Magistratura democratica

L’imparzialità del pubblico ministero

di Edmondo Bruti Liberati

In qualunque sistema è pacifico che il pm sia parte. In Italia, si usa dire che è “parte imparziale” – un ossimoro, sì. Ma il tema dell’imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del pm, sotto il profilo della collocazione istituzionale, della professionalità e della deontologia. Negli ultimi decenni vi è stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi che pongono il principio dell’imparzialità del pm. Egli può essere definito “avvocato dell’accusa” solo a patto che si precisi “avvocato della pubblica accusa” e, dunque, con ruolo e doveri radicalmente distinti dall’“avvocato della difesa”. Il pm ha un duplice volto: costruisce e sostiene l’accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall’avvocato difensore.

1. Parte imparziale / 2. Parità delle armi. Processo e verità

 

1. Parte imparziale

In Italia si usa dire che il pm è “parte imparziale”. Un ossimoro, sì, oggetto di polemiche, talora di sbrigativi atteggiamenti liquidatori. Se a “parte imparziale” si aggiunge il qualificativo di “pubblica”, allora non è più un ossimoro: l’imparzialità è, per la parte pubblica del processo, imperativo che risulta dalle esigenze di posizione istituzionale, di professionalità e deontologia. Un dovere di imparzialità che per il magistrato del pm, per la sua posizione ordinamentale e processuale, si pone su un piano del tutto diverso rispetto al concetto di imparzialità menzionato nell’art. 97 della Costituzione come principio di organizzazione dei pubblici uffici.

In un lavoro di due noti avvocati torinesi, il concetto di ossimoro è rivisitato proprio con riferimento al ruolo del difensore:

«La sua è una “lealtà divisa” vissuta quotidianamente, rispettando tanto lo Stato quanto chi è accusato di averne violato le regole. Può sembrare un ossimoro che vuol nascondere ambiguità, ma praticare con rigore e dedizione la “lealtà divisa” significa manifestare l’identità forte della professione di avvocato. Questi non può avere perplessità: il suo posto è accanto al cittadino coinvolto nelle strettoie della giustizia, la sua fatica consiste nello studiare e praticare le scelte a questo più favorevoli. Il codice deontologico forense italiano lo guida in questi impegni. L’art. 7 gli impone la fedeltà al cliente: “È dovere dell’avvocato svolgere con fedeltà la propria attività professionale. Costituisce infrazione disciplinare il comportamento dell’avvocato che compia consapevolmente atti contrari all’interesse del proprio assistito”. […] Quindi nessun imbarazzo: partigiano, zelante per impegno, dedito all’incarico ricevuto, indifferente agli esiti processuali se non per quanto riguarda gli interessi del suo assistito»[1].

Questa “lealtà divisa” segna l’avvocato difensore. Pensare di eludere un tema così delicato sarebbe vano e aprirebbe la strada a uno stravolgimento del ruolo della difesa.

Quando si abbandona l’idea che proprio sostenendo unilateralmente le ragioni del suo assistito il difensore serve la verità, è fatale che si acuiscano le tensioni interne al ruolo del patrocinatore, proiettato verso i divaricati obiettivi della “fedeltà” al proprio difeso e della “lealtà” verso il giudice e verso la superiore istanza di verità»[2].

Il bel saggio dei due avvocati torinesi citati è intitolato «L’avvocato necessario». In un ordinamento penale democratico l’avvocato è necessario a rappresentare l’istanza di “libertà” contro la pretesa di “autorità” delle istanze che esprimono il legittimo monopolio della forza da parte dello Stato, su cui si regge la civile convivenza.

Nel processo l’avvocato non è solo necessario, ma indispensabile. Con Stuart Mill dobbiamo condividere il principio che anche per il pm è indispensabile confrontarsi con gli argomenti contrari esposti da «persone che ne sono realmente convinte, che li difendono accanitamente e al massimo delle loro possibilità». Per il pm è “indispensabile” il confronto con un avvocato difensore agguerrito, che sia capace di convincerlo dell’infondatezza della tesi di accusa, inducendolo a richiedere l’archiviazione dell’indagine o l’assoluzione all’esito del dibattimento; ma capace anche di stimolarlo ad argomentare la sua tesi nel modo più convincente davanti al giudice, quando il pm rimanga fermo nella sua impostazione di accusa.

