2021) e disponibile sul sito del Csm (www.csm.it/web/csm-internet/-/circolare-sulla-formazione-delle-tabelle-degli-uffici-giudicanti-2020-2022).

60. Si tratta, ad esempio, di quelli dei Tribunali di Roma, Torino e Lecco. Riferimenti più ampi e puntuali in R. Rudoni, Giudice naturale e criteri di assegnazione degli affari giudiziari: profili costituzionali, in corso di pubblicazione.

61. L’acronimo sta per «Gestione Informatica Automatizzata Assegnazioni Dibattimento» ed è riferito al programma ministeriale di distribuzione automatica dei processi dinanzi al giudice collegiale, sistema che viene configurato da ciascun tribunale. Esso consente di conformarsi alle prescrizioni normative richiamate, secondo cui la distribuzione dei processi avviene in base a criteri oggettivi e predeterminati. Tale sistema, infatti, individua il giudice/collegio cui assegnare il processo, tenendo conto della materia e del carico di ciascun giudice/collegio, assegnandolo a chi ha un indice di assegnazione più basso. 

62. Cfr. art. 1, comma 6, d.lgs 20 febbraio 2006, n. 106.

63. Vds. sent. n. 419/1998, n. 5 del considerato in diritto.

64. Ibid. Che tali criteri incidano anche sulle garanzie del singolo si evince, in particolare, dalla giurisprudenza costituzionale sulla portata del principio di precostituzione del giudice ex art. 25, primo comma, Cost., la cui collocazione topografica, nella parte della Costituzione dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, restituisce appieno la prospettiva individuale della garanzia: cfr. Corte cost., n. 272/1998, n. 4.1. del considerato in diritto, proprio in tema di criteri per l’assegnazione degli affari giudiziari.

65. Vds. Corte cost., nn. 61/1967, 123/1970 e 101/1973. Essa era giunta sino a ritenere infondata una questione di costituzionalità sollevata, in riferimento all’art. 25, comma 1, Cost., su una norma del previgente codice di rito che consentiva al pubblico ministero, nei giudizi direttissimi, di determinare la sezione e l’udienza nella quale presentare o far comparire l’imputato per il giudizio dibattimentale (cfr. sent. n. 146/1969), non mancando tuttavia di indirizzare al legislatore un monito volto a superare tale disciplina speciale del giudizio direttissimo, adottando «il normale meccanismo predisposto dalla legge per gli altri processi, pur con i necessari adeguamenti alla rapidità che è propria di detto giudizio» (così n. 164/1983, n. 6 del considerato in diritto).

66. Corte cost., n. 134/2002, n. 4.2. del considerato in diritto.

67. Vds., mutatis mutandis, Corte cost., n. 73/2010, n. 3 del considerato in diritto.

68. Cfr. Corte cost., nn. 77/2007, 281/2010, 119/2013, 182/2014 e 238/2014. 

69. Ancora Corte cost., n. 419/1998, cit., n. 2 del considerato in diritto.

70. In questo senso, in dottrina, vds. per tutti F. Dal Canto, Lezioni di ordinamento giudiziario, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 84-87, part. p. 86.

71. In tal senso, invece, vds. Trib. Roma, ord. 24 settembre 2020, in cui si afferma che la regola tabellare sul cd. “abbinamento” risponderebbe ai principi di buon andamento dell’amministrazione giudiziaria e di ragionevole durata del processo, «principi costituzionali di pari rango (artt. 97 e 111 Cost.)» rispetto a quelli di imparzialità e precostituzione del giudice fatti valere dal ricorrente. 

72. Cfr., ad esempio, Corte Edu: Parlov-Tkalčić c. Croazia, cit., §§ 78-97; Daktaras c. Lituania, n. 42095/98, 10 ottobre 2000, §§ 30-38. Vds. Ancora J. Sillen, The concept of ‘internal judicial independence’, op. cit.

73. Cfr., ex plurimis, Corte Edu: Morice c. Francia, cit., § 78; De Cubber c. Belgio, n. 9186/80, 26 ottobre 1984, § 26.

74. Come da ultimo ribadita nelle sentenze del 24 giugno 2019, C-619/18, Commissione c. Polonia, e del 5 novembre 2019, C-192/18, Commissione c. Polonia, e in particolare in quella del 19 novembre 2019, C-585/18, A.K. c. Krajowa Rada Sądownictwa, resa dalla Grande Sezione.

75. Così da ultimo ancora Cgue [GS], 20 aprile 2021, C-896/19, Repubblika c. Il-Prim Ministru, § 53, e giurisprudenza ivi richiamata.

76. Secondo la storica giurisprudenza costituzionale che, ai fini della legittimazione passiva e attiva a ricorrere per conflitto di attribuzione tra poteri, ha riconosciuto in capo a ciascun giudice (e anche al pubblico ministero: da ultimo, Corte cost., n. 170/2023) il potere di dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene (Corte cost., ordd. nn. 228 e 229/1975).

77. Sulla necessità di un rinnovamento dell’etica giudiziaria in un’ottica interna, sollecitata dalle gravi vicende che hanno interessato di recente la magistratura italiana, vds. N. Rossi, L’etica professionale dei magistrati: non un’immobile Arcadia, ma un permanente campo di battaglia, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2019, pp. 44-57 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/649/qg_2019-3_05.pdf).

78. Vds. supra, par. 2.

79. Sul quale vds. S. Shetreet e S. Turenne, Judges on Trial, op. cit., part. pp. 179-271.

80. Vds. supra, par. 1.

81. T. Bingham, The Judge as Lawmaker, in P. Devlin, The Judge, Oxford University Press, Oxford, 1981, p. 3.