Avvocato della difesa, pubblico ministero, giudice.

Pm, “avvocato dell’accusa” si dice, a sottolineare il ruolo diverso di questo magistrato rispetto al giudice. La ulteriore forzatura polemica “avvocato della polizia” è incompatibile con il nostro sistema processuale e con i principi costituzionali. L’espressione è stata usata, tra i primi, da Giovanni Falcone.

Con il nuovo codice di procedura penale, il pubblico ministero può essere soltanto “parte” ed è quindi connaturale al suo ruolo il coordinamento delle indagini e la raccolta degli elementi a sostegno dell’accusa con la collaborazione della polizia giudiziaria. Egli deve, quindi, adattarsi al suo nuovo ruolo di “non giudice” e trasformarsi in una sorta di avvocato della polizia. Sarà difficile, ma bisognerà arrivarci[3].

Questa posizione, avanzata quasi come provocazione intellettuale, si inserisce in momento nel quale Falcone propugna un assetto radicalmente diverso del pubblico ministero, incentrato sul ruolo della Direzione nazionale antimafia. Esprimere oggi dissenso nei confronti di questa proposta di Falcone significa che l’omaggio alla memoria di un grande magistrato è autentico e non di maniera, proprio quando non occulta legittime diversità di visioni. Il contrasto, d’altronde, fu allora netto sul progetto originario di Super-procura. Un documento critico venne diffuso il 29 ottobre da 63 magistrati esperti di criminalità organizzata, tra i quali Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, Giancarlo Caselli, Gerardo D’Ambrosio, Giuliano Turone. In esso si esprime «la convinzione, dettata non da diffidenza o ostilità preconcetta, ma dalla esperienza di anni di indagini, che lo strumento proposto sia inadeguato, pericoloso e controproducente»[4]

Il pm può essere definito “avvocato dell’accusa” solo a patto che si precisi: “avvocato della pubblica accusa” e, dunque, con ruolo e doveri radicalmente distinti dall’“avvocato della difesa”. Il pm ha un duplice volto: costruisce e sostiene l’accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall’avvocato difensore.

L’imparzialità del pm si declina in modi molto diversi a seconda delle fasi dell’indagine e del processo. Il pm deve essere “più imparziale” quando nella fase delle indagini preliminari è “solo”, senza il confronto con la difesa. Di qui la regola posta dall’art. 358 cpp: «Il pubblico ministero (…) svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Passo dopo passo, un pm professionalmente attrezzato deve sottoporre ad analisi critica la propria ipotesi di accusa. Al processo, nel dibattimento dinanzi al giudice, sarà accentuato il ruolo di parte per poi ritornare all’equilibrio della “parte imparziale” al momento della requisitoria finale, ove il pm si confronterà con il risultato del contraddittorio. E il pm “vincerà la causa” anche quando fosse egli stesso a chiedere e ottenere l’assoluzione.

Che il pm sia parte è pacifico in qualunque sistema, accusatorio, inquisitorio o misto. Ma nessuno in Europa e nel mondo assumerebbe un atteggiamento liquidatorio di fronte al concetto di imparzialità riferito alla “parte” della pubblica accusa. Chi volesse, anche solo per un attimo, allargare lo sguardo oltre i nostri confini nazionali coglierebbe che l’imparzialità è declinata come carattere essenziale della pubblica accusa anche in molti ordinamenti in cui questa funzione è attribuita a figure che non sono magistrati e che non godono neppure di piena garanzia di indipendenza rispetto al potere politico.

Il tema dell’imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del pm, sotto il profilo della collocazione istituzionale, della professionalità e della deontologia. Non è un caso che negli ultimi decenni vi sia stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi che pongono il principio dell’imparzialità del pm (declinata talora con il termine “obbiettività” in lingua inglese)[5].

L’imparzialità come uno dei principi cui i prosecutors devono ispirare la loro azione era stata citata nella premessa delle «Guidelines on the Role of Prosecutors» approvate dall’ VIII Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e la giustizia penale (L’Avana, 27 agosto-7 settembre 1990); il tema è ulteriormente ripreso al punto 13: «Nell’esercizio dei loro doveri, i pubblici ministeri devono svolgere le loro funzioni in modo imparziale» e al punto 14: «I pubblici ministeri non devono iniziare o portare avanti l’azione penale, né compiere ogni sforzo per procedere, quando un’indagine imparziale dimostra che l’accusa è infondata».

Un espresso riferimento alla “imparzialità” del pm si trova nell’art. 124, comma 2 della Costituzione democratica spagnola del 1978: «Il Pubblico Ministero esercita le proprie funzioni tramite organi propri conformemente ai principi di unità di azione e di dipendenza gerarchica e con rispetto, in ogni caso, di quelli di legalità e imparzialità».

A livello di regole di procedura, il principio dell’imparzialità del pm si concretizza nel dovere di indagare, secondo l’espressione francese, “à charge et à decharge” (“a carico e a discarico”), concetto ripreso, come si è detto, nel nostro codice di procedura penale. Con legge del 25 luglio 2013, alla prima frase dell’art. 31 del codice di procedura penale francese («Le ministère public exerce l’action publique et requiert l’application de la loi», «Il pubblico ministero esercita l’azione pubblica e richiede l’applicazione della legge») è stato aggiunto: «dans le respect du principe d’impartialité auquel il est tenu», «nel rispetto del principio di imparzialità a cui è tenuto»[6].

Anche se un legame più o meno diretto con l’esecutivo è previsto nella maggioranza degli ordinamenti democratici, è significativo che tutte le figure di pubblico ministero previste nei tribunali internazionali siano dotate di indipendenza. Si veda l’art. 42 della Convenzione di Roma, del 17 luglio 1998, sul Tribunale penale internazionale: «Il Pubblico Ministero non sollecita né accetta istruzioni da alcuna fonte esterna». In ordine ai doveri del pubblico ministero, l’art. 54.1 detta: «Il Prosecutor, al fine di stabilire la verità, deve estendere l’investigazione su tutti i fatti e le prove rilevanti per accertare se sussiste una penale responsabilità ai termini di questo Statuto e, pertanto, deve accertare parimenti le circostanze a favore e contro l’accusa». Una ripresa quasi testuale del nostro art. 358 cpp sopra citato.

La raccomandazione (2000)19 del Consiglio d’Europa sul ruolo del pm nel sistema della giustizia penale prevede (punto 24.a) che «nell’esercizio delle loro funzioni i pubblici ministeri devono agire in modo equo, imparziale e obbiettivo»; rispettivamente: «agir de façon équitable, impartiale et objective» e «carry out their functions fairly, impartially and objectively» nelle due versioni ufficiali, francese e inglese.

Nella “Dichiarazione di Bordeaux” su «Giudici e Procuratori in una società democratica», del 2009, il dovere di imparzialità è riferito al pubblico ministero al punto 6: «I Procuratori debbono essere indipendenti ed autonomi nelle loro decisioni e devono esercitare le loro funzioni in modo equo, obbiettivo ed imparziale». Sul concetto ritorna la nota esplicativa al punto 27: «L’indipendenza del pubblico ministero non è una prerogativa o un privilegio accordato nell’interesse dei suoi membri, ma una garanzia per una giustizia equa imparziale ed efficace e protegge gli interessi pubblici e privati delle persone»; e, ancora, al punto 33: «La complementarità delle funzioni di Giudice e Procuratore implica che ciascuno sia cosciente che una giustizia imparziale esige l’eguaglianza delle armi tra pubblico ministero e difesa e che il pubblico ministero deve sempre agire nella sua azione con onestà oggettività e imparzialità».

Il dovere di imparzialità del pubblico ministero è citato nel parere n. 9/2014 del Consiglio consultivo dei procuratori europei (CCPE) su «Norme e principi europei concernenti il pubblico ministero», detto “Carta di Roma”, all’art. VI: «I Procuratori debbono attenersi al più alto standard etico e professionale, comportandosi sempre con imparzialità ed obiettività».

Il regolamento istitutivo della Procura europea (EPPO) richiama il principio di imparzialità all’art. 5.4: «L’EPPO svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico»[7].

Se volessimo allargare lo sguardo agli antipodi, un esplicito riferimento all’imparzialità del pubblico ministero lo troveremmo in Australia, nelle regole deontologiche adottate da «New South Wales Bar Association Rules»[8], che con riferimento al prosecutor dettano:

«Regola 62. Il prosecutor deve cooperare con la corte per arrivare alla verità, deve operare imparzialmente affinché ogni prova rilevante sia messa chiaramente a disposizione della corte, deve cooperare con la corte nel sottoporre le norme applicabili al caso.

(…)

Regola 66. Il prosecutor deve mettere a disposizione della controparte non appena possibile tutto il materiale a sua disposizione o che comunque appare rilevante per la colpevolezza o l’innocenza dell’accusato; la mancanza di tale completa messa a disposizione danneggia gravemente l’amministrazione della giustizia nel caso specifico e, in generale, la sicurezza di ognuno»[9].

Una lunga, forse pedante serie di citazioni, per indicare come alcune nostrane posizioni liquidatorie del principio di imparzialità del pm – che si è giunti a definire «quintessenza del fariseismo giuridico»[10] – ignorino del tutto il panorama europeo e internazionale.

 

2. Parità delle armi. Processo e verità

L’obiettivo del processo penale è quello di “stabilire la verità”. A far giustizia di sbrigative posizioni che taluno ha voluto trarre dai principi del processo accusatorio, giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca, presidente di una Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese):

«Il processo penale non è un gioco. È la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato»[11].

Il tema dell’accertamento dei fatti, la ricerca della verità processuale ci rimanda al principio del contraddittorio. Paolo Ferrua, in uno scritto pubblicato subito dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, dopo aver ricordato il significato della verità giudiziale, critica le semplificazioni:

«Si è insistito troppo sul contraddittorio come diritto di difesa, come garanzia individuale; e non si è, con pari forza, evidenziata la sua dimensione pubblicistica di mezzo per l’accertamento della verità, per la corretta ricostruzione dei fatti. Si è così diffusa una dannosa tendenza a concepire il processo accusatorio come pura soluzione di conflitti tra le parti, dominato da una esasperata disponibilità della prova, da una logica di laissez faire, pronta a sacrificare le esigenze di giustizia sostanziale»[12].

Con la riscrittura, nel 1999, dell’art. 111 Costituzione si è costituzionalizzato il metodo del contraddittorio, che «costituisce uno strumento, ancor oggi il meno imperfetto, per la ricerca della verità, o, meglio, per ridurre il più possibile lo scarto tra la verità giudiziale e la verità storica»[13].

La posizione della parte pubblica è radicalmente diversa da quella della parte privata. Per il difensore, ferme le regole procedurali, unico obiettivo e insieme rigoroso obbligo deontologico è la difesa del cliente; per il pm, a livello di regola processuale e di obbligo deontologico, unico obiettivo è la ricerca della verità, anche se contrasti con la sua iniziale tesi accusatoria e si traduca in acquisizioni a favore dell’imputato. Infatti:

«A differenza del processo civile, in cui i contendenti disputano per l’affermazione dei propri interessi, nel processo penale abbiamo un soggetto privato che difende la sua libertà e la sua reputazione ed un soggetto pubblico che non ha interesse in senso proprio a limitare la prima e a macchiare la seconda, ma che deve accertare con obbiettività l’esistenza di un fatto penalmente rilevante ed individuarne il responsabile»[14].

Ma non si può ignorare che l’obbiettività dell’organo del pm è sempre in tensione con il suo ruolo di accusatore: 

«L’organo inquirente formula un’ipotesi per cercare la verità, ma sovente finisce per cercare la verità della sua ipotesi. Ha un’attenzione selettiva, una visione monoculare, parziale, della realtà. In questi ineludibili termini il pubblico ministero è parte. Il legislatore ordinario è chiamato quindi ad un compito molto difficile: non deve puntare ad una impossibile uguaglianza delle parti, attesa la congenita asimmetria strutturale del sistema penale, ma deve costruire un sistema in cui l’accusa e la difesa abbiano equivalenti opportunità di influire sul convincimento giudiziale e quindi sull’esito finale del processo»[15].

Nel processo di fronte al giudice nel dibattimento, accusa e difesa concorrono nel confronto contraddittorio alla raccolta delle prove. Il riferimento al metodo del contraddittorio come mezzo per la ricerca della verità fonda la peculiare “imparzialità” della parte pubblica pm.

«Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità» (art. 111, comma 2, Costituzione). Con questo passaggio, a seguito delle modifiche introdotte nel 1999, è stato “costituzionalizzato” il principio del contraddittorio, facendo riferimento inoltre al principio della cd. “parità delle armi” tra accusa e difesa.

La dizione è utilizzata nella raccomandazione (2000)19 del Comitato dei ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa, sul «Ruolo del pubblico ministero nell’ordinamento penale», al punto 29:

«Il Pubblico ministero vigila sul rispetto del principio dell’uguaglianza delle armi, in particolare trasmettendo alle altre parti – salvo eccezioni previste dalla legge – le informazioni in suo possesso eventualmente suscettibili di incidere su un equo svolgimento del processo».

Ma bisogna andare cauti nel trarre dal nuovo testo costituzionale conseguenze ulteriori rispetto al principio, questo sì fondamentale, dell’assunzione delle prove in contraddittorio in condizioni di parità tra le parti, accusa e difesa. Con il nuovo art. 111 Costituzione viene giustamente valorizzato il ruolo dell’avvocato della difesa. Ma il principio di parità non opera a tutto campo: il pm, nella richiesta al giudice dell’indagine preliminare di emettere una misura cautelare, è tenuto a presentare «gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate» (art. 291 cpp). Ovviamente al difensore è precluso rendere noti elementi a carico dell’imputato: se, «rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa», incorre nel reato di infedele patrocinio previsto dall’art. 380 cp, con pena della reclusione da uno a tre anni. 

Sulla cautela nell’utilizzo del concetto di “parità delle armi” è difficile dire meglio di Paolo Ferrua, uno studioso particolarmente attento al principio del contraddittorio e alle garanzie della difesa:

«Accusa e difesa non sono in posizione simmetrica. (…) La difesa può adoperarsi con ogni mezzo legale per ottenere il proscioglimento dell’imputato, sia o no colpevole, o, comunque, per ottenere la pena più ridotta possibile; e non le è vietato l’uso strumentale delle garanzie per prolungare il corso del processo sino alla prescrizione del reato. Al contrario il pubblico ministero come rappresentante della collettività offesa dal reato persegue la condanna dell’imputato solo in quanto colpevole e a quel criterio devono informare tutte le sue scelte. (…) Di qui una serie di precise conseguenze che mostrano come “parità tra le parti” non significhi eguaglianza né sul piano dei poteri e dei doveri né di fronte alla funzione cognitiva del processo. Il difensore potrebbe essersi imbattuto nelle sue ricerche in prove che mostrano nel modo più eloquente la colpevolezza dell’imputato; non gli è consentito alterarle, ma in nessun caso è impegnato a produrle. Esemplare a riguardo la raccolta delle dichiarazioni. Può svolgere colloqui non documentati con i testimoni, congedandosi al termine senza altra formalità. Ma quand’anche si orienti per la raccolta verbale delle dichiarazioni, fermo l’obbligo di trascriverle integralmente, deciderà se convenga o no immetterle nel processo, a seconda del loro esito; ed è naturale, perché sarebbe singolare costringere a consegnare al giudice le prove contro colui dal quale viene retribuito. Ben diverso il regime per il pubblico ministero, obbligato ad indagare in ogni direzione, a verbalizzare qualsiasi colloquio, a scoprire tutte le carte prima dell’esercizio dell’azione penale»[16].

Nell’assunzione delle prove in dibattimento dinanzi al giudice, le parti procedono all’esame e al controesame dei testimoni. Ma anche l’applicazione della cross-examination, l’esame incrociato nel nostro sistema processuale e istituzionale, deve misurarsi, a differenza che negli Stati Uniti, con il ruolo del Pm, parte pubblica “imparziale”. Qui non vale più la “parità delle armi” poiché diversi sono gli obblighi deontologici di accusa e difesa. Lo ha sottolineato Gianrico Carofiglio nel suo saggio «L’arte del dubbio»:

«A fronte di un teste della difesa che dica sostanzialmente la verità, gli spazi deontologicamente ammissibili per il controesame del pubblico ministero che sia consapevole della veridicità della testimonianza saranno molto circoscritti»[17].

Al contrario, in una speculare circostanza il dovere deontologico del difensore sarà quello, comunque, di seminare il dubbio nella percezione del giudice.

La delicata posizione del pm, parte, ma parte pubblica, “parte imparziale”, rende essenziale che egli abbia sempre come riferimento il valore del metodo del contraddittorio e il rispetto del ruolo del difensore.

 

 

*  Per una più ampia trattazione ove il principio di imparzialità è collocato nel quadro di un’analisi del ruolo del pm nell’ordinamento e nel processo, rinvio al mio Pubblico ministero. Un protagonista controverso della giustizia, Raffaello Cortina, Milano, 2024.

1. F. Gianaria e A. Mittone, L’avvocato necessario, Einaudi, Torino 2007, p. 49.

2. G. Giostra, Contraddittorio (principio del). ii. Diritto processuale penale, in Enciclopedia giuridica, vol. ix, Treccani, Roma, 2001.

3. G. Falcone, Cose di cosa nostra, in collaborazione con Marcelle Padovani, Rizzoli, Milano, 1991, p. 164.

4. Testo integrale in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 2/1992, pp. 262-263.

5. M. Robert, Quale imparzialità per il pubblico ministero?, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 2/2005, pp. 401 ss.

6. Sull’iter legislativo di questa modifica, vds. P. Goasdoue, L’impartialité du ministère public, L’Harmattan, Parigi, 2018.

7. Regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea (EPPO).

8. www.judcom.nsw.gov.au/publications/benchbks/local/nsw_bar_association_rules.html.

9. Vds. M. Findlay - S. Oggers - S. Yeo, Australian Criminal Justice, Oxford University Press, Oxford, 1999 (II ed.), pp. 139-140 (t.n.). Nello stesso studio, a p. 138, si rileva un processo in corso di «development of prosecutorial independence from the executive», «sviluppo dell’indipendenza del prosecutor dall’esecutivo».

10. G. Benedetto, Non diamoci del tu. La separazione delle carriere, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz), 2022, p. 33.

11. Id., Review of the Criminal Courts of England and Wales, settembre 2001, p. 11 (introduzione, punto 12): «The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard» (www.criminal-courts-review.org.uk/auldconts.htm; https://www.criminal-courts-review.org.uk/chpt1.pdf). 

12. P. Ferrua, Contraddittorio e verità nel processo penale, in Id., Studi sul processo penale – Vol. ii, Anamorfosi del processo accusatorio, Giappichelli, Torino 1992, p. 49.

13. G. Giostra, Prima lezione, op. cit., p. 45.

14. Ivi, p. 52.

15. Ivi, p. 64.

16. P. Ferrua, Il modello costituzionale del pubblico ministero e la curiosa proposta del processo breve, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 1/2010, pp. 24-25.

17. G. Carofiglio, L’arte del dubbio, Sellerio, Palermo, 2007, p. 192.